Capitolo 53

[Capitolo da correggere]

Harry's POV.

Essere pessimisti è una cosa ottima. Se succede qualcosa di bello, puoi gioirne. Se succede qualcosa di brutto, eri preparato.
Non so dove ho letto questa frase tanto poetica quanto veritiera, ma allo stesso tempo molto malinconica. Forse sul fondo di una tazza da Cleo's, dove su ogni fondo c'è un aforisma, o peggio ancora dietro la carta usata di un cioccolatino. In ogni modo non c'è cosa più vera.
Nella vita ho imparato ad essere pessimista, in modo da non dovermi mai aspettare troppo dalle persone. Più alte sono le aspettative, più alte sono le delusioni. Se qualcuno ti promette il sole di notte, non lamentarti se poi ti ritroverai solo una lucciola tra le mani. La colpa è tua, che ci hai sperato sul serio.
Ma, adesso, devo pagarne le conseguenze. Ho creduto in queste settimane che mio padre fosse cambiato, che le sue idee su di me, suo figlio, fossero variate. Ha commentato negativamente Cher, all'inizio, creando in me una rabbia insostenibile. Ha chiesto un patetico scusa, come se non avesse fatto nulla di grave, come se la vita di suo figlio valesse tanto quanto un bicchiere rotto al pavimento o una crepa sul muro.
Ci sono persone che non se ne rendono minimamente conto, ma l'assenza di un genitore nella propria vita può segnarti in una maniera inimmaginabile. L'assenza di entrambi divide la tua vita in due parti, in due pezzi di un unico puzzle.
Come farvi un esempio? Immaginate il primo pezzo del puzzle, in alto a sinistra, e l'ultimo in basso a destra. Fanno parte della stessa immagine, ma se provate a metterli insieme non coincidono. Ogni parte della mia fottuta vita è divisa in queste due parti: uguali ma diverse, coincidenti ma non coincidenti.
«Non hai mandato nessun messaggio alla tua presunta ragazza?» la voce di Susan mi risveglia da quel momento di distrazione.
Fisso il bong caldo sul tavolino di fronte a me. Pochi minuti prima è stato utilizzato da Susan, mentre io gli sono stato abbastanza lontano. Non voglio ricadere in quella merda. Non adesso.
«Ho il telefonino scarico», mi indico la tasca dei pantaloni. «Spero non si sia mossa da lì», mi porto una mano sulla fronte, sedendomi correttamente sul divano. Sono nel salotto di Susan, un bell'appartamento posizionato nel centro della città non molto lontano dal mio.
Susan, la ragazza dai capelli rossi e rasati da un lato, è la sorella minore di Evelyn. Ovvero la ragazza che qualche anno prima mi ritrovai a scopare in un lurido bagno. E' cambiata, tantissimo. E' molto più magra, quasi anoressica, e veste totalmente di nero. Ha cambiato colore dei capelli ed ora indossa più tatuaggi che vestiti. Più incubi che sogni. Ed è solo colpa mia.
«Io ho un I-Phone, altrimenti ti avrei aiutato. Vuoi chiamarla col mio?»
«Ti ho già detto che non so il numero a memoria», alzo gli occhi verso di lei con una smorfia.
«Ma siamo sicuri che esiste questa tipa?» si siede sulla moquette marrone del pavimento riprendendo il suo bong e aggiungendoci della marijuana, preparando il tutto con un'esperienza che non mi sarei mai immaginato.
«Perché dovrei inventarmi una cosa simile?»
«Sei capace di tutto», alza gli occhi verso di me, con le labbra sottili pressate in un espressione seria.
«Sono cambiato», dico quasi con imbarazzo, «non sono più lo stesso di una volta. Sono appunto qui per..» prendo un lungo respiro, «chiederti scusa», sospirai.
«Chiedermi scusa?!» mi guarda malissimo, lasciando andare il bong nello spazio tra le gambe piegate.
«Non in quel senso. Non voglio chiederti quel tipo di scusa, so come ci si sente quando lo scuse sono sbagliate», mi alzo dal divano e vado a sedermi accanto a lei. Prendo la bonga per il collo e la sposto, lasciandola rotolare via sotto al tavolo. Lei mi guarda, un misto tra rabbia e.. paura, ma soprattutto rabbia.
«Non voglio le tue scuse. Ho superato quel periodo», devia lo sguardo e fa per alzarsi.
«Non alzarti, lasciami parlare. Le mie parole non potranno farti male», la guardo, convincendola con lo sguardo a sedersi di nuovo.
«Sbrigati, ho voglia di fumare», incrocia le braccia al petto e torna alla posizione iniziale.
«Sono venuto a cercarti ieri sera per parlarti di ciò che successe in quel bagno», mi gratto un braccio. «Solo che.. non mi sarei aspettato di ritrovarmi tanto ubriaco da non reggermi in piedi».
