15.
Il pub di questa sera non le piace.
È illuminato da luci al neon bianche, fredde, che fanno a pugni con le panche in legno, i tavoli grezzi e il pavimento in cotto, anch'essi in contrasto con il televisore in fondo alla sala che trasmette un canale di musica pop a volume altissimo.
Non le piace neanche tutto quel silenzio tra lei e Fabrizio, perfetto nella sua camicia azzurra che spunta dal maglioncino cobalto, anche lui stridente contro quel luogo caotico.
«Io non ti capisco» esordisce infine Silvia: per quello che conosce Fabrizio, le dà l'impressione che un discorso aggressivo e diretto funzioni meglio che i giri di parole. Il ragazzo alza gli occhi e sorride.
«Comprensibile» ammette. «Ti ho chiesto di vederci proprio per darti le spiegazioni che meriti, se avrai voglia di ascoltarle, si intende.»
Silvia non riesce a trattenere la spocchia: «Certo che voglio ascoltarle.»
Fabrizio ignora quel tono supponente: «Siamo partiti con il piede sbagliato. O meglio, sono partito con il piede sbagliato: ci siamo malintesi, ho dato il via a una catena di equivoci, cose che possono capitare, ma che si possono anche risolvere.»
«Io non vedo malintesi» lo interrompe lei, secca. «A me piaci, io non piaccio a te.»
«È inesatto» le parla sopra Fabrizio, prima che lei prosegua il discorso. «Se tu non mi piacessi –e ti prego, non fraintendermi- non credo che avrei accettato comunque di vederti spesso, ti pare?»
«Appunto» conferma Silvia, «quindi...»
«Ti chiedo scusa, ma devo finire il discorso. Il fatto è che questo ha dato il via a una serie di equivoci, potresti illuderti che tra noi possa nascere qualcosa oltre una piacevole amicizia, e io non voglio che succeda questo.»
Silvia sbuffa, senza il timore di apparire scortese.
«Ma che palle» sputa. Non le piace usare il turpiloquio davanti a Fabrizio, ma non riesce a farne a meno. Fabrizio si interrompe, e lei ne approfitta.
«Senti, parliamoci chiaro.»
Le parole le escono dalle labbra rapide, quasi si accavallano l'una sull'altra, mentre un'ondata crescente di rabbia, fastidio, astio si impadronisce della sua voce. Addirittura i gesticoli si fanno nervosi, secchi e scattanti.
«Ho capito che tu hai sofferto, che la tua amica ti ha illuso, che tu ti sei fatto castelli mentali tanto grossi che ci paghi l'IMU sopra, ma ti svelo che non siamo tutti così. Possiamo vederci, e parlare tanto di cinema e di qualsiasi cosa ti passi per la testa senza che io torni a casa pensando che potresti aver cambiato idea ed esserti innamorato di me.»
Fabrizio sembra rabbuiarsi: «Non è così facile. Rifletti, e capirai che sarà più facile dimenticarmi e rilegare i tuoi grandi sentimenti in un cassetto se smetteremo di vederci.»
«Io nel cassetto non metto proprio niente. Perché, piuttosto, non apri tu un cassetto nascosto, e cerchi di vedere qualcosa di buono in me e in questa situazione?»
«Silvia, io non...»
«Taci» fa marcia indietro lei, rabbiosa. «Perché tanto ti aggrapperai all'ennesimo specchio, continuerai a non essere onesto, io dovrò sentire l'eco delle tue unghie sul vetro e mi innervosirò ancora, e ancora.»
Vorrebbe chiederglielo, mentre la osserva bere, il viso contratto in una smorfia di rabbia, le labbra serrate sulla cannuccia e gli occhi di ghiaccio sottili come fessure, puntati su di lui senza sosta, ma la domanda gli muore in gola.
"E allora perché non vai via?"
Ha paura. Paura che quell'unico sputo di desiderio non desiderato lo abbandoni, di sentirsi recriminare i suoi errori, scoprirsi sbagliato, ancora.
Quando riprende parola lo fa a voce tanto bassa che quasi non si sente lui stesso.
«Scusa per l'altra volta.»
Ciononostante, il viso di Silvia si addolcisce.
«Cosa?»
Il tono è tornato morbido, carezzevole.
«Mi dispiace per come mi sono comportato l'altra volta» ammette infine. «Sono stato meschino a lasciarti su quella panchina, di notte, da sola, senza salutarti o sincerarmi che fossi tornata a casa dopo. Ho agito d'impulso e ho sbagliato.»
Silvia gli stringe una mano. Fabrizio la ritira d'impulso.
«Non ti preoccupare» lo rassicura con dolcezza. «Sei umano, tuo malgrado.»
«Com'è andato il colloquio?» devia il discorso lui con prontezza.
Silvia aggrotta le sopracciglia, perplesso.
«Il colloquio» le ricorda Fabrizio, incerto. «Non hai fatto un colloquio nella pizzeria vicino alla redazione, quando ci siamo visti in stazione..?»
Sbuffa, mimando le virgolette alte con le dita: «"Le faremo sapere". La classica perifrasi per dirmi che non vado bene, lo so.»
«Be', non è detto» tenta di rasserenarla Fabrizio. «Aspetta un po', magari l'hanno detto per prendersi tempo. Con rispetto parlando, ma cosa ti avranno mai chiesto per servire pizze?»
«Le solite cose» minimizza, laconica, sorseggiando il suo cocktail con aria distratta.
«Tipo?»
«Quelle che chiedono ai colloqui, sai, no? Di descrivermi, pregi e difetti, aspirazioni per il futuro, esperienza pregressa, se so lavorare sotto stress...»
Sembra stizzita. Fabrizio tace, prende tempo, senza sapere cosa dire.
«Vado un attimo in bagno» prende parola lei infine, alzandosi.
Si chiude nel bugigattolo e si concede un sospiro di sollievo.
Doveva tenere a mente che mentire richiede una buona dose di memoria.
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