quatre
Deuxième jour;
Un chocolat chaud ne peut pas faire ça bien
Aaron fu svegliato dal rumore della suoneria del suo cellulare - un fastidioso tormentino - a quelle che si rese conto fossero soltanto le sette del mattino.
Era una chiamata, una chiamata da parte di un numero francese sconosciuto.
"Hello?" chiese, la voce ancora impastata dal sonno.
"Dove diamine siete?!" sbottò la ragazza dall'altra parte.
"Uh, Am?" corrugò confusamente le sopracciglia, mentre si grattava la nuca.
"Sono ben sept minuti che vi aspetto a Place de la Liberté, che cosa aspettate a venire?" chiese, la voce alterata e, come ogni volta che si arrabbiava, l'accento francese forte.
"Dove?"
"Oh, diamine, Aaron che stai facendo? Saranno le sei del mattino!" sbottò Shawn, dall'altra parte della camera.
L'Americano la ammutolì lanciandogli un cuscino, che lo colpì dritto in faccia.
"Lo ripeterò un'ultima volta, Aaròn." iniziò lei, il tono sempre più duro "Place de la Liberté, tra deux minutes." e chiuse la chiamata.
Lui sbuffò, passandosi una mano tra i capelli, mentre sprofondava nuovamente nelle sue morbide coperte, godendosi quel calore ancora per pochi minuti.
"Amico," sospirò "abbiamo due minuti per prepararci, uscire di casa e raggiungere Am in un posto che nemmeno conosciamo."
Shawn emise un verso simile alla lamentela di un tacchino morente.
*
Potevano essere passati trenta minuti, al minimo, da quando i due erano usciti di casa.
Dire che si erano persi era un eufemismo.
Shawn doveva, all'incirca, aver sbuffato una quarantina di volte ed Aaron detto di piantarla ed aiutarlo altrettante.
Soltanto Amna poteva svegliarli alle sette del mattino e dire loro di raggiungerla in una determinata via di una città che conoscevano da appena un giorno. Solo lei.
E la cosa, per quanto assurda, divertiva quasi Aaron, che era sicuro, mai avrebbe smesso di sentirsi stupito dalla strana personalità di quella ragazza.
"Senti, io direi di tornare all'Hotel, se ce la facciamo, prendere le nostre cose e cambiare albergo. Così, almeno, eviteremo di farci spaccare un timpano da Am." alzò le spalle il Canadese.
"Non dire stupidaggini." quasi rise l'altro, passandosi una mano sulla fronte. "Non può essere così male."
"Oh, sta a vedere." gli rispose, attirando la sua attenzione con un leggero pungo sulla spalla, per poi fargli un cenno di fronte a loro, verso la figura che si stava avvicinando a passo felpato.
Era distinguibile tra le centinaia di persone attorno ai due nonostante non fosse estremamente alta o appariscente, non agli occhi degli altri, almeno.
Amna stava procedendo a passi piccoli ma estremamente veloci, sugli stivaletti neri lucidi.
Stringeva la borsetta a tracolla - del medesimo colore - con la mano destra mentre l'altra era stesa sul fianco, accanto alla gonna gialla - che partiva dalla vita e arrivava poco sotto il ginocchio - e il maglioncino bianco, che finiva dove iniziava quest'ultimo.
Era splendida, come sempre.
"Shawn Peter Raul Mendes." scandì bene i nomi "Se fossi la mia bussola ti avrei già dato fuoco da tempo. E tu" si voltò verso Aaron "tu sei il peggior orologio del mondo." disse semplicemente, per poi scoppiare a ridere.
Shawn non si stupì nemmeno del suo comportamento, limitandosi a sospirare, leggermente divertito.
L'Americano, invece, corrugò le sopracciglia spesse, grattandosi la nuca.
"Beh, allora? Che c'è, il gatto vi ha mangiato la lingua?" ridacchiò, scostandosi una ciocca di capelli dal volto.
Non portava molto trucco: un po' di lucida labbra, del mascara, matita e blush.
I capelli, invece, erano sciolti sulle spalle, come il giorno precedente, quando si erano incontrati.
"Ciao, Am" borbottò Shawn, mentre si sistemava distrattamente i risvolti delle maniche della camicia a quadri che indossava.
"Sei davvero bella oggi." prese il coraggio di dirle, invece, Aaron, con le guance che andavano, col passare dei secondi, ad una tonalità di rosso sempre più scura.
