♰ IX - ᴡʜᴇɴ ᴛʜᴇ ᴘᴀʀᴛʏ's ᴏᴠᴇʀ

[Canzone del capitolo: "Take me to church" - Hozier. Buona lettura🌹]

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Übel discendeva così velocemente le scale che Elizabeth faticava a stargli dietro.

Si ritrovò di fronte a una sala completamente al contrario: la musica non suonava più, la folla non gremiva. La gente era spaventata: si teneva sottobraccio, accalcata, e non fiatava.

Le iridi attente di Elizabeth guizzarono da una parte all'altra del luogo, il necessario per notare che al lato opposto delle scale dalle quali lei e Übel scendevano si era formato uno spazio semivuoto, attorno al quale si erano riuniti tutti i presenti.

Essi si tenevano a debita distanza, e sembravano seriamente terrorizzati dagli individui al centro del cerchio.

Übel si arrestò di scatto, ed Elizabeth quasi non batté la propria faccia contro la schiena larga del tedesco.

«Übel...»

La corvina si sporse in avanti, nel tentativo di capire cosa ci fosse di tanto eclatante. Scese un paio di scalini e, quando Übel cercò di fermarla, prendendola per un gomito, ella strattonò il braccio. La presa del biondo era salda: le dita le si impigliarono nella pelle come uncini. Ma Elizabeth era accigliata; aveva un presentimento terribile che le arpionava i polmoni in una maniera che le appariva troppo familiare per lasciar stare.

Discese dunque tutte le scale, producendo un ticchettìo fastidioso con le scarpe che battevano spedite e continue sul pavimento lucido. La stoffa dell'abito blu strisciò per terra, fino a quando non si ritrovò calpestata da una suola nera.

«Non avvicinarti un passo di più.»

Di nuovo, quella presa ferrea. Stavolta, però, concedeva di meno. Stavolta non concedeva niente.

Si voltò a guardarlo: i suoi occhi celesti non avrebbero perdonato altro. Ella lo fissò con le sopracciglia appena corrugate, come a chiedergli spiegazioni di una presa affatto esagerata, quantomeno ovvia.

Deglutì un nodo che le si era stanziato alla gola, perché il suo brutto presentimento le appariva temibile ora che il tedesco sembrava curarsi di qualcosa.

«Übel-»

Elizabeth si zittì immeditamente, ma non fu a causa dello sguardo da soldato del servitore dell'Ira. Piuttosto, il silenzio che aveva regnato fino ad allora - se non fosse stato per i due adepti - si ruppe. La voce che esordì proveniva dal cerchio attorno al quale si erano raggruppati tutti, ma era una voce strana. Non era unana, ma la giovane non riuscì a spiegarsi di che natura potesse essere.

Assomigliava a lame di ferro che strisciavano contro una superficie, unghie contro una vecchia lavagna, forchette sul fondo di una pentola. Non era abbastanza armonioso per essere definito "suono"; più che altro pareva rumore, un demoniaco rumore metallico che non aveva niente a che vedere con quel mondo.

La diciassettenne si congelò sul posto; il sangue nelle vene sembrava essersi solidificato.  Sembrava polare.

La presa di Übel non si era sciolta di mezzo centimetro. Lui era ancora lì, a trattenerla con un piede piantato sul vestito e una mano a tenerla per il gomito in un modo così saldo da farle male.

La folla si aprì lievemente; la scena le fece tornare alla mente Mosè che spartiva le acque. Ma le acque erano esseri umani e Mosè non sarebbe potuto essere meno santo.

Una figura si mosse tra la gente. Era alta, magra, nera. Oltre ciò, era però allo sguardo indefinibile, come se fosse stato un qualcosa di troppo ultraterreno per poter essere concepito.

Somigliava a uno stormo di insetti o corvi. Era tetro, cupo. Un brivido percorse la schiena di Elizabeth e le dita di Übel cominciavano a lasciare davvero un segno rossastro sulla pelle di porcellana della minore.

«Mollami.»

Fece vagare fugaci le pupille sul viso asciutto del biondo, quel viso che non mostrava alcuna emozione. Le labbra erano sigillate in una linea retta, come le sopracciglia; le lunghe ciglia chiare, invece, creavano un'ombra sugli zigomi taglienti.