«Già. Bevi ancora tanto», mi guarda, mostrandosi per niente meravigliata.
«In realtà no. Non bevevo da parecchio prima di ieri sera», ammetto. «In ogni modo sono ancora frastornato, non sarei dovuto entrare in quel bar. Ti ringrazio comunque di aver accettato di incontrarmi e per avermi portato a casa tua», alzo una spalla.
«Per quanto ti ho detestato non potevo lasciarti in quelle condizioni», si sposta il ciuffo rosso da una parte all'altra, guardandomi con i suoi occhi finti.
«Quella sera, quello che ho fatto, sono cose che non usciranno mai dalla mia testa così come dalla tua. Sono profondamente pentito, lo sono dalla prima volta che ti ho visto. Mi sento una merda, Susan, mi sento davvero uno schifo. Passai le pene dell'inferno in quel periodo, prendermela col tuo corpo fu una mossa da fifone e non mi perdonerò mai per averlo fatto. Non mi perdonerò mai per aver fatto ciò a te e a tua sorella», i suoi occhi si spalancano quando nomino Evelyn. «Sono stato da lei poco tempo fa, con la mia ragazza, ho ripensato al passato e di conseguenza a te, a ciò che ho fatto. Mi manca. No, non mi manca la nostra relazione, ma lei come persona. Era una persona davvero fantastica, così come lo sei sicuramente tu. E io sono uno schifo per aver rovinato le vostre vite», presso le labbra in una linea sottile. La sensazione di una voragine mi si apre nello stomaco e tante piccole api mi pungono, facendomi soffrire anche fisicamente.
«Non capii mai il motivo per il quale lei ti amasse così tanto», la sento quasi sussurrare. «Ora però lo sto comprendendo. Perché sai stupire le persone. Passi dall'essere uno stronzo psicopatico, al ragazzo più pentito del mondo».
«E' un mio difetto», scrollo la spalle.
«Se passi da demone ad angelo non è un difetto. Se passi da angelo a demone, lo è. In questo momento sappiamo entrambi cosa sto per dirti», mi sorride tristemente abbassando lo sguardo.
«Non mi perdoni», risposi ovviamente. La cosa non mi spiace, sono io stesso a non voler essere perdonato.
C'è una piccola differenza nel chiedere perdono e nel chiedere scusa – o almeno secondo me. Se chiedo perdono, voglio che quella persona mi perdoni, che dimentichi ogni mio sbaglio, ricominciando da capo. Se chiedo scusa, esprimo il mio pentimento, mi spoglio davanti a quella persona e ammetto le mie colpe, ma non chiedo pietà, perché sono a conoscenza della gravità dei miei errori.
«Non ti perdono, Harry. Accetto le tue scuse, ma non posso perdonarti. Hai sporcato il mio corpo, lo hai macchiato, e per colpa dei tuoi amici la vita di mia sorella è finita per.. sempre», le scappa un singhiozzo ma lo maschera con un finto sorriso.
«Quelli non erano miei amici», le dico, ma lei non mi ascolta.
«Grazie a te però sono più forte. Ho cambiato la mia vita, ho smesso di essere la ragazzina insicura che dipendeva dai genitori e dalla sorella maggiore», mi informa, impassibile. «Solo», prende una pausa, «a volte mi chiedo come sarebbe andata a finire se Eve non mi avesse impedito di denunciarti».
«La politica di questo mondo funziona male, la vera prigionia è la vita di tutti i giorni. Non c'è pena più grande di un mostro immerso tra tanti angeli. Sai di aver fatto qualcosa di grave, e ciò ti fa sentire inferiore a tutti gli altri. L'ho provato sulla mia stessa pelle, posso assicurarti che fa male», confesso con non so quale vena poetica.
«Sei proprio un'altra persona», mi spinge scherzosamente per le spalle. «Sei sicuro di essere lo stesso Harry Styles?» solleva un sopracciglio ridacchiando.
«Non ne sono così tanto sicuro, in realtà», mi mordo il labbro inferiore pensando a Cher. Cazzo, Cher! «Merda, devo tornare dalla mia ragazza», mi alzo da terra.
«Dunque esiste davvero», ridacchia, alzandosi in piedi e venendomi contro. Non so cosa voglia fare, ma rimango abbastanza basito quando mi circonda la vita con le braccia. E' un abbraccio? Non ho il tempo di ricambiare che si stacca, guardandomi con lo sguardo perso nel nulla ma gli occhi fissi su di me.
«Susan?» la richiamo.
«Mi ero giurata che non ti avrei mai più toccato. Ho sempre pensato che toccarti avrebbe riaperto le crepe di quelle notte.. invece..» scuote la testa. «Non importa», ridacchia. «Ti accompagno alla porta».
Sono abbastanza confuso. Mi accarezzo il collo ed annuisco, seguendola all'ingresso. «Okay..»

