Quattordicesimo Capitolo

POV BESSIE

Bannack era esattamente identica a come l'avevo lasciata. Una leggera nevicata aveva reso la giornata grigia, ora che mancavano soltanto tre giorni a natale, ma i bambini correvano per le strade con i loro cappotti pesanti e gli stivaletti alti, i visi arrossati per il freddo avvolti in sciarpe e cuffie di lana, le mani protette dai guanti per toccare quella soffice sostanza bianca. Le persone passeggiavano per i marciapiedi e le strade sgomberate dalla neve, facendo le ultime compere prima delle feste, tenendo tra le braccia buste colorate di verde e rosso gremite di acquisti. Ormai da tempo non si erano verificati più omicidi e il coprifuoco era stato revocato, così tutto sembrava essere tornato al proprio posto. Se non fosse stato per il fatto che in realtà niente lo era.

Gabe era seduto accanto a me nell'auto che aveva noleggiato e parlava al telefono, dopo essersi fermato a un rifornitore di benzina dopo essere entrato in città, e io lo osservavo di sottecchi ogni tanto, non avendo nessuna idea di quali fossero le sue intenzioni.

Ero ancora in imbarazzo al pensiero di ciò che era successo la sera prima, perché mi ero lasciata andare presa dallo sconforto e lui non si era tirato indietro. Avevamo dormito tutta la notte vicini e, sebbene non fosse successo nient'altro, mi sentivo ancora il suo odore addosso. E non mi dispiaceva. Ma ciò che provavo mi faceva sentire anche terribilmente in colpa. La morte di Dan era una ferita ancora fresca che continuava a sanguinare.

Gabe concluse la chiamata, ringraziando chiunque si trovasse dall'altra parte della linea. Poi si voltò verso di me, i capelli lunghi sul davanti gli caddero di nuovo sugli occhi, come gli succedeva spesso, e io provai l'impulso di allungare una mano e scostarglieli dal viso, ma trattenni quell'impulso e mi imposi di restare immobile. - Era Isaac, mio fratello - l'ultima precisazione non era necessaria, visto che sapevo chi fosse, ma non disse nulla - a quanto pare Derek ha chiamato Caliba e chi ha rapito Tamara è disposto a fare un accordo. Saranno liberi molto presto.

Tutti quei nomi della seconda parte del suo discorso mi erano sconosciuti, ma uno mi era familiare, il più importante. Tamara stava bene. Poggiai la testa allo schienale con un sospiro. - Ne sono davvero felice. Quando torna?

-Non molto presto a quanto pare. Hanno delle cose da sistemare, ma non so di preciso cosa. C'è dell'altro.

Tornai a guardarlo, preoccupata dall'improvviso tono che aveva assunto la sua voce. Sembrava all'improvviso in ansia. - Che succede ora?

- Un uomo ha seppellito i corpi di Dan e Bruce sull'isola in Venezuela, ma Tamara ritiene più opportuno portare le salme fino a qui e lasciare che riposino a Bannack. Crede che le loro famiglie meritino di sapere che cosa è successo e di poterli andare a trovare al cimitero. Ma ha lasciato la scelta a te.

Valutati con attenzione la decisione da prendere e pensai alla mamma di Dan, che mi preparava la cioccolata calda con una dose abbondante di panna, e a suo padre, che insisteva per accompagnarmi a casa affinché non tornassi da sola di notte. Pensai ai genitori di Bruce, che mi avevano sempre trattata come una figlia, e a Cedric, che non sapeva ancora di aver perso il suo migliore amico. In quel momento fui d'accordo con Tamara. Meritavano la verità e di non cercare per il resto della vita due fantasmi. - Tammy ha ragione - dissi soltanto - e io dovrò essere qui quando arriveranno. Dovrò dare una mano per i funerali e spiegare ai miei genitori dove sono stata nell'ultimo mese.

-Io posso aiutarti, Bessie - mi disse Gabe, offrendomi ancora una volta il suo aiuto - non devi affrontare questa cosa da sola.

Non potei non accettare, perché sapevo che aveva ragione.

Le successive ore passarono in fretta e ne ho un ricordo piuttosto confuso. La prima tappa fu, con mio rammarico, il distretto di polizia. Sapevo di dover risolvere la questione del mio rapimento ma non sapevo come. Pensò a tutto Gabe.

In realtà, lì per lì, non so dire esattamente che cosa accadde. E non feci domande perché, prima di entrare, Gabe mi afferrò il braccio, delicatamente ma con fermezza, e mi pronunciò parole ben precise. - Vedrai cose inspiegabili, B. , ma è necessario che ti fidi di me. Poi ti spiegherò tutto.

E io gli diedi ascolto.

