Ventiquattresimo Capitolo

Quella che d'ora in poi sarebbe stata la nostra casa era una piccola villetta di un color albicocca tenue, con una larga veranda con un divanetto a dondolo. Sul retro il muro era in pietra e nel giardino erano già cresciuti un albero di ciliegio ed uno di albicocche. Sapevo che mia madre lo avrebbe presto riempito di altre piante, facendolo diventare magari un piccolo boschetto dove mi sarebbe piaciuto leggere all'ombra degli alberi.
L'atmosfera era davvero calda e subito un sentimento di felicità pura mi avvolse. Le persone non si rendono conto dell'importanza delle piccole cose finché non le perdono. Io non avevo mai avuto una vera casa eppure l'avevo sempre desiderata, così come altri giovani desiderano un telefono nuovo o una nuova macchina. E la casa risultava qualcosa di troppo sottovalutato.
-Bella, vero? - mi chiese Isaac, che era venuto a prendermi con la sua auto. - Aspetta di vederne l'interno. -
Appena entrati c'era un lungo corridoio, largo sufficiente a far passare da una parte le scale che portavano al piano superiore. In fondo al corridoio c'era il soggiorno e, ancora più avanti, la cucina.
Ben stava già piazzando la playstation in soggiorno, sotto un enorme televisore posizionato proprio davanti al divano.
Salii quasi di corsa le scale. Isaac aveva già occupato la prima stanza a sinistra, sistemando gli scatoloni con la sua roba all'interno. Quella con gli scatoloni di Gabe era proprio di fronte, la prima porta sulla destra. Il nome era stato scritto con un pennarello verde fosforescente.
Subito più avanti, i miei genitori avevano occupato la seconda porta sulla destra.
Ben comparve dietro di me, con uno scatolone tra le braccia. Si affacciò sulla stanza di Gabe e assunse un'espressione offesa. - Non posso crederci! Perché devo sempre dormire con qualcuno? Perché non posso avere una camera tutta mia? E soprattutto: perché proprio con Gabe?lui russa! -
-Perché sei il più piccolo ed è stato deciso così- rispose papà comparendo dietro di noi - ora porta tutta la tua roba nella stanza, da bravo. Voglio gli scatoloni liberi entro domani. -
Ben sbuffò ma fece come gli era stato detto. Allora papà si rivolse a me. - Tua madre ha scelto la tua stanza- mi disse indicando l'ultima stanza sulla sinistra - è la più vicina al bagno, in fondo al corridoio. Stessa ragione per cui lei ha preso l'ultima sulla destra. - Mi fece l'occhiolino.
Con il cuore che batteva forte nel petto, entrai nella mia stanza. Papà aveva già trasportato le scatole con la mia roba, così mi misi subito all'opera approfittandone per ammirare l'ambiente. Al centro della stanza c'era un'enorme letto matrimoniale, con a lato un comodino e lampada. Una grande scrivania bianca e un armadio da una parte, una grande libreria dall'altra, che speravo riuscisse a contenere tutti i miei libri.
Sistemai prima i vestiti nell'armadio, poi i vari cosmetici su alcune mensole e le mie collezioni di libri nella libreria. Per fortuna riuscii a sistemarli tutti.
Poi il mio sguardo si posò sul borsone che la mamma di Derek mi aveva gentilmente mandato. All'improvviso la mia felicità vacillò al pensiero di Derek. Se Caliba non fosse stato così furioso, in quel momento ci sarebbe stato lui con me. Avrebbe fatto qualche battuta sui miei vestiti appariscenti e sul mio comportamento da viziata, ma poi mi avrebbe guardata con quello sguardo che mi faceva sempre piegare le ginocchia e battere forte il cuore. Invece non c'era e la colpa era mia, di nuovo.
Con un nodo in gola, aprii il borsone e tirai fuori lentamente i vestiti comprati ad Atlanta finché, tolto l'ultimo indumento, trovai un biglietto di carta. Restai un momento immobile, sorpresa e spaventata. Con dita tremanti lo aprii.
