♰ II - ᴛʜᴇ ᴊᴏʟʟʏ ᴀɴᴅ ᴛʜᴇ ᴀᴄᴇ ᴏғ sᴘᴀᴅᴇs
[Canzone del capitolo: All the good girls go to hell - Billie Eilish.]
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Una partita appena conclusa di scala quaranta era stata abbandonata sul tavolino circolare in legno, quasi il vincitore volesse sfoggiare il proprio trionfo.
E infatti eccolo lì, il vincitore: Nikolaj Shutka si trovava seduto comodamente e in modo alquanto scomposto sulla poltrona tra il tavolo e la parete bordeaux.
Si poteva intuire facilmente in che modo egli avesse battuto l'altro, pur essendo in palese svantaggio visti i numerosi tris e l'unica carta rimasta all'avversario, il quale ormai non si trovava più in quel luogo.
D'altronde, una sola carta - l'unica capace di farlo - aveva capovolto l'esito della partita. L'unica carta che poteva essere ogni cosa.
Accanto a un terzetto di Assi, infatti, era posta gloriosa tale carta, che rappresentava, sullo sfondo sporco di sangue, un giullare con un sorriso da malfattore dipinto sul volto.
Una ciocca dei ricci capelli castani, ribelli, indomabili ricadeva sulla larga fronte, andandosi a posizionare dinanzi a uno degli occhi dorati che scintillavano come oro lucente nel bel mezzo della notte.
Le gambe chilometriche, le quali suggerivano l'elevata statura del giovane - egli misurava infatti ben un metro e novantaquattro - erano avvolte dalla stoffa del pantalone nero e distese in modo da mostrare tutta la loro lunghezza. Niko, intanto, ora giocherellava distrattamente con un coltellino dalla lama tagliente quando la sua lingua, ora con le numerose carte rimaste nel mazzo, ora con un fucile da caccia, puntandolo contro la testa di chiunque gli capitasse a tiro; il solito sorriso malandrino stampato sulle labbra e un luccichio di follia nelle iridi gialle quanto il gilet che egli indossava al di sopra della camicia immacolatamente bianca.
Niko era piuttosto affascinato dalla facilità con cui la gente poteva perdere la vita. Forse aveva intrapreso la strada del militare proprio per questa ambigua attrazione verso tali decessi tanto banali, elementari: bastava pensare alla faccia dei soldati - che essi fossero nemici o alleati - quando questi venivano fucilati sui fronti: stolti, non avevano la più pallida idea di dove fosse arrivata la pallottola, eppure si ritrovavano stesi in una pozza di liquido cremisi a passare a vita migliore. Comico, sicuramente.
Dunque si divertiva a puntare il proprio e amato fucile da guerra contro chiunque passasse avanti: sarebbe bastata una leggera pressione sul grilletto e, qualunque persona si fosse sfortunatamente ritrovata nella tacca di mira, avrebbe perso la partita, perso l'esistenza, e sarebbe caduta in una pozza di sangue, tramortita nel bel mezzo di una sala di uno dei più grandi casinò del mondo.
A passi cadenzati, Elizabeth Maleun si imbatté totalmente per caso nel luogo dove il giovane russo si dilettava a giocare con l'arma e, come una preda nel mirino del cacciatore, ella si ritrovò con la canna del fucile puntata contro. Sebbene fosse a distanza di tre o quattro metri e malgrado la vista del ventitreenne non fosse delle migliori, egli aveva sviluppato con gli anni - passati nell'esercito sovietico - un'ottima mira che funzionava a prescindere, la quale era anche accompagnata da una buona dose di fortuna.
Lo sguardo della scozzese, nero come la pece e vispo come quello di una persona che sta sull'attenti, vagava con circospezione nel luogo, soffermandosi come di consueto su ogni centimetro esso incontrasse. Non ci volle troppo affinché notasse dunque la canna di un fucile puntata contro la propria persona.
La diciassettenne inarcò un sopracciglio corvino e si avvicinò al tavolino attraverso larghe falcate, delineate dal suono dei tacchi neri battenti sul pavimento.
«Spero vivamente per te stessi puntando a qualcuno che non sia io.»
Aggrottando appena la fronte lattea, Niko depose l'arma, facendo sì che essa si tenesse in verticale nell'angolo che si veniva a creare tra la poltrona su cui era seduto e la parete. Dopodiché rivolse piena attenzione alla giovane che gli era innanzi, curioso di ascoltare ciò che ella, come una bambina viziata che si crede il capo del mondo, aveva da rimproverargli.
«Mi stai ascoltando o no, quattrocchi?»
«Tecnicamente sono quattrocchi solo in modo relativo, lo sai?»
Mentre con la mano sinistra estraeva un morbido fazzoletto giallo dalla tasca, la destra del moro dai capelli ricci raccattò con calma e serenità gli occhiali dalla montatura carbone, i quali avevano attirato sin da subito l'interesse di Elizabeth e l'avevano spinta a trasmutarli da semplici e utili oggetti in un carattere da utilizzare per prendere in giro.