In realtà fu tutto molto semplice e allo stesso tempo strano. Ci sedemmo in ufficio davanti a quello che doveva essere il commissario e Gabe parlò, inventando un mucchio di bugie, e il commissario ascoltò in silenzio senza distogliere mai lo sguardo, credendo a ogni singola parola senza dubitarne mai. Gabe raccontò, con una voce suadente e delicata ma allo stesso tempo decisa, che non gli avevo mai sentito usare, che io, Bruce e Dan eravamo stati rapiti da misterioso serial killer che aveva terrorizzato l'America negli ultimi tempi. Disse che in realtà l'unica preda ero io, ma in quel momento Dan e Bruce si trovavano con me ed erano rimasti uccisi cercando di difendermi. La polizia mi aveva ritrovata in un magazzino e l'assassino, preso forse dal rimorso per quelle due morti, si era dato fuoco dopo avermi confessato di aver ucciso tutte le altre ragazze, pertanto era stato impossibile riconoscerlo. Le salme di Bruce e Dan sarebbero arrivate a breve. Gabe concluse con queste parole. - Non farete ulteriori ricerche o domande, riporterete i fatti così come ve li ho detti io e mai ne dubiterete. Riferirete questa versione dell'accaduto alle famiglie coinvolte e proclamerete almeno tre giorni di lutto cittadino, organizzando un funerale enorme.

Successivamente Gabe parlò con altri poliziotti, riportando sempre la stessa versione dei fatti, senza mai distogliere lo sguardo dai loro occhi. E quelli non fecero mai domande.

Quando, dopo aver finito, tornammo alla macchina, Gabe sembrava esausto. - Tammy ha raccontato a grandi linee a Isaac ciò che è successo nella Chiesa e lui ha fatto altrettanto con me. Mi dispiace, Bessie. Non oso immaginare cosa abbia significato per te.

- Non sarà niente paragonato a ciò che aspetta tutte quelle famiglie - risposi con sincerità - niente sarà più come prima.

- Però tu sei ancora viva. Stai bene. Non devi vivere con questo rimorso, ma vivere per questa realtà. Continuare a lottare anche per loro.

- Ma... cosa mi aspetta adesso?

Gabe mi sorrise con dolcezza. - Ora rivedrai la tua famiglia, che non aspetta altro. Un poliziotto ci scorterà e spiegherà tutto, me ne sono già occupato.

Mia madre mi strinse forte a sé quando aprì la porta ed entrambe piangemmo a dirotto, sussurrandoci parole confuse tra le lacrime. Mi disse che mio padre si era già messo in auto e stava venendo lì in più fretta possibile e io piansi più forte. Avevo sempre temuto che i miei genitori mi incolpassero per la morte di mio fratello Joe e che per questo non riuscissero più a volermi bene come prima, ma capii come dovesse essere stato quel mese per loro, con il terrore di perdere un altro figlio. Loro mi amavano e io amavo loro. Come si dice, la famiglia è potere.

Gabe non entrò, naturalmente. Sarebbe stato complicato spiegare la sua presenza lì e poi, probabilmente, voleva concederci un po' di intimità dopo tanto tempo lontani. Io, mamma e papà cenammo insieme dopo anni e anni, e l'atmosfera che si creò non era la stessa degli ultimi tempi in cui stavano insieme, carica di tensione e sempre accompagnata da litigi. Ridemmo e scherzammo, papà vantò le lasagne della mamma e lei si complimentò con lui per aver smesso di fumare, e nessuno di noi parlò di quello che era successo. Perché nessuno di noi lo desiderava. Prima o poi sarebbe venuto fuori quel discorso, ne ero sicura, ma in quel momento volevo soltanto godermi quella felicità, per quanto sbagliata sembrasse.

Mamma invitò mio padre a restare a dormire e lui si sistemò sul divano. Non si mosse da lì per tutta la notte e io non me ne sorpresi. Sapevo che non sarebbero mai tornati insieme, si erano feriti troppo a vicenda in passato, ma ora almeno avevano di nuovo qualcosa che li univa e sembravano non odiarsi più.

Gabe venne in camera mia quella sera. Lo trovai seduto nel letto della mia stanza e non ne fui sorpresa.

- Ciao - dissi soltanto, come la sera prima all'hotel.

- Ciao- rispose lui di rimando - so che devi essere stanchissima, sono passato giusto a salutarti e a chiederti come stavi.

- Sto bene ora, grazie a te. Ma hai un posto dove andare a stare?

- A casa mia - scrollò le spalle - la mia famiglia è a Parigi, pertanto ho casa nostra tutta per me. Per fortuna non l'abbiamo venduta. Mi trovi lì se hai bisogno.

- Mi avvertirai quando arriveranno a Bannack?

Capì subito che mi riferivo alle salme di Dan e Bruce. - Sarai la prima a saperlo.

Rimanemmo a scrutarci per alcuni secondi, poi Gabe si alzò, infilandosi le mani nelle tasche dei jeans. - Bene, sarà meglio che vada.

Questa volta non mi chiese di poter restare con me e io gliene fui grata. Non avrei saputo cosa rispondere questa volta e cominciavo ad avere paura dei miei sentimenti. Tuttavia avevo una domanda da porgli e gliela feci quando lui ormai si apprestava ad aprire la finestra. - Gabe?