"Cara Tamara, ti amo. Finalmente l'ho capito davvero. Non fraintendermi, ma è difficile amarti. Devo ripetermi ogni giorno che ti amo per quello che sei veramente e non perché sei una Pandora. Ti amo perché ho avuto la possibilità di conoscerti meglio e di vedere davvero la tua bellissima anima. Il tempo che abbiamo passato insieme è stato meraviglioso e sono felice di aver potuto capire chi tu sia. Non una ragazza viziata disinteressata alla sua condizione o agli altri, interessata soltanto allo shopping e alla popolarità. E tutto ciò mi ha permesso di capire un'altra cosa: io credo che il tuo scopo nella vita sia un altro. Non sei destinata a fuggire per sempre. Lo sento. Sono sicuro che Caliba ti informerà della mia partenza. Probabilmente l'ha già fatto. In Venezuela farò delle ricerche e troverò una strega abbastanza antica e potente da aiutarti. Ti prometto che cercherò un modo per aiutarti, per privarti di questo peso enorme. Vorrei poterti dire che ci rincontreremo di nuovo, ma non posso. Anche se ti amo, ed è la cosa più importante, non sarai mia. È giusto così. Ti scongiuro di trovare qualcuno che sia davvero giusto per te. Un umano. Ama lui e terrai vivo anche l'amore che provi per me. Lui ti darà tutto ciò che io non posso darti. Ti amo, Tamara. Ora e per sempre. Derek. "
Strinsi forte il biglietto nella mano, arrabbiata con me stessa per la mia fragilità e con Derek per avere mollato. Aveva scritto di credere fermamente che la mia vita non fosse soltanto finalizzata a scappare, ma non credeva più in noi. Incapace di buttare via quel pezzo di carta, lo nascosi sotto il cuscino.
Scesi in cucina per pranzo. Trovai le nostre tre nuove guardie: Trajan in soggiorno, Banquo nel corridoio e Danielle in cucina. Quest'ultima mi stava fissando severamente, le braccia incrociate sul petto. - Eccoti, finalmente. Non voglio più chiedere dove sei e sentirmi dire "è uscita". Non puoi uscire sola. Devi chiedere ad uno di noi di accompagnarti e dobbiamo sempre sapere dove ti trovi. -
-Oh, certo. Ho avuto una conversazione simile con Caliba tempo fa. Anche lui credeva di potermi controllare continuamente. Chiedigli come è andata a finire. -
Danielle spalancò la bocca sorpresa e arrossí di rabbia. - Come ti permetti di... -
-Adesso basta, Tammy- intervenne mio padre - cerca di essere più cauta, per favore. Sei contenta di essere tornata a Bannack? Benissimo. Cerchiamo di restarci, però. -
Io annuii, felice che non avesse dato completamente ragione a quella vampira insopportabile.
Subito dopo pranzo, mi telefonò Bessie. Quella sera ci sarebbe stata una festa e poi saremmo andati nella piscina dello zio di Cedric. Avevo proprio voglia di uscire e divertirmi, dopo gli ultimi mesi trascorsi in fuga. Preparai la borsa con alcune cose essenziali e mi affacciai in salotto. - Resto a dormire da Bessie stanotte. Ci vediamo domani! -
Mentre correvo verso l'uscita, sentii mia madre urlarmi dietro. - Tammy? Che hai detto? -
-Dritta da Bessie! - urlò mio padre - è fa' attenzione! -
Banquo insistette per darmi un passaggio ma non disse niente per tutto il viaggio. Quando arrivai, disse soltanto che avrebbe controllato il perimetro prima di rientrare a casa. Io lo ringrazia.
-I tuoi ti hanno lasciata venire? - mi chiese Bessie sorpresa quando arrivai da lei.
-Soltanto perché non sanno della festa. Credono che resteremo da te a guardare film e mangiare pop corn. -
-Ottimo!-
-Qual è il programma della serata? -
-Prima faremo una sorta di uscita a quattro. Io e Dan, tu e Bruce. Staremo un po' insieme, poi raggiungeremo gli altri a casa di Cedric. Detto così sembra poca cosa, ma Ced ha una piscina incredibile. -
Soddisfatta di poter in qualche modo festeggiare il mio ritorno a Bannack e l'inizio di una nuova vita, mi fiondai nei preparativi. Ci facemmo la doccia a torno e ci avvolgemmo degli asciugamani intorno al corpo mentre decidevamo cosa indossare. Alla fine Bessie optò per un vestitino verde acqua a fiori, con lo scollo a V e bretelle sottili.