Si aspettò qualcosa come una presa in giro dalla ragazza, o magari un commento dei suoi, come "Perché ieri no?" ma tutto quello che ricevette fu una risata dell'amico.
"Penso che inizierà a piovere tra poco. Andiamo, conosco un posto fantastico dove bere una cioccolata calda belga magnifique." disse semplicemente, voltandosi dall'altra parte.
Aaron abbassò lo sguardo, leggermente demoralizzato dalla poca attenzione che gli dedicava. Cercò di convincersi che era il suo carattere, che come tutte le belle ragazze francesi era abituata ai complimenti e quasi non ci faceva più caso.
La verità era che sulle guance della castana era calato un lieve rossore.
*
"Buona, non è vero?" chiese, entusiasta quanto una bimba di cinque anni, Amna, spostando lo sguardo dall'uno all'altro.
Aaron non era un gran fan della cioccolata, tantomeno quella calda: da dove veniva lui le uniche bibite consumate erano praticamente soltanto quelle fredde, siccome la faceva sempre molto caldo.
Nonostante ciò, però, annuì, sorridendo impercettibilmente, mentre beveva un'altro sorso.
Shawn invece sembrava amare quella bevanda più del suo stesso portafogli: ne aveva già ordinate tre, e probabilmente era intento a prendere la quarta.
"Molto." le rispose l'Americano, poggiando la sua tazza sul tavolino di fronte a se.
Si trovavano in un piccolo bar dal nome complicato; l'atmosfera al suo interno era calda e confortevole, però. Il mobilio era interamente in legno, e poco lontano dai tre amici c'era un grande camino, davanti al quale stavano due bimbi, intenti a cuocere i loro marsh-mellows.
"Sei sporco qui." gli disse la francesina, indicando gli angoli della sua stessa bocca.
"Uh, qui?" le chiese, cercando di pulire i residui di cioccolata con la lingua.
Lei scoppiò a ridere, avvicinandosi lentamente a lui, dall'altra parte del tavolo.
Il secondo in cui le dita sottili di Amna entrarono in contatto con le sue labbra Aaron poté giurare di sentire una scarica di brividi che gli partiva dal collo ed arrivava fino alle costole coccigee.
Si sentiva vivo come non mai; aveva voglia di saltare, gridare al mondo che la ragazza più bella dell'intero universo si trovava di fronte a lui.
E lo aveva soltanto sfiorato.
"Ecco fatto." ridacchiò, sedendosi nuovamente al suo posto, mentre leccava i residui di cioccolata rimasti sul suo dito.
Aaron sapeva di essere patetico, ma non riusciva a pensare ad altro che non fosse il fatto che aver appena toccato le sue labbra ed essersi leccata il dito con cui lo aveva fatto equivaleva con l'aver messo in contatto la lingua della ragazza con la sua bocca.
La cosa lo mandava su di giri più di quanto avrebbe dovuto, ed infatti cercò in tutti i modi possibili - o vero con pose ridicole - di nascondere l'evidente segno della sua eccitazione.
"Tutto bene amico?" gli chiese Shawn, che aveva appena finito la sua quarta cioccolata - si, alla fine l'aveva presa.
"Oh, si, si. Stavo, uhm, soltanto iniziando ad avere un po' di caldo." balbettò, arrossando sempre di più "La temperatura è molto alta, qui." continuò, allargandosi leggermente il colletto della camicia che indossava, sotto al maglione verde.
"Già, mi sto sciogliendo." ridacchiò Amna, iniziando a farsi fresco con la mano destra, assumendo una posa tragica.
"Allora," iniziò il Canadese, leggermente stordito dalle troppe tazze di cioccolata bevute "adesso che si fa? Hai qualche piano, Am?"
"Oh, a dire la verità no. E' più freddo di quanto mi aspettassi." mugugnò, grattandosi il mento con le lunghe unghie smaltate di nero lucido. "Potremmo visitare qualche museo, oppure le strade di negozi in centro, ma non ho molta voglia."
"Allora che ne dite tornare all'Hotel e rilassarci? Dovrebbero accendere il camino e preparare delle attività per intrattenere gli ospiti, di sera." propose Aaron, usando il plurale nonostante si stesse riferendo soltanto ad Amna.
La ragazza, però, non sembrava minimamente intenzionata a concedergli nemmeno un pizzico di attenzione.
Teneva le gambe accavallate ed il braccio destro dietro di se - poggiato sulla poltrona rossa - come sostegno. L'altra mano era all'altezza del volto, con l'indice sulla mandibola.
