♰ VI - ʟᴇᴛ ᴛʜᴇ ᴘᴀʀᴛʏ ʙᴇɢɪɴ; sᴇᴄᴏɴᴅᴀ ᴘᴀʀᴛᴇ

[Canzone del capitolo: Pianeti - Ultimo.]

Il salone principale era il luogo più esteso del casinò Flamingo; si trovava al piano terra, a poca distanza dall'entrata. Possedeva un ingresso semplice, formato da una porta, all'altezza della parete a sud, e un altro più fastoso sul lato nord: un'immensa e ampia scala.

Questa era bronzato, come tutto il resto del salone; il soffitto era così alto da far temere che potesse sfiorare la volta celeste e diversi lampadari si cristallo vi pendevano come se fossero state i residui delle lacrime di Dio. Ai lati sinistro e destro, numerose colonne dal greco stile corinzio erano disposte in fila; sulle pareti, tavolta comparivano delle finestre con archi ogivali, decorate con tende bordeaux. Numerosi innesti e finiture erano delle stesse tonalità dell'oro, proprio come le iridi di Nikolaj.

Il pavimento seguiva per grandi linee le fantasie del resto del casinò: era fatto a scacchi, con grandi rombi ramati che si susseguivano. Il soffitto, invece, ritraeva, attraverso un magnifico affresco, la scena biblica della Pentecoste: i dodici apostoli, assieme alla Vergine Maria, venivano graziati e ricolmati di Spirito Santo. Da quel giorno in poi avrebbero portato la parola del loro Signore in ogni angolo del mondo, preservandola dal maligno e diffondendola.

La scelta, naturalmente, non era casuale: l'evento narrato nella Bibbia era un chiaro riferimento al lavoro dei possessori dell'Hotel: oltre a costituire la nemesi, i Peccati Capitali e i loro adepti difendevano i princìpi per i quali avevano stretto tutti un patto e combattevano per essi.

Nella sala regnava il caos più totale: gli invitati erano non solo Arcangeli e servitori, bensì si potevano tranquillamente riscontrare, tra la folla, esseri umani privi di poteri, ma alleati con l'una o l'altra fazione: quella dei buoni o quella dei cattivi.

La puzza di alcool era percepibile, così come quella di sudore dovuta ai balli frenetici con cui si stavno divertendo gli ospiti e quella tipica del fumo, probabilmente introdotta dagli umani, oltre che da Finn.

Elizabeth se lo immaginava già a convertire gli angioletti al lato oscuro grazie all'ausilio degli spinelli.

Era vero, il salone principale raramente era così sregolato, rumoroso e confuso. L'unico appiglio di quiete era probabilmente il piano superiore, quello da cui si accedeva alla scala sfarzosa e, all'esterno, al terrazzo del casinò. Su quest'ultimo luogo, il trambusco giungeva ovattato.

Il Flamingo era in completo subbuglio. Eppure, quando una coppia fece capolino sul gradino superiore dello scalone, il frastuono parve ammutolirsi. Visti da lì, i particolari più grandi divenivano immensamente piccoli, e i minori quasi non si vedevano più. Erano diventati invisibili, così come il bagliore accecante dei lampadari; insignificanti come il lusso che circondava i due giovani; inesistenti come la totalità degli errori commessi dai finti innamorati di quella sera.

All'arrivo di Elizabeth Maleun e Übel Dunkel, il sussueguirsi di strepiti e voci riecheggianti, sfasate e smarrite si era zittito. Le bocche si erano serrate, gli occhi si erano svuotati e i due ragazzi erano stati avvolti da una sorta di magia. Ed essa, per la prima volta, somigliava più a una benedizione divina che a un maleficio.

In cima alla scala, Übel aveva voltato e chinato leggermente il capo per guardare colei che lo affiancava; Elizabeth, invece, aveva puntato le iridi scure su ciò che i due avevano innanzi: da quell'altezza quasi riuscivano a sfiorare il cristallo dei lampadari. Non aveva ricambiato l'occhiata del maggiore, ma non appena aveva percepito il suo sguardo - gelido e pungente, eppure lievemente spaesato, come se il tedesco si fosse improvvisamente ritrovato disarmato di fronte a lei - la diciassettenne dai lucenti capelli corvini aveva notato i propri occhi calare, inibiti, sul pavimento e le proprie labbra incurvarsi, senza che ella potesse controllarle, verso il firmamento.