Io scelsi un vestito blu a balze, stretto sul davanti. Bessie si divertì ad occuparsi dei miei capelli: li pettinò con delicatezza per liberarli dai nodi e li piastrò. Io invece mi occupai dei suoi, legandoli in un morbido ed elegante chignon.
Il mio telefono sul comodino stava sempre vibrando. Mia madre doveva essere preoccupatissima. Comunque non risposi e lo lasciai squillare a vuoto.
Puntuali, Bruce e Dan ci vennero a prendere.

Dan era un ragazzo di bell'aspetto, molto alto e con i capelli chiari. Si era diplomato l'anno prima e stava frequentando un'università prestigiosa lì nel Montana, per diventare ingegnere. Bruce, ovviamente, era splendido come sempre.
Per andare alla festa prendemmo la macchina di Dan, una opel agila blu. Per tutto il tragitto Bessie gli parlò di me e della nostra amicizia, dei nostri litigi con Sophie e di altre cose che erano successe dopo che me ne ero andata. Parlammo lungo tutto il percorso, finché non sentimmo la musica della festa ancora prima di raggiungere la piazza. Sembrava che tutta Bannack fosse giunta in centro città per festeggiare. Era il 27 agosto, il giorno della fondazione di Bannack, una delle feste più importanti per gli abitanti. Mi sembrava incredibile che fosse passato quasi un anno da quando ero giunta lì e che in quell'arco di tempo fossero successe così tante cose.
Scendemmo dalla macchina e andammo verso il palco che avevano allestito al centro della piazza, dove una band suonava e cantava a tutto volume. Ci avvicinammo ad una lunga bancata piena di alcolici, spintonando la gente per riuscire a passare. Riempimmo i bicchieri di un liquido non identificabile. - Beviamo, ragazzi- disse Bruce sollevando il bicchiere - brindiamo al ritorno di Tammy. -
Mi portai il bicchiere alle labbra e bevvi, strizzando poi gli occhi. Era piuttosto forte. Bruce mi sorrise e mi fece l'occhiolino. Continuai ad accettare i bicchieri che mi porgevano e a mandarli giù, senza neppure controllare cosa ci fosse all'interno. Mi resi vagamente conto che non ci stavano chiedendo i documenti, ma non importava. Volevo pensare soltanto a divertirmi e cancellare il ricordo degli ultimi giorni.
Non passò molto tempo prima che i miei amici si ubriacassero. In effetti anche io ero piuttosto brilla. Li guardai: Bessai stava ballando un lento con Dan, nonostante la band stesse suonando musica rock, mentre lui le teneva tranquillamente una mano premuta contro il sedere; Bruce invece sorrideva costantemente, guardando me e loro e le altre persone. Nel frattempo il telefono nella mia borsa stava diventando insopportabile. Avevo un grande mal di testa ed in quel momento la mia pazienza stava per scoppiare. Non sopportavo più quel suono e quella vibrazione provenire dalla mia borsa, così risposi. - Pronto? -
-Tamara Jeckyll! - esclamò mia madre - siamo appena arrivati e già mi fai pentire di averti accontentata! -
-Sta' tranquilla mamma. Sto bene. -
Per qualche secondo ci fu silenzio dall'altra parte della linea. - Cosa... Cosa è tutto questo baccano? -
Mi tappai l'orecchio libero e con la mia voce cercai di sovrastare la musica. - La radio? - misi alla fine della frase una specie di punto di domanda, come se le stessi chiedendo se la mia risposta fosse plausibile.
-Tamara, se sei alla festa della fondazione... -
Non aveva usato il mio diminutivo. Ta-ma-ra significava che era arrabbiata. Che ero nei guai.
-Quale festa? Io e Bessie stiamo guardando film horror e mangiando pop corn come promesso. -
- Dove sei? Ti veniamo a prendere subito. -
-No! - esclamai.
-No?- ripeté mia madre sorpresa e arrabbiata.
