𝐗𝐗𝐕𝐈
❗Potete andare sulla playlist Spotify dedicata alla storia (link in bio) per ascoltare la canzone dedicata al capitolo - la canzone è "Until we go Down" di Ruelle❗
And I feel it running through my veins
And I need that fire just to know that I'm awake
Erase darkness 'til the break of day
And I need that fire just to know that I'm awake
Until we go down
Draco non è ancora convinto della richiesta della moglie. È molto preoccupato per lei e pensa che la sua idea sia davvero pericolosa per la sua salute fisica e mentale.
La supporta ugualmente, non si è permesso di dirle altro. Anzi, è rimasto in silenzio dopo la sua richiesta.
Le ha solo domandato quando volesse andare e al suo "domani" è rimasto spiazzato. Così presto, non pensa sia una buona idea.
Vuole comunque seguirla in quel percorso difficile e spera che tutto possa andare per il meglio.
Deve fidarsi come ha sempre fatto, ma non riesce a digerire il pensiero di lei in quel posto. Forse ad avere più paura è proprio Draco stesso, per se stesso.
Tutta la giornata la passano senza parlarsi molto, entrambi assorti dai loro pensieri e lui in particolar modo a cercare ancora il figlio.
Solo la sera, quando è ora di cena, si scambiano qualche parola.
Esme posa una mano sopra la sua e prende un grosso respiro: «Ce la faremo... insieme riusciamo a fare tutto».
Ma Draco si limita ad annuire e mostrarle un sorriso.
L'unica cosa che fa è leggerle un libro per farla addormentare per poterle garantire un sonno rigenerante. Necessita abbastanza energie per il giorno dopo.
La fa posare sul proprio petto, le bacia la fronte e mentre è adagiata sotto le coperte con gli occhi chiusi lui mormora le parole di quelle pagine.
Le accarezza i capelli, la osserva di tanto in tanto, e attende che lei sprofondi tra le braccia di Morfeo.
Lui, invece, non ci riesce. Non dorme nemmeno per un solo secondo, bensì guarda il soffitto.
Arriva il momento di andare ad Azkaban e si preparano con cura: lui con un completo scuro, blu notte per la precisione, mentre lei si fa avvolgere da un dolcevita nero e un jeans, accompagnati da un cappotto grigio.
«Andiamo» sorride lui, poi si fa sfuggire un sospiro preoccupato.
Esme gli afferra la mano e lascia che sia lui a condurla, materializzandosi all'ingresso della prigione.
Lui aveva preso appuntamento il giorno prima e Howard non ha battuto ciglio, anche se è rimasto stranito dalla richiesta.
La mano della donna stringe più forte quella del marito e guarda la grande porta scura davanti a sé con terrore.
Deglutisce, poi ai suoi occhi si proietta uno dei lunghi corridoi di quel terribile posto. Rabbrividiscono.
Draco sposta le palpebre verso lei, nota il suo corpo rigido e le dita tremare sotto le sue che le afferrano.
«Sei pronta?» le domanda, ma lei non parla, né annuisce, fa solo un passo in avanti.
Sanno dove andare, purtroppo sanno bene la destinazione di quel posto.
Mentre camminano sono entrambi molto scossi, ma mentre Draco è più in subbuglio, Esme è paralizzata. La sua mente sembra offuscata e sente una morsa stringerle lo stomaco.
Camminano, per quell'umido e gelido corridoio, grigio e buio, fetido, dove il silenzio profondo regna e il loro respiro appare rumoroso. È un luogo orribile, pieno di ricordi dolorosi e consapevolezze amare.
Draco inizia a pensare che sia stata una pessima idea ad ogni passo avanti che fanno.
Un altro, uno ancora, sempre più avanti, poi svoltano e si trovano davanti un'altra grande porta in metallo.
Una guardia li fa passare e li accompagna tenendo le mani dietro la schiena.
Presta molta attenzione alle loro figure, eppure è stranito da quella presenza.
Esme si sente turbata dalla presenza di quell'uomo, nonostante non lo conosca e non stia facendo nulla, anzi appare innocuo.
Ma per lei quella divisa significa ben altro che giustizia e protezione.
«Adesso questa stanza è vuota» spiega lui, riferendosi al posto dove l'hanno torturata per un anno intero.
Dopo quello che è successo ad Esme non hanno voluto nemmeno riaprire quelle quattro mura.