Il diciannovenne parve non dare testimonianza di vita; a stento faceva notare di respirare. Restò lì immobile, ancora con la coda del vestito di Elizabeth sotto la suola della scarpa destra e una presa ferrea sul suo gomito. Ma non disse nulla: lo sguardo glaciale sembrava aver già "espresso" il suo disappunto per l'ordine datogli dalla più piccola.

«Übel» sentenziò quest'ultima, sentendosi scoppiare. Era una pentola a pressione colma di frustrazione, come se tutti le stessero tenendo gli occhi puntati addosso e stessero aspettando una sua ribellione di cui andare fieri. Ormai al limite, strattonò nuovamente il braccio. Inutilmente, anche, perché Übel oppose resistenza ancora una volta. Ed ella non poteva tanto in confronto alla forza del tedesco.
«Mi stai facendo male» pronunciò dunque, ora le iridi puntate in quelle del maggiore.

«Tu non sai chi è» si giustificò solamente lui, tirandola con veemenza verso di sé e abbassandosi leggermente per poter essere alla sua altezza. La guardò austero, combattendo la sua espressione contrariata con la propria.
«Non fare l'idiota e sta' ferma qui.»

Übel avrebbe scommesso la testa su quanto Elizabeth fosse una bambina. Anzi, non l'avrebbe fatto perché gli sarebbe sembrata una stoltezza che poteva risparmiarsi, ma il punto era: lo scopo preciso di andare incontro a un qualcosa di pericoloso era? Che motivo aveva Elizabeth per fare una cazzata simile?

Forse voleva solo farsi notare. O magari dimostrare chissà cosa perché era così inappagata da doversi gettare a braccia aperte in situazioni assurde solo per sentirsi meno abbattuta. Che poi, abbattuta da che? Übel davvero non riusciva a concepirlo.

Ma Elizabeth si sentiva davvero così in quel momento: era frustrata, torchiata, assillata da quella senzazione di aspettativa. Si sentiva come se qualsiasi azione esterna avrebbe convogliato verso uno sbotto.

La mente era compressa; offuscata, ingarbugliata. La ragazza percepiva di non riuscire a ragionare lucidamente... a patto che ci fosse mai riuscita. Fu per questo che, a un certo punto, esplose.

Gli urlò di lasciarla andare e tirò via l'arto con tutta la violenza che aveva in corpo. Eppure essa non servì a molto, perché Übel la lasciò andare prima che fosse necessaria.

Elizabeth si girò completamente verso la figura nera, ma non la guardò; piuttosto, prestò attenzioni ai segni rossi che si ritrovava sul braccio. Li sfiorò con la punta dei polpastrelli, sospirando; Übel era davvero tanto, tanto testardo. E anche forte.

Un applauso lento e ironico interruppe i suoi pensieri. Per un momento ebbe le vertigini e si sentì precipitare, ma riuscì a restare in piedi. Alzò con estrema lentezza il mento, volgendo quindi lo sguardo all'ombra sinistra che comodamente, senza fretta, le si avvicinava.

Essa continuava a battere le mani - sempre che ne avesse un paio - e la sua risatina metallica cominciò a echeggiare nella sala luminosa, mentre in sottofondo il resto degli astanti tremava nel panico e nella confusione.

Il cerchio di persone ora era attorno alla figura, a lei e ad Übel dietro di lei. Solo durante quegli attimi Elizabeth constatò la presenza dei Peccati Capitali poco distanti dall'ombra scura.

Il contatto si creò immediatamente tra lei e Claude; il Peccato della lussuria sembrava preoccupato, come se avesse voluto rimettere a posto un errore pericoloso e non ne avesse avuto la possibilità. E se la persona più meschina e sadica che conosceva non era tranquilla, pensò Elizabeth, allora c'era da spaventarsi.

Eppure questa fu solo una conferma: il gelo che la giovane percepiva man mano che la figura si avvicinava le aveva già dato qualche indizio.

