4. Sociopatico iperattivo
Il giorno dopo, mi sveglio con la sensazione di essere un pesce fuor d’acqua.
Non ho niente da fare, oggi non devo lavorare, nessun piano.
Solo il vuoto che riempie il mio pomeriggio, come una stanza vuota che sembra attendere un evento straordinario.
E naturalmente, la mia mente non può fare a meno di tornare a Sherlock.
Già mi immagino come potrebbe essere la sua giornata, mentre io sono qui a sprecare tempo.
Dopo aver sistemato la mia stanza, mi concedo un caffè e mi siedo al tavolo della cucina con mia nonna.
Lei sta leggendo il giornale e sembra completamente assorta nelle notizie.
A un certo punto, decide di mettere giù il giornale e si volta verso di me.
"Perché non vai a fare una visita a Sherlock e John? Magari hanno bisogno di un po' di aiuto" suggerisce, con quel tono di saggezza che mi fa sempre un po' ridere.
"Ah, sì, perché dovrei? L'ultima volta che ho messo piede lì, mi hanno mandato via come un pacco indesiderato" rispondo, mescolando il caffè con una certa ostentazione.
"Non essere così drammatica, cara" dice mia nonna, scuotendo la testa "Se non altro, potresti scoprire qualcosa di interessante."
Non posso negare che la curiosità morde il mio stomaco.
Così, dopo aver trascorso qualche ora a contemplare il soffitto, decido di fare un giro.
Non ho l'intenzione di suonare il campanello, ma voglio semplicemente passare davanti alla porta e origliare un po’.
Magari scoprire cosa stia combinando il famoso detective.
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Quando arrivo di fronte all'appartamento di Sherlock e John, la porta è leggermente aperta.
Senza pensarci troppo, mi fermo e mi inclino leggermente, cercando di ascoltare.
"Secondi qualcuno l'assassino ha la valigia e l'abbiamo trovata a casa del nostro psicopatico preferito"
Sono curiosa di sapere di più, ma so anche che se faccio un passo avanti e mi faccio beccare, mi rimanderebbero di nuovo a casa come l’ultima volta.
"Non sono uno psicopatico Anderson, sono uno sociopatico iperattivo, informati"
Sento dei passi verso la porta.
D’istinto mi allontano, cercando di mimetizzarmi nel corridoio.
"Dovete andare a prendere Rachel per interrogarla. Io devo interrogarla"
"È morta"
"Ottimo. Come, quando e perché?"
"... Non è mai stata viva"
Sherlock dice qualcosa che non capisco.
"Oh si, perché dovrebbe pensare alla figlia in punto di morte?"
"Si ma perché sarebbe stata ancora sconvolta?"
Piomba il silenzio nella stanza, immagino le espressioni degli altri.
Forse è davvero sociopatico.
"Non è esatto?" continua poi.
"Non proprio... No" dice Jhon.
Sento i passi di Sherlock avanti e indietro per la stanza.
Sento anche dei passi alle mie spalle.
Impreco sottovoce "T/n che fai qui nascosta?"
"N... Nulla"
Scuote la testa poi mi supera e spalanca la porta "Sherlock é arrivato il taxi. Santo cielo che confusione che stanno cercando?"
Jhon mi lancia un'occhiata che decido di ignorare.
"Cercano della droga signora Hudson"
"Ma sono per la mia anca-"
All'improvviso Sherlock esplode in un urlo "Zitti tutti. Silenzio! Non parlate. Non respirate. Anderson girati mi dai fastidio"
Quello che intuisco essere Anderson protesta "Che cosa?"
Lestrade inaspettatamente asseconda Sherlock "Tutti zitti, Anderson girati"
"E il suo taxi?" insiste la nonna.
Sherlock le grida contro così lei scappa giù per le scale.
Io rimango lì immobile, é tutto così surreale.
I nostri sguardi si incontrano per un secondo poi lui fa un verso compiaciuto e corre giù per le scale.
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Ho passato il resto della serata a vagare per casa come un fantasma, con l’unico pensiero di come avrei dovuto fare per rimanere un passo avanti a quella mia ansia da prestazione che sembrava dominare la mia vita.
La nonna, con la sua solita saggezza, ha deciso di imporre il suo volere “Dovresti portar loro qualcosa da mangiare, T/n. Non puoi lasciarli soli in quelle condizioni”
La sua insistenza mi ha costretta a raccogliere un paio di sacchetti pieni di cibo e dolci che aveva preparato.
“Santo cielo, perché non posso semplicemente ignorarli?” mormoro a me stessa mentre scendo le scale.
La verità è che la curiosità mi ha sempre attirata come una falena verso la luce, e nonostante i miei sforzi per distaccarmi da Sherlock, il pensiero di lui e delle sue eccentricità continua a torturarmi.
Cosa avrà fatto di nuovo?
Cosa lo rende così irresistibilmente frustrante?
Arrivata davanti alla sua porta, suono il campanello e mi prendo un momento per respirare.
La porta si apre e trovo John in piedi, visibilmente stanco ma con un sorriso affettuoso “T/n, che sorpresa”
“Non ho molta scelta, ho una nonna che insiste sul fatto che dovrei nutrire dei perfetti estranei” rispondo sarcasticamente, facendo un passo dentro.