L'Americano non esitò prima di prendere la polaroid dalla borsa della castana - sul tavolino - ed immortalare il momento.
Lei non sembrò rendersene conto, così come Shawn, troppo impegnato a lamentarsi del suo mal di pancia. Così, Aaron decise di tenersi la fotografia, infilando nuovamente la macchina nella borsetta nero smaltato e il pezzetto di carta lucida in tasca.
"Che Hotel sia, allora." sospirò, sempre lui, alzandosi da posto ed andando a pagare, felice come non mai di avere una fotografia di Amna da poter tenere con se.
*
Si era ormai fatta sera.
I tre, dopo essere tornati dalla loro breve gita - alle quattro e mezza circa - erano rimasti nella Hall dell'Albergo, facendo a turno per andare a comprare le caramelle al bar.
Verso le sei Shawn aveva incominciato a sentirsi nuovamente male, sicuramente a causa del troppo cioccolato e dolcetti ingurgitati in un giorno solo.
E si erano fatte le sette, tra una corsa al bagno da parte del canadese ed una lamentela. Amna aveva infine deciso che doveva andare in infermeria - perché si, l'Hotel ne aveva una - e che se non lo avesse fatto avrebbe chiamato Gheorghina per farle vedere in che bel stato si era ridotto il valoroso cavaliere di cui si era invaghita.
Ovviamente, Shawn aveva acconsentito, dirigendosi dal medico senza lamentele.
Questo lasciava Aaron solo con Am.
Si trovavano, nella sala d'attesa dell'infermeria, seduti su una comoda panchina, l'uno ad una decina di centimetri di distanza dall'altro.
L'Americano avrebbe voluto poter intrattenere una conversazione con lei, o almeno provare a farla ridere - siccome lo faceva impazzire quando lo faceva - ma la francese era così sicura di se da togliere lui tutta l'autostima.
Tutte le ragazze sedotte con un solo sorriso: scomparse, volatilizzate.
Amna era una cosa tutta diversa.
Non la incantavi facilmente: decideva lei quando voleva farsi stupire o no. Decideva lei se potevi farla ridere o no.
Aveva il controllo totale della situazione, insomma.
"Allora," iniziò lui, pregando Dio di non rovinare tutto "uhm, che cosa ti piacerebbe fare da grande?" le chiese, volendo immediatamente schiaffeggiarsi fino allo sfinimento.
Quanti anni avevano, cinque? Che cosa vuoi fare da grande? Ma che diamine di problemi aveva?
Deglutì rumorosamente, in attesa di una risposta da parte della ragazza che forse non sarebbe arrivata. Nemmeno lui, se fosse stato in lei, avrebbe risposto ad una domanda del genere.
"Non lo so. Stavo pensando di andare all'Università ci moda. Però le scuole di moda sono perlopiù private e a numero chiuso, quelle pubbliche hanno solitamente meno posti e c'è una selezione per l'accesso che prevede quasi sempre un test d'ingresso e la presentazione di un portfolio, cioè una raccolta di disegni e bozzetti con le proprie creazioni, e non so se le mie sono all'altezza." rispose, mordicchiandosi l'interno della guancia, lo sguardo pensoso.
"Non dire così, sono sicuro che i tuoi schizzi siano mille volte migliori di quelli di molte altri stilisti famosi." le sorrise, quasi stupito di vederla in quello stato di insicurezza.
"Stai esagerando." ridacchiò "Sai,ce n'è una un particolare, l'Accademia Reale di Belle Arti di Anversa, in Belgio. E' sempre stato il mio sogno. Oppure il Polimoda di Firenze, ma sono entrambi molto costosi."
"Saresti adatta," ammise "ti vesti molto bene. Più di tante ragazze in California."
"Sono Parigina," ridacchiò lei "sarebbe un delitto se non lo facessi."
Un profondo silenzio succedette la frase della ragazza.
Quando Aaron decise di riprendere parola, però, Amna scattò in piedi, poggiandosi sulla spalla la borsa a tracolla.
Non si voltò nemmeno verso di lui, procedendo semplicemente lungo il corridoio, facendo ticchettare i tacchi spessi nel pavimento ricoperto da una moquette rossa.
L'Americano non esitò a seguirla, nonostante non le avesse detto di farlo.
Corse per raggiungerla e poi rimase al suo fianco, mentre salivano scalinate su scalinate.
Si limitò a starle vicino, senza fare domande, fino a che non riconobbe il corridoio dove si trovava la loro camera da letto.
