Ventitreesimo Capitolo
Respirai a fondo il profumo di mia madre. Quando ero piccola entravo nella loro camera, prendevo una delle boccette dal mobile e me ne spruzzavo un po' nel collo. Una volta avevo sbagliato mira e del profumo mi era finito in bocca. Ero corsa da mia madre in lacrime per il saporaccio che mi aveva lasciato sulla lingua.
Mi accarezzò i capelli con dolcezza. - Sono così felice di vedere che stai bene. -
-Se vi fosse successo qualcosa, non me lo sarei mai perdonata- sussurrai.
Lei scosse la testa lentamente. - Noi abbiamo già vissuto, Tammy. Tu hai soltanto diciassette anni. -
Papà cinse le spalle di entrambe, con un enorme sorriso sul volto. - Stiamo tutti bene. Questo è l'importante. -
Quella mattina c'era un bellissimo sole caldo, con un leggero venticello che lo rendeva sopportabile. Eravamo arrivati a Beauvies quella mattina, un comune a circa una sessantina di chilometri da Parigi. Dall'incendio alla Villa di Caliba, erano stati ospitati lì da un vecchio amico dell'Antico. Dovevamo trascorrere qualche giorno lì, prima di partire per chissà dove. Ci eravamo incontrati in un parco di fronte alla casa, per stare un po' in tranquillità e lontani dai discorsi di Caliba sui problemi scaturiti dalla morte di Tiberio. Non si sapeva ancora chi ne avrebbe preso il posto e non mi importava, purché non fosse Chris. Non avevamo ancora avuto notizie da lui.
Scrutai al di là della ringhiera verde che correva intorno a tutto il parco, per vedere se stessero arrivando i miei fratelli. Ancora non si vedevano. Mi rivolsi ai miei genitori. - Adesso cosa faremo? -
-Adesso si torna a casa- rispose mia madre con un sorriso.
-A Bannack? -
Mio padre annuì. - A Bannack, se è quello che vuoi. -
-Eccoli! - mia madre indicó qualcuno alle nostre spalle. Mi voltai e li vidi. Isaac, Gabe e Ben ci stavano venendo incontro. I primi due, I miei fratelli maggiori, avevano capelli scuri, ereditati da mio padre. Mentre Ben, Il mio fratello più piccolo, era l'unico oltre a me ad avere capelli rossi. I suoi erano più scuri, portati un po' lunghi sul davanti. Gli scompigliai I ricci con una mano e lui sorrise, così sulle sue guance comparvero le fossette. Le stesse che avevamo io e mia madre quando sorridevamo,particolarmente pronunciate.
-Ciao, Isaac mi strinse tra le braccia, sfiorandomi la fronte con la barba appena ricresciuta.
Poi mi voltai verso Gabe. Era il fratello meno espansivo, quello che non mi abbracciava quasi mai ma che c'era sempre. Quello con cui litigavo spesso e che mi faceva il solletico mentre leggevo. Mi strinse un timido abbraccio poi sorrise spavaldo, recuperando il suo solito atteggiamento strafottente. - Dev'essere stata dura per te, restare per due giorni di fila con gli stessi abiti addosso. -
Lo spinsi via con fare scherzoso. - Non fare lo stupido. -
Andammo a mangiare in un ristorante di cucina italiana, come una felice famiglia normale. Parlammo del più e del meno, e di come riprendere la nostra vita di sempre. Mamma insisteva perché ricominciassi la scuola, ed io lo volevo davvero. Poter rivedere Bessie e Bruce mi riempiva di gioia.
Finimmo per passeggiare su un ponte, a fissare l'orizzonte. Ero contenta di essere di nuovo con la mia famiglia.
-Mamma, credi davvero che potremo tornare a Bannack? - le chiesi.
-Sì, se è quello che vuoi. - Anche lei, come papà prima, lasciava che, per una volta, fossi io a scegliere.
Tuttavia anche il destino di qualcun altro mi preoccupava. - Ma Derek... - cominciai.
