Capitolo 1 (parte due)
«Cosa stavi facendo di così interessante da non venire ad aprire al tuo migliore amico?»
«Stavo provando un nuovo gioco per la playstation. É davvero una figata!» disse con particolare entusiasmo. D'altronde, i videogiochi erano pane per i suoi denti e non passava la giornata a non provarne nuovi. Ne aveva fatto provare qualcuno anche a me, ma già dal primo tentativo avevo capito che non era per niente qualcosa che rientrasse nei miei interessi. Preferivo decisamente lo sport, piuttosto di stare seduto a muovere le dita delle mani.
«Immagino...» affermai annoiato. «Ti dispiace se dormo un po' finché giochi?»
«A casa tua non hai un letto?» mi chiese, beffandosi di me. Si mise una mano sulla pancia da quanto stava ridendo e si dovette addirittura sedere sulla sua sedia ergonomica della scrivania. Mi tirai via una scarpa e gliela tirai addosso per vendicarmi. «Ohhhh! Stai giocando sporco» mi ammonì, quasi tornando serio.
«Tu non ridere, non c'è nulla da ridere in questa giornata di merda» gli comunicai.
«Perché? Hai litigato con qualcuno?» si fece improvvisamente contegnoso. Luca era il solito ragazzo un po' cazzone, ma quando gli parlavi di un problema era proprio un buon amico.
«La compagna di mio padre viene a vivere da noi» ammisi senza guardarlo negli occhi.
«La ignorerai a prescindere da quello che ti dirò, quindi non vedo quale sia il problema così grande che vedi tu...»
«Viene anche sua figlia» dissi tutto d'un fiato.
«Oh, ha una figlia?» Non risposi. «Questo potrebbe essere un problema in effetti. Come si chiama?»
«Che cazzo ne so! Ho per caso la faccia di uno che sa come si chiamano le sconosciute che verranno a vivere dentro casa mia?» In realtà il suo nome mi era rimasto impresso come l'inchiostro, ma più ci pensavo più diventava indelebile nella mia mente.
«Se la metti così, proprio no» disse, grattandosi la nuca. Non sapeva nemmeno lui cosa dire o fare. «Magari sono simpatiche...» tentò di convincermi dopo alcuni secondi di riflessione.
«Non cercare di convincermi che sopravvivrò con false speranze. Ho già un piano per farle andare via, dureranno al massimo un mese, vedrai.»
«Il colmo dei colmi sarebbe anche essere in classe insieme!» Lo fulminai con un solo sguardo e alzò le mani al cielo, in segno di sconfitta. Al solo pensiero mi vennero i brividi. «Scusami, amico, ma farebbe troppo ridere come scena.»
«Meglio che torni a giocare alla playstation e io dormo un po'» lo ammonii.
Ad un certo punto del mio sonno profondo percepii qualcosa toccarmi la guancia e spalancai gli occhi in preda all'ansia, pensando che fosse Luca che mi stesse facendo uno dei suoi scherzi idioti. Non c'era da stupirsi date tutte le volte che durante la notte mi aveva disegnato i baffi con il pennarello nero mentre dormivo.
Misi a fuoco la vista e mi trovai davanti Noemi, la sorella di Luca, che mi accarezzava la guancia e il corpo. Noemi era una ragazza abbastanza attraente, avrebbe fatto cadere chiunque ai suoi piedi per la sua bellezza. Aveva i capelli lunghi, neri e una ciocca tinta e in quel momento erano raccolti in una coda di cavallo che le allungava i lineamenti del viso in modo dolce e armonioso. Indossava anche un top nero cortissimo con dei piccoli bottoni dorati, dal quale si poteva intravvedere il suo reggiseno, una minigonna abbinata al top e un paio di stivali western del medesimo colore.
Ma non ha mai freddo questa ragazza?
«Oh, ti sei svegliato» disse, sorridendomi.
«Sì, forse perché mi stai infastidendo» ribattei, cercando di togliermi le sue mani di dosso.
«Dai, Cosi, non fare così» piagnucolò. «Non stavo facendo nulla di male...»
«Primo: non chiamarmi Cosi. Per te sono e sarò sempre Cosimo, come per tutti quanti. Secondo: non puoi tormentare un ragazzo diverso da me? Sono sempre io quello che ti deve subire?»
«Sei proprio di pessimo umore.» Sbuffò. «Se vuoi, posso migliorarti un po' la giornata» proseguì, palpandomi un braccio e continuò a proseguire con una scia straziante.
Trattenni il respiro, perché strinse un taglio abbastanza profondo che avevo sull'avambraccio e dovetti socchiudere gli occhi per non piangere. Ma Noemi interpretò male il mio gesto. Si mise a cavalcioni su di me e iniziò a baciarmi il collo, cercando di togliermi la felpa.
«Noemi» la chiamai a denti stretti, «non voglio niente da te» scandii bene le parole nella speranza di essere chiaro. «Non voglio ripetertelo un'altra volta: togliti di dosso!»
«Che acido! Da quanto tempo non ti fai una ragazza?»
«Sicuramente meno tempo di quello che pensi» lerisposi con un sorrisetto furbo sulla faccia.
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