Tirò immediatamente fuori le chiavi dalla tasca dei jeans, non facendo attendere molto la ragazza mentre apriva la porta.
Lei entrò nella camera senza proferire parola, dirigendosi verso la sedia accanto al letto di Shawn e poggiandoci la borsetta. Si voltò, poi, verso Aaron, che aveva chiuso la porta dietro di se, leggermente confuso da quello che stava accadendo.
"Che cosa ti piace di me, Aaron?" gli chiese, mentre si avvicinava a lui, giocherellando con il bordo del suo maglione e facendo qualche piroetta qua e la nel suo percorso.
"Come, scusa?" deglutì rumorosamente, il volto paonazzo, mentre realizzava di trovarsi da solo con lei in una camera da letto.
"Che cosa ti piace di me?" ripeté, questa volta puntato lo sguardo su si lui e sorridendo in maniera astuta, la testa leggermente inclinata verso il basso.
"Uhm, sei, sei molto brava a, uhm, fare abbinamenti." balbettò nervosamente, facendo qualche passo indietro, fino ad arrivare con la schiena contro la porta.
Quasi lo spaventava il modo in cui lo metteva alle strette: come se lei avesse tutto stretto nella mano. Come se potesse, da un momento all'altro, decidere di farlo morire oppure no.
In breve, lo aveva legato attorno al dito.
"Quindi ti piacciono i miei vestiti." ridacchiò, a poco meno di due metri di distanza da lui.
Aaron annuì, sentendosi impacciato come non mai.
Sentiva la bile farsi densa e bollente come lava, facendogli fare una fatica immensa per inghiottirla.
Il suo respiro era regolare, ma soltanto perché lo stava tenendo a freno.
Le mani, invece, erano nascoste dietro la schiena: tremolanti e sudate come non mai.
"E se invece i vestiti non li avessi più addosso? Ti piacerei ancora?"
L'Americano sentì il cuore salirgli in gola, mentre spalancava gli occhi. Il respiro iniziò a farsi irregolare, ed il sudore a colargli dalla fronte.
Si stava immaginando tutto ciò oppure era la realtà?
"Io, uhm, beh..."
"E dai, Aaron, non fare giri di parole. Ci siamo solo noi due, nessuno ti giudicherà." ridacchiò, portandosi una ciocca castana dietro l'orecchio.
"Si, si mi piaceresti ance senza vestiti." sbarrò gli occhi mentre lo diceva, non volendo vederla scoppiare a ridere.
"Più o meno di così?" il ragazzo poteva sentire che si stava avvicinando, non doveva essere a più di un metro, se non meno, di distanza.
Il modo in cui lo stava stuzzicando era quasi insopportabile; come una tortura.
Il suo corpo stava andando a fuoco, e trattenere le sue emozioni si stava rivelando sempre più difficile.
"Apri gli occhi Aaron." Amna era a meno di un centimetro da lui "Allora, com'è che mi preferisci?" iniziò a giocherellare con le labbra del ragazzo, mentre mordicchiava le sue. "Con o senza vestiti?"
"Senza." sospirò lui, tutto d'un fiato, non riuscendo a staccare gli occhi verdi da quelli scuri della francese.
Quest'ultima eliminò totalmente la distanza tra i loro corpi, mettendosi in punta di piedi mentre raggiungeva l'orecchio dell'Americano. Rimase in quella posizione per una decina di secondi, per poi parlare in un sussurro.
"Allora toglimeli tutti." sospirò, quasi gemette, mentre gli prendeva il lobo dell'orecchio tra i denti e faceva scattare la serratura, dietro la schiena del ragazzo.
*
Quando Aaron riaprì gli occhi il mondo gli apparve diverso.
Non sapeva dire bene se fosse in modo positivo o meno; semplicemente l'aria sembrava profumata di rose, il soffitto un cielo stellato pieno di angioletti sorridenti e il silenzio si era trasformato in una dolce musichetta.
Gli ci vollero altri cinque minuti per realizzare che tutto ciò era dovuto ad Amna, di fianco a se: gli occhi socchiusi, le labbra pure ed il suo corpo nudo attaccato a quello del ragazzo.
Aaron si mise sul fianco, tenendosi su la testa con l'aiuto della mano destra.
Voleva soltanto osservarla: la sua pelle color caramello, morbida e bollente; i capelli scuri sparpagliati su tutto il cuscino chiaro; gli occhi chiusi e le labbra rosse dai baci semiaperte.
