Ottavo Capitolo
Ero in una casa molto vecchia. Lo capii dalle pareti piene di muffa e dalla vernice ormai scrostata.
Ero seduta sul pavimento, in un angolo. Vidi una figura, poco lontano da me. Non riuscivo a distinguerla bene, ma il contorno sembrava brillare.
Piano piano, diventò più chiara, tanto che iniziai a distinguerne i tratti. Capelli scuri. Due occhi azzurri. Un corpo esile ma agile. Chris.
-Trovata- disse con un ghigno.
Scattai a sedere. Non riuscivo a capire il perché, ma qualcosa in quel sogno mi aveva sconvolta. Lo percepivo come reale.
Forse avrei dovuto raccontarlo a Caliba, ma non lo feci. Ero ancora arrabbiata e non volevo cedere. Ero troppo orgogliosa.
Tuttavia decisi di scendere per la colazione.
Caliba non mi guardò quando entrai in sala da pranzo, anzi. Fece finta di non avermi vista. Nessun altro venne a parte noi due, e questo rendeva la situazione ancora peggiore.
Un cameriere mi servì una tazza di latte caldo e un croissant al cioccolato. Speravo che Caliba continuasse ad ignorarmi, ma non fu così.
-Qual è la ragione per cui ieri sera non ti sei presentata a cena? - mi chiese.
-Nessuna. - Immersi un lato della pasta nel latte e rimasi a fissarlo mentre si scioglieva lentamente, tenendo la parte opposta tra le dita.
-Nessuna? C'era qualche problema? -
-Non avevo fame- continuai.
-Non avevi fame? Tamara, non... - fece una pausa - Non avevi fame- ripeté. Si alzò e uscì.
Ormai la pasta si era sciolta nel latte. Finii in silenzio la colazione e feci un altro giro per la Villa. Passai davanti ad una porta socchiusa e sbirciai all'interno.
-Vuoi entrare? - Di nuovo quella voce rauca. Appena voltai la testa, gli occhi verdi di Elide incontrarono i miei. Attendeva una risposta con il nasino rivolto verso l'alto, nella mia direzione.
Le sorrisi. - Va bene. -
La stanza era più piccola della mia: c'erano un letto a baldacchino, un comodino e una scrivania. Le finestre erano chiuse e le serrande abbassate.
- Non aprirle - mi disse - il sole è troppo caldo. -
Si andò a sedere sul letto e battè con la mano sul materasso, accanto a lei. Mi accomodai sulle vecchie coperte, gelide a contatto con la pelle nuda delle mie cosce, sporche leggermente di sangue. Tentai di ignorare quelle macchie rosse.
-Tu sei Tamara, vero?-
-Si, ma se vuoi puoi chiamarmi Tammy. Gli amici mi chiamano così- dissi, cercando di essere gentile.
-Ma noi non siamo amiche. Non ancora. -
Elide indossava una maglietta a righe in stile marinaio e delle mutandine rosa. Teneva le gambe al petto e sembrava completamente a suo agio nonostante tutto. Evitai di guardarla e osservai la stanza.
-Guarda che cosa ho. - Saltò giù dal letto e da sotto la scrivania tirò fuori un abito. Era rosso fuoco, con il corsetto a forma di cuore, stretto sopra e largo dai fianchi in giù, con la gonna a balze. Gli serviva una stirata, ma era bellissimo.
-Ti piace, vero? - ad Elide brillavano gli occhi - era della mia mamma. -
-È molto bello. -
-Credo proprio che lo metterò domenica, quando avremo il permesso di uscire. - Si tolse tranquillamente la maglietta e lo indossò dalla testa.
-Vuoi dire che la domenica possiamo uscire? - chiesi sorpresa.
-Certo, solo la domenica però. -
Elide aveva finito di vestirsi, e notai quanto il vestito le stesse grande. Il corsetto le finiva poco sopra l'ombelico e la gonna era quasi tutta accumulata sul pavimento. - Mi sta bene, vero? -
-Ti starà bene, quando sarai cresciuta. - mi maledissi appena pronunciai quelle parole.
