2. Non si finge causalità
Non so come ci sono finita qui.
Sul serio. Cioè, lo so tecnicamente: mia nonna mi ha trascinato in questo casino.
Ma comunque non riesco a spiegarmi come tutto ciò possa essere accaduto in meno di ventiquattro ore dall'arrivo di Sherlock.
Davvero, ventiquattro ore prima la mia vita era monotona e prevedibile.
Ora sono qui, appoggiata a una parete fredda di mattoni, cercando di non farmi notare, mentre Sherlock e John stanno interrogando un agente di polizia a proposito di una serie di morti misteriose.
Tutto è cominciato questa mattina, quando mia nonna ha deciso che il mondo non era già abbastanza strano di suo e ha ben pensato di farmi visita in libreria.
"T/n, cara, ho una sorpresa per te!"
Adoro mia nonna, davvero.
Ma la sua definizione di "sorpresa" di solito significa un maglione fatto a mano in un colore che non dovrebbe esistere, o un invito a un pranzo di quartiere con gente che non riconoscerei nemmeno se li vedessi sul retro di una scatola di cereali.
Quindi, quando me lo ha detto, ero giustamente sospettosa.
"Ah sì? E di che tipo, questa volta?" le ho chiesto, cercando di sembrare entusiasta mentre spostavo dei libri sugli scaffali.
Lei ha sorriso con quella sua espressione innocente "Ti ho trovato un passaggio per vedere un'indagine di Sherlock."
"Un'indagine di chi?" Ho quasi fatto cadere un libro.
"Di Sherlock, cara. Non stavi prestando attenzione ieri? Ha preso in mano un caso. Morti misteriose, credo. Ecco, pensavo potesse essere un’esperienza formativa per te!"
Mi sono fermata, incredula "Nonna, non posso… non posso semplicemente presentarmi e guardare mentre Sherlock Holmes risolve un crimine. Non è così che funziona."
"Ma certo che puoi, sono sicura che non se ne accorgerà nemmeno" ha detto, con un tono così casuale che sembrava stesse parlando di una visita dal dentista "Sono andata a trovarlo questa mattina e ho parlato con quel suo adorabile coinquilino, John. È un uomo così dolce, mi ha detto che non ci sono problemi se vieni anche tu."
Inutile dirlo, nel giro di mezz’ora ero in un taxi diretto verso la scena del crimine.
E ora eccomi qui, accanto a un bidone della spazzatura, cercando di far finta di essere parte della polizia.
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Quando arriviamo, Sherlock è già in piedi al centro della scena del crimine, come un conduttore d'orchestra che attende il suo momento per alzare la bacchetta.
Ha un’aria elettrica, gli occhi che brillano di un'intensità quasi inquietante, mentre osserva ogni dettaglio attorno a sé.
John, ovviamente, è accanto a lui, con quell'aria leggermente perplessa e stanca di chi ha già accettato che le cose strane gli succederanno comunque.
Io?
Io cerco di non dare troppo nell'occhio.
"Sherlock!" La voce di Lestrade, l'ispettore, rimbomba tra i muri del vicolo dove ci troviamo.
È un tipo robusto, il volto segnato da lunghe ore di lavoro, e sembra avere la pazienza di un santo, considerando il fatto che deve gestire Sherlock regolarmente.
Si avvicina al detective con un'espressione che conosco bene: quella di chi sa già che sta per essere umiliato pubblicamente.
"Un'altra morte, sempre la stessa dinamica" dice, indicando il corpo di una donna disteso a terra "Nessun segno di lotta, nessuna traccia di veleno. È la quarta vittima in meno di tre settimane."
Sherlock non risponde subito.
Si limita a camminare attorno al cadavere, osservando tutto con un'intensità che non so se ammirare o temere.
Il silenzio si fa denso, mentre tutti noi – io compresa, anche se non dovrei essere lì – tratteniamo il fiato, aspettando che il genio si pronunci.
Finalmente, dopo un'eternità, Sherlock si gira verso Lestrade e dice, con quella sua voce affilata: "L'hanno costretta a farlo."
Lestrade lo guarda confuso "A fare cosa?"
Sherlock alza un sopracciglio, come se fosse la domanda più stupida del mondo "A suicidarsi, ovviamente. Non sono omicidi, ispettore. Non nel senso convenzionale. Qualcuno le ha manipolate. Le ha portate a credere che non avessero scelta."
Lestrade sbuffa, ma si vede che sta già prendendo appunti mentali "E come lo sai?"
"Semplice. L'aspetto delle scarpe. È la prima cosa che dovresti notare."
Eccoci qui.
Sherlock Holmes inizia la sua spiegazione con il tono di chi si aspetta che tutti intorno a lui siano stupidi.
Io mi trattengo dal ridere.
