Spesa
Osservavo incantato la scatola dei biscotti Plasmon, quelli buoni, con il biscotto messo in prima pagina come se fosse un modello su una rivista di gossip, con la confezione arancione tramonto o alba, non so distinguerli, che ti dava una sensazione di quiete e mi invitava a prendere il pacco, aprirlo e mangiarne uno per risentirmi di nuovo un bambino a riassaporare, tramite quel biscottino tondeggiante rettangolare, il gusto di quei tempi di quando avevo dieci anni. Si perché mica per mangiare i biscotti Plasmon bisogna avere una età precisa, sulla confezione c'è scritto da sei mesi in poi, ma non fino a una determinata età, perché sono buoni a qualunque età! Ma un po' più in là c'era Maria che mi aveva inviato a fare la spesa. Immagino come una sorta di primo appuntamento. E nonostante la mia faccia basita, ha insistito. Ma non trovo nulla di speciale nel fare la spesa, nel decidere se è meglio questo o quello, non voglio pensare al fatto che deve fare una enorme spesa e quindi le servivano le braccia forti per portare le buste e quindi ecco di nuovo Tommaso il lacchè, quello buono a cui servono solamente le braccia perché tanto è uno buono, no? Osservai Maria che a sua volta osservava i prezzi tra due scaffali e ogni volta che alzava e abbassava la sguardo il mento si piegava su se stesso mostrando un tenerissimo rivolo cicciotto, ma fui infastidito dal mio stesso pensiero e non riuscì a godermi al pieno quella visione che mi strappò al massimo un sorriso, così mi voltai e ripensai ai biscotti Plasmon, al fatto che la parola mi ricordava "Plus" più "Mom" e forse aveva a che fare con qualcosa che aiutasse le mamme nella crescita dei figli, come se fosse una seconda mamma che si prende cura dei pargoli in assenza della prima, oppure magari mi sbagliavo, ma mi piaceva pensarla così. Pensavo poi ai biscotti, al fatto che fosse bello mangiarli come se fossero chissà quale pietanza sopraffina girando per casa o affacciati al balcone come se fosse una sigaretta in un film. Pensai alla loro consistenza, al fatto che al contatto con le labbra iniziassero a sciogliersi come un gelato sotto al sole nella bocca e al suo interno ci fossero dei piccoli buchini, davvero minuscoli, che davano al biscotto una consistenza del tutto diversa ad ogni morso.
"Mimo!"
Mi sentivo a disagio. Volevo abbracciare quella scatola di biscotti e portarli a casa con me, perché sentivo che erano il mio unico porto sicuro in quel momento, quando Maria mi chiamò mi venne d'istinto accarezzare la testa della scatola e andarmene come se nulla fosse.
"Dimmi"
Perché mi chiamava così? Mimo... Una volta mi chiamava Tom, come il gatto.
"Mi serve un consiglio c'è questo barattolo di piselli che costa un euro e di una marca abbastanza buona, ma poi c'è quest'altro che se anche è una sottomarca costa quaranta centesimi in meno il che è conveniente e anche se non è rinomata ho sentito che è molto buona, il che potrebbe essere vero dato che quello che paghiamo dalle grandi marche non è il prodotto in sé, ma la pubblicità che spendono per farci conoscere il prodotto e per questo lo paghiamo qualcosa in più, però questo prezzo così conveniente mi fa pensare a un pacco, sta così in offerta perché in realtà non è buono e devono vendere le scorte o perché non sanno di niente a livello di sapore. La questione mi turba e non so decidermi"
Non ci vedevamo da tantissimo tempo e ora invece di andare a prendere un gelato e parlare dei vecchi momenti, di tutto ciò che abbiamo passato in questi anni senza vederci, i pensieri di quando eravamo a scuola e a fare una lunga passeggiata sul lungo mare di Mergellina come due persone normali stiamo qui a fare la spesa, a contare i centesimi e a osservare bene le marche tra un barattolo di piselli e l'altro come se questo fosse qualcosa di bello o almeno romantico.