Così, dedicandosi con devozione alla pulizia delle lenti, sebbene esse non fossero affatto sporche, Nikolaj proseguì pacato:
«Ti spiego: solitamente preferisco l'uso delle lenti a contatto, ma dal momento che ora...»
«Non mi interessa, idiota.»
Con un tono che straripava di palese ovvietà, la corvina roteò le iridi scure e sospirò già stufata. Era facilmente irritabile, lei, e soprattutto dopo la situazione appena vissuta bastava respirare la sua stessa aria per inquietarla: insomma, Elizabeth si era risvegliata dall'altra parte del mondo senza ricordare nulla di ciò che ella stessa era; aveva incontrato un probabile maniaco che si era scoperto Demone dell'Inferno e che le aveva concesso il beneficio del dubbio sull'identità di quel ragazzo, Axel, che adesso era l'unico spezzone di passato che la scozzese possedeva; un uomo che l'aveva baciata di punto in bianco e che infine le aveva proposto un patto, da lei accettato, il quale non prometteva nulla di buono.
E forse il bacio era stata la parte meno traumatizzante, dal momento che la diciassettenne non aveva sentito il contatto effettivo con le labbra dell'altro, bensì si era concentrata unicamente con ciò che le era stato mostrato in quel modo.
Aveva visto tanto potere scivolarle tra le mani: friabile, concreto, possente; aveva visto il controllo sulla mente di chi le stava attorno, sui loro pensieri, sui loro corpi; aveva percepito sulla propria pelle il tocco altrui, risanante come cemento armato nelle crepe. All'apparenza quel patto appariva decisamente ricco di fruizione, benché colei che lo aveva approvato non sapesse bene in cosa questo consistesse realmente. Eppure la fanciulla era solita compiere scelte azzardate, offuscate dalle illusioni che le si proponevano dinanzi, senza pensare minimamente alle conseguenze.
«Comunque ti ci vedo bene con un buco in fronte, sai, атомная бомба?»
La propria lingua malandrina Niko non riusciva proprio a tenerla a freno. D'altronde era fatto così, lui: non gli importava degli altri, ciò che gli interessava era solo il prender loro in giro. Sotto questo punto di vista lui ed Elizabeth erano davvero simili: a nessuno dei due fregava del parere altrui: chi li circondava poteva benissimo andare a prendersi un tè con Satana in persona, per quanto riguardava ambo i giovani; nel tragitto, però, lo sfortunato avrebbe potuto chiaramente udire battutine, che sarebbero state semplicemente derisorie da parte del ventitreenne, sarcastiche e maligne da parte della diciassettenne.
Per tale ragione il moro non ebbe problemi a commentare in quella maniera e la diretta interessata, la quale non parlava nemmeno un minimo di russo, non ebbe il minimo sospetto di essere stata appena paragonata a una bomba atomica, pronta a scoppiare da un momento all'altro e a radere al suolo interi paesi.
«E tu lo sai dove te lo ritrovi il buco se non chiudi la bocca?»
Divertente, ecco come il ventitreenne descriveva colei che aveva di fronte: divertente. Malgrado fosse un tipo alquanto socievole, Niko, non era il genere di persona da voler stringere amicizia con chiunque, tutt'altro: preferiva infatti dedicare il proprio tempo a chi lo stuzzicava, lo attirava anche per un minimo particolare. Ed Elizabeth aveva decisamente colto l'attenzione dell'ex-militare.
«Com'è che ti chiami, quindi?»
Aveva quindi posto gli occhiali in controluce, in maniera da sincerarsi del fatto che le lenti fossero impeccabili; poi li aveva indossati, strizzando gli occhi dorati un paio di volte per abituarsi nuovamente alla vista nitida del mondo attorno a lui. Solo in quel momento, difatti, era riuscito a contemplare la scozzese che aveva innanzi in tutta la sua bellezza, eppure non aveva apprezzato questa, bensì si era messo a squadrare la giovane per rintracciare ogni dettaglio che sarebbe potuto sfuggire a qualcun altro.
I suoi capelli erano corti, poco dopo le spalle, o forse a queste non ci arrivavano neppure. Era difficile affermare se fossero abbastanza lunghi da sfiorarle oppure no, ma d'altronde tale era la consistenza basica di Elizabeth Maleun: difficile affermare se ella fosse oppure no.
La chioma era leggermente scalata, così da donare alla sua proprietaria una sorta di frangetta che ogni tanto le cadeva sugli occhi, scuri quanto il carbone, e che veniva spostata via ora da un sospiro ironico, ora da uno sbuffo scocciato.
Essa dava l'idea che ogni filo corvino che la componeva avesse un'anima buia dentro di sé perché era nera, totalmente. Niente sfumature.
Quel colore inquietava, infido, e non attraeva luce, bensì la respingeva; non un castano scuro, ma il vero e proprio colore della pece. Della Morte.
Così come i suoi occhi che, allo stesso modo, seducevano ed erano capaci di provocare in chi li incontrava un brivido lungo la schiena.
Non c'era distinzione tra la pupilla e l'iride: essi erano come quel corpo celeste che risucchia al proprio interno ogni approccio alla materia, con una massa così potente da far scomparire anche il minimo sfolgorio: bastava incrociare il suo sguardo una sola volta per non essere più in grado di lasciarlo andare. Come un pozzo senza fine.