L'ombra si fermò all'improvviso, a un paio di metri dalla diciassettenne. Era come se a un tratto avesse ricordato qualcosa di importante, ma Elizabeth dubitava fosse stata un'azione così... normale. Era tutto troppo diabolico per pensare come persone normali.

«Mi sembra che tu abbia fatto una giusta scelta, Claude.»

Fu un secondo: la voce pronunciò delle semplicissime parole e tutta la sala prese ad urlare. Gli adepti dei Peccati Capitali e quelli degli Arcangeli furono gli unici a non farlo, ma si ritrovarono a doversi coprire le orecchie per il fastidio immensurabile che stavano provando.

Solo uno di loro non mosse un dito: Übel. Egli restò lì immobile, dritto, determinato. Le sopracciglia bionde si corrugarono lievemente e la mascella si contrasse appena. I pugni si strinsero così tanto da sbiancargli le nocche perché il dolore, soprattutto psicologico, era elevato: centinaia di persone stavano gridando allo strazio, e la risata soddisfatta dell'ombra nera gli perforava la mente come dozzine di lame incandescenti piantate nelle tempie. Ma non si spostò di un centimetro; lasciò solamente che una goccia di sangue bollente formasse un segmento diretto tra l'orecchio e il collo della camicia, ora sporco di liquido cremisi.

Elizabeth strizzò le palpebre alcune volte, però continuò a tenere un rapporto visivo con Claude; in quel momento sentiva di aver paura di guardare la figura sinistra o qualsiasi altra presenza di quella sala. Claude non era affidabile - d'altronde quella festa era stata una sua idea e la figura nera sembrava conoscerlo - ma la sensazione di essere quasi più al sicuro, continuando a mirare solo lui, la rasserenava relativamente.

Tutto zittì improvvisamente: all'ombra era bastato alzare le "braccia" e il luogo era calato in un silenzio tombale. Elizabeth aveva sentito Übel gemere appena dal dolore accumulato, ma decise di pensare di esserselo immaginato, soprattutto perché ancora non voleva voltarsi a guardarlo.

«Yvonne?» Chiamò la figura, voltandosi verso il Peccato dell'Ira. Mentre quest'ultima gli rispondeva con un "Sì, signore?", mettendosi al suo servizio, Claude mostrò i palmi delle mani alla sua adepta, come a chiederle di restare lucida e non fare sciocchezze. La situazione sarebbe degenerata, Elizabeth lo aveva compreso. Ma date tutte quelle raccomandazioni stava per accadere qualcosa che l'avrebbe toccata da vicino; Elizabeth aveva intuìto anche questo.

«Continuo a essere dell'idea che tu abbia fatto il lavoro migliore» proseguì l'ombra, rivolgendosi alla donna bionda. La folla aveva smesso di urlare, ma continuava a coprirsi le orecchie, poiché la voce continuava a far male.

Übel e Yvonne si scambiarono uno sguardo fugace, simile a quello che c'era stato tra Elizabeth e il suo mentore. Ma Yvonne si fidava di della diplomazia del tedesco, non gli stava raccomandando; forse, solo di far attenzione.

«La freddezza di Übel mi è piaciuta sin dall'inizio. La sua pazienza, che è un po' un colmo, e la sua resilienza... Apprezzo il suo comportamento.»

La figura prese a muoversi; affiancò per un momento Elizabeth, che ancora non aveva intenzione di spostare gli occhi, e di avvicinò a Übel. Prese tra le dita, affilate ma poco nitide, alcune ciocche dei capelli dorati e del giovane, rendendoli disordinati. Dopo averle osservate con cura, ammirandone la compostezza, le lasciò cadere sulla fronte imperlata di sudore.

Yvonne si portò l'indice destro alle labbra, facendo segno al suo servitore di restare in silenzio. Ma molto probabilmente era solo un ammonimento a se stessa, per accertarsi di non intervenire. Sapeva che alle parole del personaggio sinistro c'era un "però" e anche che Übel non vi avrebbe reagito. Era troppo intelligente per insorgere a una provocazione, soprattutto conoscendo chi gliela stava per imporre e il suo immane potere. Eppure lei aveva più difficoltà: quando si trattava del suo adepto perdeva facilmente le staffe, più facilmente del solito. Era come se le stessero toccando il "suo", e ciò non doveva assolutamente avvenire.