"Vedi le scarpe della vittima? Sono nuove, quasi impeccabili. Eppure ha camminato qui, in un vicolo sporco, per almeno dieci minuti. Guarda la suola: quasi priva di sporco. Dunque, ha preso un taxi, ma poi è scesa a un isolato da qui e ha camminato volontariamente. Nessuno l'ha trascinata. E ancora, se fosse stata sotto costrizione fisica, ci sarebbero segni di lotta o almeno disordine. Ma non ce n'è"
Lestrade lo guarda, perplesso "Quindi... si è uccisa? Volontariamente?"
"Sì e no. La mente è stata manipolata. Non voleva farlo, ma qualcuno l’ha convinta che doveva."
A questo punto, mi aspetto che Lestrade esploda, o che John lo tiri via per risparmiarci un altro dei monologhi di Sherlock.
Ma invece, Lestrade fa un cenno ad alcuni agenti e si gira, già pronto a seguire questa folle ipotesi.
Sherlock, nel frattempo, continua a camminare avanti e indietro, i suoi occhi che brillano mentre ragiona.
Io cerco di stare lontana, ma, ovviamente, non posso passare inosservata.
I suoi occhi si posano su di me per un istante troppo lungo.
"Tu" dice improvvisamente, puntando un dito verso di me.
Mi blocco "Io?"
"Sì, tu," ripete, impaziente "Fammi un favore. Osserva il corpo della vittima da vicino. Dimmi se noti qualcosa di strano."
Mi si stringe lo stomaco "Io? Non sono… non sono un’esperta, Sherlock."
"Sì, lo so. Proprio per questo. Voglio vedere cosa vede una persona comune" Mi guarda come se fosse ovvio "Vai."
Per un istante, penso di rifiutare.
Dopotutto, sono qui solo perché mia nonna ha un’influenza inspiegabile su tutti.
Ma alla fine mi avvicino.
Il corpo della donna giace su un fianco, la pelle pallida e i capelli arruffati.
Non ci sono segni visibili di violenza.
Le sue mani sono piegate in modo strano, quasi come se stesse cercando di trattenere qualcosa.
Cerco di trattenere il respiro "Le sue mani... sono strette a pugno."
Sherlock annuisce "Bene. Continua."
"Beh, non c’è nulla dentro. Di solito, se qualcuno si suicida o è sotto stress, tiene qualcosa... un rosario, una foto, un biglietto" Mi rendo conto di aver detto qualcosa di vagamente intelligente, e mi sento ridicolmente orgogliosa di me stessa.
Sherlock sorride.
Un sorriso appena accennato, ma c’è "Esattamente. Nessun rosario, nessun biglietto. Niente. Ciò significa che sapeva che non ci sarebbe stato nulla da trovare. Questo non è un suicidio tradizionale, è un messaggio."
"Un messaggio per chi?" chiede John, confuso.
"Per me, naturalmente" Sherlock si alza, come se fosse ovvio.
Io sbuffo "Ah, certo. Perché tutto ruota intorno a te."
Sherlock mi lancia un'occhiata divertita "Non tutto. Solo le parti interessanti."
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L'indagine si trascina per il resto del pomeriggio, ma non riesco a smettere di pensare a quella frase di Sherlock 'Solo le parti interessanti'
E la parte interessante, a quanto pare, è che una donna è morta per mandare un messaggio a lui.
Nonostante il fascino inquietante che Sherlock esercita su tutti – mia nonna inclusa – non posso fare a meno di chiedermi che razza di vita stia conducendo, una in cui la gente muore per attirare la sua attenzione.
Mentre Sherlock e John continuano a raccogliere dettagli, mi siedo su un muretto a qualche metro di distanza, osservando tutto.
Lestrade coordina gli agenti della scientifica, che stanno prendendo campioni e scattando foto, ma c'è una sorta di aura di impotenza che aleggia tra di loro.
Sembra che aspettino tutti, in un modo o nell’altro, che Sherlock tiri fuori l’ennesimo colpo di genio.
"Non è così diverso da un circo" mormoro tra me e me, incrociando le braccia.
"Che intendi?"
La voce di John mi fa sobbalzare.
Non l’avevo visto avvicinarsi, ma eccolo qui, a pochi passi da me, con quell'aria vagamente esausta che sembra sempre portarsi dietro.
Il bastone appoggiato con nonchalance al suo fianco.
"Oh, niente. Solo che… beh, sembra tutto così assurdo" rispondo, facendo un gesto vago verso Sherlock, che in quel momento sta ispezionando le mani della vittima come se stesse leggendo il futuro "Lui è al centro dell'attenzione, e tutti intorno a lui sembrano aspettare che risolva il mistero. È come se fosse uno spettacolo."