E, proprio come un trucco di magia, essi ipnotizzavano.
Non erano tristi, né infuriati, tantomeno esprimevano quella gioia che una diciassettenne avrebbe dovuto possedere.
Infatti quella fanciulla non la si vedeva mai ridere di gusto. Almeno non in maniera sincera o spontanea.
Solitamente un ghigno malefico, scaltro o manipolatore si veniva a creare sulle sue labbra scarlatte, ben disegnate, che creavano ciò che nei quadri costituiva quel particolare a cui chiunque rivolgeva l'attenzione, o che forse era il perno portante dell'intera composizione, quello per cui la gente pagava.
Quel particolare che costituiva un sorriso raro, rarissimo, il quale, quando si veniva a formare, era capace di far sorridere chiunque lo scorgesse.
Tutto sommato erano caratteristiche semplici, ma di una semplicità difficile da comprendere; una descrizione non sarebbe bastata per far capire a chi non aveva provato tale sensazione sulla propria pelle cosa significasse avere il proprio sguardo incatenato a quello di Elizabeth Maleun e le proprie labbra incurvate all'insù, in un incondizionato riflesso delle sue.
E fu proprio la sua voce, quella della fanciulla senza memoria, a riappropriarsi della concentrazione del moro seduto in maniera assolutamente priva di qualsivolesse forma, anche primitiva, di eleganza e riportarla sulla conversazione che era stata stoppata.
«Com'è che mi hai chiamata, poco fa?» Aveva infatti ribattuto lei, sottolineando il lasso di tempo con un gesto distratto della mano sinistra, quella che usava per scrivere.
«E che lingua era, poi? Tedesco, russo? Quale?»
«Come si può confondere il russo con il tedesco?!»
Nell'attimo in cui Niko alzava gli occhi al soffitto e una sorta di lagna gli usciva male dalla gola, la voce dalle sfumature robotiche del Demone a cui egli era legato e con il quale, sette anni prima, aveva stretto il patto fece capolino nella sua mente, districandosi agile tra i suoi pensieri infantili, sconnessi e immaturi.
"Capisco il bielorusso ma suvvia, Elizabeth: l'Unione Sovietica è quella che è!"
Mentre si alzava dalla comoda poltrona in pelle rosso scuro, l'adepto di colui che aveva appena commentato attraverso telepatia fu costretto a prendere di nuovo tra le dita i propri occhiali, in modo da passarsi una mano sul viso frustrato.
"Quante volte devo dirtelo che l'Unione Sovietica si è sciolta nel '91, Dimitri?"
Così, replicando secondo il sistema che permetteva al dialogo tra Niko e il suo capo - la personificazione del Peccato Capitale dell'Avarizia - di restare tra loro due e loro due soli, il giovane russo non si preoccupò affatto di apparire come un pazzo agli occhi della diciassettenne presente avanti a lui. D'altronde, non gli interessava di sembrare un matto appena uscito da manicomio a prescindere: anche Elizabeth - destinata a conversazioni simili con il Peccato Capitale a cui era legata, quello della Lussuria: Claude - se ne sarebbe abituata.
Tutti gli adepti lo facevano, prima o poi: il buongiorno mattutino lo offriva il proprio Demone, alla fine.
"Quando c'ero io esisteva Stalin: era divertente, lo sai?"
«Ti ho chiamata "атомная бомба". Significa "bomba atomica".»
Notando di star venendo palesemente ignorato, Dimitri parve sganciare l'ultima battutina, prima di scomparire tra i pensieri del proprio servitore: "Ecco, quando quegli stronzi degli Americani fecero il culo ai Giapponesi con gli attacchi nucleari, io c'ero!"
Dei sette Peccati Capitali, Dimitri era il più simpatico. Come biasimarlo? Aveva vissuto il comunismo di Stalin, la Seconda Guerra Mondiale e anche la Guerra Fredda sulla propria pelle e ne era uscito illeso. Le barzellette sul mondo militare erano il minimo.
E forse per questo aveva scelto proprio Niko come erede prediletto: chi meglio di un ex-arruolato dell'Armata Rossa?
«Ottimo. Sicuramente non mi chiamo "Bomba Atomica", dunque.»
«È un modo cortese per dirmi che non vuoi farmi sapere il tuo nome o cosa?»
Rise di rimando Nikolaj, sempre più compiaciuto da quella strana corvina. Mostrando poi tutti i centonovantaquattro centimetri di cui poteva vantarsi, il moro si aggiustò la montatura nera sul naso e strizzò per la seconda volta gli occhi dello stesso colore del gilet che aveva indosso, prima di rivolgere una nuova occhiata a Elizabeth, decisamente dall'alto.
«La vuoi un po' di vodka, nanetta?»
«Non... Non sono nana, idiota! Sei solo tu ad essere troppo alto.»
Borbottando, la diciassettenne incrociò le braccia sotto al seno e affiancò il russo, il quale intanto aveva cominciato a incamminarsi verso il bancone del bar alla ricerca del proprio alcolico preferito.
