Sesto capitolo
-Mi raccomando, scrivimi una lettera appena arrivi a Parigi- mi disse mia madre.
-Sì, te lo prometto. -
La valigia era già pronta. Non potevo salutare nemmeno le mie amiche.
-Mi prenderò cura io di lei- disse Caliba.
Mio padre lo fissò con attenzione, con un'espressione preoccupata. - Ascolta, dopo tutta la storia degli Antichi... -
-Non mi servirei mai di lei, fa parte della mia casata. Hai la mia parola. -
Salimmo in limousine, diretti all'aeroporto. Salutare i miei genitori e i miei fratelli fu difficile, ma eravamo tutti consapevoli del fatto che fosse necessario. Lì non ero al sicuro e con la mia presenza mettevo in pericolo l'intera famiglia.
-Sicura di stare bene? - mi chiese Caliba in macchina.
-Sì, ma... Non riesco a credere che Chris sia contro di me adesso. -
-Il potere rende l'uomo migliore il peggiore. -
Dormii durante tutti i viaggi, sia in macchina che in aereo. Quando giunsi a Parigi, i ricordi di cinque anni prima, quando ero stata lì, mi assalirono. Parigi era il simbolo per eccellenza del romanticismo, un mix frizzante di arte e cultura e architettura, e il tutto si rifletteva nel suo aspetto, nell'immagine che la città dava di sé. L'eleganza che poteva vantare era evidente in ogni angolo, ben visibile grazie al relativo poco traffico e all'ambiente ordinato e pulito.
Gli edifici, le statue e i ponti erano finemente decorati; l'amore per il lusso e la moda erano evidenti nelle basiliche, nelle statue e in ogni altro luogo su cui i miei occhi si posarono. Potei ammirare soltanto da lontano la bellezza mozzafiato de la cattedrale di Notre Dame e de la Torre Eiffel.
-Ti ricordi di questo posto? - mi chiese Caliba ad un certo punto.
Io annuii.
Caliba abitava in una grandissima villa situata al centro della città e circondata da mura fortificate.
-Benvenuta a Villa Felton- mi disse.
L'enorme costruzione aveva l'aspetto di un castello in stile gotico, circondato da un giardino ben pulito e curato, decorato da statue di tutte le forme e grandezze, alcune in pietra altre costruite tramite foglie e rami. C'era persino un altalena solitaria.
Oltrepassammo il cancello, che fu richiuso alle nostre spalle da due guardie.
-Devo ricordarti di non scendere nei sotterranei. Come ben sai, lì alloggiano alcune famiglie di vampiri della mia casata. Quelle più... In difficoltà. Anche loro cercano come te un posto dove stare al sicuro. -
Annuii, continuando a guardarmi intorno.
La mia stanza era al secondo piano, in fondo ad un lungo corridoio. Era grande quasi quanto l'intero appartamento dell'hotel di Bannack. C'era un enorme letto a baldacchino, che ricordava quelli delle favole;una scrivania; una libreria e un tappeto persiano che ricopriva quasi tutto il pavimento. Il lampadario sembrava di cristallo. Mi sentivo piccola in quella stanza. Caliba mi mostrò il bagno, situato in quel corridoio dalla parte opposta alla mia camera.
Poi, quando feci l'osservazione che la camera era spoglia, ci fece mettere un divano e fece diventare lo stanzino adiacente una cabina armadio, a cui potevo accedere tranquillamente da una porta collegata direttamente alla mia stanza.
Verso mezzogiorno mi lasciò sola per darmi il tempo di sistemarmi. Misi il portatile sulla scrivania e inviai una mail veloce a mia madre, poi sistemai i vestiti in cabina.
Scesi al primo piano e incontrai molti vampiri sulla mia strada. Tutti mi guardavano, poiché sentivano sicuramente l'odore del mio sangue. L'odore del sangue di una Pandora. Sapevano cosa era in grado di fare, ma temevano troppo Caliba per tradirlo.
Dopo tanti giri in cui rischiai di perdermi, trovai la sala da pranzo. Era una stanza piuttosto grande, con le pareti in pietra. Al centro c'era un tavolo lunghissimo apparecchiato e ad un angolo una ragazza dai capelli dorati suonava l'arpa. Era bellissima, vestita di una sottile veste argentata.
Era scalza.
Quando vide che la osservavo, mi sorrise. C'era qualcosa di molto strano in quella figura, qualcosa che mi sfuggiva.