-Io non crescerò mai- i suoi occhi erano rossi, pieni di rabbia - sono morta. M-o-r-t-a. -
Cercai di rimediare alle mie parole e placare la sua rabbia. - Potresti fartene fare uno identico a questo, ma della tua misura. -
Elide piegò la testa da un lato, incuriosita. - credi che sarebbe possibile?-
-Certo,ci sono molti negozi di abiti qui a Parigi. E bravissimi sarti. -
-Mi ci accompagneresti? Questa domenica? - sorrideva radiosa.
Potei solo risponderle di sì.
A pranzo fui svelta. Non avevo il coraggio di guardare Caliba, seduto accanto a me. Così, appena finii di mangiare, salii in camera mia. Sulle scale, trovai Elide. Indossava solo delle mutandine rosse ed era a piedi nudi.
-Ti va di venire in camera mia? - le chiesi.
Lei annuí felice.
Quando entrai, sul letto trovai un telefono più o meno identico al mio, con accanto la scheda di quello vecchio. La sistemai all'interno e lo accesi, mentre Elide si guardava intorno.
-Questa stanza è grandissima! - disse.
Aprì la porta della cabina armadio è si trovò davanti tutti i miei vestiti. - Wow! - esclamò. Entrò all'interno e cominciò ad ispezionare i miei abiti.
-Elide...- volevo dirle di uscire e di tenere le mani lontane dalle mie cose. Tuttavia non volevo ferirla. Era soltanto una bambina, anche se molto vecchia. E sarebbe stata per sempre una bambina.
-È bellissima! - venne fuori con una maglietta a fiori, piuttosto scollata, e la indossò. Le bretelle però erano troppo lunghe per lei e la rotonda scollatura le finiva sotto il piatto petto. - Me la regali? -
Una parte di me voleva strapparle di mano la maglietta, ma un'altra la compativa. - Elide... Devi dirmi perché fai così. -
-Così come? -
-Cerchi di sembrare una bella donna a tutti i costi, ma tu lo sei sicuramente anche senza indossare cose che non si adattano a te. Sei già bella così e dovresti smetterla di fingere di essere qualcuno che non sei. -
Elide ascoltò a bocca spalancata e sembrò diventare furiosa. Si rannicchiò in un angolo e comincio a dondolarsi avanti e indietro, mentre le lacrime le scorrevano lungo le guance.
Mi sentii in colpa, nonostante avessi scelto con cura le parole e mi sembrasse di aver usato un tono fermo ma allo stesso tempo dolce. - Non fare così- mi avvicinai a lei, ma scattò in avanti.
La bambina che mi era sembrata tanto fragile mi teneva una mano sul collo, mentre i canini si allungano. Tentai di spingerla via con la mano, ma lei mi morse il palmo. I suoi canini penetrarono nella mia carne e lei cominciò a bere. Fu una sensazione terribile, come se qualcuno tirasse fuori qualcosa da me. La mia anima. Poi, dopo pochi secondi, Elide si fermò di colpo e scattò all'indietro, rintanandosi in un angolo. La sua bocca era sporca del mio sangue.
-Mi dispiace- cominciò a sussurrare.
Ad un tratto sentii dei passi nel corridoio. Elide era solo una bambina e non sapevo cosa le avrebbero fatto se avessero scoperto che aveva bevuto il mio sangue.
-Devi andartene- le dissi - e in fretta.-
In un attimo si lanciò dalla finestra aperta, poco prima che sparisse. Quella velocità era assurda persino per un vampiro. Un altro effetto del mio sangue.
Caliba entrò nella stanza, accompagnato dal ragazzo-vampiro e da una guardia.
-Tamara, ho sentito... - Caliba stava fissando la mia mano.
-Sono caduta- mentii.
Mi si avvicinò e mi afferrò la mano, dove il palmo era segnato da due fori perfetti. - Ma questo è un morso! -
-No, non lo è- ribattei.
L' Antico posò su di me uno sguardo autoritario. - Tamara, esigo sapere immediatamente chi ti ha morso. -
Per tutta risposta, io rimasi in silenzio ad osservare il pavimento.
-D'accordo- Caliba schiumava di rabbia - da oggi in poi avrai una guardia che ti seguirà in ogni momento, non potrai fare niente senza il suo, e naturalmente il mio, permesso. Non potrai andare da nessuna parte senza la sua protezione. -
-Che cosa? Non puoi farlo! - non riuscivo a credere che avesse davvero pronunciato quelle parole.