Tuttavia, allettata dall'idea di potersi bagnare la gola con qualcosa di buono, la fanciulla - la quale non perdeva alcuna occasione per bere - non diede troppo peso all'appellativo appena dedicatole. Ciononostante se lo legò al dito, metaforicamente, e si ripromise di tirare fuori un insulto degno di nota appena ne avesse avuto l'occasione.
«Sì, sì, nanetta... Dicono tutti così!»
«Ad ogni modo...» Lo interruppe velocemente Elizabeth, arrestando qualsiasi altro tentativo di dialogo del maggiore con un gesto della mano.
«Innanzitutto, me e l'aggettivo "cortese" non stiamo bene insieme, né nella stessa frase, a meno che non ci sia una negazione a collegarci.» Proseguì quindi, ammettendo in modo alquanto sincero il fatto di non essere per niente educata. E Niko in effetti sembrò apprezzarlo, visto che si ritrovò con una nuova caratteristica in comune con la più piccola.
«Punto due: non ti dico come mi chiamo perché ho incontrato una specie di stalker maniaco stupratore e tu potresti essere il secondo.» Aggiunse infine sarcastica, lanciando al russo che camminava avanti a lei, dandole le spalle, un fugace sguardo divertito che il diretto interessato riuscì a cogliere solo in parte, osservandolo con la coda dell'occhio.
«Sai, in casi come questi prevenire è meglio che curare. Non so se mi spiego.»
Con un largo sorriso stampato sulle labbra, dilettato dalla situazione, Nikolaj si portò le mani dietro la nuca e intrecciò le dita. Dopodiché domandò, ironico:
«Chi hai conosciuto, Claude o Finn?»
"Non sono molto diversi, in sin dei conti." Proseguì poi, però solo mentalmente. E, come accadeva di consueto, ad assecondarlo ci fu la risata di Dimitri, il tirchio Demone bielorusso.
«Chi è Finn?» Chiese invece la scozzese, dal momento che Claude non voleva sentirlo nemmeno nominare, almeno per quella sera.
«Finn? Oh, mh... Come posso descrivertelo...?»
Mentre ragionava tra sé e sé per trovare una descrizione giusta al suo amico svedese, adepto del Peccato Capitale dell'Accidia, il ventitreenne ricevette, per l'ennesima volta, un ausilio da parte del suo Demone, il quale fornì una rappresentazione più che calzante.
"Io lo definirei un idiota che prende ogni occasione per buona per bere, drogarsi o farsi qualcuno, indipendentemente dal suo genere."
«Esatto, è un idiota che prende ogni occasione per buona per bere, drogarsi o farsi qualcuno indipendemente dal suo genere.»
«"Esatto"?»
A una persona esterna, vedere l'altra conversare tra sé e sé, ripetere parole insensate, ridere all'improvviso senza un palese motivo e perdersi con lo sguardo nel vuoto tutto d'un tratto appariva decisamente strambo.
Fu per questo che Elizabeth, con la fronte aggrottata per la confusione, fece eco a Niko di ciò che egli aveva appena detto.
Il giovane russo però liquidò la questione con un gesto noncurante della mano destra, giustificando sia a se stesso che alla minore che anche lei si sarebbe abituata, a breve.
«Sembra simpatico questo Finn, comunque.»
«Lo è. Almeno fino a quando non cerca di stuprarti.»
A tali parole, Elizabeth si arrestò di scatto sul posto. Inarcò un sopracciglio corvino e tirò il moro per un braccio, affinché egli si voltasse verso di lei e notasse quanto ella era frastornata.
«Cosa siete qui, tutti stupratori?»
Il ventitreenne parve seriamente pensarci su. No, non tutti erano stupratori: bastava pensare a lui stesso che, per quanto potesse essere poco raccomandabile, di certo non apparteneva alla categoria di molestatori. Oppure bastava pensare a Übel, che mai - da quando lo conosceva - aveva visto sorridere, figuriamoci stuprare qualcuno.
E poi c'era Dimitri, il suo vecchio, che era tutto cervello e soldi, eppure niente tentata molestia sessuale.
No, non erano tutti stupratori.
«Comunque non te lo consiglio. Finn, intendo.»
Senza rispondere al precedente quesito della più piccola, Niko si girò di nuovo e riprese a camminare verso l'amato alcolico della patria. Gli capitava spesso, come era successo allora, di ragionare con se stesso in seguito a una domanda e poi di non rispondere più a chi gliel'aveva posta. Non c'era da meravigliarsi: Nikolaj Shutka era strano, ambiguo, forse un po' pazzo, ma era fatto così. Era come un postulato di matematica, andava accettato così com'era.
E poi, poco ma sicuro, certamente non era uno stupratore.
«Non sarà così facile stargli alla larga. Sei il suo tipo, sai?»
Non appena raggiunse il tanto agognato bancone, l'ex-militare si affrettò a farsi dare una bottiglia di vodka e attese che Elizabeth facesse lo stesso prima di riprendere a parlare. Quando entrambi si ritrovarono con una bottiglia ricca di liquido trasparente tra le mani, dunque, Niko, appoggiato con la schiena al legno del bancone, procedette:
«Insomma, Finn è fatto così. Sei una bella ragazza e... A dire il vero chiunque respiri è il suo tipo.