Mi fa strada, e il disordine dell’appartamento di Sherlock è come al solito imponente.
Appunti, riviste e oggetti sparsi ovunque. Mi chiedo come possa Sherlock vivere in mezzo a tutto questo caos "Dove è il tuo socio?" chiedo, lanciando uno sguardo curioso intorno.
“È in cucina, cerca di capire qualcosa su… beh, non so nemmeno io” risponde John, scuotendo la testa “In ogni caso, sei proprio in tempo per la cena.”
Mi avvicino alla cucina, e appena varco la soglia, vedo Sherlock, con un’espressione assorta e leggermente frustrata.
È circondato da documenti, e ha una tazza di tè che sembra essere stata dimenticata da ore “Ah, sei tornata,” dice, senza nemmeno voltarsi, come se fosse la cosa più normale del mondo.
“Eccoci, il banchetto è servito!”
Sherlock finalmente alza lo sguardo, e il suo viso si illumina con un sorriso che potrei definire… affascinante “Ah, del cibo. A quanto pare è una tua specialità. Peccato che non sia l’unico cibo di cui abbiamo bisogno qui” mormora, lanciando un’occhiata ai documenti sparsi.
“Ho portato anche dei biscotti. Ti piaceranno,” dico, cercando di non farmi influenzare dal suo modo di parlare “Se solo potessi smettere di essere un sociopatico iperattivo per un secondo e apprezzare il mio gesto.”
John si fa strada verso i piatti, cominciando a servire il cibo che ho portato “Credo che una pausa per la cena non possa far male a nessuno, specialmente a te, Sherlock.”
“Cibo, John? Davvero??” chiede Sherlock, come se stesse lanciando una sfida.
“Non ti fa male mangiare qualcosa ogni tanto” risponde John, con una nota di pazienza nella voce “Ehi, T/n, vuoi unirti a noi per la cena?”
Sto per rispondere quando Sherlock parla:
“Non vedo alcuna necessità che rimanga” dice Sherlock, la sua espressione tornata seria “Sarebbe meglio che tornassi a casa, piuttosto.”
“Cosa? Perché dovrei andarmene? Ho portato del cibo, e sono qui per aiutare!” protesto, sentendo la frustrazione crescere.
“Non hai bisogno di essere qui” ribatte Sherlock, quasi non curandosi delle mie parole “Abbiamo bisogno di concentrazione, non di distrazioni.”
Mi sento come se mi avessero schiaffeggiato “Distrazioni? È proprio questo il problema. Non sei capace di vedere oltre il tuo naso, Sherlock. La vita non è solo un enigma da risolvere, e io non sono qui solo per fare da... Non so nemmeno cosa!”
“Lo so, ma non posso accettare la tua presenza se non è necessaria” insiste, e il suo tono è tanto freddo quanto la stanza.
A quel punto, non so nemmeno perché mi arrabbio tanto.
Forse perché ho sperato in un momento di convivialità, di vera interazione “Tu non capisci niente!” esclamo, la mia voce cresce in intensità.
La tensione nella stanza è palpabile.
John guarda Sherlock, cercando di mantenere la calma “T/n, non è che…”
“No, John, non è colpa tua” rispondo, interrompendolo “È Sherlock che non riesce a capire che ci sono altre cose nella vita oltre al lavoro e ai casi. È tutto un grande indovinello per te, vero? Non hai nemmeno idea di come ci si sente!”
Sherlock sembra sorpreso dalla mia esplosione, ma non cambia espressione. “Non è questione di indovinelli. È una questione di priorità.”
E lì, il mio orgoglio va in frantumi. “Le priorità? Io non sono una priorità, e probabilmente non lo sarò mai. È chiaro, giusto?”
Con un ultimo sguardo infuocato, mi volto e sbatto la porta dietro di me.
Le mie emozioni si riversano in un tumulto di frustrazione e delusione.
Perché mi importa così tanto di lui?
Perché?
Scendo le scale con passo veloce, il cuore che batte forte nel petto.
Non riesco a capire se sto piangendo o se è solo l’aria fredda di Londra a farmi bruciare gli occhi.
La mia mente è un caos di pensieri.
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Entro nell'appartamento, mia nonna è lì ad aspettarmi “Com'è andata?” chiede, sollevando un sopracciglio.
“C’era confusione,” rispondo, cercando di nascondere il mio turbamento “Ma immagino che sia così con Sherlock.”
“Ma hai portato del cibo, giusto?” dice, divertita “Allora è un passo avanti.”
“Un passo avanti verso cosa?” sbotto, sentendomi stanca “Probabilmente sarò ancora rimandata indietro come un pacco indesiderato.”
“Dai, non essere così drammatica” dice, offrendomi un sorriso “Penso che tu stia cercando di capire dove stai andando. Non è facile, ma è giusto così.”
Mentre mi preparo per la notte, le parole di mia nonna risuonano nella mia mente.
“Cercherò di ricordarmelo,” mormoro, sapendo che domani potrebbe riservarmi sorprese imprevedibili, e magari, solo magari, un po’ di chiarezza.
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