La porta si apre, la guardia fa dei passi indietro e con un cenno del capo si congeda per lasciarli soli.
Draco sente improvvisamente un conato di vomito e si stacca da Esme per portare una mano contro la bocca e l'altra sulla pancia.
I ricordi che aveva rubato anni dietro si sono ripresentati come un fulmine e davanti a sé sembra di aver proiettate le scene delle sevizie subite dalla moglie.
Lei corruga la fronte scossa, rimane ancora immobile e osserva ogni centimetro di quel posto.
La muffa, le goccioline umide contro la parete, il pavimento liscio color tortora, la luce proveniente da una lampadina appesa in alto, spoglia come la stessa stanza.
Non riesce nemmeno a ricordare, sente solo un vuoto interiore pazzesco.
Draco, invece, riesce addirittura a sentire le urla delle moglie e il suo pianto strappato dalla gola.
Lei fa un passo in avanti ancora, si avvicina al centro della stanza e si guarda attorno stordita.
Adesso inizia a ricordare ogni cosa, ogni momento, come se piano piano la sua mente si liberasse dal torpore dovuto al trauma.
Dopo gli incubi e la sofferenza è arrivata la perdita di memoria quasi forzata dal suo stesso corpo.
Una perdita di memoria accompagnata da ansia, paranoia, pensieri intrusivi, stanchezza fisica, indebolimento della magia, parziale perdita della vista.
«Esci da questa stanza, per favore» parla piano, rivolgendo lo sguardo ad un Draco poggiato con la schiena contro la parete e un volto più pallido del normale.
Lui inizialmente scuote la testa, poi nota il suo sguardo serio.
«Ho bisogno di stare da sola qui e...» prende un grosso respiro «Chiudi la porta, a chiave.»
Non si permette a dirle nulla, nonostante sia contrariato, ma è anche troppo preso dai suoi stessi pensieri che forse è meglio allontanarsi.
«Rimarrò qui fuori ad aspettarti. Se hai bisogno di me basta che sussurri il mio nome.»
«O sfregherò la mia collana» gli sorride e lui ricambia.
Draco posa due dita contro le proprie labbra, ci lascia un bacio e lentamente le porta al cuore. Esme gli sorride ancora.
Poi è improvvisamente di nuovo sola in quel posto, di nuovo.
Adesso si sente sprofondare nell'abisso del suo malessere, tutto riemerge come l'alta marea e le spalle sentono il peso del dolore fino in fondo non è mai andato via.
Quella stanza non è più vuota ai suoi occhi, ma è come se vedesse proiettati davanti a sé quegli uomini orrendi che l'hanno maltrattata.
E poi compare anche un'Esme più giovane che cerca di resistere, che piange e urla disperata, così forte da squarciare le dure pareti.
Si copre le orecchie con le mani e si stringe nelle sue stesse spalle.
Sente ancora le grida incessanti, il piano soffocato da un respiro corto e affannoso.
Vede il sangue colare sulle cosce di quella donna, le mani di quel bruto toccarla e avvicinarla a sé senza il suo consenso.
Esme sente il cuore battere a mille.
Vede se stessa, come una proiezione.
Sente ancora urlare, piangere, vede i tagli, vede il suo corpo nudo e umido, pieno di sudore e sporcizia.
Inizia ad indietreggiare con il fiato agitato, fino a toccare la parete con le spalle.
Sussulta come se qualcuno l'avesse raggiunta e spalanca gli occhi ora velati dalle lacrime. Ma quelle goccioline non riescono a colare per lo sgomento.
Si lascia cadere contro il muro fino a cedere con le ginocchia sul pavimento.
Stringe i propri capelli con forza e crolla in un pianto forte e faticoso. Sembra che la sua anima stia implorando di uscire da quel corpo usurpato per liberarsi dal dolore.
Non riesce a farcela.
Ama Draco e Scorpius, loro sono la sua ragione di vita, ma non è abbastanza per farle dimenticare ogni cosa.
I traumi sono lì che ti guardano, che ti graffiano fino a scorticarti la pelle e non c'è niente che può guarire quelle ferite.
Le puoi solo far diventare cicatrici e un giorno guardarle senza sentir più dolore, ma non è questo il giorno.
Il cuore inizia a batterle sempre più veloce, inizia a pensare che stia uscendo dal petto.