"Spendi quaranta centesimi in più e vai sul sicuro, no?"
"Tu dici?"
Mi guardò con due occhi quasi a penetrarmi il cervello per capire la verità dietro quelle mie parole dette così, giusto per.
"Non lo dici giusto per, vero?"
Il mio corpo ebbe uno sbalzo dallo stupore, lei lo notò.
"Ho capito, è il momento delle novità allora"
Se era già così dall'inizio ci saremmo risparmiati tutta questa tiritera. Mise il barattolo da sessanta centesimi nel carrellino rosso e poso l'altro al suo scaffale.
"Ora fammi pensare cosa mi serviva..."
Ogni volta che rifletteva su qualcosa formava un mezzo pugno con la mano sinistra e l'appoggiava delicatamente al fianco, con la mano destra si pizzicava il labbro inferiore e con la sguardo rivolto verso il pavimento sembrava che stesse leggendo su delle pagine invisibili in cerca della risposta. Volevo godermi quella visione, ma il pensiero di questa spesa non mi faceva pensare ad altro, il ronzio delle luci al led, il bianco che rifletteva sul pavimento e si espandeva per tutto il negozio, l'odore di più detersivi uniti che veniva dal reparto di fianco al nostro, la gente che chiacchierava su cosa prendere, i bambini che piangevano sia nei carrozzini, poi seduti nei carrelli, si trascinavano pure aggrappati ai vestiti delle mamme per quel ovetto kinder che viene abbandonato in chissà quale scaffale, la signora dietro che mi chiedeva di prenderla una cosa che si trovava troppo in alto per lei, il commesso che faceva cadere le scatole, il megafono che annunciava qualcosa di totalmente incomprensibile perché oramai quelle casse dell'audio erano completamente distrutte, odiavo stare qui in questo preciso momento, perché non ne capivo il motivo, non ne capivo il senso.
"Scusa, mi prendi il barattolo dei fagioli che si trova lì?
Prendo il barattolo alla signora.
"Tenga signora"
Mi sorride e se ne va.
"Ah sì! La pasta, secondo te meglio Divella o Barilla? La prima costa meno rispetto alla seconda, ma dovrei in realtà decidermi sul tipo di pasta, ci sono le linguine, gli spaghetti ristorante che preferisco, oppure dovrei optare per i maccheroni? O meglio, i rigatoni! Sai che cosa? Meglio andare a controllare se ci sono offerte! Andiamo"
Non volevo più stare qui, non volevo più la compagnia di Maria.
"Io esco un po' fuori"
Maria si volta visibilmente sorpresa, strabuzzando gli occhi.
"Va bene, non ci metterò molto, ho quasi finito"
Mi sentì in colpa, ma la ingoiai e le risposi.
"Ti aspetto sulle panchine davanti al negozio"
Mi allontanai senza voltarmi, ma con un'irresistibile voglia di avere gli occhi dietro la testa per vedere il suo comportamento. Non riuscì a farmi crescere un paio di occhi sulla nuca in tempo, superai la cassa e uscì dal negozio. Mi avvicinai alla panchina e ci salì sopra, sedendomi sullo schienale, perché così mi andava. Forse dovevo mangiarmi il limone e restare con lei, sono stato maleducato. Pensandoci bene, e se così facendo mi sono giocato un occasione di qualche tipo?
"Pass fra! Staij pazzian sol tu co pallon!"