Si era così formato un sorriso appena accennato, quasi fosse stato troppo timido per farsi mirare in tutta la sua bellezza.

Erano rimasti fermi in quel modo per diversi secondi, forse anche minuti. Il tempo pareva essersi fermato, analogamente alla prima notte in cui i due si erano incontrati e avevano, inconsapevolmente, lasciato che l'anima dell'uno sfiorasse quella dell'altra e viceversa. Era stato un rapimento, uno scambio, un'attrazione reciproca e imprevedibile.

Alla fine Elizabeth aveva rialzato lo sguardo e, ricambiato per un fugace istante quello del più grande, aveva circondato l'arto destro del tedesco con il proprio sinistro e aveva poggiato entrambe le mani sul suo avambraccio.

E così la giovane coppia aveva disceso le scale, gradino per gradino, con estrema lentezza. Entrambi sentivano di dover godere, a pieno, di ciascun attimo condiviso, poiché esso sarebbe trascorso in meno di un battito di ciglia e non sarebbe tornato più da loro.

Erano quasi regali, così opposti quanto simili: entrambi con la schiena dritta e il mento alto; entrambi vestiti con colori scuri, lei con il piccolo strascico dell'abito blu che lambiva il suolo, lui con la camicia nera quanto il suo spirito. Sembravano un re e una regina, soprattutto quando il più grande lanciava occhiate fuggevoli alla minore proprio com'era avvenuto sullo scalino più elevato. Eppure i due erano così differenti, lui con i suoi capelli dorati come il grano e gli occhi più chiari del cielo; lei con la chioma oscura e le iridi del medesimo colore delle pupille. Un angelo e un demone, all'apparenza, ma dalle ali invertite.

Quando giunsero al culmine della gradinata, Elizabeth e Übel non ebbero nemmeno la possibilità di realizzare ciò che era appena accaduto che la voce squillante di Finn risuonò in mezzo alla folla, intenta a chiamare l'adepta della Lussuria.

«Lizzie! Ci stiamo divertento un sacco, vieni qui!» Biascicò infatti, in un grido dilettato, lo svedese, e la violinista riuscì a malapena a intravederlo tra la gentaglia, in un gruppetto di adolescenti che se lo rigiravano tra gli artigli.

Un risolino da parte della corvina commentò la situazione appena scorsa, prima che ella si girasse verso il suo compagno di quella sera.

«Non siamo durati tanto, a quanto pare.» Scherzò, mentre si portava una ciocca dei lisci capelli dietro l'orecchio. Lanciò un'occhiata alla combriccola che, nell'ipotesi non ci fosse alcun domani a succedere quella notte, rideva come se composta da matti. E anche Elizabeth desiderò ardentemente di sentirsi libera e viva per qualche ora, soprattutto dopo quello che era successo nei dieci giorni che l'avevano vista padrona del casinò Flamingo, tra rivelazioni, ricordi, amicizie strette e sangue cremisi.

La scozzese stava per raggiungere il gruppo quando tornò a girarsi per riposare i propri occhi sulla figura del tedesco, che intanto si guardava attorno con la solita linea retta a guidargli l'espressione facciale.
«Non sei così male come pensavo.» Fu l'unica e ultima ammissione che uscì dalle labbra violacee di Elizabeth, prima che esse si accostassero alla guancia destra del biondo per sfiorarle delicatamente, in una sorta di flebile bacio.

Poco distante da loro, Claude li teneva sotto controllo e si accertava che i due seguissero gli ordini da lui stesso imposti. Così, quando notò il gesto da parte della sua adepta, attese che ella posasse i suoi occhi su di lui e, non appena questo accadde, annuì leggermente come per farle capire che la farsa procedeva bene.

Lo sguardo di entrambi gli uomini - Übel e Claude - si stanziò dunque sulla persona di Elizabeth; il primo appariva quasi smarrito, tanto che le sue palpebre erano lievemente spalancate e le sopracciglia bionde si aggrottavano; il secondo, invece, era compiaciuto. Ma la violinista non vide nessuna delle due occhiate, poiché stava già correndo per raggiungere Finn, Niko e i rimanenti coetanei.

Übel era certamente rimasto un po' stordito; sentire le labbra candide della minore sulla propria pelle sembrava avergli procurato una sensazione strana, già percepita durante la discesa delle scale e, ancora prima, durante il primo incontro con la diciassettenne. Il suo viso aveva irrimediabilmente mantenuto la consueta fattezza della pietra polare, gelida e dura; ciononostante, da qualche parte al suo interno, una flebile scintilla aveva acceso una fiamma debole che a stento illuminava il pesante manto di oscurità presente. Chissà se avrebbe avuto la forza di divampare ancora.