Si contorce sul pavimento come se avesse degli spasmi e urla lacrime amare.
«Perché a me» ripete più volte.
«Perché doveva capitare a me» piange ancora.
Continua così per minuti interi, ma che a lei sembrano infinti, e i ricordi continuano a passare nella sua mente come un flusso senza interruzione.
Poi crolla.
Non si può dire se sia svenuta, addormentata, quasi morta.
Ed era lì che voleva arrivare.
«Hai usato così tanta energia che ci hai disturbate» parla con voce stanca una delle sue Antenate.
Eccole lì alcune di loro, di nuovo, dopo tanti anni.
«Sembra che tu non abbia capito nulla su di te, Esme» parla un'altra, con aria di rimprovero.
La donna si alza dal pavimento e vede quelle figure traslucide davanti a sé. La stanza sembra sparita, è circondata dal buio più totale e le uniche cose che riesce a vedere sono proprio loro.
Tossisce e si sistema i capelli, cercando di raccogliere le porche energie rimaste.
«E hai provato a chiamarci in tutti i modi, ma ormai sei troppo debole.»
Esme annuisce e prende un grosso respiro: «A quanto pare ancora un po' di forza mi è rimasta».
Le tre donne presenti roteano gli occhi al cielo, sembrano disperate.
«Vuoi capirlo che non puoi comportarti così? Hai superato i tuoi limiti» afferma severa la terza «Sei diventata la carcassa di te stessa.»
La bruna guarda la figura con volto corrucciato e si sente risentita da quelle crude parole.
«Cosa?» domanda con sarcasmo «Sono diventata così non per mio volere.»
«Esserti sacrificata in galera ti ha indebolito e tu stessa hai continuato poi ad usare la magia, vivere l tua vita e per giunta sei tornata in Inghilterra sapendo quanto dolore potesse farti» afferma una delle presenti.
«Io posso sopportare il dolore.»
«Tu non puoi sopportare quello a cui non sei destinata. Perché non accetti che sei nata solo per una ragione? Non hai altri scopi, non ne hai mai avuti.»
«Il fatto che sei ancora in piedi, per causa fortuita per giunta, non ti permette di fare quello che preferisci. Tu non sei nata per fare altro se non soddisfare i suoi doveri. Lo sapevi, lo hai sempre saputo» conclude un'altra.
«La mia vita è cambiata da quando ho conosciuto Draco, lo sapete.»
«Stai prendendo in giro quell'uomo da anni, lo sai. Ti sta cercando di tenere viva con quegli unguenti e quegli intrugli, ma non vuoi ammettere che ti manca poco.»
A quelle parole Esme deglutisce e stringe i pugni, sentendosi ferita da quella che sembra essere una cruda verità.
«Non ti resta molto da vivere soprattutto da quando ti sei dedicata alla ricerca di tuo figlio. Ti rendi conto quanto pesa sul tuo corpo una missione del genere?»
«Lui è mio figlio» soffia con rabbia «Io morirei per lui se fosse necessario.»
«Morirai prima di farlo sentire davvero tuo figlio.»
Quest'ultima frase ha preso il cuore di Esme e lo ha completamente strappato in mille pezzi.
Schiude la bocca per lo sgomento e osserva i loro volti austeri e crudeli.
Ormai sono anni che non si comportano più come antenate comprensive e sagge.
«Non sei nata per essere né una moglie, né una madre. Sei nata per la profezia, non per altro. Sei viva e hai continuato la tua vita solo perché non ti era capitato nulla, solo perché il tuo corpo è intatto. Ma questo corpo non è stato creato per resistere a qualcos'altro.»
«State dicendo solo sciocchezze» risponde con fermezza «Se sono qui è perché posso farcela.»
«Ancora per poco.»
«Io sono nata per essere me.»
Le tre scoppiano in una malvagia e sarcastica risata.
«Cara, lo sai anche tu che non è così.»
La rabbia inizia ad accrescere dentro di lei e si sente umiliata da quelle che dovrebbero essere delle guide.
«Non puoi permetterti di vivere. Puoi solo sopravvivere» sogghigna una delle tre.
«Perché ho iniziato a sentirmi così stanca?» domandò Esme con preoccupazione.
Aveva chiamato le Antenate giusto qualche mese dopo essere tornata al Manor, accorgendosi che qualcosa dentro di lei non andasse.