-Niente vampiri per oggi, ti prego. Sono solo una normale adolescente che si diverte ad una festa con i suoi amici. -
-Tamara, sento la musica. Non cercare di prendermi in giro. Non uscirai di casa fino a natale se non rientri subito. -
-Sì,come no. - Chiusi la chiamata e spinsi il telefono in borsa, prima che fossi assalita dal senso di colpa. Afferrai il bicchiere che mi porgeva Bruce e lo bevvi tutto d'un fiato.
Effettivamente però volevo allontanarmi da tutta quella confusione. La testa mi faceva male e i peli del collo si erano drizzati, in seguito ad una strana sensazione di inquietudine che mi aveva colpita. In più non riuscivo più a vedere Bessie e Dan. Anche Bruce stava continuando a bere e sembrava ubriaco ormai. Anche io probabilmente lo ero. Non volevo chiedergli di andare via, per timore di apparirgli come una ragazza asociale rovina-feste. Non ne avevo nessuna intenzione.
Ancor prima che me ne rendessi conto, qualcuno mi spinse da dietro e per alcuni lunghissimi secondi persi Bruce di vista. Un brivido mi percorse la schiena. Ecco di nuovo quella sensazione, il bisogno di allontanarmi e andare via. Poi Bruce mi afferró di nuovo e, stretta tra le sue braccia, quella sensazione svanì. Mi strinse da dietro e avvicinó la bocca al mio orecchio.
-Cedric sta chiamando tutti quelli della nostra classe. Andiamo da lui per il bagno in piscina al chiaro di luna. -
Grata di poter lasciare quella piazza gremita senza aver dovuto chiederlo io esplicitamente, salvando così la mia reputazione, Afferrai la sua mano per paura di perderlo nella folla. - Vuoi andare a piedi? - non sapevo dove abitasse Cedric, ma speravo non fosse troppo lontano.
-Potremmo prendere la macchina di Dan. O farci dare un passaggio da qualcun altro. -
Guardandomi intorno scossi la testa. - Sono tutti ubriachi. Dobbiamo trovare Bessie e Dan e andare a piedi. Nessuno di noi è nelle condizioni di guidare. -
Ci facemmo strada tra la folla, tenendoci per mano, tentando di non cadere. Ogni tanto il mondo ondeggiava pericolosamente a causa dell'alcol ma tenni i piedi saldi a terra. Tra i due, sembravo quella più salda sulle proprie gambe capace di farci uscire da quell'ingorgo.
Finalmente vidi Bessie e mi diresse spedita verso di lei. - Dobbiamo andare- le dissi.
-Mi pare ora. Cedric ci starà già aspettando. - Finì di bere il bicchiere che aveva in mano, prese per mano Dan e si fece strada verso le vie secondarie che si dipanavano dalla piazza. Ci infilammo in uno stretto e buio vicolo, a detta di Bessie una scorciatoia. Alcune finestre ci si affacciavano, ma tutte le luci all'interno erano spente e le tende tirate. Guardando in fondo, riuscii a scorgere un cancello socchiuso, con accanto dei bidoni della spazzatura pieni fino al bordo e vecchie scatole di cartone mezze mangiate dai topi. Dietro una vecchia sedia di legno rotta, a cui mancava una gamba, vidi qualcuno. Socchiusi gli occhi, cercando di mettere meglio a fuoco. In fondo il vicolo era ancora più buio e per quanto mi sforzassi non riuscivo ad avere una visione migliore di quella sagoma. Non riuscivo a mettere a fuoco i dettagli, come se fosse soltanto un'ombra provocata dal nulla. Eppure c'era qualcosa...
Bruce mi tiró il braccio verso una via laterale. - Da questa parte. -
Mi voltai di nuovo verso la fine del vicolo e non vidi niente di anomalo, così pensai di essermi immaginata tutto. Tuttavia l'ansia non mi abbandonò e mi strinsi più forte nella giacca bianca che indossavo.
La casa di Cedric era l'unica ad affacciare su un vasto terreno piuttosto lontano dalla strada ed era molto grande. Sua madre era avvocato mentre suo padre era un nuotatore piuttosto affermato. Aveva fatto piazzare ben due piscine: una in un lato della casa, al chiuso e circondata da vetrate, da usare d'inverno; una all'aperto, sul retro della casa, che lasciava usare anche al figlio d'estate.