Poco più in là stavano giocando dei bambini con un Super santos, con la foga con la quale giocavano già mi sentivo il pallone sulla faccia, la visione di quei bambini mi fece quasi dimenticare a ciò che stavo pensando e perché mi venne l'idea al momento che pensare fosse inutile in qualsiasi circostanza, soprattutto in quelle dove si deve attendere solamente una risposta, dove il nostro pensare diventa superfluo e dannoso, smisi di pensare o meglio, mi ingannai che potessi farlo, e mi concentrai sul flusso di persone che usciva dalle porte automatiche e man mano che uscivano mi facevo sempre di più rapire dal fruscio delle porte che si aprivano e cigolavano, diventando quasi ritmico fino a sentirci una bizzarra melodia che iniziai a fischiettare, ma io fischiettare non sapevo farlo bene, quindi ciò che gli altri potevano udire è un suono rotto e molto probabilmente fastidioso. A pensarci bene fu proprio Maria a dirmi alle superiori che dovevo continuare a fischiare anche se non sapevo farlo e il suono non era dei migliori, perché "farlo per me era naturale" chissà cosa intendesse. Forse lo trovava gradevole in qualche modo.
Guardai l'ora sul cellulare ed erano già passati quindiciminuti, dovevo tornare dentro o fare finta che il tempo non esistesse per un giorno e aspettare finché non sarebbe uscita dal negozio? Ma anche se fosse uscita ora, in questo preciso istante cosa dovrei fare? Cosa dovrei dire? Che fare la spesa come prima uscita non è normale per questo mi sono sentito a disagio per tutto il tempo? La ferirei così facendo? Ma è la verità e le persone devono prendersi le responsabilità per le proprie azioni, e se mi rispondesse male? Se potrebbe offendersi e abbandonarmi qui? E se l'avesse già fatto?! Questo spiegherebbe tutto questo tempo che sta impiegando, se n'è già andata via! Ma quando? Non l'ho vista uscire, ho tenuto gli occhi fermi sulla porta, forse mi sono distratto e lei è stata velocissima?! Quindi ora che faccio? Vado dentro e controllo o vado via e basta? Che situazione assurda, non so cosa fare! Sento vibrare tutto, sto tremando? No, è il Super santos dei bambini che ha colpito fortissimo la panchina e ora sta volando in aria, mi concentro sul pallone e lo prendo al volo.
"Signore passa il pallone!"
Signore?
Non faccio in tempo a caricare la mano per passare la palla ai bambini che sento il fruscio della porta automatica e per istinto mi volto. Per un'attimo ci fissiamo entrambi negli occhi, poi lei abbassa lo sguardo, ha un grosso sacchetto della spesa con sé, con la mano libera prende il pacchetto di sigarette nella tasca della giacca di Jeans, con un colpo rapido ne fa saltare di poco una fuori e con le labbra la raccoglie portandosela alla bocca.
"Signore il pallone!"
Mi giro e lancio la palla ai bambini.
"Grazie!"
Appena mi voltai di nuovo verso Maria la notai immobile ad osservarmi, quasi a misura l'intensità del mio gesto come risposta per la sua prossima azione, ma forse stavo divagando troppo e Maria si avvicinò subito dopo.
"Scusa per averti fatto aspettare"
Disse tenendo la sigaretta sulle labbra. Questa volta c'era scritto "momento", mi chiedevo quale marca di sigarette vendesse queste ammazza polmoni con frasi alla baci Perugina. Alzò il sacchetto della spesa e prese una lattina di thè alla pesca.
"Tieni, ti piaceva alla pesca, mi sono ricordata bene?"
Sì, si è ricordata bene.
"Grazie..."
Rimasi imbambolato a osservarla, mentre prendeva anche lei una lattina di thè alla pesca. Alzò lo sguardo.
"Che fai? Non la apri?"
Mi prese contropiede.