«Sei sempre stato il mio preferito. Ma tutte queste qualità, se rivolte a me, non mi aggradano.»
Come volevasi dimostrare, il discorso continuava. Yvonne si immaginò un ghigno compiaciuto disegnato sulla bocca dell'essere, sebbene quest'ultimo non avesse un volto. L'ombra si fermò poi per alcuni secondi, durante i quali Yvonne capì che il colletto sporco di sangue del diciannovenne, il suo non coprirsi le orecchie come gli altri, era stato un gesto di aggressione passiva. E non era stato gradito.

«Devi smetterla di sfidarmi.»

La sentenza fu catastrofica: Übel si ritrovò in aria e subito dopo scaraventato verso l'enorme lampadario di cristallo a una velocità impressionante. La catena d'oro che teneva l'oggetto attaccato al soffito si spezzò all'impatto, collassando sul tedesco, il quale finì di peso sul pavimento.

Elizabeth si girò immediatamente a guardare cos'era successo. Fu un impulso impossibile da controllare, dettato da una forza interna che era stata maggiore del timore di non distogliere mai lo sguardo da quello del suo Peccato Capitale.

Gli occhi le si spalancarono; Übel era a diversi metri da loro, ma schiacciato sotto un lampadario imponente, ora rotto in numerosissimi pezzi di cristallo.

Se il tedesco era vivo, si era fatto tanto, tanto male.

Fu questo a sconcertarla di più; più della spinta, più della caduta, più della taglia del lampadario. Il fatto di vedere Übel ferito o anche solo esposto era totalmente fuori dalla sua idea del ragazzo. Übel era una macchina da guerra; Elizabeth non avrebbe mai potuto associargli il concetto di vulnerabilità.

Fece un passo in avanti, mossa dall'istinto di spostare ogni frammento di cristallo pur di ritrovarlo sepolto lì sotto. La lucidità chiestale da Claude era inesistente poiché, in quel momento, il cervello non era minimamente collegato.

La personificazione della Lussuria fece per dirigersi spedita verso la propria adepta, per bloccarla prima che anch'ella potesse agire in maniere che avrebbero infastidito la misteriosa figura sinistra. Tuttavia, non fu necessario: essa stessa frenò la scozzese.

«Tu.» Asserì infatti, con quel tono metallico che faceva accapponare la pelle a chiunque.
«Sta' immobile dove sei.»

Scandì ogni parola con assoluta lentezza e precisione, come a volersi assicurare che l'ordine impartito fosse rispettato. Ma se c'era una persona che non aveva la più pallida idea di cosa significasse ascoltare il volere altrui, quella era Elizabeth Maleun.

Vedere Übel scaraventato via con così tanta violenza avrebbe dovuto spaventarla ancora di più; eppure quell'azione sortì l'effetto contrario, perché la violinista sembrò piuttosto destarsi dal timore e riprendere le redini del caratteraccio che si ritrovava.

«Sareste dei candidati perfetti se solo non foste così ribelli.» Commentò l'ombra, con una semplicità tipica di chi sta affrontando una normale conversazione fatta di reciproci pareri. Nel frattempo Elizabeth si muoveva spedita verso il lampadario crollato; sembraca star ignorando le attenzioni della figura nera, benché in realtà intimidita e con continui brividi a percorrerle la schiena. Era conscia di star remando contro una corrente assai più veemente di lei.

Il personaggio sinistro continuava a parlare, apparentemente inascoltato; intanto osservava con circospezione l'agire della diciassettenne, come a volerne studiare il comportamento.

Purtroppo per Elizabeth, l'ombra aveva pochissima pazienza: passarono giusto una trentina di secondi prima che si stancasse e ricordasse, di nuovo, chi era al comando.

«Pensavo che ti avessero insegnato che si ha una determinata condotta in certe occasioni.» Esordì, con tanta e relativa calma. Gli bastò uno schiocco di dita ed Elizabeth si ritrovò completamente sotto il suo controllo, analogamente a un pezzo di legno nelle mani del suo burattinaio.