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«Quanto scommettiamo che sei troppo infantile per resistere alla mia prossima richiesta?»

Intanto, Elizabeth si era aggiunta alla baldoria provocata da coloro che si erano rivelati gli adepti degli Arcangeli, addizionati a Niko e Finn. Proprio quest'ultimo l'aveva stuzzicata, sfidandola a portare a termine un susseguirsi di capricci e provocazioni.

La scozzese aveva già bevuto un'intera bottiglia di birra, fumate due sigarette di seguito, ballato avanti a tutti e urlato di essere il capo del mondo. Forse nella scorsa affermazione, quella che la vedeva imperatrice, la fanciulla credeva anche abbastanza, probabilmente soprattutto grazie all'aiuto dell'Heineken buttata giù.

«Mi conosci davvero troppo poco, Finn.» Rise la servitrice della Lussuria, mentre si passava la lingua sui denti bianchi.
«Cos'è che devo fare, sentiamo?» Lo incentivò poi, prima di prendere un paio di sorsi dal fiasco di whiskey appartenente allo scandinavo che aveva innanzi.

«Non consumarmela tutta.» Mise bene in guardia quest'ultimo, alludendo alla Jack Daniel's, mentre fissava intensamente la sua interlocutrice dall'abito blu, a tratti più entusiasta che dilettato per la propria richiesta.

Si accostò poi all'orecchio della violinista, ancora ridendo.
«Punto sul fatto che non sei capace di baciare uno di noi.»

Quasi sicuramente, il ventunenne cercava di accaparrarsi attenzioni da parte di Elizabeth. Ella, però, era molto più furba di così. Con un ghigno stampato sul volto, difatti, la giovane si voltò per cercare, nella sala, il soggetto giusto, sotto lo sguardo deluso ma dalle sfumature ancora speranzose del servitore dell'Accidia.

Niko era completamente fuori questione, Übel era sparito chissà dove, i Peccati Capitali era meglio lasciarli dov'erano e preferiva baciare una persona conosciuta anche di striscio; non per igiene, orgoglio o simili, ma per la semplice soddisfazione che si sarebbe ritrovata nel vedere Finn sostituito da qualcuno con cui anch'egli aveva conversato, pure solamente per presentarsi.

Gli unici due concorrenti rimasti avevano fatto parte del gruppetto scioltosi poco dopo l'arrivo della scozzese; ella li aveva visti solo disperdersi tra la confusione, ma Finn ci aveva dialogato eccome. Vittime più che perfette, dunque.

La prima era Videl Josipovič, un croato che Claude l'aveva informata essere il più potente degli adepti angelici mai esistiti. L'altra, invece, era una fanciulla dai capelli lunghi e biondi come il sole, i lineamenti soffici e la carnagione chiara. Ella indossava un corto vestito verde e sembrava essere la preda più squisita.

Elizabeth non avrebbe potuto chiedere di meglio, mai meglio di Elinor Savior.

«Ti ficco una sigaretta su per il buco del culo la prossima volta che metti in discussione la mia audacia.» Fu la semplice replica della diciassettenne che, dopo aver strizzato un occhio al ventunenne minacciato, si avviò divertita verso la malcapitata.

Mentre le si avvicinava, la corvina ne aveva approfittato per studiarsela bene: le chiare iridi verdi brillavano sotto la luce dei lampioni, tanto che a Elizabeth diedero quasi il voltastomaco. C'erano troppe persone con gli occhi verdi lì.

La maggior parte del tempo, Elinor pareva corrucciata, chiusa a riccio; i teneri sorrisi che ogni tanto si lasciava scappare, però, avevano fatto capire alla diciassettenne che le andava incontro che quella esterna era solo una corazza, eretta come difesa. Elinor non era così fredda come voleva far credere, si notava lontano un miglio.

Quasi Elizabeth si ritrovò a sperare, per un attimo, che anche per Übel fosse così; che l'immancabile gelo sul suo viso fosse solo una precauzione nei confronti delle azioni altrui. Ma, sotto sotto, ella sapeva di sbagliarsi.

«Salve.»
Non appena fu giunta a destinazione ed ebbe avuto perfettamente di fronte la biondina, l'adepta della Lussuria si ritrovò a ghignare più di quanto non stesse già facendo.

