Capitolo 13
Uscimmo dalla stanza contemporaneamente, esattamente vestite come eravamo entrate.
Il silenzio s'impossessò nuovamente delle mie orecchie.
Nell'aria solo rumori di passi che salivano o scendevano le nostre stesse scale, e man mano che scendevo al piano sottostante sentivo persone che camminavano nel salone principale.
Arrivati lì, mi girai per vedere se Lauren era ancora dietro di me...
Ma era scomparsa.
Confusa nella folla di persone, all'apparenza vestite identiche.
Mi guardai attorno, ma niente.
Scossi la testa e camminai per la stanza, cercando di capire cosa dovevo fare.
Forse era il momento di uscire e andarmene.
Ma come dovevo fare? Dovevo aspettare Austin? Come dovevo fare per riconoscerlo?
Entrai in un corridoio che lo indicava una freccia come uscita.
Dovevo prendere un'iniziativa, non potevo restare ferma immobile o sarei stata presa di mira per nuove avance.
Era buio, illuminato solo da luci a neon rosse posizionate agli angoli del soffitto e del pavimento.
Sembrava una scatola nera che portava al nulla, e quelle luci creavano una strana atmosfera, quasi inquietante, se proprio devo descriverla con un aggettivo.
Lo percorsi fino alla fine, dove mi ritrovai davanti a una porta completamente spalancata che affacciava su uno spiazzo del retro della casa.
Ad accogliermi una lussuosa Bentley d'epoca nera, e un uomo con le braccia conserte che mi guardava dritto negli occhi.
Si avvicinò a me, e puntò uno scanner in un preciso punto sul colletto della mia camicia, senza spiccicare parola.
Rimasi un attimo interdetta. Cosa stava facendo?
La cosa era strana: questo mi aveva preso per la camicia e mi stava puntando addosso una specie di macchinetta come quelle della Coop per fare la spesa.
Non mi feci troppe domande e lo lasciai fare.
Dopo quella serata, ormai, niente poteva più sconvolgermi.
Guardò attentamente il piccolo aggeggio che aveva in mano e mi fece salire in macchina.
Chiuse la portiera gentilmente e senza dirmi niente e senza dirgli niente, partí.
Non sapevo dove mi stava portando, né perché non ero sulla stessa macchina e nemmeno con stessa persona che aveva portato me e Austin al party.
Con mio grandissimo stupore, però, mi portó al mio appartamento.
Come aveva fatto a sapere dove abitavo?
Poi mi ricordai del colletto.
Lo toccai, lo tastai, cercando di capire se c'era qualcosa... Ma niente.
Ci doveva essere una specie di cip da cui aveva estrapolato le mie informazioni, o almeno quelle della posizione geografica della mia casa.
L'uomo mi aprì la porta.
<< È stato un onore averla con noi stasera, speriamo di rivederla al prossimo invito. Sarà libera di accettare come di rifiutare. Si riguardi >>
Il modo e l'intonazione con cui lo disse mi sembrò un maggiordomo robot.
Come se fosse stato addestrato a dire quella frase ogni sera.
"Chissà quanti soldi ci butta la signorina Jauregui per queste formalità" pensai, aprendo la porta di casa e lasciando il tizio con la sua macchina ancora davanti al portone.
Entrata, poi, mi scaraventai sul letto, mi tolsi la maschera e mi appisolai, sfinita dalla nottata molto movimentata.
Tragicamente, però, l'ora della sveglia arrivò e dovetti alzarmi per andare a lavoro.
Non avevo assolutamente voglia, i miei muscoli pulsavano di dolore e nella mia testa girava ancora una leggera foschia di mal di testa per colpa del vino.
Andava giù come acqua, ma era bello pesante.
Andai in cucina, mi preparai un bel caffè e feci colazione, finendo di leggere il giornale del giorno precedente.
Dopo di che mi vestii frettolosamente e partii per andare in ufficio.
"Sicuramente il mio capo mi farà tremila domande non appena arriverò, porca miseria" pensai.
Non ne volevo parlare, soprattutto perché non avevo ancora metabolizzato la cosa che ero andata a letto con una donna, e che quella donna era la donna più ricca e più potente di tutta la città.
Come avevo (quasi) previsto, trovai Austin fuori dalle porte.
<< È in ritardo >> si porse a me, in modo formale.
<< Mi scusi, io- >>
Non mi diede nemmeno il tempo di rispondere con una delle mie solite scuse che parlò sopra la mia voce.
<< Subito nel mio ufficio, entriamo >>
Entrati nel palazzo, prendemmo l'ascensore. L'ansia per le sue domande non poteva essere più pesante.
Arrivati a destinazione chiuse la porta, e cominciò a parlare.
<< Non so come tu ci sia riuscita, ma hai fatto colpo con la signorina Lauren Jauregui >>
Per poco non mi strozzai con la mia stessa saliva.
Cosa sapeva? E soprattutto, come faceva a saperlo?
<< Prima che io me ne andassi, uno dei camerieri si è avvicinato a me con un vassoio con sopra un foglietto ripiegato. Mi ha fatto cenno con la testa di prenderlo e si è allontanato non appena l'ho afferrato >>
Austin sembrava contento, entusiasta e incredibilmente sorpreso.
<< Nel biglietto Lauren parlava di te, che solo vedendoti le hai ispirato molta fiducia e che vuole che io parli di affari con lei tramite te! >>
Non riuscivo ancora a capire fin dove voleva andare a parare.
<< Camila >> continuò lui << Hai avuto una promozione... Sarai la Normani di questa azienda. Potrai accedere alla dimora di Lauren Jauregui anche per lavoro, sempre per conto della mia azienda, e non solo per andare al P.O.S >>
Rimasi a bocca aperta.
Non ci potevo assolutamente credere.
Cosa significata quella mossa strategica e discretamente azzardata? Insomma, perché?
Era l'unica domanda che mi stavo facendo dopo aver attentamente riflettuto a quello che avevo sentito uscire dalla bocca del mio capo.
<< C-Cioè? Cosa devo fare adesso? >> riuscii a dire, ancora leggermente tra le nuvole.
Austin sorrise, stringendomi la mano.
<< Sei la mia vice da oggi in poi. Congratulazioni, mia cara >>
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