O forse no, forse anche i morti lo sono.»
Ormai, per sfortuna della corvina, che ci stava capendo poco più di niente come si poteva intuire dalle sopracciglia ad ali di gabbiano corrugate, il moro dalla strabiliante statura era entrato in quel circolo vizioso che prevedeva solo se stesso, una vodka e i propri ragionamenti. Sorseggiando l'alcool prediletto, infatti, il giovane non si stava minimamente degnando di donare spiegazioni all'altra astante al discorso, la quale aveva deciso sin da subito di arrendersi, pronunciando un semplice: "Ah, buono a sapersi."
Per com'era messa a livello psicologico, dopo tutto ciò che era successo nell'arco di tre o quattro ore, chiaramente non aveva abbastanza sanità mentale per affrontare ancora quella conversazione. Non lei, non Elizabeth.
E, sicuramente, non ora che Niko era completamente fuso, anche da perfetto sobrio.
Posando quindi lo sguardo scuro sulla bottiglia in vetro di vodka, la corvina la accarezzò, tastandone il materiale liscio. Osservò per un po' il liquido al suo interno, riscontrando quanto esso fosse facilmente confondibile con dell'acqua, dopodiché ne bevve due o tre sorsi. Era sempre stata attratta dall'alcool; era un vizio - oltre quello del fumo - trasmessole da Axel, eppure quella sera anche le bibite sembravano avere un sapore nuovo, differente da come lo ricordava. O, come sarebbe meglio dire, non ricordava.
Ripetendo lo stesso procedimento fino a svuotare metà della bottiglia meccanicamente e quasi senza accorgersene neppure, la scozzese si ritrovò a rimuginare per l'ennesima volta sui fatti accaduti poco prima in compagnia di Claude. Si era già soffermata abbastanza, nel corso della serata, sulla possibile identità di quell'Axel e, dal momento che tale quesito non aveva ricevuto alcuna risposta, la giovane aveva deciso di lasciar perdere per soffermarsi ora sul patto.
In cosa consisteva, precisamente? Elizabeth non lo sapeva. In verità non sapeva neanche chi fosse esattamente lo stesso Claude. Era un Demone, fino a qui si era capito. Ma un Demone di cosa? Cosa c'entravano la Bibbia, la Chiesa? E cosa c'entrava lei, in tutto questo?
Aveva già stipulato tale patto a sette anni, ma non lo ricordava.
Aveva conversato per dieci anni con Claude, di continuo, ogni attimo della giornata e in ognuna di queste, ma non lo ricordava.
Era a conoscenza della personalità di Claude, ma non lo ricordava.
Sapeva cosa stesse succedendo.
Ciononostante, non lo ricordava.
Per questo motivo aveva pensato di chiedere spiegazioni a Niko; insomma, se lui faceva parte di tutto quel caos così come ne faceva parte lei, avrebbe potuto darle le anelate delucidazioni.
«Mi chiamo Elizabeth.»
Aveva dunque esordito, posando una volta per tutte il superalcolico sul bancone con un tonfo che aveva attirato l'attenzione del russo, così da mettere fine non solo al proprio bere compulsivo che di sicuro non l'avrebbe portata da nessuna parte, ma anche allo stato di semi-trance in cui si trovava lo stesso Nikolaj, immerso in un mix di liquido trasparente e pensieri disconnessi sulla madre patria.
«Mh...»
Dopo aver preso un altro sorso e aver imitato Elizabeth solo in parte, essendo rimasto con la bottiglia a mezz'aria piuttosto che riporla sul bancone, il ventitreenne dai ricci capelli castani le aveva rivolto finalmente lo sguardo dorato. Uno sguardo scrutatore che cercava di capire cosa ci fosse sotto tale informazione, pronunciata di punto in bianco.
«Nik-... Niko, io mi chiamo Niko. »
Esitando successivamente, il moro aveva scosso il capo prima di acconciarsi le lenti neri ricadutegli sulla punta del naso; solo poi aveva continuato con l'affermazione di una parte del proprio nome, come se confessarlo nella sua integrità fosse stato chissà quale errore.
E da quella stessa esitazione Elizabeth comprese che "Niko" non era il nome completo del russo. Comprese che, nelle lettere che succedevano le prime quattro, era nascosto un segreto o comunque un ricordo da non esporre alla luce.
«Cosa... Cosa sta succedendo, di preciso? A me, a te, a tutti gli altri che sono coinvolti. Chi sono i Demoni? Chi è Claude, perché non ricordo cosa mi sia accaduto prima di stasera? E in cosa consiste il patto?»
«Woh, frena un attimo!»
Il russo allungò entrambe le braccia per fermare la moltitudine di richieste che gli erano state poste, anche se con un raggiante sorriso sulle labbra.