«Hai combattuto troppe battaglie che non sono tue. Hai resistito a tempeste che non appartenevano al tuo destino» le rispose con un sospiro una delle donne.
«Non capisco... cosa vuol dire?»
«Il tuo corpo è nato solo per la profezia. Nel momento in cui lo hai usato per molto altro si è indebolito... e si appassirà.»
Aveva compreso subito cosa intendeva: stava morendo lentamente perché il suo corpo non era forgiato per sopportale tali dolori.
Il suo corpo era un'arma da guerra.
«Solo perché tuo marito ti ha sempre detto che sei più di una semplice "spada", non è così. Tu sei sempre stata quello, tu sei nata per salvare il mondo magico e basta. Morgana e Merlino parlavano chiaro.»
Lei scuote la testa ed è incredula.
Non intende accettare che sia davvero solo un destino scritto, qualcuno da sacrificare come se fosse in vendita al mondo.
Si sente usurpata, come se le avessero strappato la sua stessa essenza.
«Voi non volete accettare che posso essere ben altro.»
«Davvero? E cosa sei oltre quello? Cosa hai fatto per esserne così certa?»
«Sono sopravvissuta ad Azkaban.»
«Se tuo marito non fosse venuto in tempo non saresti riuscita a sopravvivere.»
«Aver bisogno di qualcuno non è sinonimo di debolezza. E comunque molte persone avrebbero resistito molto meno.»
«Sei solo temprata.»
Scuote ancora una volta la testa incredula, quelle parole sono puro acido per lei.
Scoppiò in un pianto forte, singhiozzando con l'aria bloccata in gola, e aveva le mani a coprirle il viso.
Aveva da poco sentito le dolorose parole delle Antenate e non era riuscita a trattenere le lacrime.Era in ginocchio vicino alla grande finestra e Draco si era subito avvicinato per confortarla. E anche per confortare se stesso, a dire il vero.
«Non hanno sempre ragione.»
«E invece sì! Lo sai! Loro sono superiori ad ogni entità!» urlò frustrata.
Lui le accarezzò la schiena e iniziò a riflettere, nascondendo la sua preoccupazione. Non poteva mostrarsi agitato, doveva darle forza.
«Non morirai, vedrai tuo figlio crescere e invecchieremo insieme.»
«Chi te lo assicura, Draco? Non prendiamoci in giro.»
«Io» rispose fermamente «Lo assicuro io.»
Lui le sorrise e baciò la sua fronte.
«Non sei mai stata solo un'arma, Esme.
Dobbiamo solo capire cosa fare.»
Esme non era convinta ma lui sembrava più determinato che mai.
«Ho rischiato tante volte di perderti, questa volta non te lo permetterò. Anzi, non lo permetteremo a nessuno! Farò di tutto, te lo prometto.»
«E tu le promesse le mantieni sempre...» accennò un sorriso e scaccio via con il dorso della mano una lacrima dalla propria guancia.
Esme smorza una risata provocatoria e porta le mani sui propri fianchi.
«Voi siete delle ipocrite. Mi avete detto che ero la strega più forte esistita, che i miei poteri di Merlino rendevano le origini di Morgana ineguagliabili. Per tutta la vita avete ripetuto quanto io fossi superiore, come le tenebre potessero solo inchinarsi a me.»
«Non se ti distruggi, non se laceri il tuo corpo per ideali che non ti appartengono!» esclamò rabbiosa un'Antenata.
«Non mi appartengono? Draco è il mio compagno, Scorpius mio figlio. E io non sono nata per voi. Io non ho chiesto di nascere, sono venuta al mondo e come ho i miei doveri ho anche la mia stessa essenza.»
«Come osi parlarci così?»
«Ti sei convinta da sola di poter essere qualcuno, ma non sei nulla. Non sei niente se non una nostra creazione.»
Il dolore iniziò a diventare risentimento, lentamente rabbia.
La sua mente adesso aveva sostituito i momenti delle sue torture con tutto ciò che l'ha resa Esme.
Il profumo di cannella, il sapore del cioccolato, il verde degli smeraldi, i libri sgualciti, le lettere d'amore, le risate rumorose, i pianti sommessi, la carità, la dolcezza, la determinazione, la rabbia, la frustrazione, la pena, l'agonia.
«Io non sono qualcosa, io sono qualcuno.»