Si voltò verso di me. - Sì?

- Ciò che hai fatto oggi, con quei poliziotti... era una specie di ipnosi?

Lui sorrise. - Qualcosa del genere.

Altro silenzio imbarazzante. Sembrava tessersi intorno a noi come la tela di un ragno. - Vuoi parlarne? - mi chiese quasi con esitazione.

- No - risposi di slancio. - Non oggi - aggiunsi poi - presto.

L'altro annuì e sorrise, le fossette sulle guance. - Buonanotte, B.

- Buonanotte, Gabe.

Papà restò per i successivi due giorni, esprimendo il desiderio di restarmi vicino durante il funerale. Le salme arrivarono il giorno successivo, più in fretta di quanto mi aspettassi, e i funerali furono celebrati nel primo pomeriggio, visto quanto tempo era trascorso ormai dal giorno del decesso.

Naturalmente fu proibito aprire le bare dopo un mese, perciò io non rividi i loro corpi, e a me andava bene così. Non sapevo se ciò valesse anche per le famiglie, che magari avrebbero dovuto, giusto per sicurezza, effettuare il riconoscimento, ma non lo chiesi mai.

Cedric pianse molto quel giorno, non lo avevo mai visto così. Ripose gli occhiali troppo grandi nella custodia e li infilò nella tasca del cappotto, per evitare che le lacrime che non smettevano di sgorgare dai suoi occhi li appannassero. Rimase tutto il tempo accanto a me, mentre Gabe occupava l'altro l'alto.

Fu una cerimonia davvero sentita, molte persone espressero una parola gentile per entrambi e alcuni parlarono anche di me, dissero che loro erano diventati i miei angeli custodi e che mi avevano protetta, e che avrebbero continuato a farlo per sempre. Ma nessuna di quelle persone sapeva la verità, nessuno aveva visto la loro morte con i propri occhi, perciò non potevano capire. Quelle parole mi irritarono ma non potei neanche biasimarli.

-Eri come un fratello per me - disse Cedric tra le lacrime, in piedi sulla buca scavata poco prima in cui era già stata riposta la bara, quando fu il suo turno di parlare - il migliore amico che si potesse desiderare. Con te non ero Cedric l'imbranato. Non mi hai mai fatto sentire sbagliato e per questo non ti sarò mai grato abbastanza. Arrivederci, amico.

Fece un passo avanti e lasciò cadere nella fossa un fiore, poi un altro in quella accanto, dove si trovava Dan. Dopo si fece da parte e io capii che era arrivato il mio momento e che non potevo rimandare ulteriormente. Era mio dovere dire qualcosa. Gabe mi fece un leggero cenno con la testa, come per farmi coraggio, così mi sistemai tra le due buche, osservando prima una e poi l'altra. La giornata era più grigia del giorno precedente, nera quasi, e spessi nuvoloni carichi di pioggia coprivano il cielo, rendendo il cimitero eccessivamente cupo. A breve avrebbe cominciato a diluviare e il prato che correva intorno al cimitero si sarebbe riempito di fango. Quel giorno, anche il cielo sembrava essere triste per l'addio a due giovani ragazzi con ancora tutta la vita davanti.

-Molte volte da quando è successo mi sono posta la stessa domanda - iniziai - perché voi e non io. Perché Joe e non io. Ma ho capito che non esiste una risposta. L'unica cosa che posso fare è onorare la vostra memoria e vi giuro che lo farò - presi fiato, sentendo un peso proprio sullo stomaco - mi avete protetta in quei momenti e non lo dimenticherò mai.

Era vero. Bruce e Dan avevano lottato, quando eravamo stati rapiti si erano battuti per difendermi, per provare a scappare. Gli dovevo così tanto e non avrei mai potuto ripagare il mio debito. Mi rivolsi a Bruce. - Tammy sarebbe voluta tanto essere qui, ma non ha potuto. Sono sicura che anche lei ti avrebbe detto quanto ti amava e che ti porterà sempre dentro al suo cuore.

Feci cadere un fiore su ciascuna delle fosse e sentii la morsa sul petto stringersi ulteriormente, chiudersi intorno ai miei polmoni e impedirmi di respirare. Mi voltai, cercai di allontanarmi per paura di cadere dentro le fosse. Feci qualche passo avanti, traballando sulle le ginocchia, e temetti di cadere proprio lì sull'erba, rompermi le calze che indossavo sotto il cappotto e il vestito nero, e rovinare quella toccante cerimonia.

Ma Gabe mi afferrò giusto in tempo, mi avvolse le braccia intorno al corpo e io mi aggrappai a lui, lasciandomi andare a un pianto disperato che sapeva di liberazione. Avevamo tanti occhi puntati addosso ma nessuno sembrò giudicarmi. In fondo ero una ragazza che era stata rapita e tenuta prigioniera per un mese e aveva visto morire il suo ragazzo e il suo migliore amico. Si chiedevano se mi sarei mai ripresa e io mi facevo la stessa domanda.

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