La giovane tentò di sottrarsi, ma era totalmente paralizzata; se prima era stato difficile scappare alla presa ferrea di Übel, ora era impossibile.

Un'espressione contrariata si fece spazio sul suo viso, mentre la scarica di adrenalina lasciava posto al timore precedente. Eppure Elizabeth non lo diede affatto a vedere. Come suo solito, l'orgoglio era un gradino più in alto a qualsiasi tipo di sincerità.

I polpastrelli le formicolavano, come se tutta l'elettricità che aveva in corpo stesse convergendo verso le sue stesse estremità. Ma la ragazza non riusciva a percepire altro, poiché sotto il pieno dominio dell'ombra.

Se c'era qualcosa che la irritava oltre alla perdita del controllo maniacale su tutto, era il fatto che fosse stato tirato in ballo l'insegnamento che Axel avrebbe dovuto impartirle. Non era stata una brava allieva, eppure suo fratello le aveva mostrato così tante cose... la gentilezza e l'educazione erano tra queste.

Axel era una persona così buona, rispettosa, docile. Se avesse potuto, Elizabeth avrebbe staccato a morsi la testa della figura anche solo per aver nominato suo fratello. Ma non poteva per due motivi: uno era la sua immobilità, l'altro l'effettiva inesistenza della presunta testa. Tutto ciò l'avrebbe decisamente divertita in altre condizioni.

«Vedi...» procedette soddisfatta l'ombra, a quel punto certa di essere ascoltata.
«Solitamente ci si inchina di fronte a chi è migliore di te.»

Prese a camminare in tondo, a passo lento e moderato. Elizabeth piuttosto sogghignò, lasciando scappare una risata sarcastica: c'era davvero qualcuno migliore di lei?

Nell'udirla, la figura si stanziò immediatamente sul posto. Con forza, manipolò l'adepta più piccola affinché ella si voltasse verso di lui.

Visti dall'esterno, Elizabeth sembrava star avendo la meglio. Sebbene intrappolata nella sua stessa pelle, sebbene inerme. Continuava a sfoggiare quel sorrisetto irritante e provocatorio che infastidiva sempre chiunque.

Niko e Finn, d'altra parte, non potevano raggiungerla. Era troppo rischioso. Ma nel vederla così sfacciata, il pensiero che stesse vincendo lei ebbe la meglio su quello che la ritraeva come una stolta.

Elizabeth l'aveva detto a Übel un paio d'ore prima: o si ha il controllo, o si crede di averlo. Lei non s'illudeva: lo possedeva e basta. E sperò che, in quegli attimi, anche il tedesco ne avesse per lei, lì sepolto sotto una miriade di pezzi di cristallo e catene d'oro.

La figura alzò un braccio ed Elizabeth si ritrovò un la schiena piegata, in un inchino dolorosissimo. Eppure continuò a tenere lo sguardo saldo sull'ombra scura, probabilmente per tutto il tempo in cui prima, spaventata, non lo aveva deviato da Claude.

Quella risata fredda e diabolicamente compiaciuta riempì la sala ampia, ancora una volta.

L'ombra riprese a camminare, avvicinandosi alla corvina. Quando la raggiunse, si abbassò appena, giusto per poterle accarezzare il viso pallido.

«La Lussuria ha fatto davvero una bella scelta» le sussurrò, godendo nel guardarla strizzare gli occhi per il dolore: le sue carezze erano roventi come metallo sciolto e, al contempo, come il gelo più polare. D'altronde, si sa, il fuoco e il ghiaccio bruciano in egual misura.

«Eppure sarebbe strano trovare più di una similitudine tra te e Übel» continuò, beandosi dei gemiti di tribolo della giovane.
«Potrei addirittura trovarmi combattuto tra chi dei due sia il mio preferito.»

Con un gesto fugace della mano, liberò Elizabeth; ella collassò presto al suolo freddo, portandosi subito le dita sul viso come a cercare conforto dal male.

«Tu...» tentò di pronunciare, l'ossigeno che le sembrava mancare.
«Chi sei?»

L'ennesima risata riecheggiò nel salone, e i presenti sconosciuti e terrorizzati si strinsero ancora di più gli uni agli altri.