-Caliba ci ha parlato di questa faccenda. Lui è molto severo su queste cose e Derek è venuto meno al suo dovere. Per quanto Caliba possa amarlo come un figlio, deve riservargli lo stesso trattamento che riserverebbe ad un'altra guardia. -
-Ma io non posso partire senza di lui. -
-Tesoro- mi accarezzò di nuovo i capelli - sei così giovane. Avrei voluto una vita più semplice per te. -
-Non potevi saperlo. Non immaginavi di portare in grembo una bambina. -
-No, ma la desideravo. Sapevo che avrei avuto tanti forti figli maschi, ma sognavo anche una bella bambina. -
Scrutai il cielo, pensando a come sarebbe stato il mio futuro.
Mia madre dovette percepire la mia malinconia, perché mi strinse la mano. - Forse anche tu un giorno... -
-Forse- tagliai corto.
Rientrammo dentro la villa ed io andai dritta in camera, intenzionata ad iniziare a fare i bagagli. La stanza che mi era stata assegnata era piuttosto spaziosa ma semplice: un enorme letto al centro della stanza, con morbide e profumate lenzuola; una scrivania in mogano pesante, con soltanto una lampada bianca; un armadio; una finestra, con delicate tende bianche, che si affacciava sul giardino dove eravamo stati poco prima. Era molto accogliente.
Avevo appena aperto l'armadio, quando sentii battere sul vetro della finestra. Ad aspettarmi c'era Derek.
Appena lo vidi gli corsi incontro, aprendo la finestra di scatto ma con dita tremanti. Mi baciò con passione, le dita intrecciate tra i miei capelli.
-Che ci fai qui? - gli chiesi, allontanandomi leggermente.
-Sono venuto a dirti addio. Non potevo lasciare che partissi senza poterti vedere un'ultima volta. Presto avrai una buona guardia. -
-Derek... -
-Ti amo, Tamara. Ma non perché sei una Pandora. Ti amo perché sei tu. Perché lo sento nel cuore. Ti prego, non dimenticarlo. -
Mi baciò un'ultima volta, poi si lanciò nel vuoto.
Come aveva preannunciato Derek, quella mattina arrivarono tre vampiri alla Villa: due maschi, alti con capelli biondo cenere, di nome Trajan e Banquo; una donna dalla pelle scura, Danielle. Sospettai di starle antipatica fin dall'inizio, quando mi guardò dall'alto in basso con occhio critico, come se fossi un cavallo e lei fosse un'esperta che doveva valutare il mio valore. Trajan mi rivolse un leggero sorriso, Banquo un cenno del capo, mentre lei non disse niente.
Mi sentii ribollire di rabbia. Derek era la mia guardia, non quei tre vampiri usciti da chissà dove. Come se non bastasse quella donna mi irritava parecchio, con il suo atteggiamento sicuro e strafottente.
-Non pensavo ci fossero donne nelle guardie degli Antichi- le dissi, non riuscendo a trattenermi.
-Tamara- mi richiamò Caliba.
Danielle mi rivolse uno sguardo impassibile. - Non siamo molte, ma quelle che ne fanno parte hanno grandi capacità. -
Feci una smorfia davanti alla sua modestia, comunque lasciai perdere. Mi rivolsi a Caliba, non riuscendo a trattenere una domanda che mi premeva sulle labbra. - Derek? -
Caliba distolse lo sguardo da me. - L'ho mandato in Venezuela, a fermare una rivolta di lupi mannari. -
E così dicendo, mi voltò le spalle dirigendosi in soggiorno. Gli andai dietro, con la brutta sensazione di un nodo allo stomaco. Mi sedetti sul divano, tra i miei genitori, mentre Caliba rimase in piedi davanti ad una vetrata, sorseggiando vino da un bicchiere. Le nostre tre nuove guardie rimasero in piedi in un angolo.
-Allora, Tammy-mio padre mi prese una mano - Caliba dice che possiamo tornare a Bannack. Manderà una piccola schiera di Vampiri a circondare la nostra casa. Una vera casa. -
Era quello che avevo sempre desiderato. Una casa tutta nostra, non un appartamento in un albergo. E avrei rivisto i miei amici. Bessie. Bruce.