-Ehi, ragazzi! - Cedric ci venne incontro con una lattina di birra in mano e gli occhiali storti sul naso. - I miei genitori sono fuori per lavoro e non torneranno prima di lunedì. Perciò la casa è tutta nostra! Ovviamente potete restare qui tutto il tempo che volete, anche fino a domattina se vi va. Sapete, per avere il tempo di superare la sbronza. -
Ci dirigemmo verso il retro della casa.
-Dove sono gli altri? - chiesi. Non riuscivo a scrollarmi di dosso l'ansia, la sentivo scorrermi lungo la schiena.
-La maggior parte hanno lasciato Bannack per le vacanze estive e non torneranno prima di settembre. Sophie e le sue amiche non le ho sentite. Quelli rimasti ci raggiungeranno più tardi. -
-Wow! - esclamò Bessie con troppo entusiasmo quando sbucammo davanti alla piscina, un'enorme vasca dall'acqua cristallina illuminata qua e là da piccole luci poste ad intermittenza lungo il bordo. La mia amica sollevó le braccia e si sfiló il vestito, mettendo in mostra le lunghe gambe ed il ventre piatto. Poi si tuffò in acqua, restando in biancheria intima. Molto presto fu seguita anche da Bruce e Dan.
Io mi strinsi ancora di più nella giacca, senza capire cosa mi stesse succedendo. Non riuscivo più a lasciarmi andare o a togliermi di dosso la sensazione che ci fosse qualcosa di sbagliato nell'aria. Bruce mi sorrise e tirò leggermente il vestito, in un invito implicito. Cercando di riprendere il controllo, mi spogliai anch'io ed entrai in acqua. La notte era davvero nera.
Bruce mi si avvicinò e mi baciò, ed io mi strinsi a lui cercando di scaldarmi. Tuttavia ero distratta e neppure la sua vicinanza riusciva a tranquillizzarmi. Mi guardavo attorno, scrutando ogni dettaglio e con la paura di veder comparire Chris da un momento all'altro. Erano timori infondati, lo sapevo. Ma dopo tutto quello che avevo passato lo ritenevo normale. Comunque, incapace di rilassarmi, decisi di tentare una via d'uscita con Bruce. Mi staccai un poco da lui. - non voglio più stare qui fuori. Che ne dici se troviamo un luogo più... Appartato? - misi particolare enfasi sull'ultima parola, sperando che le mie parole facessero l'effetto sperato. In quel momento non stavo pensando a noi due da soli e a quelli che sarebbe potuto succedere, ma soltanto ad entrare in un posto chiuso e sicuro, per far sparire l'inquietudine che provavo.
Bruce mi rivolse un sorriso malizioso. - Allora entriamo dentro. -
Gli altri non si accorsero neppure di quando uscimmo dalla piscina. Bessie e Dan si stavano baciando, mentre Cedric era sparito, forse per andare a recuperare gli altri che dovevano raggiungerci. La porta era aperta così entrammo senza problemi.
Mi strinsi le braccia attorno al corpo bagnato e ricoperto di pelle d'oca. Lasciammo le nostre impronte dei piedi bagnati sul pavimento.
-Hai ancora freddo? - mi chiese dolcemente Bruce.
- Un pochino - ammisi.
Lui sparì per un po' al piano superiore, mentre io mi guardavo intorno. Il soggiorno era molto grande, anche se risultava piuttosto spoglio, come sempre quando si avevano stanze così spaziose: c'era un grande televisore a schermo piatto; un divano in pelle; due poltrone; una grande sedia reclinabile e una cristalliera.
Bruce tornò, con un lenzuolo, una coperta e un asciugamano. Mi porse quest'ultimo, con cui mi asciugai, mentre sistemò il lenzuolo e la coperta sul divano. Poi ci si sedette e mi scrutò dal basso, pensieroso. - Se resti con il costume bagnato addosso, non ti passerà mai il freddo. -
Chiuse la porta a chiave e spense la luce. Ora il soggiorno era illuminato soltanto da una lampada sul tavolino.