«Uhm...» Elinor la squadrò per bene, corrugando la fronte con titubanza.
«Posso aiutarti?»

«In effetti... Sì, puoi.» Annuì Elizabeth, lasciandosi sfuggire una risata compiaciuta.
«Ti risparmio il proemio; sappi solo che è il giorno migliore della tua intera esistenza.» Si affrettò ad assicurare solamente, tralasciando qualsiasi tipo di carineria o gentilezza.
Così, dopo aver lanciato un'occhiata a Finn per accertarsi che egli tenesse tale scena ben fissa nella mente, la corvina si sporse per rubare un bacio alla confusa fanciulla appena conosciuta.

Fu così rapida che la povera vittima non ebbe neppure il tempo di spintonarla via.

«Ma che diavolo fai?!» Fu però in grado di esclamare ella, indignata e sprezzante, mentre si puliva freneticamente la bocca con una manica del vestito smeraldino.
«Che schifo!»

«Volgaruccia.» Si ritrovò a commentare, sarcastica, Elizabeth, che nel frattempo stava ancora ridendo dall'accaduto.
"Sicuramente troppo volgare per il ruolo che ricopri, adepta di Gabriele." Concluse poi, tra i propri pensieri, la diciassettenne, mentre, camminando all'indietro, cominciava a svignarsela.

«Tu-»

«E pure ingrata, a quanto pare.» Stroncò poi un tentativo di replica da parte del prossimo angelo, allargando le braccia con un sorriso sornione sulle labbra, come per mostrarsi maggiormente.
Elizabeth Maleun possedeva tanto egocentrismo da potervi riempiere un intero oceano, se non tutti quanti.
«Io sarei onorata di baciarmi. Dovresti esserlo anche tu.»

E, prima che Elinor potesse proferire altro, la minore stava già correndo nella direzione da cui era provenuta, pronta a ridere in faccia anche a Finn.

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Dopo essersi goduta l'espressione irritata dello svedese, la diciassettenne si era allontanata per far fuori un'altra birra. Questo era, probabilmente, l'alcolico che più ella preferiva.

La festa stava andando a gonfie vele: se la stava davvero spassando con Finn e Niko. Per non parlare della faccia che aveva fatto quella Elinor! Gli Arcageli e i loro sottoposti erano davvero così stupidi come credeva? A quanto pareva sì, decisamente.

La malattia sembrava essere obliata totalmente; mai Elizabeth aveva guardato il marchio sull'avambraccio, soprattutto poiché era certa che, se l'avesse fatto, avrebbe notato il petalo più annerito di come l'aveva lasciato. Tanto valeva lasciarsi completamente andare: a una tubercolosi polmonare ci avrebbe pensato il giorno seguente, assieme al trauma post-sbronza con il quale si aspettava di risvegliarsi.

Adesso, la giovane stava sorseggiando una nuova Heineken; era rilassata, con il capo e la schiena poggiati alla parete calda.

Ritagliarsi una piccolo parentesi nel bel mezzo di tutto quel caos sembrava possibile se ci si rifugiava nelle riflessioni di ciò che stava avvenendo.

Non ci volle molto, però, affinché Claude rovinasse ogni cosa, almeno dal punto di vista della scozzese. Dalla visuale del ventottenne, infatti, era proprio la sua adepta a stargli mandando il piano all'aria.

Egli l'aveva raggiunta, adirato, e non aveva neppure aspettato di possedere le piene attenzioni o di essere abbastanza vicino alla più piccola per riprendere le redini del carro tra le mani.

«Cosa stai combinando, precisamente?» Sputò, non appena la ebbe davanti a sé, mentre incrociava le braccia al petto e inarcava un sopracciglio scuro.

«Che ti serve, Claude?»
Con le palpebre semi-abbassate, Elizabeth si preoccupò di accendersi l'ennesima sigaretta della serata piuttosto che dare ascolto al suo mentore. La Lussuria non avrebbe guastato anche quello spiraglio di normalità, non quella notte. Stava andando tutto troppo bene per essere sfasciato dai capricci di un Peccato Capitale qualsiasi.

«Metti giù sia la bottiglia che la sigaretta.» Le ordinò il diretto interessato, con un tono che non ammetteva obiezioni. Difatti, quando una di queste fu superficialmente sperimentata, non ci volle troppo affinché il vetro si accasciasse al suolo e si distruggesse in mille pezzettini taglienti e la cicca fosse spenta sotto la suola di una scarpa lucida.