«Avete tanti modi di nominarmi» rispose la figura, voltandosi e iniziando ad allontanarsi un po' dalla ragazza che sedeva sul pavimento.

«Satana» cominciò a elencare, mentre una stricia di fumo nero si espandeva passo dopo passo e la sua voce risultava quasi più sinistra ora che regnava la consapevolezza.
«...Lucifero, Diavolo, Anticristo... chiamami come più ti aggrada.»

L'aria sembrava tossica, perché Elizabeth a stento respirava. Puzzava di compiacimemto, ma puzzava anche di sconfitta, di vergogna.

Forse esisteva qualcuno peggio di Claude, pensò la scozzese. Ed era davvero destabilizzante rendersene conto, perché di trattava di una cattiveria incommensurabile, ultraterrena. I Peccati Capitali non erano neanche uno capello della potenza di Satana, di conseguenza neanche della sua meschinità.

«O mio Dio, Videl!»

Qualcuno gridò, dal fondo della sala. Sembrava una voce familiare, almeno per Elizabeth, ma non abbastanza da comprendere chi fosse.

Ella girò quindi il capo, nel tentativo di riusciva almeno a intravedere di chi si trattasse. Quando notò un ragazzo basso coprire la bocca di colei che le stava accanto, ricordò come stava procedendo la serata quando si stava divertendo con Finn: i due erano gli adepti degli Arcangeli maggiori, e la biondina che aveva appena urlato era la stessa che Elizabeth aveva baciato per scommessa.

Com'era che si chiamava? Aveva un nome angelico, cauto, raffinato. Eleanor?

Elinor.

Videl parve intimarle qualcosa, probabilmente di restare in silenzio. Loro non sapevano di essere in casa del nemico, ma affrontare Satana sarebbe stato da sciocchi.

D'altronde, Elizabeth l'aveva appena fatto.

Per un momento pensò ai due servitori celesti e a quanto si stava divertendo assieme a Finn, quando la serata era cominciata da poco. Avvertì una stretta all'altezza dello stomaco al desiderio di vivere, per una volta, una vita normale. Senza problemi, senza Demoni o Angeli, senza schieramenti e pericoli di morte ogni giorno. A questo punto, magari, anche senza malattia. Era così invisibile che sembrava sparire, ogni tanto, nascondendosi solo per tornare a tormentarla in pensieri fugaci come quello.

Avrebbe davvero voluto che la sua principale preoccupazione fosse fingere di trovarsi in determinati rapporti con Übel, come qualche ora prima.

Elizabeth sgranò improvvisamente gli occhi neri: Übel. Era ancora sotto il peso del lampadario?

Lo cercò con lo sguardo, preoccupata, ma si sentì sollevata nel notare che Yvonne era riuscita ad avvicinarsi a lui e tirarlo fuori. Ne intravide però solo l'ombra sfocata, troppo lontana per riuscire a comprendere le sue condizioni di salute.

Si voltò quindi a guardare Claude. Egli era poco dietro Lucifero; teneva le mani congiunte e le iridi verde smeraldo vispe.

La giovane cercò disperatamente conforto in esse, in una preghiera indiretta di assicurarle la fine di quella serata. Il Diavolo non era mai stato al casinò, magari non ci sarebbe più tornato. Sarebbe stato davvero rasserenante.

Claude però distolse lo sguardo, ed Elizabeth comprese di non poter ricevere le risposte positive che anelava. Non era finito niente. Forse il peggio doveva ancora iniziare.

D'un tratto, Satana riprese a camminare in cerchio. Non si era minimamente curato dell'intromissione degli adepti degli Arcangeli, che in effetti non erano stati un problema. Videl aveva stroncato tutto sul nascere ed era stata una mossa matura e giusta.

Ma c'era ancora qualcosa che il signore degli Inferi doveva portare a compimento e sembrava starci rimuginando su.

«Potrei chiudere in bellezza col farti ricordare le buone maniere...» propose infatti dopo poco, rallentando.