-A Cedric non dispiacerà se stiamo qui? -
-È il mio migliore amico. Non preoccuparti, non se la prenderà. -
Mi venne incontro e mi baciò lentamente, usando soltanto le labbra. Ero consapevole di indossare soltanto la biancheria e di mostrare molta pelle, e Bruce mi guardava come se fossi la creatura più bella sulla terra. Mi spinse delicatamente verso il divano ed io non potei fare a meno di pensare a Derek. Lui era stato il primo e l'unico con cui mi fossi lasciata andare completamente, il primo e l'unico con cui avessi fatto sesso. In un certo senso mi sembrava di tradirlo, anche se non stavamo insieme e lui era così lontano da me. Passai le dita tra i capelli bagnati di Bruce, provando un moto di tenerezza verso di lui ma anche di profondo affetto. Lui era sempre stato così gentile e dolce con me e Derek mi aveva abbandonata. Dovevo passare oltre e dimenticarlo, per usare le parole che mi aveva scritto nella lettera. Allora mi lasciai andare.

Il botto arrivó all'improvviso e sia io che Bruce sussultammo. Lui si sollevò un poco dal mio corpo e voltò la testa verso la rampa di scale.
-Hai sentito? - chiesi spaventata.
Lui annuì. I muscoli delle braccia e delle spalle erano tesi.
-Cedric ha un gatto? - chiesi con una nota di sarcasmo.
Bruce scosse la testa.
Gli spinsi leggermente le spalle, per fargli cenno di spostarsi così  che potessi alzarmi. - Forse dovremmo andare. -
Si voltò a guardarmi. Mi guardò tutta. Ero ancora in biancheria e non avevamo fatto praticamente niente. Avevamo passato il tempo a baciarci e a toccarci, avvinghiati l'uno all'altra, ma vedevo dal suo sguardo che non gli era bastato. Che voleva di più. Si chinò di nuovo verso di me, ignorando il mio commento, e ricominciammo a baciarci.
Poi, esattamente come prima, il secondo botto arrivò improvviso. Con la coda dell'occhio vidi qualcosa volare giù dalle scale e schiantarsi sul pavimento a qualche passo da noi. Lo stereo di Cedric.
Bruce si tiró su di scatto. -Ma che cazzo...! - era la prima volta che lo sentivo imprecare in quel modo.
Alle nostre spalle la cristalliera esplose, in una pioggia di schegge affilate che circondarono il divano.
Questa volta Bruce si sollevò, concentrato soltanto su quegli strani avvenimenti. Era spaventato: lo vedevo da come sgranava gli occhi e si guardava intorno. Continuó a scrutare il soggiorno, soprattutto verso la rampa di scale, aspettando che succedesse qualcos'altro. Ma sulla casa era calato un silenzio pesante ed irreale, e non si sentiva neppure il più piccolo suono. Tutto sembrava essersi calmato.
-Resta qui- mi sussurrò Bruce alzandosi.
-No, Bruce! - gli afferrai il braccio - non lasciarmi qui da sola. -
-Devo andare a controllare al piano di sopra. Potrebbe essere entrato un ladro o un cane randagio quando non c'era nessuno in casa. Va' fuori e avvisa gli altri. -
Fece di nuovo per avanzare verso le scale ma io lo trattenni ancora. - Lascia almeno che venga con te. -
Lui scosse la testa irremovibile. - Non è sicuro. E fa' attenzione. -
Indicò le schegge che ci circondavano e i nostri piedi nudi. Incapace di aggiungere altro, lo guardai avanzare lentamente. Cercava di evitare i cocci sul pavimento, ma qualche volta c
ne sfiorava qualcuno e lo sentivo grugnire. Comunque alla fine raggiunse senza problemi le scale e, dopo avermi lanciato un'ultima occhiata, iniziò a salire. Ben presto sparì dalla mia vista.
Tesi l'orecchio, ma sentii soltanto silenzio. Mi sporsi in avanti ed osservai lo stereo, un ultimo modello spaccato quasi a metà. La cristalliera, invece, sembrava essere esplosa senza un apparente motivo. Non vedevo niente che potesse averla colpita. Pensai ad un terremoto, ma una scossa capace di far cadere un mobile così pesante sarebbe stata sentita anche da noi, invece la casa era stata completamente immobile. Qualcosa o qualcuno l'aveva rovesciata, così come lo stereo era volato giù dalle scale. Ripensai alla figura nel vicolo e alla costante sensazione di inquietudine che avevo sentito appena giunta alla festa, la sensazione di essere osservata e di non trovarmi al sicuro.