-Ci occuperemo noi di tutto. Ti faremo rientrare a scuola come se non fossi mai andata via. Con la tua intelligenza, siamo sicuri che non faticherai a rimetterti in pari con gli altri. A meno che tu non preferisca il contrario. -
Mi strinsi contro il suo braccio, sorpresa e felice. - No, è perfetto. Così starò con i miei vecchi compagni. -
-Ti avevo detto che l'avresti fatta felice- disse mia madre con un sorriso.
-Ovviamente farai lo stesso con noi- disse Gabe. I miei fratelli erano seduti tutti a tavola e ascoltavano la conversazione in disparte.
-Tu e Isaac non necessitate del mio aiuto - ribatté mio padre - siete abbastanza grandi da usare la compulsione da soli. Hai bisogno di fare pratica o non imparerai mai. Nel caso fallissi, allora interverrei io. Ma soltanto in quel caso. Tamara è umana, perciò non ha scelta. Mi occuperò anche di Ben, se vorrà. Vostra madre pensa che sia ancora troppo piccolo. -
-Posso riuscirci! - esclamò il mio fratello minore con impeto - mamma, posso provare? -
-No- rispose mia madre irremovibile.
-Perciò... - iniziai - quando torneremo a Bannack? Possiamo tornarci subito? -
-Io non ho niente in contrario- disse Caliba - i vostri biglietti sono già pronti e potete partire quando volete. -
Guardai mia madre e lei capì immediatamente la mia risposta. - Direi che partiamo subito. -
Quella sera mi raggiunse in camera mia. Ero seduta nel letto a leggere
Le mille e una notte, persa nelle pagine ma anche parzialmente rivolta a colui che mi aveva regalato quel libro giorni prima. Rivolta all'uomo che amavo.
Rimase ad osservarmi per un po' sulla soia. - Mi sembri triste. -
Chiusi il libro. - È stupendo che torneremo a Bannack, davvero. Ma questi ultimi giorni sono stati terribili. Ho bisogno soltanto di... Un po' di tranquillità. Tutto qui. -
-Lo capisco. Lo capiamo tutti. - Mi si avvicinò ed io mi resi conto che teneva tra le braccia un grande borsone nero.
-Che cos'è? - chiesi.
-Derek l'ha data a Caliba per te. Sua madre gliel'ha spedita e lui ha pensato che la volessi. Contiene tutta la tua roba rimasta ad Atlanta. Libri, vestiti... Tutte le tue cose. -
La posò sul mio letto e l'aprì. Mi sporsi in avanti per vedere all'interno. Sentii le lacrime affiorarmi agli occhi. - Derek è partito, mamma- balbettai - Non so quando lo rivedrò. Forse mai più. -
-Devi lasciar passare un po' di tempo. Derek non è stato cacciato dalla guardia e Caliba gli vuole troppo bene. Derek ha la possibilità di dimostrare ancora una volta il suo valore e quando lo farà, vedrai che Caliba lo perdonerà. E allora, forse, potrà tornare qui. -
Storsi la bocca, sopraffatta dalle emozioni. - È quel forse che non mi piace, mamma. -
-Abbi fiducia. È un bravo ragazzo. -
Mi strinsi a lei, grata che capisse e rassicurata che almeno lei, oltre a me, nonostante tutto, non lo condannasse per quello che aveva fatto.
Bannack era esattamente come la ricordavo. Meno affollata del solito, perché molti erano partiti in vacanza, ma le strade e gli edifici erano sempre gli stessi.
Arrivammo una mattina particolarmente calda, con un leggero venticello. Per il ritorno nella città che ormai consideravo come casa mia, avevo indossato un vestito leggero a fiori e pois bianchi, una cintura intorno alla vita e un paio di sandali. Mi sentivo rinata e speranzosa, perché volevo che per una volta la mia vita fosse il più normale possibile. Certo, non sarebbe mai stata completa. Non senza Derek.