-Certo che posso - inarcò un sopracciglio- o improvvisamente sapresti dirmi chi ti ha morso? -
Chiusi la bocca all'istante, decisa a mantenere il segreto.
-Bene. Te ne assegnerò subito una.
-Fece per allontanarsi, ma io lo bloccai, decisa a non arrendermi. - Non puoi farmi questo! Non sono venuta qui per essere prigioniera in questo posto. -
Si girò di scatto. - Un vampiro di qui ha bevuto il tuo sangue. Hai idea di quanto sarà forte adesso? E più ne beve, più ne vorrà. Sto solo cercando di proteggerti. - Se ne andò velocemente.
Sapevo chi sarebbe stata la mia guardia ancora prima di sentirla bussare alla porta. Lo feci aspettare almeno un quarto d'ora, mentre legavo i capelli in un'alta coda.
Poi, quando mi decisi ad aprire, lo trovai in piedi accanto alla porta, con la schiena contro il muro. Quel ragazzo che tanto odiavo, che mi aveva fatta passare per una bambina davanti a Caliba, proprio lui sarebbe stato d'ora in poi la mia guardia.
-Devi restare almeno a cento metri di distanza da me- dissi, mentre percorrevo il lungo corridoio.
Lui rise. - Non cambi mai, eh? Io sono Derek e mi è stato assegnato il compito di proteggerti. Perciò, in qualità di guardia al servizio di Caliba, ho intenzione di mantenere il mio impegno. E per poterlo fare, devo starti il più vicino possibile. -
Alzai gli occhi al cielo. Bastava la sua voce ad irritarmi. Mentre camminavo, pensai ad un modo per passare il tempo. Se proprio dovevo stare con quello appiccicato, almeno volevo distrarmi con qualcosa di meno noioso. Così mi venne un'idea. - Qui c'è una biblioteca? - chiesi.
-Si, ma dobbiamo scendere. -
Capii subito cosa intendesse. Scendere significava andare incontro a quei vampiri che, secondo Caliba, erano pericolosi. - Ma tu sei la mia guardia. Mi proteggerai. È questo il compito che Caliba ti affidato, no? - dissi prendendolo in giro. Non poté ribattere.
Passai l'intero pomeriggio in biblioteca, senza incontrare i famigerati vampiri. Scoprii molte cose di cui non ero a conoscenza e che neppure immaginavo. Mi muovevo tra gli scaffali pieni di migliaia di volumi antichi, incantata da tutte quelle copertine che parlavano ognuna di storie diverse. Venni a sapere della misteriosa rottura tra Vampiri e Licantropi, dovuta probabilmente alla denuncia del primo e più antico Clan di Vampiri, attuata da uno dei primi branchi di licantropi, in seguito alla quale la razza dei Vampiri fu quasi estinta. Sembra che anche i licantropi fossero facilmente corrompibili dai doni terreni. Molti libri parlavano inoltre delle streghe, divise ormai in due Clan principali: quelle che aiutavano i vampiri, appartenenti alla Congrega del Sangue, e quelle che aiutavano i Licantropi, della Congrega della Luna. Alcune non erano schierate da nessuna a parte, ma vivevano in gruppi isolati lontane dalla loro gente, e si facevano chiamate le Figlie della Terra.
Derek rimase tutte il tempo accanto a me e rispose ad alcune domande. Ero talmente curiosa che dimenticai momentaneamente il mio rancore nei suoi confronti.
-La giustizia dei Vampiri è molto severa- mi spiegò, dopo che lessi alcune parti sulla Costituzione delle Casate dei Vampiri - pensa per esempio al fatto di uscire alla luce del sole. La maggior parte dei Vampiri può farlo, ma ci vuole un permesso speciale. Ogni volta che un umano diventa un vampiro, affronta una sorta di processo di disintossicazione. Gli viene insegnato a vivere tra gli umani senza aver bisogno di staccare loro la testa. Gli Antichi devono occuparsi prima di tutto della sopravvivenza delle Casate, e un vampiro che attira l'attenzione uccidendo umani diventa un pericolo per tutti. Gli omicidi sono ammessi, finché rimangono casi isolati e fatti per una buona ragione. Ai Vampiri è permesso nutrirsi degli umani, senza però ucciderli salvo casi eccezionali. Quando il Vampiro ha superato il processo, una strega al servizio della sua Casata di appartenenza fa un incantesimo su di lui, che gli permette di uscire alla luce del sole. Se il vampiro infrange una delle Leggi, su decisione dell'Antico a capo della sua Casata, potrebbe perdere la capacità di uscire di giorno. O viene direttamente ucciso dalla guardia, a seconda della sua colpa. -
Sfogliando, trovai delle pagine sulle relazioni tra umani e vampiri e ammutolii. Forse lì avrei trovato informazioni che Caliba non aveva voluto darmi.