Si avvicina si nuovo alle Antenate, lo sguardo è diventato fuoco, quelle iridi scure sembrano sommerse dalla fiamme.
Poi pensa a ciò che ha riempito il suo cuore.
Le mani di Draco che passano attraversano le sue ciocche scure, i suoi baci sulla pelle calda, la voce che le legge un libro o lo sguardo chiaro come una splendida mattina di primavera.
Il profumo del caffè amaro ancora fumante, il colletto della camicia che sa di bergamotto, i gemelli preziosi, gli anelli d'argento, le tisane così calde da riscaldarti il petto.
«Qualcuno di debole, di insignificante.»
«Che non è capace di trovare il proprio figlio da sola... guarda come ti sei ridotta» la squadra da capo a piedi una delle tre, con disprezzo.
Quelle parole non la feriscono, ma la fanno andare su tutte le furie.
Ricorda ancora tutti i mugoli del figlio quando era ancora un neonato, il suo paffuto viso pallido, i suoi occhi così lucenti da far brillare la notte.
I suoi capelli biondi come fili d'oro, la sua voce ora calda e gentile, la sua forza d'animo, il suo incredibile talento.
Ricorda i loro giorni a mare, a cercare qualche conchiglia e posare i piedi nella fresca acqua. E le torte al cioccolato, le favole sotto le coperte, la loro canzone indimenticabile.
«Accetta la tua posizione.»
Quella piccola frase risveglia la temerarietà intorpidita di Esme.
Quel lato sfrontato e risoluto che si stava appassendo con il suo dolore adesso sembra star scalciando per uscire fuori.
Le sue emozioni represse vogliono esplodere da quel corpo che le ha ingabbiata.
«Come vi permettete? Come osate voi parlare a me in questa maniera?»
«E tu chi saresti se non ciò che ci serviva?»
«Io sono la vostra Signora» la sua voce è lenta, c'è fermezza, e punta un dito contro il proprio petto indicandosi.
Assottiglia gli occhi e si avvicina fino ad essere qualche centimetro distante da loro.
«Io sono la Signora di tutti voi, e siete voi servite a me.»
«Non sai nemmeno quello che dici.»
«Io ho più potere di voi.»
Non l'aveva mi vista sotto questo punto di vista.
Improvvisamente sembra aver avuto una vera e propria illuminazione ed è consapevole di qualcosa a cui non aveva mai posto attenzione.
Non è lei uno strumento, bensì lo sono loro.
Lo sono sempre state.
«Voi siete vive nei miei ricordi e siete state tramandate da una donna all'altra solo per me. Voi non siete altro che le mie servitrici.»
Rimangono in silenzio.
Non si può dire con l'esattezza se sono stupite, oppure si sentono smascherate.
«E mi volevate viva per poter vivere a lungo anche voi.»
«Menzogne.»
«Io sono la vostra Signora, lo sono sempre stata» quasi è incredula dalle sue stesse parole.
Esme si allontana di qualche passo e le guarda ancora scossa.
Lei non è qualcosa, non lo è mai stato.
Aggrotta la fronte e rimane in silenzio per qualche attimo, cercando di riordinare quelle nuove consapevolezze.
«Voi mi state solo fermando» parla in fretta «Non volete che io superi i miei limiti.»
«Non si possono superare.»
«Davvero?» la risatina sarcastica diventa una vera e propria risata grossa e rumorosa, quasi maligna.
«Siete sempre state voi il mio limite.»
«La perdita di tuo figlio ti ha fatto perdere la testa.»
«Non ho perso mio figlio finché non lo decido io.»
La voce della bruna è cupa e bassa.
I suoi occhi si colorano totalmente di nero, la sclera è pece, e il corpo inizia a riempirsi lentamente di striature.
Le guarda con superiorità e nella sua mente c'è solo un obiettivo adesso.
È stanca di essere intrappolata nel suo stesso dolore.
È stanca di essere debole.
Era una donna potente, ma sente che non lo era abbastanza. Adesso vuole esserlo.
Stende le mani davanti a sé e guarda dritto negli occhi l'Antenata più vicina.
«Che vuoi fare, Esme? Ti distruggerai!» urla una sua compagna.
«Non se vi distruggo prima io.
Lancia un profondo urlo per lo sforzo e compie la più grande magia che avesse mai fatto.
Una magia che viene direttamente dal suo animo, che fonde il suo lato oscuro e luminoso, che racchiude il suo spirito maligno e segna una forza mai vista prima.
