Capitolo 1

6 Gennaio 2023

Questa mattina mi sono svegliato presto. Non era neanche l’ora di colazione. Prima che il sole sorgesse la lancetta dei minuti avrebbe dovuto fare almeno due giri di orologio. 

Per cui, mi sono preprarato per andare a correre. Ho aperto l’armadio di camera mia e ho tirato fuori il migliore abbigliamento tecnico che potessi arrangiare. Un paio di calze rinforzate sul tallone e l’avampiede per agevolare il ritorno venoso, un capo di fibra sintetica asciutto e traspirante e dei pantaloncini larghi per fare respirare le coscie. Una volta cambiato, ho riempito la borraccia e l'ho messa nel portaoggetti della mia cintura. Quindi, ho riempito la ciotola del gatto con dei croccantini e sono uscito di casa.

Fuori si congelava. Prima di cominciare l’allenamento non riuscivo a smettere di tremare e di battere i denti. Appena ho iniziato con il riscaldamento mi sono sentito meglio. Mentre mi trovavo nella posizione di wide lunge, ho dato uno sguardo alle finestre delle abitazioni davanti a me, nella speranza di trovare qualcuno che mi osservasse. Come sempre, non c’era anima viva salvo me. 

Questa mattina ho deciso di fare un percorso diverso dal solito e di spingermi oltre Chiaravelle, verso Poasco. L’ultima volta che sono venuto in questa frazione di San Donato è stata tre anni fa, pochi mesi dopo lo scoppio della pandemia di COVID-19. Mi sembra passata una vita da allora. Non riesco a togliermi dalla testa quella volta che ho ascoltato con mio zio un servizio televisivo che parlava delle autorità sanitarie cinesi e di un focolaio di casi di polmonite ad eziologia non nota nella città di Wuhan. Nessuno avrebbe mai ipotizzato tutto quello che è avvenuto successivamente.

Dal momento che evidentemente sono l’unica persona rimasta in questo mondo, mi chiedo se davvero valga la pena scrivere tutto quello che ho vissuto e che tuttora sto vivendo. Non penso che qualcuno leggerà mai questo diario. Eppure, l’idea di mettere su carta i miei pensieri e le mie riflessioni è diventata per me una dipendenza. Scrivere di quello che è successo mi aiuta a sopportarlo. Per di più, il bisogno di scegliere le parole più adatte mi è utile per chiarire cosa davvero penso ed è un ottimo modo per riorganizzare le idee quando sento di essere a un punto morto.

La prima pagina di diario risale al 13 dicembre dello scorso anno, il giorno dopo la scomparsa dell’umanità. Al tempo, non avevo ancora realizzato cosa fosse effettivamente accaduto. O forse, cercavo di negare a me stesso la cruda realtà.

Dopo che mio padre era uscito di casa, ero andato come da abitudine a fare un giro di corsa. Quel lunedì mattina c’era una foschia gialla che pareva crema. Quando ero rientrato a casa, avevo fatto una doccia veloce e avevo seguito da remoto la lezione di chimica e di informatica. Poi avevo pranzato con mia madre e avevo terminato il mio impegno universitario con le due ore di analisi matematica. Visto che ero stanco avevo deciso di ritagliarmi un’ora di tempo per riposarmi. 

Quando mi ero svegliato, non c’era più nessuno. Soltanto il gatto. Inizialmente, non mi ero preoccupato più di molto. Capitava spesso che mia madre uscisse di casa per andare dalla nonna. Credevo che non mi avesse avvisato soltanto perché voleva lasciarmi dormire.

Camminando per il corridoio di casa avevo iniziato a sentire freddo e avevo notato che non andava la luce in casa. Ero andato a controllare il contatore elettrico e non era saltato. Dopodiché avevo gettato uno sguardo fuori dalla finestra e avevo notato che la situazione nelle altre case era la stessa. Per cui, poteva trattarsi di un blackout della zona. A Corvetto non era la prima volta che rimanevamo senza corrente elettrica. In meno di venti minuti sarebbe dovuta tornare la luce. Non avevo la minima voglia di sentire i miei genitori arrabbiarsi per tutto il cibo scongelato che avremmo dovuto buttare se la situazione si fosse protratta troppo a lungo.

Riguardo al riscaldamento, anche il quel caso non mi ero preoccupato più di troppo. Poteva trattarsi dell’ennesimo problema con la caldaia oppure della volontà di mia madre di risparmiare sul gas. D’altronde, non sono mai stato un ragazzo che si lamenta per il freddo e lei lo sapeva bene. 