John sorride, e per un momento mi sembra di cogliere un lampo di complicità nei suoi occhi "Sì, capisco cosa vuoi dire. Ma funziona, e questo è quello che conta."
Lo guardo, cercando di capire cosa provi davvero riguardo a tutto questo "E tu? Sei abituato a queste… situazioni?" chiedo, facendo attenzione a non sembrare troppo curiosa.
John si stringe nelle spalle, come se fosse una domanda che si è già posto più volte "No, non proprio. O meglio, sto ancora cercando di abituarmi. Non è esattamente la vita che immaginavo dopo l'esercito, ma… c'è qualcosa di affascinante in tutto questo. Sherlock è… complicato."
Complicato.
È un eufemismo, penso tra me e me.
"Ma sembra che tu te la cavi bene con lui" dico, osservando il modo in cui John riesce a mantenere una certa calma, nonostante tutto.
John ride piano, un suono che ha un tocco di amarezza "Non ho scelta. È come stare su un treno in corsa: o impari a tenerti forte, o vieni sbalzato via."
"Affascinante" ripeto sarcasticamente "Quindi, quali sono le tue possibilità di sopravvivenza?"
John mi guarda per un istante, poi sorride "Non molte. Ma sai una cosa? Mi piace la sfida."
Non posso fare a meno di sorridere a mia volta.
C'è qualcosa di genuino in John, qualcosa che lo rende diverso da Sherlock, ma complementare a lui in un modo strano e insospettabile.
Dove Sherlock è freddo e distante, John è umano e caloroso, ma è chiaro che entrambi sono indispensabili l'uno per l'altro.
Nel frattempo, Sherlock si avvicina, interrompendo la nostra conversazione senza dire una parola.
Il suo sguardo è fisso su di me, il che è sempre un po' inquietante.
Non sono sicura di essere pronta per la prossima cosa che dirà, ma ormai ci sono dentro.
"Devi venire con noi" dice, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
"Scusa? Cosa?" rispondo, confusa.
"Vieni con noi. Mi serve qualcuno che veda quello che gli altri non vedono. E, apparentemente, tu lo fai" spiega, con il tono di chi non accetta obiezioni.
Mi guardo intorno, come se potessi trovare un modo per uscire da questa conversazione.
Lestrade è impegnato a parlare con la scientifica, e John... beh, John mi guarda con un’espressione che è una via di mezzo tra "vai avanti" e "mi dispiace per te."
"Sherlock, io non sono... non sono una detective. Non so cosa stai pensando, ma non sono qualificata per..."
"Non importa," mi interrompe lui "Non ti serve essere una detective per vedere le cose come sono. Le persone qualificate qui non stanno risolvendo nulla."
"Ah, grazie mille" ribatte Lestrade alle nostre spalle, visibilmente irritato ma ormai rassegnato alle frecciate di Sherlock.
Prima che possa trovare una scusa per tirarmi fuori da questa situazione assurda, Sherlock è già di nuovo in movimento, con la stessa energia frenetica di prima.
Non so se seguirlo sia una buona idea o il preludio al disastro, ma non ho molto tempo per pensarci.
John si avvicina e mi dà una pacca sulla spalla, quasi con compassione "Fidati, è meglio non opporsi. Più lo fai, più si ostina."
Lo seguo, rassegnata, cercando di ignorare il senso di disagio crescente.
Ci incamminiamo verso il taxi che Sherlock ha chiamato.
Non so cosa aspettarmi, ma ho il sospetto che la mia giornata stia per prendere una piega ancora più strana di quanto immaginassi.
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Nel taxi, Sherlock continua a fare i suoi ragionamenti ad alta voce, ignorando del tutto il conducente e il resto del mondo.
Io, seduta accanto a John, mi limito ad ascoltare, cercando di seguire la sua logica contorta.
"Siamo alla quarta vittima" inizia Sherlock, fissando la strada fuori dal finestrino "Tutte le donne, tutte apparentemente senza legami tra loro. Eppure, c'è un collegamento. Qualcosa che le unisce. Il messaggio è chiaro: chi le uccide non sta cercando di nascondersi. Sta cercando di farmi vedere qualcosa"
"Ma perché te?" chiedo, senza riuscire a trattenermi.
Sherlock si gira verso di me, perplesso "Perché io? Perché sono l'unico che può capire il messaggio, ovviamente. È un gioco. E io sono il giocatore scelto."
John si sporge leggermente verso di me, abbassando la voce "Non preoccuparti, è sempre così. Tutto ruota intorno a lui."
"Sì, avevo notato" rispondo piano, mentre Sherlock si perde di nuovo nei suoi pensieri.
Non so bene cosa aspettarmi quando arriveremo, ma una cosa è certa: non si torna indietro.
Non adesso.
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