Le figure delle Antenate iniziano piano piano a sbiadire.
Loro si guardano le mani e le braccia con sgomento e la incitano più volte di fermarsi.
«SEI UNA SCIOCCA, ESME! FERMATI!»
Non lo fa, continua impiegando una maggiore energia.
Una vento forte e graffiante forma un tornado che avvolge tutte e quattro.
Le tre anziane sembrano essere travolte da quella nube grigiastra ed essere risucchiate come se fossero polvere.
E compaiono anche tutte le altre, come se fossero state richiamate da quel caos magico.
Esme supera ogni limite immaginabile.
Stringe gli occhi, la schiena si curva leggermente e continua a resistere mentre il vento le soffia forte contro.
Ma i suoi piedi la reggono ancora in piedi, saldati sul pavimento.
«Stai distruggendo tutto ciò che sei! Tutto ciò che siamo!» sente la voce di Morgana questa volta.
Non ascolta nemmeno lei.
Sente le voci delle sue Antenate ovattarle le orecchie ma non ha tempo per loro, sembra come se le loro parole sfuggissero alle sue orecchie.
Il corpo trema per tutta l'energia che sta usando e quelle striature nere diventano ancora più fitte.
«Io sono la vostra Signora e Lucifero in persona dovrebbe inchinarsi a me» la sua voce appare in un eco tetro e rimbombante, con un tono spettrale e una potenza da far tremare quel vortice che la sta risucchiando.
Prende il possesso anche del vento, ora anche lui si inchina al suo cospetto.
Quelle macchine da nere iniziano a diventare dorate, come se la sua pelle fosse cosparsa di crepe pronte a farla esplodere.
Urla ancora una volta, sente il corpo bruciare come se fosse finito nelle fiamme dell'inferno. Ma l'inferno è solo l'ennesimo servo della sua Signora.
Un bagliore bianco le squarcia la vista e le pupille percepiscono solo luce.
Il calore l'avvampa, la visione luminosa l'accieca.
Le orecchie fischiano, le ossa sembrano frantumarsi come rami secchi caduti sul suolo.
Il buio è diventato luce.
Il dolore è diventato cura.
Le ferite sono diventate cicatrici, segni che non fanno più male.
Riapre gli occhi, tutto è lì come prima.
Osserva quella cella vuota, la porta è ancora chiusa e il tempo sembra essersi fermato.
Si sente frastornata, inizia lucidamente a comprendere cosa sia appena accaduto e percepisce il cuore trottare sotto la cassa toracica, può addirittura sentirlo.
Porta una mano sul petto, prende un grosso respiro e scrolla le spalle.
Guarda per bene quel luogo, ora le fa schifo.
Quell'odore è ripugnante e quei ricordi le fanno solo comprendere quanto povero sia l'animo di certe persone.
Storce il naso e la bocca si contorce in un ghigno.
Non è più momento di aver paura, di aver pensieri che le fanno sprecare tempo.
Non c'è male che riesce a resistere alla luce, nemmeno quello interiore.
Prima o poi verrà affogato dal lato migliore del proprio animo.
Prima o poi si superano i propri limiti e si diventa infiniti.
Esme esce dalla stanza e trova Draco lì davanti ad aspettarla.
La guarda apprensivo, spalanca gli occhi e si avvicina di un passo verso lei.
«Portami a casa, ho bisogno della mia spada» dice con fermezza, non lo lascia nemmeno parlare.
L'uomo rimane un attimo immobile, processa le sue parole e osserva ogni suo muscolo facciale, ogni singola espressione e movimento del corpo: pugni stretti, forte corrugata, sguardo penetrante.
«È lei ad avere bisogno di te.»
La bruna accenna un sorrisetto complice a quelle parole e annuisce lentamente.
Draco ha compreso tutto: Esme è rinata.
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Finalmente rivediamo la nostra Esme prendere in mano la situazione!
Ancora una volta supera se stessa, accettando il suo dolore e rinascendo dalle sue stesse ceneri.
Non potevo dedicare un intero capitolo a lei, la nostra cara protagonista.
Adesso non ci resta che aspettare per vedere cosa succede ai ragazzi...
Detto ciò, ricordo che ho deciso di aggiornare DUE volte a settimana: martedì e venerdì.
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Ci vediamo venerdì, LadyD 💚
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