Ovviamente, se sono in pantaloncini fuori di casa con una temperatura non sopra ai cinque gradi, qualche brivido sulla schiena lo avverto. Dopo un’ora e mezza di corsa, tuttavia, stamattina potevo tranquillamente dire di avere caldo. Non appena sono rientrato a casa, mi sono infilato sotto la doccia lasciando che l’acqua fredda mi massaggiasse tutto il corpo per una ventina di minuti. Dopo giorni senza riscaldamento ed elettricità, in quel momento non potevo che essere grato di avere ancora acqua corrente in casa. Due giorni fa mi sono chiesto come facevano i miei antenati. La mia professoressa di italiano delle medie una volta mi ha raccontato che ancora nel 1950 non tutti disponevano di questa risorsa nelle loro abitazioni. Quanti millenni di storia ci sono voluti per arrivare all’asservimento del bene più vitale in natura. 

Uscito dalla doccia, mi sono avvolto nell’accappatoio e sono andato in camera mia a cambiarmi. La stanza è diventata un vero e proprio trionfo floreale. Ci sono rose e genziane in vaso dappertutto. Non so ancora il perché ho deciso di tenerle vicino al mio letto anziché sul balcone. Probabilmente per colmare la solitudine che avverto ogni giorno di più. O forse per potere rimproverare il gatto ogni volta che tenta di sfiorare i fiori anche solo con lo sguardo.

Giocare con Flash è diventato uno dei miei passatempi preferiti. Ieri, dopo quasi una settimana, ha ceduto alla tentazione di buttare giù l’albero di Natale che avrei dovuto disfare in questo preciso momento. Nemmeno una miscela di pepe di cayenna e acqua è stata sufficiente per tenere a bada il micio. Se non altro, è riuscito a farmi ridere. Mi è sembrato strano sentire quel suono uscire dalla mia bocca dopo così tanto tempo. Sicuramente, con quel gesto si è guadagnato una doppia porzione di crocchette per gatti. Appena ho aperto la confezione della sua marca preferita, la Indoor, gli si sono illuminati gli occhi. 

Ho sempre detto che la coscienza umana è sopravvalutata e la spensieratezza con cui Flash sta affrontando questa situazione è invidiabile. Lui non cerca un senso a ogni costo come sto facendo io da quando sono nato e soprattutto in quest’ultimo periodo. 

«Tu sei l’incarnazione perfetta di quello che gli scettici e gli epicureisti hanno sempre predicato» gli ho detto scherzando.

«Insegnami a vivere come te!»

Dopo la doccia di stamattina non avevo alcuna voglia di uscire nuovamente di casa. Per cui, ho deciso di rilassarmi ascoltando della buona musica. La mia famiglia ha sempre tenuto un giradischi in cantina e per fortuna funziona ancora. Alla luce di questa bellissima scoperta, ho deciso di setacciare alcuni negozi della città in cerca di musica. Qualche giorno fa sono andato al Massiv Music Store in zona Centrale e ho preso in prestito alcuni dischi in vinile che ho sempre desiderato avere. I più belli sono sicuramente Ghost Stories e A Head Full of Dreams dei Coldplay.

Appena ho posato il disco sul piatto e ho posizionato la puntina del giradischi, la musica ha avvolto dolcemente il soggiorno. Quando il mondo era ancora normale trascorrevo almeno mezzora al giorno con gli auricolari incollati alle orecchie. La musica la vedevo come uno strumento fondamentale per fare leva sui miei pensieri, per operare una vera e propria catarsi dal tedio e dalle vacuità della mia esistenza. Rappresentava una fonte di energia, di vita, come i bambini con le braccia aperte pronti ad accogliere e abbracciare tutti.

Ora è diventata uno strumento fondamentale non solo per vivere ma soprattutto per sopravvivere. Togliermi la musica sarebbe come togliere un ventilatore polmonare a un paziente che ne ha bisogno. Sicuramente il mio è un esempio triste. Ciononostante, rende chiara l’idea della mia fragilità psicologica. A volte la mia sofferenza emotiva è talmente debordante che mi chiedo perché ogni giorno scelga di vivere. Ho costruito una routine basata sulla corsa, sul giardinaggio e sulla musica per il solo scopo di tenere lontani i cattivi pensieri ma a volte la mia labilità prende il sopravvento. 

Mi dico costantemente che sono un ragazzo forte, nonostante sia consapevole che quello che sto vivendo nessuno potrebbe sopportarlo, a maggior ragione io. 