-Tammy, dovresti mettere qualcosa sulla testa - mi disse mia madre con tono autoritario - senti come picchia il sole. - Indossava una stretta e lunga gonna color panna ed una sottile camicetta azzurra. Al contrario di me portava sulla testa un enorme cappello da passeggio.
-Sta' tranquilla, mamma. Sto bene. -
Ben accenò a togliersi il suo, però mia madre gli schiaffeggiò la mano, con grazia ma decisione. - Non provarci, giovanotto. -
Isaac rise e Ben gli mostrò la lingua. - Io vi lascio qui- disse Isaac - ho delle commissioni da sbrigare. Ci vediamo più tardi. - E cominciò ad allontanarsi.
-Avvisami se non torni per pranzo! - gli urlò dietro mia madre.
-Anche io devo andare- avvisò Gabe, allontanandosi in tutta fretta.
Li guardai allontanarsi entrambi, mentre aspettavamo sul marciapiede che arrivasse un taxy. Presi fiato. - Anche io dovrei... -
-Fantastico-sbuffó mia madre.
Papà mi strizzò l'occhio. - Sbrigati, prima che dia di matto. -
-Ehi! - mi urló Ben quando mi allontanai. - Ed io che faccio? -
-Tu prendi questo, tesoro. - Feci in tempo a vedere nostra madre consegnargli un borsone e la faccia di mio fratello imbronciata, prima di svoltare l'angolo. Per fortuna conoscevo la zona e ricordavo ancora benissimo come muovermi. Bessie abitava vicino alla piscina pubblica, quasi vicino ad una rotatoria che portava in centro città, in una grande palazzina. Al mio arrivo trovai la porta aperta, così salii di corsa le scale fino al secondo piano. Non presi nemmeno in considerazione l'idea di prendere l'ascensore, tanto non vedevo l'ora di arrivare. Una volta davanti alla sua porta presi fiato e bussai. Ad aprire fu quella che immaginai essere la mamma di Bessie. Non si assomigliavano moltissimo, ma avevano gli stessi capelli.
Mi fissò sorpresa.
-Salve, sono un'amica di Bessie. Lei è in casa? -
-Che mi venga un colpo! - Dietro la donna comparve la mia migliore amica. Indossava una lunga maglietta sopra le lunghe gambe e portava i capelli biondi sciolti sulle spalle. Era scalza.
Le sorrisi. - Sono tornata. -
Si mise le mani sui fianchi, con fare minaccioso. - Sai da quanto tempo aspettavo una tua chiamata? Anche un semplice messaggio in cui mi dicevi di essere ancora viva! -
Rimasi interdetta sulla soia. Non sapevo come ribattere, perché non ero pronta a rispondere a domande sulla mia assenza. Non me l'aspettavo.
-Oh, va bene! - esclamó - sono troppo felice di rivederti per essere arrabbiata. Vieni, mamma ha preparato le crepes. -
Mi abbracciò così forte da stritolarmi, ma non mi scostai. Anch'io ero felicissima di rivederla.
-Devo subito avvisare gli altri! - esclamò- e tu devi raccontarmi tutto. -
Bessie volle sapere soprattutto di Derek, visto che le ultime notizie risalivano a molto tempo prima. Quando le dissi di aver passato la notte con lui batté le mani eccitata.
-E tu invece? - le chiesi incuriosita.
-Io sto con un ragazzo che, tra parentesi, si è diplomato con il massimo dei voti. Si chiama Daniel, ma io lo chiamo Dan. Sai quanto sono fissata con i soprannomi. -
Io risi, ricordando il primo giorno che l'avevo conosciuta.
-Tuo padre è riuscito a farti rimettere nella nostra classe? -
-Sì, Bes.-
-Oh,magnifico. Ho dovuto sopportare Sophie come vicina di banco per gli ultimi due mesi dell'anno. -
Feci una smorfia. - Povera te. -
Bessie si sdraió sul tappeto del pavimento della sua camera e accavallò le gambe. Io mi sedetti accanto a lei.
