1. Tutto tranne ordinario

La routine è il mio nemico.

È una di quelle cose che ti consuma piano, finché un giorno non ti accorgi che niente funziona più come dovrebbe.

Ogni giorno la stessa cosa: sveglia, lavoro in libreria, studio per l'accademia di polizia, ritorno a casa.

Ogni.

Maledetto.

Giorno.

Abito al 221A di Baker Street, proprio sopra il seminterrato di mia nonna, la signora Hudson.

Sì, quella signora Hudson.

Chiunque la incontri la adora: sempre gentile, sorridente, con quella dolcezza quasi fastidiosa che ti fa venire voglia di arrenderti e abbracciarla.

Io, ovviamente, non ci casco più.

Cresciuta sotto la sua ala, so bene che mia nonna è tutt'altro che innocente.

È astuta, come una volpe nascosta sotto un cappello di lana lavorato ai ferri.

Ad ogni modo, è stato grazie a lei che non ho ancora perso la testa in questa monotonia.

Almeno una volta al giorno riesce a farmi ridere, anche solo per il modo in cui commenta le assurdità del vicinato o i suoi tentativi di essere alla moda nonostante i capelli bianchi e i cardigan inguardabili.

Oggi, però, qualcosa di diverso aleggia nell'aria.

Lo percepisco quando metto piede fuori dal portone di casa, pronto per andare al lavoro.

Un furgoncino parcheggiato davanti al portone cattura la mia attenzione.

"Cosa diavolo sta succedendo?"

Rimango sulla soglia, lanciando uno sguardo sospettoso verso il mezzo.

Un uomo alto, magro come un chiodo e con un lungo cappotto scuro è chino sul retro del furgone, intento a raccogliere una valigia piuttosto malconcia.

È tutto pelle e ossa, con un viso affilato, guance scavate e occhi scuri che sembrano perforare tutto ciò che guardano.

Ci siamo, penso, il nuovo inquilino di cui mia nonna ha parlato tanto.

Sherlock Holmes, il detective privato.

Misterioso, bizzarro, potenzialmente sociopatico.

Perfetto, proprio quello che ci mancava.

Mi fermo a osservarlo per un istante, incerta se farmi avanti o se approfittare del fatto che lui non si è ancora accorto della mia presenza.

Sherlock tira su con decisione un paio di scatole piene di non so cosa e si gira verso la porta con un movimento rapido, preciso, come un gatto che ha appena intravisto una preda.

I nostri sguardi si incrociano per un breve istante.

Un momento troppo breve per essere considerato un vero contatto visivo, ma abbastanza lungo da farmi venire il dubbio che lui abbia già letto tutta la mia biografia solo osservandomi.

Non che sia una biografia particolarmente avvincente.

Stringo le labbra, sperando di evitare una conversazione imbarazzante.

Mi giro e mi avvio verso il portone della libreria, cercando di scomparire nell'anonimato della città.

"T/n!" La voce di mia nonna mi raggiunge dall'ingresso del 221A, facendomi bloccare.

Dovrei saperlo che non c'è modo di sfuggire alla signora Hudson.

Mi volto e vedo che Sherlock mi osserva ancora, appoggiato con noncuranza alla sua valigia, come se fosse tutto il tempo del mondo.

Non riesco a capire se è curioso, indifferente o semplicemente troppo pigro per scaricare le sue cose.

Nonna si avvicina a lui con un grande sorriso sul volto, quello che riserva ai nuovi ospiti.

Quello che significa: 'Benvenuto nella mia vita, adesso non ne uscirai più'

"Sherlock, caro, ti presento mia nipote, T/n. Vive qui sopra e lavora in una libreria, sai? Ma studia per diventare poliziotta. Brillante, vero?"

Lo dice con quella sua voce zuccherosa, e io respiro a fondo, trattenendo il desiderio di scomparire.

Sherlock inclina la testa, fissandomi di nuovo.

Non dice nulla, ma so che in quel momento mi sta giudicando, catalogando e probabilmente ricavando delle conclusioni che non voglio nemmeno conoscere.

E, come se non bastasse, mia nonna mi ha appena fatto suonare come la brava ragazza di quartiere, quella che cerca di migliorarsi.

Più noiosa di così, muoio.

"Poliziotta, eh?" Sherlock mormora con un tono vagamente interessato, ma è chiaro che non lo è davvero.

Sta dicendo quelle parole perché è quello che ci si aspetta, nient'altro.

Fa una pausa, mi osserva per un secondo che sembra durare un’eternità, poi si gira e riprende a scaricare le sue cose senza una parola di più.

Fantastico.

"Andiamo, Sherlock, ti aiuto con le scatole!" dice mia nonna, troppo entusiasta per accorgersi dell’imbarazzo che mi soffoca.