Riguardai verso la rampa delle scale. Dove era finito Bruce?
-Bruce? - chiamai.
Nessuna risposta.
Mi alzai dal divano e cominciai a camminare tra le schegge, cercando di non calpestarle. Ne sentii una graffiarmi il tallone e quasi caddi tra i pezzi di vetro. Una volta riacquistato l'equilibrio, prestai più attenzione e raggiunsi le scale. Guardai verso l'alto, senza riuscire a vedere niente. - Bruce? - chiamai di nuovo.
Sentii una porta sbattere e Bruce urlare il mio nome. Senza pensarci Salii le scale di corsa, ignorando il dolore al piede.
Raggiunsi la camera di Cedric. Le pareti erano di un blu scuro, con numerose mensole piene di dischi sia nuovi che usati. Alcuni poster di band heavy metal e fotografie di lui da piccolo e con Bruce erano appesi sopra una pesante scrivania piena di fumetti. Al centro della stanza svettava il letto di Cedric, con sopra una coperta a scacchi, un orsetto vestito da giocare di basket e un canestro piazzato nella parete proprio subito dietro al letto. Notai tutti questi dettagli per primi, perché la mia mente si focalizzó sulle cose normali presenti sulla stanza. Su ciò che aveva un senso lì dentro e che poteva essere spiegato facilmente. Ma poi dovetti prendere atto di ciò che mi trovavo davanti, perché era impossibile non notarlo: seduta sul letto di Cedric, accomodata come se fosse la cosa più normale del mondo, c'era Olivia. Olivia: la mia vecchia compagna di stanza al collegio in Svizzera. Quella che mi aveva odiata dal primo istante e che non mi aveva mai rivolto una parola gentile. Non l'avevo più rivista dopo l'incendio alla scuola ed ora era lì.
Impossibile, pensai.
-Oh, Tammy- disse quasi con dolcezza - mi chiedevo quando saresti arrivata. Sai quanta poca pazienza io abbia. -
-Che ci fai qui? - chiesi lentamente.
-Ti stavo cercando. -
L'istinto mi disse di indietreggiare. Olivia emanava una forza malvagia, peggiore di quando l'avevo conosciuta. Non so perché, ma mi aspettavo che indossasse la divisa del collegio. Invece portava un vestitino verde, semplice ma elegante, legato dietro il collo con un nastrino. Era a piedi nudi.
Con un balzo rapido scese giù dal letto e fece un passo verso di me. Io indietreggiai.
-Che ti succede Tammy? - mi prese in giro - pensavo fossi diventata più coraggiosa dall'ultima volta. -
La ignorai. - Come hai fatto ad entrare? -
-Dalla finestra. L'ho raggiunta con un semplice balzo. -
La mia mente stava cercando di lavorare in fretta. Era ovvio che avesse qualcosa di diverso, anche se non avrei saputo dire bene cosa. Olivia non mi era mai piaciuta, ma adesso aveva qualcosa di peggiore. Era pericolosa, veramente questa volta. Non si trattava più di stupidi capricci su chi fosse la più bella o popolare tra noi due. Voleva qualcosa di più da me, qualcosa che non si abbassava ai drammi adolescenziali. In più ci trovavamo al secondo piano, perciò come aveva fatto a raggiungere la finestra con un balzo?
-Eri tu, prima- continuai - in fondo al vicolo. -
-Sì, non sono riuscita a trovarti da sola neppure per un istante. -
-Che ti è successo? -
Olivia mi si avvicinò ancora ed io indietreggiai di nuovo. Cominciò ad osservare i vari cd disposti sulle mensole e le copertine dei fumetti, con sguardo critico. - Mi sorprende che tu me lo chieda, visto che non ti è mai importato che cosa ne sia stato di noi dopo l'incendio. Te ne sei andata tranquillamente, come se niente fosse, come se non fosse colpa tua. Hai pensato a salvare la tua bellissima persona e la vita di chi ti aggradava, senza preoccuparti di tutti gli altri. Chi era fuori dai tuoi canoni di bellezza e popolarità non meritava di essere salvato, giusto? -
La guardai sorpresa. Mi sorprendeva che lei per prima mi facesse la morale, quando si era comportata in modo orribile con me. Mi aveva minacciata, schiaffeggiata e derisa per tutto il tempo che ero stata lí. Inoltre consideravo quelle accuse ingiuste: non li avevo aiutati perché non ne avevo avuto la possibilità, non perché non avessi voluto. - È complicato. Non potevo. -
-Non potevi? - mi guardò sollevando un sopracciglio - solo perché qualche vampiro era lì per te, dovevi comportarti come la stronza viziata che sei sempre stata? -
Indietreggiai ancora e mi appoggiai contro l'armadio, temendo che le gambe mi cedessero ed io cadessi. Non riuscivo a capire. Olivia sapeva dei vampiri?