-Quindi ora stai con quel Derek? Non sei più interessata a Bruce? -
-Non sono interessata a nessun ragazzo per ora. Io e Derek siamo troppo lontani adesso. -
-Le relazioni a distanza sono dure- commentò.
Restammo per un po' in silenzio, poi Bessie si tiró a sedere. - Sai che quest'anno avremo un nuovo professore di matematica? Dicono che sia bellissimo, più di quello che abbiamo avuto lo scorso anno. Ma che sia un vero stronzo. -
-Che è successo a quello vecchio? -
Lei scrollò le spalle. - Non lo so. -
Ad un tratto mi sporsi in avanti e l'abbracciai di nuovo. - Mi sei mancata, Bes.-
Mi rivolse uno dei suoi sorrisi, di quelli che le accendevano tutto il viso scaldandoti il cuore. - Anche tu, Tammy. Ma non ti ho ancora perdonata per avermi ignorata. -
Scoppiammo a ridere entrambe poi mi rivolse un altro sorriso, ma di un altro tipo. Di quelli che portano guai. - Dobbiamo farti incontrare con tutti. -
Bessie indossò una canottiera di un rosa pallido e pantaloncini neri in stoffa. Aveva delle gambe bellissime e faceva bene a mostrarle.
Aveva scritto a Cedric per combinare l'incontro, in modo da non fare sospettare nulla a Bruce. Ci incontrammo davanti ad un negozio di alimentari e quando mi abbracció mi colpí su una una guancia con uno degli angoli degli occhiali. - Ahi, Cedric! La tua sbadataggine non è migliorata-gli dissi con un sorriso,che lui ricambiò.
-La tua bellezza invece sì. Non credevo fosse ancora possibile. -
Gli diedi un pugno scherzoso sul braccio. - Idiota. -
-Là ci sono anche Bruce, Sophie e Denise. Non pensate che stessimo facendo un'uscita a quattro. Sono Sophie e la sua amica ad essersi attaccate come cozze a noi, quando ci hanno incontrati alla sala giochi. -
-Non l'ho mai pensato, Ced- disse Bessie con il tono di una che la sa lunga - non sei ancora così idiota da uscire con una come Sophie. -
-Allora! - esclamai io - non perdiamo tempo a chiacchierare qui e raggiungiamo gli altri. Non vedo l'ora di rivedere la cara Sophie. -
Loro due risero.
In poco tempo arrivammo dagli altri.
Erano in piedi davanti all'ingresso della sala giochi. Sophie e Denise parlavano animatamente, mentre Bruce fissava per terra lo spazio tra le loro scarpe. Aveva la faccia di uno che voleva scappare ma non sapeva come fare. Il mio cuore ebbe un tuffo quando lo vidi.
-Ehi, Sophie, hai le scarpe slacciate- gridò Bessie.
Quella puntò lo sguardo sui suoi sandali privi di lacci e rise. Una risata priva di divertimento. - Ah-ah-ah. Ma che carine. Il duetto si è riformato. Ti hanno cacciata dal riformatorio, Tammy? Anche Dio ha capito quanto tu sia senza speranza? -
-Aah, l'invidia-ribatté Bessie - quanto brucia. -
Sophie rise di nuovo, sputacchiando un poco. Poi prese a braccetto Bruce, che mi fissava dritto negli occhi senza proferire parole. Mi faceva sempre lo stesso effetto: sembrava un Angelo, un gladiatore.
-Quest'anno è stato magnifico, escludendo i primi mesi in cui sei stata qui. Hai fatto bene ad andare via- continuò Sophie sputando ancora veleno - al ballo ti saresti trovata sola. In fondo, chi mai ti avrebbe invitata? Io e Bruce invece abbiamo passato una bellissima serata. È un grande ballerino. -
-Non essere sciocca- intervenne Bessie - Sai che se Tammy fosse stata qui, Bruce avrebbe invitato lei. -
Sophie non rispose, ma continuò a guardarci con aria altezzosa, ancora stretta al braccio di Bruce.