La guardo mentre sparisce con Sherlock al piano di sopra, lasciandomi lì da sola, a domandarmi cosa abbia appena vissuto.

Respiro a fondo e mi dirigo verso il mio lavoro.

Devo staccare la mente da tutto questo.

Ma mentre cammino, non riesco a togliermi dalla testa quella sensazione di essere stata analizzata come un insetto in laboratorio.

---

La libreria è deserta come sempre.

L’odore di carta stantia e vecchio legno impregna l'aria, e mi avvolge come una coperta grigia di mediocrità.

Ho sviluppato una specie di resistenza mentale a tutto questo.

Dopo settimane, mesi, in questo posto, arrivo a fine giornata con una sorta di indifferenza anestetizzata.

Sistemo qualche libro qua e là, fingendo di fare qualcosa di produttivo, mentre in realtà cerco solo di non addormentarmi in piedi.

Il pomeriggio passa lento come il traffico all'ora di punta.

Nessun cliente interessante, nessuna conversazione degna di nota.

E mentre la monotonia della giornata mi soffoca, la mente torna inevitabilmente a Sherlock Holmes.

Non posso farci nulla.

È come se il suo arrivo avesse spostato qualcosa nel mio equilibrio, come se avesse piantato un seme di curiosità che non riesco a ignorare.

Chi è quest'uomo?

Cosa lo spinge a comportarsi in quel modo?

E perché diavolo mia nonna sembra tanto entusiasta di lui?

Lo immagino in piedi, nel suo nuovo appartamento, circondato da libri, cartelle e chissà cos’altro.

Probabilmente sta già pianificando la sua prossima indagine, con lo sguardo fisso su qualche mappa del crimine o sulla fotografia di un cadavere.

Forse sta studiando i miei movimenti, per quanto ne so.

Non riesco a scrollarmi di dosso quella sensazione di essere stata scrutata in modo troppo profondo, troppo veloce.

E poi, arriva quel momento.

Quello che cambia tutto.

Sono a metà del mio turno, quando decido di prendere una pausa.

Mi affaccio alla finestra della libreria per prendere una boccata d'aria e, per pura casualità, vedo Sherlock che esce dal portone di casa.

È seguito da un uomo che non ho mai visto prima.

Capelli castani, un aspetto un po' trasandato, e un'aria di stanchezza infinita.

Cammina con un bastone, ma ha l'andatura di qualcuno che è abituato a soffrire senza lamentarsi. Sherlock gli dice qualcosa, e l'uomo scuote la testa con un mezzo sorriso, come se fosse rassegnato.

Chi è quel tipo?

Un altro pazzo che mia nonna ha deciso di ospitare?

Un suo collega?

E, come se la mia mente avesse evocato la risposta, sento un sussurro alla porta della libreria.

Sherlock è lì, che mi guarda con la stessa intensità di stamattina.

L'uomo con il bastone è accanto a lui, e ha l'aria di chi è stato costretto a fare qualcosa controvoglia.

"T/n, vero?" Sherlock mi fissa, e io deglutisco a vuoto.

Come se potesse davvero sapere tutto di me.

"Già..." rispondo, cercando di non sembrare troppo sorpresa "E tu devi essere... il nuovo coinquilino."

"Esatto. Questo è John Watson. Medico. Ex militare. Ha prestato servizio in Afghanistan, colpito alla spalla, soffre di un trauma psicologico non risolto e attualmente è disoccupato"

John lo guarda, incredulo "Ma quanto ti piace recitare la mia biografia davanti agli sconosciuti?"

Sherlock lo ignora completamente, continuando imperterrito "...sta cercando di reintegrarsi nella società, ma soffre di una certa nostalgia per l’azione e la violenza. Probabilmente troverà la vita civile insoddisfacente a lungo termine. Ma si convincerà che vivere con me potrebbe essere l’avventura che cerca."

John lo fissa con uno sguardo tra l'esausto e il rassegnato, come se non fosse nemmeno la prima volta che Sherlock spara una diagnosi del genere davanti a un perfetto sconosciuto.

Le sue sopracciglia si alzano di qualche millimetro mentre guarda Sherlock con una stanchezza che solo chi ha fatto la guerra può capire.

Io non ci sono passata, ma ho letto abbastanza libri per riconoscerla.

"Sai, Sherlock" dice John "puoi semplicemente dire piacere di conoscerti. Funziona piuttosto bene con le persone."

"Sì, ma è molto meno interessante" replica Sherlock senza battere ciglio, con quella freddezza distaccata che sembra essere parte di lui come il suo cappotto.

Io rimango immobile, incerta se intervenire o fingere di non esistere.