Solo a quel punto Elizabeth si destò dal sonno a occhi aperti e li spalancò, rendendosi conto finalmente di come si stava comportando.

Non che le interessasse particolarmente, ma doveva pur sempre ricordare che Claude aveva il potere di costringerla a tutto ciò egli desiderasse. Anche alle peggiori torture.

«Cosa stai facendo?» Dunque, il francese ripose la domanda fatta poco prima; stavolta si curò di scandire minuziosamente ogni sillaba, sicuro che ora la minore non avrebbe esitato a rispondere correttamente.

Tratto un respiro profondo, ella si staccò dalla parete; si passò una mano tra i capelli corvini, per ravvivarli, e distolse lo sguardo.
«Mi stavo solo divertendo.»

«Non è ciò che ti avevo chiesto.» Le fece notare quindi Claude, calando leggermente il tono.
«Eri con le persone sbagliate.»

«Lo so.»

«Stavate procedendo bene, tu e Übel!» In un borbottio quasi infantile, il moro si soffiò via un ciuffo dagli occhi verdi. 
«Quasi quasi stavate per confondere anche me. E quel bacio, poi! Gran bel trucco.»

Elizabeth alzò gli occhi al soffitto, osservandolo fugacemente: in quel momento avrebbe preferito di gran lunga avere una fiamma in testa come gli apostoli piuttosto che stare lì a compiacere i voleri di un demone dell'Inferno.

«Elizabeth...»
Claude abbassò le palpebre, tirò un respiro profondo e le solo allora le rialzò, posando il proprio sguardo sulla ragazza che aveva innanzi.

Era davvero bella, quella sera: la chioma oscura le inquadrava il viso in maniera sublime e la sua fisionomia appariva meno spigolosa di quando era arrabbiata. Vederla ridere a quel modo, come non faceva da tanto, gli aveva sicuramente fatto uno strano effetto: per un secondo aveva temuto di aver perso il controllo sulla sua psiche. Era per questo che doveva agire: lui era la personificazione della Lussuria, era suo compito tenere a bada una mera diciassettenne.

«Ti prego, ho bisogno che tu e Übel vi facciate questo favore.» Riprese, non appena l'interlocutrice si fu decisa a ricambiare la sua occhiata.
«Non solo a me; anche a Yvonne, a Dimitri, a Paula. E di conseguenza, anche a voi due e gli altri adepti.»

«Sono stanca di agire senza conoscere alcunché, senza sapere per cosa combatto!» Sottraendosi di scatto al contatto fisico che, nell'accarezzarle una guancia, il ventottenne tentava di avere, Elizabeth gli fece capire limpidamente le sue intenzioni: avrebbe mosso dito solo se il maggiore le avesse spiegato ogni cosa. Che usasse il suo potere, altrimenti! L'aveva già fatto e costringerla a compiere azioni indesiderate sarebbe stato più facile per entrambi.

«Va bene.» Acconsentì questi, con un ulteriore sospiro di resa. Era vero, la capacità di obbligarla gli avrebbe decisamente fatto più comodo, ma egli stesso aveva raccomandato di non usare i poteri demoniaci: farlo di nuovo avrebbe potuto mandare tutto a monte.

Non gli restava di utilizzare le buone maniere, dunque.

«Gli Arcangeli hanno cominciato a destare sospetti: non gli sembrava possibile l'inesistenza di un sentimento come l'amore, non in un luogo con centinaia di partecipanti.» Esordì quindi, cauto e a bassa voce.
«Se non l'avessero notato sarebbe saltato tutto. E non ci conviene affatto.»

«E l'hanno trovato?» Ribatté, scettica, Elizabeth, con le sopracciglia inarcate.
«L'amore, dico.» Specificò poi, scimmiottando con disprezzo il nome della forza maggiore al mondo.
«L'hanno trovato in me e l'uomo di latta

«Hanno ceduto al trucco.» Mentì il più grande, annuendo più intimorito che sollevato.

Era sempre stato un gran bugiardo, Claude: le falsità lo inspiravano e lo coprivano ogni volta. Quella notte, però, delle gocce di sudore gli imperlavano la fronte, segno del nervosismo che percepiva tra i peli rizzati della barba. Non era tanto il fatto di aver mentito sulle intenzioni degli Arcangeli a spaventarlo: essi non avevano mai neppure pensato lentamente che la festa fosse stata organizzata dai loro nemici. Ciò che gli faceva paura, al contrario, era la maniera in cui i bagliori nelle iridi di Elizabeth e Übel erano mutati durante la discesa delle scale. O, nel caso del tedesco, come la scintilla aveva preso a sfolgorare per la prima volta.