Non mi ricordo di preciso quando tempo sono rimasto ad ascoltare la musica. Quando è terminata l’ultima traccia del terzo disco, il sole era alto e splendeva luminoso e caldo sopra i tetti delle abitazioni abbandonate. Erano giorni che non faceva bel tempo. 

Ho rimesso il disco nella sua confezione e mi sono seduto al tavolo del soggiorno con l’intento di continuare a scrivere il mio secondo romanzo. Ora che ho tutte queste ore da dedicare ai miei interessi, posso finalmente fare le cose con calma e precisione. Mentre scrivevo, ho avuto l’impressione demoralizzante di essermi imbarcato in un’avventura che poteva essere tanto fortunata quanto disastrosa. E se il pubblico non gradisse la mia opera? Che pensiero stupido. I lettori esigenti si sono estinti assieme a tutti gli scrittori di questo mondo. Non aveva senso preoccuparsi dell’opinione di persone scomparse.

Ho già terminato la stesura originale del libro. Devo solo finire di sistemare quel guazzabuglio di notazioni a margine dei fogli e alcuni passi aggiunti sul retro di quest’ultimi. Il mio principale problema non è solo quello di mantenere il livello del primo romanzo ma di alzarlo notevolmente nel secondo. Per ora non ci sono riuscito. 

Ho lasciato cadere la penna solo quando ho sentito il gatto miagolare, impaziente di pranzare.

«Mi spiace bello, ma dovrai aspettare un po’!»

Prima di pranzare, dovevo andare a fare la spesa. Ho preso le chiavi, la giacca e sono uscito di casa. Scendere le due rampe di scale è stato più difficile del previsto dopo gli allenamenti di stamattina. La parte posteromediale chiedeva pietà a ogni gradino. La prossima volta devo ricordarmi di stare più attento a non sforzare troppo i muscoli. Oggi è andata così. Sentirò fastidio per due o tre giorni.

Il centro commerciale più vicino dista meno di cento metri da casa mia. E’ un Carrefour non troppo grande ma per dovere soddisfare le esigenze di una sola persona va più che bene. Appena entrato nella struttura, ho fatto un cenno con la testa al fantasma della cassiera che era solita salutarmi quando venivo con mia madre per aiutarla con la spesa. 

Dopodiché, mi sono diretto subito al reparto alcolici. Ho cercato di contenermi davanti a tutto quel ben di Dio. Non voglio esagerare con la birra e col vino perché questo sarebbe il miglior modo per influenzare negativamente la mia prestazione sportiva. Per cui, mi sono accontentato di una Heineken e di una Ichnusa. 

Per il gatto ho preso tre lattine di cibo umido. Riguardo al mio pranzo, ho optato per delle arachidi tostate e dei salatini. Avrei volentieri prelevato qualcosa dal reparto surgelati ma ormai è tutto da buttare. Pure la frutta fresca e gli affettati sono fuori gioco, per non parlare del pane ammuffito e duro come il carbone. Oramai i piatti che non mancano mai a tavola sono sempre gli stessi: tonno, legumi, sughi pronti, sottaceti e altri cibi in scatola dalla lunga scadenza.

Prima di uscire dal centro commerciale ho sentito il rumore di una lattina che cadeva per terra. Sono andato a controllare cosa fosse successo, speranzoso di incontrare qualcuno. Invece, salvo una pozzanghera di aranciata e l’eco del tonfo metallico che continuava a rimbombarmi nelle orecchie, non c’era alcuna novità ad attendermi.

«Devi smetterla di alimentare false speranze» mi sono detto mentre inserivo la chiave nella serratura della porta di ingresso.

Io e il gatto abbiamo mangiato assieme in studio per goderci la luce del sole che in cucina mancava completamente. Mentre divoravo i salatini, mi sono fermato per un attimo ad osservare la stanza silenziosa, scuotendo lentamente la testa. Tutti quei libri, ho pensato, tutto il residuo dell’intelletto di un pianeta, lo sforzo di futili menti, gli avanzi, l’accozzaglia di prodotti che non erano stati capaci di salvare l’uomo dalla sua scomparsa. Io stesso sto scrivendo un diario e un romanzo che nessuno leggerà. Tuttavia, a differenza dei tomi presenti nella stanza, le mie parole sono indispensabili per la mia sopravvivenza. 

Dopo il pranzo sono rimasto assieme al gatto a prendere un po’ di sole sul letto di mio fratello. Flash ha ben pensato di provare ad acchiappare i granelli di polvere che fluttuavano dolcemente nella stanza, con il solo risultato di essersi ritrovato con il fiatone dopo neanche dieci minuti.

«La prossima volta ti porto con me a correre così ti rimetti in forma» gli ho sussurrato all’orecchio dopo avergli dato un bacio sulla fronte.