"Asp-aspettavo te"
Sorrise, spostò il sacchetto sull'avambraccio, riprese il pacchetto di sigarette dalla tasca e ripose la sua, subito dopo avvicinò la lattina alla mia, mi invitò con un gesto a sincronizzarmi con lei, così entrambi poggiamo le rispettive dita sulle rispettive linguette e con poca forza aprimmo le lattine che fecero un suono ferroso, grattante e freddo. Maria trangugiò subito la lattina, mentre io ne bersi solamente qualche sorso, la ragazza notò il mio comportamento e smise di trangugiare rumorosamente e rimise il sacchetto sulla mano, quasi le scivolò dal peso, con le punta delle dita manteneva la testa della lattina che sudava più di me in quel momento dove sentivo tutto intorno impassibile e strano, come se stessi vivendo una sorta di qualche scherzo, un terreno preparato per ricevere una mazzata ancora più potente di quella che stavo vivendo ecco cosa stavo sentendo.
"Ti sei annoiato?"
Sì. Cioè, non propriamente, sono solo a disagio perché non so come devo metabolizzare tutto questo, sembra tutto così rapido, come pagine di un libro che si sfogliano a causa del vento, non so cosa dovrei fare o cosa dovrei rispondere in ogni situazione perché sembra tutto così surreale e anormale.
"No, non è questo"
"Capisco"
La sua risposta mi diede un certo fastidio.
"Cosa capisci esattamente?"
Le dissi in tono di sfida.
Si sedette sulla panchina e con la mano faceva roteare lentamente la lattina facendo scontrare il poco thè che vi era restante al suo interno con le pareti.
"Che ti senti a disagio, lo so perché mi sento anche io così, ma il mio disagio è diverso, è un qualcosa che sento mutare ogni secondo dentro di me ogni volta che sono vicino a te, desideravo e desidero fare la cosa normale e invitarti a uscire, perché solo così potremo vedere dei cambiamenti nelle nostre vite, senza nasconderci dietro a qualche inibizione. Io non avevo tanta voglia di andare da qualche parte, so che potrebbe far strano rivederci qui, in questo posto dopo tutti questi anni piuttosto che da qualche parte più appropriata come Napoli centro, ma volevo comunque stare con te e fare una cosa normale che faccio tutti i giorni, ma con te dentro, insieme."
Sotto voce disse qualcosa come
"Volevo aggiungerti alla mia quotidianità"
E si voltò per un attimo dall'altra parte ad osservare i bambini che giocavano a pallone.
Mi sentì in colpa a non aver capito le sue intenzioni, ma riflettendoci sopra, non potevo nemmeno immaginarle, così quel senso di colpa svanì all'istante e dissi la prima cosa che mi venne in mente.
"Mi dispiace" e aggiunsi "Alla fine che pasta ai preso?"
Che strano dire queste cose a una persona che non vedi da sette anni, non è l'appuntamento filmesco che ho sempre immaginato di avere.
Sì voltò quasi ad aspettarsi quella risposta.
"Gli spaghetti ristorante ovviamente, sono i miei preferiti"
Ma nemmeno il peggiore di sempre, è semplicemente strano, ma magari tutti gli appuntamenti sono strani a modo loro, vorrei avere una telecamera per spiare tutti e osservarli nelle loro vite in questo momento. Si alzò e ci incamminiamo verso casa sua.
"Fortuna vuole che in quel negozio fanno tante offerte buone"
"Io credo che ci sarò stato solamente un paio di volte con mia madre, ma non ricordo cosa ne pensa"
"Tua madre..."
"Cosa?"
Sì incantò a pensare a chissà cosa per un attimo per poi riprendere.
"Niente, pensavo che mi piacerebbe rivederla"
"A proposito, non entrare più di quinta in casa mia, già penso che la signora di fianco a noi ha già spifferato tutto a mamma"
"E quindi?"
"E quindi mi romperà con tantissime domande"
"E qual è il problema?"
"Com'è qual è, è proprio questo il problema"
"Ti sto chiedendo che fa se la signora spiffera tutto a tua madre e se tua madre ti fa delle domande, perché farsi degli inutili problemi che affliggono solamente il tuo cervelletto e non portano da nessuna parte?"
"Perché..."
Non sapevo con cosa replicare.
"Piuttosto le finiamo queste?"