Poi capii. Quella era una bambina. Doveva avere sui dieci anni, lo si capiva dal viso innocente.
-Vedo che hai conosciuto la piccola Elide. - Caliba era comparso dietro di me e, con mia sorpresa, infilò il braccio nell'incavo del mio gomito, prendendomi a braccetto. Io potei solo piegare il braccio e fare spazio al suo.
-È una vampira? - chiesi.
-Si. È stata trasformata quando aveva undici anni. La sua famiglia stava morendo di fame, così sua madre ha pregato un vampiro di trasformarla. In quel modo lei sarebbe sopravvissuta. -
Sorpresa, chiesi: - quanti anni ha? -
-Ora ha centosessantatré anni. -
Strabuzzai gli occhi. - È strana- sussurrai a Caliba, in modo da non farmi sentire da lei.
Caliba rimase un momento in silenzio. - Non è sé stessa. Elide? È ora di pranzo. -
La bambina si allontanò dall'arpa e portò le mani sui capelli... E se li tolse. Quei capelli dorati non erano altro che una parrucca. La bambina in realtà aveva dei capelli ricci che arrivavano poco più sotto delle orecchie. Erano castano dorati e apparivano molto luminosi. La sua carnagione era molto pallida, ma aveva guance e labbra rosse.
Lentamente si tolse la veste. Era così piccola che la veste, nonostante non l'avessi notato subito, le stava grandissima. Restò con una camicetta bianca che le arrivava poco sotto l'inguine. Aveva gambe e braccia molto sottili. I suoi occhi, di un verde intenso, erano vivaci e accesi, e le sue labbra erano curvate in un sorriso sinistro mentre prendeva posto a tavola.
- Scusa il suo comportamento- mi disse Caliba e si chinò su di me, per sussurrarmi all'orecchio - Elide è rimasta bloccata nella fase preadolescenza a causa della trasformazione. Non si apprezza. Odia il suo corpo da bambina. Vorrebbe essere bella. Una bella donna. -
Per un momento non capii cosa volesse dire. Quella bambina sembrava fatta di porcellana,tanto era perfetta. Ma probabilmente si sentiva intrappolata nel suo corpo e nella sua mente, incapace di cambiare o di crescere. Completamente immobile.
Lentamente la sala si riempì. Donne e uomini presero posto a tavola. Io mi sedetti alla destra di Caliba, di fronte ad Elide che sedeva alla sua sinistra.
C'era una bella atmosfera, le persone chiacchieravano tra loro e ridevano.
Poi Caliba li interruppe battendo con la forchetta sul bicchiere di vetro. - Un attimo di attenzione, per favore. -
Come per magia, calò il silenzio.
-Avrete notato che abbiamo un ospite. E, grazie all'odore potentissimo che il suo sangue emana, avrete capito chi è. Ma non importa quali pensieri circolino tra i vampiri fuori da queste mura, purché non facciano parte della mia casata. Lei appartiene alla nostra famiglia ed è quindi nostro dovere proteggerla. Anche tutti voi siete qui perché avete un problema o addirittura più di uno. Come lei cercate aiuto e io non ve l'ho mai negato. Perciò non negatelo a lei. -
La folla rimase in silenzio, un silenzio carico di timore ma soprattutto di rispetto. Poco dopo, diversi servitori entrarono trasportando vassoi carichi di pietanze di ogni tipo. I vampiri non avevano bisogno di cibo umano per sopravvivere, eppure potevano mangiarlo tranquillamente. Riuscivano a sentire i sapori diversamente dagli umani, ogni sfaccettatura di ogni singolo ingrediente. Ogni gusto per loro era amplificato. Ovviamente al banchetto non mancò il sangue, che venne trasportato all'interno di grandi ciotole d'acciaio. I vampiri si servivano utilizzando un grande cucchiaio e versando il liquido rosso nei bicchieri. Io fui l'unica a non berlo. Caliba mi sorrise, forse percependo il mio disagio, e sussurrò qualcosa ad un cameriere. Poco dopo mi portò una lattina di coca cola, che io aprii sorridendo a mia volta.
Era così concentrato sul banchetto che ne approfittai per osservarlo. Ora che ero più grande, mi resi conto di quanto fosse bello. Aveva un fisico molto muscoloso e tonico, ma dai suoi movimenti fluidi sembrava molto agile. I tratti del suo viso erano molto marcati e gli occhi azzurri erano vispi e attenti. Era molto affascinante.