Oggi pomeriggio sembrava non finire mai. Non avevo la minima idea di come occupare il tempo. Inizialmente ho cercato di tenere la mente e le mani occupate con le solite pulizie di casa. Ho rifatto il letto, ho arieggiato bene tutte le stanze, ho fatto il bucato, ho lavato le stoviglie, ho cambiato la lettiera del gatto e il sacchetto della spazzatura. Visto che era ancora presto, ho anche pulito i vetri e le finestre, spolverato il lampadario e i mobili, ordinato il mio armadio e sistemato il garage.

Il resto della giornata è stato un itinerario di pensieri che sembrava non finire mai. Mi ero ripromesso che avrei tenuto da parte i miei vissuti interni e che avrei smesso di interrogarmi su che fine abbiano fatto tutti. Eppure, quando ho visto le fotografie appese sull’armadio di camera mia non sono riuscito a non farmi travolgere dal flusso di emozioni. Quelle foto le ha scattate mia sorella. Ci sono un sacco di momenti immortalati: lei a casa dei nonni e dello zio, lei fuori la sera con le amiche, lei in vacanza al mare con alcuni nostri amici di liceo. La più bella è indubbiamente quella dove festeggiamo assieme il giorno del mio diploma.

Mia sorella è la fortuna più incredibile che la vita mi abbia offerto. È una delle ragazze più buone che io conosca, una di quelle che non merita altro che il meglio assoluto. In un mondo così cupo e grigio, ha sempre avuto la forza di essere coerente e di aiutare gli altri. Per questo mi rifiuto di credere che lei sia scomparsa nel nulla. È là fuori, lo sento.

Mentre guardavo le foto, un’idea ha cominciato a ronzarmi in testa. Ho iniziato a camminare irrequieto per la stanza con la mente che elaborava un progetto che in queste settimane non avevo ancora avuto modo di concepire. 

Io mi sono chiesto in questi giorni perché continuo a vivere. D’altronde la morte non può essere peggio di una vita di solitudine, no? Ciascuno di noi, nella vita di ogni giorno, vive grazie agli altri, si rispecchia in loro, si arricchisce della loro intelligenza e delle loro emozioni. Il bisogno dell’altro di farci da specchio è estremamente radicato nella natura umana. Sin dalle prime fasi della vita il sé si sviluppa, si definisce e si ridefinisce attraverso lo sguardo dell’altro. È proprio su questo semplice gesto che ogni essere umano costruisce le basi della propria psiche. 

Qual è allora in nesso che collega questa convinzione alla mia volontà di continuare a vivere? 

Non è stato poi così difficile trovare una risposta al quesito. L’unica ragione per cui sto ancora respirando è la speranza di ritrovare qualcuno, chiunque esso sia.

Ho girato per molte strade di Milano in queste settimane e non ho incontrato nessuno. Tuttavia, non ho ancora avuto modo di verificare la situazione fuori dal territorio comunale della mia città natale. Sicuramente l’assenza di ogni mezzo di trasporto rende la questione più complicata del previsto. Non c’è traccia nemmeno di una bici in tutta Milano. Inoltre, non posso portare con me il gatto. È talmente abituato alla vita casalinga che ha sviluppato una vera e propria fobia per il mondo esterno. Ciliegina sulla torta, non posso rimanere fuori di casa troppo a lungo dal momento che ogni dodici ore devo somministrare a Flash un farmaco per la sua cardiopatia. Non voglio saltare più di due dosi consecutive. Ciò significa che posso rimanere fuori casa non più di ventiquattrore ore.

In quel lasso di tempo potrei fare avanti e indietro da Pavia senza nemmeno il bisogno di correre. Se però voglio concedermi un po' di ore per girare attentamente la città sarebbe opportuno coprire la distanza viaggiando a un passo più deciso. In questo momento non mi ricordo quanti sono i chilometri tra andata e ritorno. Forse una settantina. Attualmente riesco a correre non più di trentamila metri consecutivi. Se aumentassi il chilometraggio settimanale del 10% ogni volta, inserendo un periodo di scarico dopo circa 20 giorni, nell’arco di due mesi potrei correre più chilometri di una maratona. Quindi, potrei fare l’andata camminando e girare la città e tornare a casa correndo. Sembra un buon compromesso. Sicuramente domani mattina passerò il mio tempo a sfogliare le letture sulla corsa di mio padre per vedere se ci sono delle strategie per migliorare in breve tempo le mie perfomance.

Ora vado a cenare. Ho una fame che mi divora.

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