Non considerando il fatto che Niko sorridesse continuamente a prescindere, tanto che si pensava avesse addirittura una sorta di paralisi facciale venuta male, egli era sinceramente felice che nessuna di quelle domande riguardassero la propria insicurezza sulla sua precedente risposta, quella riguardante il nome. Per tale ragione fu ben più che contento di colmare tutta la confusione della ragazza che gli era affianco. Così, dopo aver sorseggiato un altro po' della propria vodka, iniziò a spiegare:
«Claude, come Dimitri - il mio vecchio - Yvonne, Paula, Kristina, Geeske e Kilian, è un Demone dell'Inferno e, più esattamente, la personificazione di un Peccato Capitale, nel suo caso quello della Lussuria.
I primi quattro che ti ho elencato hanno stretto un accordo con quattro ragazzi, ovvero me, te, quel Finn di cui ti parlavo e un altro ragazzo, Übel.»
Le cose cominciavano già a mettersi in riga nella mente della diciassettenne e, proprio come i pezzi di un puzzle, i vari frammenti si ricomponevano. Elizabeth aveva iniziato a capire cosa c'entrasse la Bibbia in tutta quella storia e cominciava anche a comprendere chi fosse Claude.
Nel sentire di non essere la sola, poi, era stata rincuorata e rassicurata. Almeno non era l'unica ad essere dentro quel casino fino al collo. Se avesse camminato controcorrente in un fiume fatto di sangue, con quel liquido mortale a macchiarle anche i polmoni, l'onda troppo grande che sarebbe giunta prima o poi, perché era certo sarebbe arrivata, avrebbe trascinato via non solo lei, ma anche chi le era vicino.
«Sono gli unici ad averne, però.» Aveva intanto proseguito Niko, arrestando nuovamente il flusso incontrollato di pensieri della più piccola.
«
I Peccati Capitali, prima di diventare tali ufficialmente, sono normali esseri umani, come me e te. Stipulano un patto con chi li precede, come hai fatto tu con Claude - che è l'attuale Peccato Capitale della Lussuria - e, accettando una particolare condizione, che poi sarebbe una specie di test, divengono i nuovi Peccati Capitali, i quali dominano gli Inferi e sono i principali aiutanti di Satana. Come un capo d'ufficio con i propri segretari, non so se mi segui.»
L'unica risposta che il ventitreenne ricevette fu un cenno del capo di Elizabeth, che aveva annuito per dare prova di essere ancora viva più che per confermare il fatto di starci capendo qualcosa di tutta quella storia.
La situazione non era così complicata, nel pratico: Claude voleva abbandonare il ruolo che ricopriva e tornare ad essere un uomo come tutti, quindi aveva stretto un accordo con lei affinché ella potesse prendere il suo posto dopo aver imparato ciò che c'era da conoscere. Però, per prendere ufficialmente il suo posto, doveva non solo istruirsi, ma soprattutto superare una sorta di esame, di verifica, malgrado nessuno degli adepti non sapesse bene in cosa questa consistesse.
Ciononostante, il tutto le sembrava star accadendo troppo velocemente e in modo troppo caotico e disorganizzato. E la corvina si era ritrovata col non capirci niente, neanche una serie di informazioni così banale.
«Il patto non è difficile da mantenere: tu apprendi ciò che c'è da apprendere, servi il tuo Peccato Capitale, gli obbedisci e ne esegui gli ordini, in cambio lui ti glorifica e ti dona un potere immenso. È davvero un ottimo acquisto, credimi.»
Ancora con quel sorriso sulle labbra, Nikolaj finì la propria bottiglia e la ripose sul bancone, poco distante da quella della minore, la quale era ancora mezza piena. Non si fece scappare un'occasione simile e, tutto pimpante, indicò il contenitore di vetro con un dito, proponendo poi:
«Se non la vuoi la bevo io, eh.»
Ed Elizabeth, benché fosse dell'idea che l'alcool era l'ultimo dei suoi problemi, non lasciò al russo neppure il tempo di concludere la frase che già aveva di nuovo la bottiglia tra le mani e la stava svuotando tutta d'un fiato. Altre volte sarebbe stata già ubriaca, visto il suo basso limite di sopportazione, eppure quella sera non c'era posto per la sbronza: per sopportare tutto ciò che stava accadendo, a raffica, la scozzese doveva essere più lucida che mai.
«Mi sei simpatica, lo sai? Io e te diventeremo grandi amici!»
«Mh. Buon per te.»
Segregando la questione con la sua solita supremazia, infine, Elizabeth riprese a camminare verso il tavolino circolare dove lei e Niko si erano incontrati poco prima, ancora con la bottiglia - oramai vuota - di vodka tra le mani.
«Sei molto umile, vero?»
«Risparmia ossigeno per quando ti ritroverai chiuso in un bunker, Niko.»
Le repliche fredde, insensibili e sarcastiche della più piccola nei confronti del maggiore, pronunciate con noncuranza e distrazione, quasi esse fossero le tipiche frasi di lei, divertivano in modo particolare l'interlocutore, che a questo punto si era convinto al cento per cento di aver trovato una complice per le proprie pazzie. Ed era gioiente, poiché sapeva di poter contare su una folle metà, da allora in poi. Sapeva di poter avere un correo per i propri piani fallimentari, o almeno una semplice amica.