Mi portò al volto la lattina di thè. Così la trangugiai mentre camminavo e nel farlo non mi accorsi di parte del marciapiede crepato che mi fece inciampare e cadere la lattina di thè a terra che si rovesciò per tutto il marciapiede.
"Oh ma che cazzo"
"Pff... Ahahahah"
Maria continuò a ridere sotto i baffi.
"Ti sei fatto male?"
Mentre lo chiese continuava a ridere.
"Se lo chiedi mentre ridi non sei credibile e poi cosa c'è di così divertente nel vedere la gente cadere?"
"Non è quello" Smise di ridere, ma continuò a sorridere "È tutta l'emozione accumulata"
Poi si piegò verso il thè caduto e ci rovesciò la sua lattina sopra.
"Perché l'hai fatto?"
"Così se ne vanno insieme e poi era poca roba"
Vidi il suo sorridente mentre osservava il thè scivolare dal marciapiede per andare nel canale di scolo.
"A me questo sarebbe sempre piaciuto vivere, dei momenti scontati e semplici come questi fino alla fine dei giorni e fino alla fine della serenità"
Disse tra lei e lei a bassa voce, anche se sembrava stesse recitando una qualche frase piuttosto che un suo pensiero.
Raccolse la lattina caduta a terra.
"Buttiamole"
Le presi io entrambe dalle sue mani, ma le nostre dita non si sfiorarono.
"E poi Youtube è pieno di video di persone che cadono divertenti, Paperissima sì è alzato un impero con la gente che cade mettendo sotto quegli effetti sonori orribili"
Buttai le lattine nel primo cassetto trovato, anche se era pieno fino all'orlo.
"Forse un giorno esploderanno questi cassonetti"
"Forse esploderanno prima le persone"
"Perché questa cosa?"
"Non lo so, mi andava"
Vidi Maria tirare su il sacchetto, magari era davvero pesante per lei.
"Posso portarlo io se vuoi"
"Non preoccuparti"
Poi si svegliò, come se un'idea le fosse venuta in mente
"Piuttosto aiutami a portarlo, ma non portarlo per me"
E cosa significa questo?
Tra di noi calò uno strano silenzio, come se Dio in questo momento avesse tolto i suoni nel mondo per metterci alla prova, non eravamo nient'altro che noi due, che camminavamo per una strada di un quartiere abbandonato dal mondo dopo essere andati in un negozio per andare a fare una spesa e che parlavamo di cose che dimenticheremo forse tra qualche mese. Eravamo nel nostro silenzio che ci guardavamo intorno e il tutto sembrava leggermente diverso da com'è sempre stato. Era il nostro silenzio, la nostra bolla comune alienata da tutto il resto del mondo, mi sentivo bene.
Poi la bolla scoppiò.
"È successo così tanto in questi anni Tommaso che averti rivisto mi è sembrato tornare bambina, allora ho sentito dentro qualcosa rompersi e nascere allo stesso tempo e a questa sensazione che devo tutto."
Aggiunse subito dopo sottovoce.
"Ora capisco come si sentiva lei e come ti sentivi tu"
"Lei? Cosa intendi?"
"Non importa"
Non sapevo cosa replicare, il suo discorso mi fece pensare a cos'è successo a me in questi anni. Ho smesso di guidare il motorino, di giocare alla play, di uscire con gli amici, di avere dei sogni, di trovarmi una ragazza, ho deciso di vivere passivamente così da far sparire qualsiasi possibilità di dolore. Ma quando sono diventato così? Cosa ha scatenato in me questa apatia dalla quale solo ora me ne rendo conto e che riflettendo un po' più a lungo conosco già la risposta, ma non ho il coraggio di riverarla a me stesso.
Così presi un manico del sacchetto della spesa, Maria mi sorrise, ricambiai il sorriso e avanzammo silenziosamente mentre calava la notte e tenevamo il sacchetto della spesa insieme e insieme ci teneva quel sacchetto della spesa.
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