-Ti vedo qui, davanti a me, sana e salva. A divertirti e ubriacarti con i tuoi amici. E a chi importa di tutti i morti che ti lasci dietro? -
Mi tremó la voce quando feci la domanda che mi premeva. - Tu eri un vampiro? -
Olivia rise. Una risata che mi gelò il sangue. - Certo che no! Altrimenti non avrei lasciato che tu scorrazzassi in giro per il collegio, senza assaggiare il tuo incredibile sangue magico. -
-E allora come sai...? -
-Me l'ha detto lui prima di trasformarmi. -
Mi guardai attorno cercando un arma con la quale difendermi e colpirla, così da poter scappare. - Chi è lui? -
-Un uomo. Io lo amo. -
All'improvviso scappare non mi parve così importante. Dovevo assolutamente capire di cosa stesse parlando Olivia. Se Olivia si trovava lì, anche quel misterioso uomo poteva averla Seguita. Dovevo scoprire chi fosse o non mi sarei sentita più al sicuro. - Di chi stai parlando? Lo hai incontrato durante l'incendio? -
-Sì. Stava cercando te, naturalmente. -
-Era un vampiro? -
-Certo. È stato lui a trasformarmi e a spiegarmi tutto. -
Seguivo ogni suo passo lungo la stanza con attenzione. - Cosa ti ha spiegato? -
Si bloccò e mi guardò dritta negli occhi. - Che quello che mi era successo era colpa tua. -
Afferrai qualche disco dalla mensola accanto a me e glieli lanciai contro, sperando di distrarla. Poi mi voltai di scatto verso la porta per scappare.
In un attimo Olivia mi fu davanti, per niente impressionata. - Oh, non preoccuparti. Non devo ucciderti. A lui servi viva. -
-Chi è lui? - urlai - di chi stai parlando? -
-Credi davvero che te lo dirò? Tu mi hai rovinato la vita e devi pagare. Clio è morta soffocata per colpa tua! Tu sei scappata mentre la mia migliore amica è morta! La cosa migliore che tu possa fare ora è concedermi il magico potere del tuo sangue. -
In un attimo mi fu sopra, subito dopo avermi atterrata con facilità sul pavimento. Mi strinse due mani intorno al collo, senza che io avessi tempo di prendere fiato. Da subito i miei polmoni cominciarono a protestare mentre un sottile velo bianco mi oscurava la vista.
-Non preoccuparti, Tammy- mi disse di nuovo con dolcezza - voglio solo che tu perda conoscenza. -
Mentre sentivo le forze venirmi meno, la mia mano cercava disperatamente qualcosa da usare come arma. Trovai una matita sul pavimento, caduta probabilmente a Cedric. La afferrai e con le ultime forze rimaste la piantai nella tenera carne del collo di Olivia. Nonostante fosse un'arma piccola, Olivia era un vampiro ed il legno è dannoso per loro. La ragazzo gridò e mollò la presa, portandosi le mani sulla ferita dalla quale sgorgava sangue. Sapevo che si sarebbe ripresa presto, perciò mi restava poco tempo. Non potevo scappare dalla porta senza affrontarla, così mi voltai e mi lanciai dalla finestra. Era l'unica possibilità di fuga che mi restava. Fuga dal dolore e dalle torture che lei e il suo complice mi avrebbero inferto se mi avessero presa.
Accettai il suolo senza paura.

~Angolo Autrice~
Se il capitolo vi è piaciuto, lasciate una stellina ❤️

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