Di solito non mi lascio coinvolgere in drammi altrui, ma c’è qualcosa di magnetico in questa scena.

Sherlock è come un buco nero di stranezza, e John… John sembra solo cercare di tenere il passo senza farsi risucchiare.

Nonostante tutto, sembra quasi divertente.

Alla fine decido di prendere l'iniziativa "Piacere di conoscerti, John" dico, guardandolo e ignorando del tutto Sherlock "Ti troverai benissimo qui. A parte il fatto che il caffè di mia nonna è abbastanza pessimo e probabilmente ti trascineranno nei loro pettegolezzi, è un quartiere tranquillo"

John mi lancia uno sguardo riconoscente, chiaramente felice di avere una conversazione che non riguardi la sua vita personale "Grazie, T/n. Piacere mio. Spero davvero che Sherlock non mi faccia pentire di essermi trasferito"

"Sarà esattamente il contrario" taglia corto Sherlock, guardandomi come se fossi l’unica persona che non ha ancora capito quanto lui sia indispensabile nella vita di chiunque lo circondi.

John scuote la testa e io non posso fare a meno di sorridere.

Sherlock è una di quelle persone che parlano come se stessero scrivendo il proprio elogio funebre in anticipo: arrogante, ma in un modo così fuori misura che non puoi fare a meno di guardarlo, proprio come una scena di un incidente da cui non riesci a distogliere lo sguardo.

"Beh," dico, cercando di chiudere la conversazione prima che degeneri ulteriormente "se avete bisogno di qualcosa, sapete dove trovarmi. Sono sempre in libreria… o, insomma, sopra al vostro appartamento"

"Ah, certo. Non ti preoccupare, non avremo bisogno di nulla" ribatte Sherlock, con quell’aria di autosufficienza assoluta.

John alza di nuovo le sopracciglia e mi fa un cenno di saluto con il capo "Sì, certo. Grazie lo stesso, T/n. Magari passerò per un libro qualche volta"

Annuisco, con un sorriso sincero stavolta "Sarai il benvenuto. Ho anche delle buone raccomandazioni per chi è stanco di leggere manuali di medicina."

"Interessante. Magari mi farà bene cambiare letture" John sembra davvero apprezzare il mio tentativo di normalità, e non posso biasimarlo.

Stare vicino a Sherlock sembra un esercizio continuo di gestione del caos.

Mentre i due si allontanano, non posso fare a meno di osservarli.

Sherlock cammina velocemente, quasi saltellando, come se fosse perennemente in anticipo rispetto al mondo intero, mentre John lo segue con il suo bastone, mantenendo un passo più misurato ma sicuro.

È una coppia strana, ma forse è proprio questo che rende il loro legame interessante.

Torno dentro la libreria, ma la mia mente è ancora in fermento.

Non posso fare a meno di pensare che, con Sherlock Holmes appena sopra di me, le cose stanno per diventare molto meno monotone.

E non so se sia un bene o un male.

---

Tornata a casa, trovo mia nonna che sta servendo del tè in cucina.

La osservo da dietro la porta, mentre sorseggia dalla sua tazza con quel suo solito fare tranquillo.

"Allora?" chiede, con un sorriso furbo, come se sapesse già cosa mi passa per la testa.

"Allora cosa?" rispondo, fingendo di essere indifferente, ma è inutile con lei.

"Il tuo nuovo vicino. Sherlock. Ti ha già incuriosito, vero?"

Mi siedo al tavolo, evitando il suo sguardo "È... un tipo strano."

Mia nonna ride sottovoce "Lo so. Ma in fondo è un bravo ragazzo. Un po’ eccentrico, certo, ma ha un cuore"

Alzo un sopracciglio "Lo conosci da quanto, un giorno? E già gli stai scrivendo una lettera di referenze?"

Lei mi guarda come solo una nonna sa fare, con un misto di affetto e rimprovero "Non tutti si presentano come sono, cara. Alcuni hanno solo bisogno di tempo per mostrarsi davvero."

Rimango in silenzio, riflettendo su quelle parole.

Forse ha ragione, ma c'è qualcosa di più in Sherlock che non riesco a definire.

Una tensione costante sotto la sua pelle, come se stesse sempre correndo verso qualcosa, o forse scappando da qualcos’altro.

"Non lo so, nonna. Non ho ancora capito se mi piace o se mi irrita"

"Ti piacerà, vedrai. E anche John. Si capisce subito che ha un buon cuore. Ci farai amicizia"

Guardo mia nonna e sorrido.

Lei sembra sempre sapere tutto prima ancora che accada.

Forse è una qualità che si sviluppa con l’età o forse, semplicemente, Sherlock non è l’unico a possedere un'intuizione spaventosa.

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