Prologo
"Le anime più sono quelle temprate dalla sofferenza.
I caratteri più solidi sono cosparsi di cicatrici"
Khalil Gibran
Non so se vi siete mai cimentati nel bruciore sulla pelle: quello che non vi lascia scampo, quello che brucia dentro e fuori ma soprattutto nel cuore che piange e stride silenziosamente.
Be', se non l'avete mai provato in tutta la vostra vita, potete ritenervi davvero molto fortunati.
Cosimo ormai conosce a memoria quella sensazione, passaggio per passaggio: prima sente il sangue colare piano e velato sui polsi, poi arriva il bruciore improvviso e fastidioso a causa dei globuli bianchi e infine quella strana sensazione di piacere che non sa ancora, dopo anni, se amare od odiare.
Cosimo è seduto per terra, nel bagno della sua enorme casa, con un pezzo di vetro in mano, perché aveva fatto cadere una foto sul suo comodino in un momento di rabbia. La foto ritraeva lui e suo padre insieme ad altre due persone: la sua matrigna, Gioia, e la sua sorellastra. Proprio quella ragazza, Matilde, gliel'aveva regalata nella speranza di smettere di farsi la guerra e trovare un compromesso di pace.
Ha un braccio appoggiato al centro della tavoletta del water e l'altro a penzoloni dal bordo. Il braccio che pende dalla tavoletta ha un taglio lungo le vene e il sangue non ne vuole sapere di smettere di fuoriuscire.
Si sente finalmente un po' libero, un po' un'anima senza limiti terreni, un po' un animale senza la sua odiosa gabbia.
Si sente potente come non mai, ma per cosa? A quale scopo? Per ritrovarsi sempre nello stesso straziante dolore? Continua a chiederselo, però senza trovare una risposta di senso compiuto e giustificabile.
Quando il bruciore inizia ad attenuarsi, apre gli occhi.
Nel buio della sua mente osserva il risultato di quel gesto avventato, come sempre d'altronde.
Lascia cadere a terra il pezzo di vetro che aveva un secondo prima tra le dita e avvicina l'indice alla parte più profonda del taglio.
Lo ammira come se fosse il regalo più bello al mondo e poi lo tocca, sentendo urlare la sua pelle di dolore.
Cerca di chiuderlo, lo stringe forte, ma ottiene solo l'effetto contrario: il sangue esce in abbondanza, esce come un fiume in piena e non c'è modo di fermarlo.
«Cosimo» sente una voce che lo chiama dalla porta del bagno, «lo so che sei lì dentro.»
Tace.
Sta fermo.
É come di pietra.
«Lasciami entrare, per favore» lo supplica ancora una volta.
Quella strana ragazza si è fissata che deve aiutarlo, che può salvarlo dai suoi pensieri, dalla sua famiglia che fa letteralmente schifo e dalla solitudine che si porta dentro da tutta la vita. Ma non è così: nessuno può sottrarlo alla morte, perché lo chiama in un gracidio lontano da anni, ma lui non è mai arrivato al punto di volerla accarezzare, di volerla addomesticare come in quel momento. Lui vuole morire e portare con sé tutte quelle sensazioni che sente in mezzo alla gente, quel senso di inadeguatezza, quella paura costante di essere abbandonato, quel timore di non essere all'altezza dei coetanei che lo circondano.
«Voglio solo aiutarti, ti prego» conclude Matilde, entrando dalla porta, perché Cosimo era così concentrato ad assecondare il fantasma della morte al suo fianco, che si era dimenticato di chiuderla a chiave.
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