Un'anima non gemella, bensì matta, matta quanto egli stesso era.
Elizabeth sarebbe stata Alice, Niko il Cappellaio. A meno che il ruolo di Alice non fosse stato troppo banale e la giovane scozzese non si fosse ritrovata a rivestire i panni della Regina di Cuori.
O, più semplicemente, della Strega dell'Ovest.
Le trame erano diverse, ma tutte più attuali e reali di quanto ci si aspettasse.
Una volta raggiunta la postazione dove circa un'ora prima i due giovani adepti si erano conosciuti, il maggiore tornò ad accomodarsi sulla poltrona, mentre la minore si soffermò a osservare la partita conclusasi prima che del proprio arrivo.
Notò dunque che la maggior parte dei numerosi tris erano tutti sul lato dell'avversario, quello che, una volta sedutasi, era diventato il proprio. Intuì quindi che Niko era stato in svantaggio per molto, molto tempo, sebbene la partita fosse durata relativamente poco, e che poi aveva ribaltato la situazione grazie a un colpo di fortuna.
Il match era stato breve: lo si poteva immaginare dal tipo di nemesi che il ventitreenne si era ritrovato avanti. Era stato un avversario, sicuramente maschio, facilmente incline alla frustrazione, alla noia, e privo di qualsivolesse accenno alla pazienza. Due sigarette erano infatti deposte nel posacenere, segno che chi le aveva utilizzate era una persona chiaramente nervosa; e questo Elizabeth lo sapeva bene perché, oltre ad essere un tipo simile, era anche una fumatrice accanita.
Le due cicche sarebbero potute appartenere una a un giocatore, una all'altro; eppure non era stato così poiché entrambe, comprese di posacenere, si trovavano rivolte verso il lato dell'avversario, dunque erano state di suo possesso.
E poi Niko non era il tipo di fumare; capace di bere anche litri d'alcool sì, ma fumare mai.
«Com'è che hai vinto? Stavi perdendo, vedo.»
Strabiliato dal ragionamento compiuto dalla giovane corvina, il quale era stato esposto e spiegato dopo una esplicita richiesta dell'interlocutore, Nikolaj aveva raccattato la carta del trionfo, staccandola dalla scala di quadri rossi a cui era attaccata: essa era uno dei quattro Jolly, l'ultimo a disposizione nel mazzo.
Di quattordici carte, il moro ne aveva ricevute tredici dello stesso tipo - ovvero un'intera scala di quadri, priva però di una carta, il numero sette, che collegasse la composizione - e un tre di fiori. Se la scala fosse stata al completo, Niko avrebbe potuto calare e scartare il tre di fiori, chiudendo il tutto in una sola mossa, eppure sembrava non avesse avuto una buona sorte.
Cocciuto, però, aveva deciso di non cambiare gioco, bensì di aspettare la carta del trionfo fino al suo arrivo. Intanto, l'avversario - che altri non era che l'oramai famoso Finn Torped - aveva calato numerosi tris, sino a ritrovarsi con una sola carta da appoggiare in seguito al pescaggio di quella da scartare per concludere la partita. E proprio in quell'istante, durante quello che sarebbe diventato l'ultimo turno, Niko aveva pescato un Jolly, che gli aveva permesso la vittoria.
Finn ci era rimasto decisamente male e non se n'era fatto una ragione; non lui che aveva perso ben otto minuti - impiegabili in modi differenti - e speso ben due sigarette e un bicchiere di whiskey.
Inoltre, aveva anche perso una scommessa che chissà quali pegni prevedeva.
«Vinco sempre grazie a un Jolly: è la carta che mi rappresenta di più.»
Incuriosita dopo l'affermazione dell'ex-soldato, Elizabeth aveva poggiato il mento su entrambi i palmi delle mani, sorreggendosi poi grazie ai gomiti poggiati sul tavolino, e si era sporta in avanti. Dunque, aveva domandato quale carta, secondo Niko, le si addicesse di più.
«L'Asso di Picche, senza dubbio.»
Tale la risposta, immediata e convinta, del maggiore. La diciassettenne era rimasta sicuramente più confusa di prima, il che lo si poteva notare anche dalla fronte aggrottata e le sopracciglia corrugate.
«Quindi tu sei il Jolly e io sono l'Asso di Picche...» Aveva ripetuto poi, più che altro tra sé e sé.
Dopodiché, tutto d'un tratto, si era rialzata e aveva, con un movimento fulmineo delle mani, gettato tutte le carte sul pavimento, affinché Niko non notasse, nella confusione degli attimi, il furto della carta vincente da parte della scozzese.
«Spiegamelo. Tu sei il Jolly, decidi tu il destino della gente. Ci sono quattro carte di questo tipo nel mazzo, quindi una persona ha precisamente il quattro possibilità su centootto di trovarlo, giusto?» Aveva ragionato, portando la sua attenzione sul centinaio di carte sparse sul pavimento e i frammenti della bottiglia di vodka che prima era poggiara sul tavolo insieme al mazzo.
«E io sarei l'Asso, quello che può valere uno come no, ma che nella somma finale dei numeri ti ammonta sempre quegli undici punti di troppo. Va bene, ma perché proprio di Picche?»