Il fiato dell'Americano incominciò a farsi irregolare, come se tutto quello - Amna - fosse troppo per il suo cuore mondano. Aveva bisogno di toccarla, baciarla, averla; non ci riusciva proprio a fissarla soltanto.
Così, si avvicinò, iniziando a farle passare una mano tra i capelli freschi. Erano così soffici; non si sarebbe mai stancato di essi.
La baciò.
Baciò ogni centimetro di pelle, partendo dalla mandibola fino a metà schiena. Le baciò le mani, gli occhi, le spalle, le gambe.
La baciò.
Il sapore della sua pelle era come ambrosia, per lui. Una cosa sacra, troppo buona per poter essere assaggiata da tutti.
Continuò a riempirla di baci, perché anche se sapeva che non sarebbe mai riuscito a saziarsi di lei, anche se avrebbe sempre voluto di più, quello era tutto ciò che poteva avere: baciarla fino allo sfinimento.
Il corpo di Amna si mosse, e le sue mani raggiunsero i capelli di Aaron - ancora incantato dalla sua stupenda figura.
La ragazza non disse niente; si limitò ad alzare appena gli angoli della bocca verso l'alto, mentre gli sfiorava i tratti del volto con le dita.
Era un tocco così delicato, così gradevole che Aaron quasi faticava a credere che quelle fossero le stesse mani che gli avevano lasciato innumerevoli graffi sulla schiena.
Quella era stata una notte selvaggia, doveva ammetterlo.
Tutto gli tornò in mente tanto nitidamente da fargli quasi credere di essere ritornato a poche ore prima.
La stanza riempita soltanto dalle grida di Amna; i loro corpi attorcigliati come l'edera sulla facciata di una casa; i due respiri che ormai diventavano uno.
Uno.
Ecco che cos'erano stati: uno.
Non due, uno.
Un unico corpo che soffriva e godeva al tempo stesso; un unico corpo insaziabile di baci; un unico corpo che si faceva del male ma al tempo stesso si soddisfaceva.
Uno.
"Dio, se potessi rifarei tutto da capo." sussurrò Aaron, senza nemmeno pensare a quello che stava dicendo.
Amna ridacchiò, attaccando i loro corpi.
Petto contro petto; cuore contro cuore.
"C'è sempre tempo per un secondo round." gli sussurrò all'orecchio, la voce maligna.
Senza nemmeno attendere una risposta la ragazza gli saltò letteralmente sopra, incominciando a lasciargli una scia di bacetti umidi su tutto il volto, scendendo, a mano a mano che terminava una zona, sempre più un basso.
E, nel frattempo - tra un gemito e un'incitazione a continuare - Aaron non riusciva proprio a togliersi dalla testa il modo in cui Am aveva gridato il suo nome, o di come lui l'aveva torreggiata.
L'immagine di lei, sotto di lui, il volto imperlato di sudore e modellato in un espressione mista tra il dolore ed il piacere; il suo nome che usciva a gemiti dalle labbra gonfie dai baci.
Dio, lo avrebbe fatto impazzire.
Amna si fermò, tornando all'altezza del suo volto, prendendosi il disturbo di far strusciare il più possibile i loro corpi mentre lo faceva.
"Ma non ora." ridacchiò, facendo scontrare bruscamente i suoi fianchi contro quelli del ragazzo.
Aaron era letteralmente senza fiato; gli occhi spalancati ed il cuore a mille.
Che cosa gli stava facendo?
La castana si allontanò, lasciandolo a metà tra il piacere e lo sconforto.
L'Americano non protestò nemmeno quando scese dal letto, ancora troppo scioccato da tutto ciò che quella ragazza stava facendo accadere nel suo corpo. Come poteva essere umanamente possibile, sentirsi attratti in quel modo da un'altro essere vivente?
"Oggi andiamo alla Tour Eiffel." disse lei, mentre si allacciava i gancetti del reggiseno color crema "Shawn dovrebbe ancora essere in infermeria; probabilmente ha trascorso la notte li.
Ci vediamo tra due ore alla piazza centrale." si infilò gli stivaletti e prese la borsa.
Non si voltò una seconda volta prima di uscire dalla stanza e chiudersi la porta dietro. Nessun saluto, nessun sorriso; come se la notte precedente non fosse accaduto niente. Lasciando Aaron ancora scioccato.
"A dopo, Am." boccheggiò, mente sprofondava nuovamente la testa nel morbido cuscino "A dopo, amore mio."
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