Vincolarli insieme era stata una prevenzione, una prova. E, purtroppo per i Peccati Capitali, l'esame era stato superato magnificamente.

«Cosa vuoi che faccia?» Dopo minuti di obiezione, Elizabeth si era finalmente arresa al Demone maggiore. D'altronde ella aveva ricevuto una delle tante risposte agognate, concedergli un favore non l'avrebbe di certo uccisa. Anzi, evitare di farlo probabilmente sarebbe stato capace di scatenare l'ira di Claude Luxure, a tal punto da spingerlo ad eliminarla. Tanto valeva non rischiare.

«Restate insieme per il resto della festa.» Richiese solamente l'uomo e, senza dare alla minore l'opportunità di accettare o continuare a negare, egli girò i tacchi e scomparve tra la marmaglia. Gli occhi della corvina finirono col posarsi, proprio per volere del suo mentore, al piano superiore: in piedi, poggiato a una nuova parete, Übel Dunkel teneva le mani nascoste nelle tasche dei pantaloni e la nuca bionda posata contro il muro.

Le palpebre erano socchiuse, tanto che l'idea di una dormita da parte del tedesco sfiorò, per un istante, la mente di Elizabeth. Ma no, Übel non era il tipo.
Diversa gente si trovava al piano superiore assieme al diciannovenne, ma la violinista sapeva per certo che era lui. L'avrebbe riconosciuto ovunque.

«Claude vuole i piccioncini, dunque.» Si disse fra sé e sé ella, accompagnando il ricordo della "supplica" con un sospiro.

Volse nuovamente le pupille alla figura del tedesco e, mentre lo osservava, un flebile sorriso nacque sulle sue labbra, simile a un fiore intimidito che sboccia dopo le intemperie. Presa dalla determinazione, tale espressione si trasformò ben presto in un sogghigno e lo sguardo si indurì, colmandosi di risolutezza. Elizabeth avrebbe soddisfatto il Demone cui era legata, cascasse anche Dio in persona. Era una questione di orgoglio, quella, e non andava presa sottogamba.

«Che abbia i piccioncini, allora.» Concesse infine, decisa anche a tener fede alla promessa fatta a se stessa, quella che prevedeva l'incolorirsi del cuore di Übel.

Si strinse quindi il vestito tra le dita affusolate, alzandolo lievemente e tenendolo ben stretto, in modo da poter correre più velocemente per le scale. E, con le iridi iniettate di sangue, non le distolse mai dalla figura del bel tedesco.

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ANGOLO AUTRICE
Due capitoli in settimana, in più uno dei quali diviso in due parti?
Bene, sto ufficialmente perdendo colpi.
La famosa festa di cui si discorreva nel capitolo "La Signora delle Camelie" è finalmente giunto. Qual è stato il momento che più vi è piaciuto?
Ho provato a sfoltire un po' le descrizioni e devo dire che sono felice del risultato: le due parti di questo capitolo mi sono sembrate meno pesanti delle precedenti. E a voi?
Elizabeth sembra essersi mostrata, in queste parecchie righe, per ciò che è diventata negli ultimi tre anni, proprio come la descriveva Claude. Come vi pare la versione più determinata e forte della nostra Lizzie?
Ancora, finalmente conosciamo molto meglio i restanti adepti - Niko, Finn e Übel - e due nuovi personaggi, uno in particolare, che saranno cruciali per il continuo della storia: Videl, il servitore angelico più potente mai esistito, ed Elinor, una ragazza dalle fattezze adorabili e dalla corazza impenetrabile, o quasi.
Come vi sembrano i personaggi? Condividete il modo di essere? E il vostro preferito, chi è?
Fatemi sapere nei commenti!
Spero che i capitoli siano stati di vostro gradimento e attendo con ansia di conoscere le vostre opinioni. Intanto, vi lascio alle vostre ipotesi su ciò che succederà in seguito, tra Elizabeth e Übel che oramai sono stati costretti a trascorrere del tempo insieme.
Noi ci vediamo al prossimo capitolo; sino ad allora, vi auguro un buon proseguimento!
Da qui è tutto;
Chapeau,


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