Senza farsi scoraggiare troppo da ciò che era ricaduto sul pavimento, Nikolaj sorrise e, tranquillo, alzò le gambe chilometriche e le incrociò comodamente sul legno oramai libero.
«Il seme picche spesso è collegato anche a delle spade.» Aveva delucidato quindi, mentre si portava una mano dietro il collo e si stiracchiava.
«E tu hai una lingua tagliente quanto la lama di una spada, Elizabeth.»
Aveva dunque tirato fuori dalla tasca dei pantaloni neri il coltellino con cui, prima dell'arrivo della ragazza con cui adesso si trovava in compagnia, si dilettava. E aveva ricominciato a giocarsi, facendosi altamente beffe del pericolo dinanzi agli occhi della stessa violinista.
«Ci sono un bel po' di cose di cui dovresti farti perdonare a causa della tua lingua. O almeno, è quello che suppongo io.»
Mentre aggiungeva ciò, infine, Niko aveva indirizzato la punta del coltello verso la giovane che aveva di fronte, all'altezza della bocca, sebbene i due fossero distanti di mezzo metro circa.
«Lo suppongo anch'io, ma sfortunatamente la redenzione non esiste. O, se esiste, a me personalmente non è stata concessa, e credo neppure a te.» La sfacciataggine e il sarcasmo della ragazza dai capelli corvini erano oramai palpabili nelle sue frasi. Ma tanto, non le importava affatto.
Elizabeth era il cliché più assoluto reso il colpo di scena migliore; una provocatrice, una manipolatrice, ma che in fondo non era poi così macchiata come anima. La distruzione più totale intrappolata nel corpo e nella mente contorta di una diciassettene. Equivaleva al caos più silenzioso disperso nel mutismo più assordante, o lasciato scemare in una successione di urla zittite nel bel mezzo del tumulto.
Il ventitreenne non poté fare a meno di sorridere, a trentadue denti, decisamente soddisfatto. Sì, Elizabeth sarebbe stata una grande complice: Claude l'aveva scelta bene; il giorno dopo, si ripromise, gli avrebbe fatto i complimenti.
«Sei divertente, lo sai?»
«E tu troppo sicuro.»
Mentre si chinava per osservare più da vicino le carte sparse sul pavimento, la scozzese ricambiò, seppur in modo assai minore, il sorriso compiaciuto dell'altro.
«E prevedibile così come il resto della gente, arrestata in un punto fisso fatto di peripezie ed entrate teatrali.»
Non andava biasimata, non lei che era il capo indiscusso di questa categoria. Le persone ricercavano continuamente l'apparenza e, quando poteva, Elizabeth le accontentava. In fin dei conti l'appagamento di chi assisteva a tali scenate la dilettava.
La razza umana era un continuo spettacolo comico di burattini, intrappolati da fili intrisi di sangue e guidati da mani invisibili.
«Accade che so sempre dove le piace essere e le appaio innanzi come per magia. O per miracolo, a te la scelta.»
E quando il sorriso appena accennato della diciassettenne si trasmutò in un ghigno, ella si rialzò, realizzata e contenta.
Così, ritrasse la mano che stava dapprima accarezzando uno dei tanti cocci vitrei dell'ex-bottiglia di vodka ed estrasse dalla scollatura del vestito, nero come la pece, la carta trionfante del russo: il Jolly. E, riponendola dinanzi a lui, chiese:
«Tu quale asso hai nella manica, Niko?»
Ancora più compiaciuto di quanto lo fosse in precedenza, il soldato dell'Armata Rossa ricambiò il sogghigno, si alzò dalla poltrona ed estrasse a sua volta una carta dalla manica della candida camicia bianca. Dunque, affiancatala al Jolly, lasciò che Elizabeth leggesse in mente ciò che c'era scritto al di sopra dell'unica figura di picche, al centro della carta, prima di ripeterglielo ad alta voce e scomparire poi, anch'egli, tra la folla del casinò Flamingo di Las Vegas:
«Nella manica ho l'Asso di Picche, атомная бомба.»
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Angolo autrice
Segnatevi questa data perché un aggiornamento dopo una settimana non ricapiterà più!
D'accordo, lasciamo perdere; piuttosto, vi è piaciuto questo capitolo? Niko vi ha colpito come personaggio, siete riusciti a inquadrarlo? Elizabeth si è rivelata e/o confermata per come ve la immaginavate? Spero di sì.
Soprattutto: avete compreso la questione dei Peccati Capitali?
Dal momento che i capitoli mi stanno vedendo davvero troppo lunghi, vi chiedo: li preferireste più corti? O, al contrario, sono troppo pesanti o scorrevoli?
Fatemi sapere!
Well, non avevo molto da dire. Spero vivamente che questo capitolo sia stato di vostro gradimento e ancor più spero di aggiornare presto. Nel prossimo capitolo conoscerete il famoso Finn, lo stupratore di morti!😂
Va bene, la smetto.
Noi ci vediamo col prossimo capitolo,
sino ad allora, chapeau!
-Arianna🃏♠️
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