«Lucifero» intervenne tempestivamente il Peccato Capitale della Lussuria, sporgendosi in avanti per raggiungere il suo superiore. Non fece neppure un passo e cambiò idea, decidendo di restare dov'era. Pareva avere abbastanza confidenza con il Diavolo da potergli parlare quasi come un "amico"... ma fino a un certo punto. Tuttavia, restava il suo braccio destro e Peccato più fidato.

«Non è ancora il momento. Lo farò io, lo giuro, ma non credo che ora-»

«Fa' silenzio!» Lo zittì subito Lucifero.
«Ho deciso. Non ti immischiare.»

Claude lanciò uno sguardo scoraggiato alla sua adepta, prima di annuire sottomesso e tornare con le braccia conserte nell'attesa inevitabile di ciò che sapeva sarebbe successo.

Elizabeth aggrottò le sopracciglia e sostenne lo sguardo del mentore, come a voler tentare di estrapolare più informazioni possibili. Le ultime due ore erano state un susseguirsi di brutti presentimenti e la sensazione non voleva ancora abbandonarla.

Percepì nuovamente un brivido percorrerle la colonna vertebrale, mentre pensava alle parole di Satana: farle ricordare le buone maniere le suonava come una lezione da insegnarle, sicuramente. Si chiese se sarebbe stata scaraventata contro un altro lampadario.

Ma c'era dell'altro: il modo in cui Claude si era fatto indietro, la maniera in cui aveva ubbidito la preoccupavano. Cominciava a rendersi conto che non avrebbe dovuto apprezzare i segni rossastri sul braccio, quando Übel la teneva arpionata, e che non avrebbe dovuto spostarsi di lì.

La testa di cazzo l'aveva fottuta ancora una volta.

«Probabilmente il modo migliore per farti ricordare le buone maniere è farti ricordare chi avrebbe dovuto insegnartele.» Riprese dopo un po' Lucifero, prendendosi una pausa dalla sua eterna camminata in tondo.

«Vediamo se sopravvivi a questo

Elizabeth capì che egli aveva sentenziato e il sangue le si raggelò nelle vene nell'udire tali parole. Tentò quasi di scomparire in se stessa o nel vestito blu notte, provando a scappare da ciò che stava per avvenire.

Sperò solo che la visione di suo fratello l'avrebbe salvata da tutto questo.

La scozzese sentì una sorta di botta alla testa, nonostante nessuno l'avesse neanche sfiorata. La vista le si offuscò gradualmente ma in maniera assai veloce e il controllo del proprio corpo l'abbandonò nuovamente, ma stavolta era diverso: non era sotto il dominio di Satana, solo non aveva più il proprio.

L'ultima cosa che fu capace di scorgere prima di perdere i sensi fu Niko che correva verso di lei nel tentativo di prenderla mentre ella cadeva completamente distesa a terra. Poi, il buio.

E fu un po' come essere già morta senza ricordarsi di essere mai nata.

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Angolo autrice
Ogni volta sembra che debba partorire e continuo a chiedermi perché avvenga sembre verso le tre/quattro di notte.
Ci ho messo davvero tanto, TANTO a pubblicare questo capitolo - non aggiornavo da tipo novembre - ma spero di essermi rimessa in carreggiata in modo più o meno dignitoso.
Non scrivevo da un sacco e questo capitolo è stato davvero difficile: non avevo idea di cosa far accadere, e quando ne ho avute un paio non sapevo come stenderle. Spero solo di esserci riuscita abbastanza bene e di non avervi confusi troppo.
Gli ultimi mesi sono stati strani, soprattutto per il lockdown. Sono felice di dirvi che però ho maturato tante scene che avverrano tra un po' e non vedo l'ora che si entri nel vivo della storia.
Well, Lucifero. È un personaggio particolare, credo l'abbiate notato, e spero che vi siate fatti un'idea di lui in questa parte.
Spero in generale che il capitolo vi sia piaciuto e aspetto vostre considerazioni o dubbi da cancellare.
Nella prossima parte ci sarà da struggersi, preparate i fazzoletti. Quelli soprattutto per il travaglio dell'altra gravidanza che separa questo capitolo dal prossimo. Spero solo che non siano nove mesi AHHAHA.
Vostra,

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