Quando finimmo di cenare, le persone si dileguarono dopo aver salutato Caliba con un inchino.
Nonostante il viaggio mi avesse stancata, non avevo ancora sonno e non avevo intenzione di andare a dormire. Così chiesi a Caliba di poter fare un giro per il castello.
-Certamente. Sei libera, purché resti lontana dai sotterranei- mi disse lui.
Non capivo perché non potessi andarci. Non che volessi, ma in fondo avevo pranzato con quelle persone.
Lui sembrò notare il mio turbamento, perché sorrise. - Là sotto è diverso. Quella gente è così disperata che farebbe di tutto per migliorare la propria condizione. Quelle persone che erano con noi a tavola vivono nelle Torri e possono uscire nel giardino sul retro. Potremmo definirle le più tranquille, da certi punti di vista, e per questo hanno più libertà di movimento. Se ti affacci dalla tua finestra, potrai vedere le Torri. Non devi avere paura di loro, ma di quelli che vivono nei sotterranei.-
Infatti, quando passai in camera a prendere una giacca visto che in quella villa faceva piuttosto freddo, mi affacciai alla finestra.
Da una terrazza situata sopra la mia finestra un paio di piani più sopra, partiva un ponte di pietra che si collegava ad una delle due altissime Torri, collegata a sua volta all'altra Torre da un altro ponte. Immaginai quelle due costruzione piene di vampiri.
Feci il giro del primo piano, dove si trovava anche la sala da pranzo, finché non fui attirata dal rumore di pentole e di acqua che scrosciava. Mi imbattei così nella cucina.
Si trattava di una stanza piuttosto grande, provvista di tutto quello che doveva esserci in una cucina. In un angolo della stanza, c'era un freezer molto grande, su cui c'era un etichetta con scritto "scorta rossa". Riuscivo quasi a sentire l'odore del sangue.
-Non dovresti girare qui- mi disse quello che doveva essere il cuoco.
Era alto e magrissimo, con pochi capelli bianchi sulla testa ed un naso a punta. Mi sorrideva amichevole.
-Caliba mi ha dato il permesso- dissi.
-Lo so, ma se non l'avesse fatto sarebbe stato meglio per tutti.- Aprì il freezer e ne tolse un sacchetto di plastica pieno di sangue. Lo mise nel microonde e lo accese.
-Che stai facendo? - chiesi non riuscendo a trattenermi.
-A molti vampiri il sangue piace caldo, proprio com'è quando lo si beve direttamente da una vena. -
Feci una smorfia. - Lavori da molto qui? -
-Dagli anni venti del secolo scorso. Facevo questo lavoro quando ancora ero umano, e per fortuna ho trovato un posto dove poter continuare a praticarlo in tranquillità. -
Annuii. C'era una domanda che mi premeva e non sapevo se fosse il caso di farla. Nella mia vita non ero mai stata a contatto con molti vampiri. A parte la mia famiglia, avevo incontrato Caliba, Tiberio e Chris, quando questi ultimi erano ancora dalla mia parte. Poi le loro guardie, ma viste sempre come dei soldatini più che come dei veri vampiri assetati di sangue. Quel giorno invece avevo pranzato con una trentina di loro e in quel momento stavo parlando con uno chef vampiro. Mi sembrava così strano.
-Non capisco- dissi - questo posto è grandissimo e ho visto molte camere e bagni venendo qui. Che bisogno c'è?I vampiri risiedono nelle Torri e nei sotterranei -
Il cuoco scosse la testa, sorridendo. - In realtà non è così. Molte camere da letto sono occupate. Da Vampiri. Quelli considerati più innocui e che magari risiederanno qui per un lasso di tempo limitato.-
Sgranai gli occhi. - A quali piani? -
-Negli ultimi principalmente. Alcuni sono sparsi per il Castello, ma la maggior parte sono nella parte alta, dove non c'è nessun altro. -
Mi sedetti, sconvolta. Caliba sapeva quanti vampiri mi davano la caccia. Sapeva cosa avrebbero fatto di me e del mio sangue se mi avessero presa. Eppure mi aveva trascinata in un palazzo che ne era gremito. Certo, forse me lo sarei dovuta aspettare. Lui era un Antico ed era suo dovere aiutare i membri della sua Casata. Ma anche io facevo parte della sua gente e in quella situazione mi sentivo più in pericolo di quanto non fossi nella mia città. Se l'avessero saputo i miei, sarebbero corsi a Parigi con il primo volo.
~Angolo Autrice~
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