-È meglio tornare di sopra- mi disse Derek, chiudendo delicatamente il libro. Troppo stanca per ribattere, mi alzai in piedi e tornammo al piano principale.
Elide mi stava aspettando sulle scale, sicuramente per parlare di quello che era successo poco prima. Si era ripulita il viso e indossava ancora la mia maglietta.
Derek mi guardò.
-Andiamo- le dissi facendole un cenno verso il piano superiore.
Derek ci accompagnò fino alla porta e restò fuori quando noi ci chiudemmo dentro.
-Non possiamo parlare liberamente qui- mi sussurrò. Derek avrebbe sentito tutto, con il suo udito da Vampiro.
-C'è un modo? - chiesi.
Elide indicò la finestra e capii subito cosa avesse in mente. Tuttavia decisi di fidarmi di lei, nonostante mi avesse morsa. Lasciai che mi prendesse sulle spalle e saltasse giù dalla finestra. Fu in attimo. Atterrammo sull'erba con grazia.
-Vieni con me. - Elide mi condusse in uno dei rettangoli di guardino, circondati e parzialmente nascosti dalle statue, e ci sedemmo sull'erba.
-Come ti senti? - le chiesi.
-Molto più forte. Come se fossi invincibile. -
-Non avresti dovuto farlo. - Nessuno aveva mai bevuto il mio sangue prima di quel giorno e il fatto che fosse avvenuto lontano dai miei genitori, in mezzo a sconosciuti, mi terrorizzava.
-Mi dispiace. Ho perso il controllo. -
-Non deve succedere mai più. Perché se dovesse accadere un'altra volta... Sarò costretta a dirlo a Caliba. -
Lei sgranò gli occhi. - Ti prego, non farlo! -
-Tu non costringermi. -
Fissò la maglietta che indossava. - Tu non vuoi regalarmela. -
Presi fiato. - Quello che cercavo di dirti, Elide, è che sei una bambina. Di centocinquant'anni, ma pur sempre una bambina. Perché non ti comporti come tale? -
-Posso dirtelo? - mi chiese. Mi sembrava incredibilmente fragile.
-Certo che puoi. -
-Prima di trasformarmi, avevo un migliore amico. Si chiamava Edmund. Ci volevamo molto bene e anche dopo che diventai un vampiro continuò a volermene. Mi accettò per quello che ero, ma... Poi lui cominciò a crescere e io no. Diventò troppo grande per stare con me, io ero e sono una bambina. Così si innamorò di una donna della sua età, e io rimasi sola. Ed è stato così per ogni anno della mia vita. Sono piccola e non so cosa sia l'amore. Ma non lo saprò mai. - Elide aveva le lacrime agli occhi.
-Cerchi di sembrare più grande? - le chiesi.
-È così. -
-Perché non mi fai sentire la tua voce? La tua vera voce. Quella della vera Elide. - Quando capii cosa desiderasse veramente, capii anche perché la sua voce mi apparisse così strana, rauca.
-Va bene- Elide pronunciò quelle parole con una voce flebile e dolce. Aveva tentato di apparire più grande anche mentre parlava e ora, finalmente, non si era più nascosta dietro ad un timbro che non le apparteneva.
-Non devi cercare di essere più grande perché così saresti più bella agli occhi dei ragazzi. Puoi essere solo quello che sei. Perché è questo che ti rende veramente bella. -
Elide puntò i suoi occhi su di me e mise il broncio. - Vorrei essere bella come te. -
Le sorrisi. - Saresti diventata una bellissima donna, ma solo perché sei una bellissima bambina. -
Ricambiò il sorriso. - Grazie. -
-Mi prometti che cercherai di accettarlo? -
-Solo se tu mi aiuti. -
Risi. - Va bene. -
In un balzo, tornammo di nuovo in camera mia.
~Angolo Autrice~
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