-E chi l'avrebbe mai invitata? - proseguì Bessie con tono sarcastico - in fondo lei in un paio di mese ha conquistato tutta la scuola. E non grazie agli atteggiamenti di una facile, come la reputazione che sei riuscita a farti tu in questa città. Invidiosa, Sophie? Perché tu non sei arrivata a tanto in questi lunghissimi anni? -
Ora la faccia di Sophie andava decisamente a fuoco, sia per l'imbarazzo che per la rabbia. Avrei voluto aprire bocca ed intervenire io, come avevo sempre fatto. Ma stavo guardando Bruce, senza riuscire a distogliere l'attenzione da lui. E sembrava che neppure Bruce riuscisse a smettere di guardare me.
Sentii Bessie prendermi la mano. - Bruce, non startene lì impalato. Non vorresti fare due passi con Tammy? Restiamo noi con la piccola Sophie. -
Quest'ultima aprí la bocca per ribattere ma lui si stava già allontanando da lei. Fu Bessie a prendere il suo posto, afferrandole il braccio come se fossero amiche.
Bruce mi prese la mano e mi condusse lontano dagli altri. Mi voltai un poco e vidi Bessie ancora aggrappata al braccio di Sophie, che mi fissava con odio.
Quando fummo nascosti alla loro vista Bruce mi baciò improvvisamente. Non me l'aspettavo. Le labbra di lui erano insicure e tremanti, cosa insolita per lui che era sempre così sicuro di sé.
Staccò le labbra dalle mie, ma non si allontanò, mantenendo le nostre fronti l'una contro l'altra. Respirammo a fondo il nostro profumo mentre i nostri cuori battevano all'impazzata. In quel momento sentivo dentro di me un vortice di emozioni. Mi sentivo in colpa per Derek, ma Bruce mi era mancato moltissimo. E baciarlo aveva riportato indietro i ricordi di quanto stessi bene quando ero con lui.
-Scusami- sussurrò- è da quando ti ho vista stasera che ho voluto farlo. Mi è mancato molto non baciarti per tutto questo tempo. -
Gli sorrisi, non sapendo cosa dire.
Si allontanò e mi infilò una ciocca di capelli dietro l'orecchio. - Ti ho turbata? -
-No, è solo che mi hai sorpresa. -
-È per quel ragazzo? -
Lo fissai senza capire.
-Bessie ha mantenuto il tuo segreto, ma io l'ho scoperto comunque. So di questo ragazzo e non ti giudico. Dico sul serio. -
Strinsi forte la sua mano, sorpresa davanti a quelle parole. Sapeva eppure non era arrabbiato. Geloso, certo, ma non arrabbiato o ferito. Capiva.
-Bessie voleva che ti chiamassi ed io ci ho provato. Ma senza successo. Non squillava mai. -
Il mio vecchio telefono era andato perduto durante l'incendio al collegio, così come la mia scheda. Avevo dovuto cambiare numero, perciò non avevano potuto contattarmi.
Bruce mi prese anche l'altra mano. - Tammy, tu mi piaci. E molto. Per questo te lo chiedo. Stai con quel ragazzo? -
Scossi la testa. - No. - Mi fece male dirlo, ma dovevo accettare quella verità. Derek era troppo lontano da me, distante in tutti i sensi.
Bruce si chinò a baciarmi di nuovo. - Quanto sono contento che tu sia qui. Resterai? -
-Sì, il più a lungo possibile- gli sorrisi con calore. - Ma ora dimmi tu una cosa. Che è successo tra te e Sophie al ballo? -
-Niente- rispose lui - diciamo che mi sono ubriacato e che sono scappato dalla festa per giocare a football con Cedric ed altri amici. E lei non l'ha presa bene. -
Risi al pensiero di quella scena. Guardai l'orologio che portava al polso. - È tardissimo. Devo proprio andare. I miei genitori mi uccideranno se tardo per il pranzo. -
Mi baciò di nuovo, con delicatezza. - Ti accompagno a salutare gli altri, così potrai andare. -
Gli strinsi la mano riconoscente mentre tornavamo dagli altri.
~Angolo Autrice~
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