Sono esattamente le otto e mezza, o almeno lo erano secondo l'ubriaco marcio sul marciapiede che si vantava di aver trovato un orologio funzionate. Non ho possibilità di controllare dato che ho il cellulare a terra. Cristo, scordo sempre di ricaricalo.
Ho appena parcheggiato l'auto, ma non ho il tempo di chiuderla con la chiave elettronica che sento urlare il mio nome a pochi metri di distanza. Girandomi noto Cher seduta sulle scale del mio condominio con accanto a lei un ragazzo con in mano una busta di patatine al formaggio.
«Piccola, posso spiegarti..» Non ho il tempo di aggiungere altro che, come una furia, cammina verso di me e mi molla un sonoro schiaffo sulla guancia. Rimango senza una fottutissima parola. Questo lascia il segno, Dio, fa un male cane.
«Cher!» sbotto, sbalordito, portandomi una mano dove sono stato colpito.
«Come cazzo ti è venuto in mente di lasciarmi qui?! Da sola! Dopo tutto quello che è successo!» mi spinge per le spalle e, visto che non me lo aspettavo, sbatto con la schiena contro l'auto. La fermo per i polsi prima che possa colpirmi ancora una volta.
«Calmati, Chee, ti dirò tutto», le prometto, vedendola dimenarsi con gli occhi lucidi. Non ne combino mai una giusta.
«Mi hai lasciata da sola!» grida.
«Sarei tornato, lo sai», la guardo, sorpreso.
«Mi sono spaventata tantissimo. E se ti fosse successo qualcosa? Come avrei fatto a saperlo? Non mi hai lasciato nemmeno un messaggio e non rispondevi alle mie chiamate», ringhia, tirando su col naso.
«Mi dispiace tantissimo», le circondo le spalle con le braccia, baciandole una tempia. Ha immediatamente un pianto nervoso sul mio petto. Sorrido, intenerito, nel sapere quanto si è preoccupata per me. E' così dannatamente bella. «Ehi, va tutto bene. Sono qui, non succederà più», le sussurro, chiudendo gli occhi.
«Ti odio», brontola contro il mio petto, stringendo i bordi della mia maglietta in due pugni.
«Come no», ridacchio, staccandomi e dandole un bacio sulla fronte.
«Oh vedi, è tornato? Sapevo lo avrebbe fatto», una voce mi riporta con lo sguardo al ragazzo seduto sulle scale a mangiare patatine.
«E questo?» sollevo un sopracciglio. Chi cazzo è?
«Lui è Owen, mi ha fatto compagnia, l'ho incontrato nel bar in cui sei stato ieri con una ragazza», mi guarda con rimprovero. «Owen è stato con me nelle ultime due ore a rassicurarmi che saresti ritornato».
«Gentile», lo guardo, ancora male. Non posso evitare di guardare male un ragazzo che ha passato tanto tempo con lei, riempiendole la testa di chissà cosa.
«Qui il mio lavoro è finito», si rialza, accartocciando la busta vuota e lanciandola verso il cestino sul marciapiede. Si avvicina a Cher e fa per baciarla su un guancia. Quasi d'istinto tiro Cher verso di me per un polso, in modo delicato, socchiudendo gli occhi e guardandolo male.
Owen scoppia a ridere scuotendo la testa. «Tesoro, sei lento a capire le cose», ride di me. Continuo ad essere confuso. «Sei molto più invitante tu della tua ragazza, dolcezza», mi fa l'occhiolino, per poi baciare Cher su una guancia e salutarci con la mano.
«Penso di non star capendo», ammetto in un borbottio.
«Sei tu il primo a dover dare delle spiegazioni», mi dà un leggero pugno sul braccio.
«Hai ragione», le prendo la mano e la porto verso l'entrata, aprendo la porta e lasciando che mi seguisse.
Una volta rientrati e seduti sul divano di casa di mio padre, gli racconto per filo e per segno tutto ciò che è successo in queste ore in cui sono mancato. Le spiego di Susan, di quant'è cambiata e di cosa ci siamo detti ieri ed oggi. Sembra essersi calmata un casino, è molto più serena e ha smesso di alzare la voce. La sua espressione quando mi ha visto ritornare si alterava dalla felicità alla rabbia.
«Perché non dirmelo? Ti avrei accompagnato, o avrei aspettato. Invece mi hai lasciato in un mare di domande e preoccupazioni, Harry», mi si avvicina, mettendosi a cavalcioni su di me, giocando con una ciocca dei miei capelli.
«Non volevo appunto che ti preoccupassi maggiormente. Non era mia intenzione tornare oggi, mi sono appisolato a casa di Susan ieri sera e ho perso la cognizione del tempo», mi passo la lingua tra le labbra, circondandole i fianchi. «Ora però sono qui», scrollo le spalle con un sorrisetto. Cher mi mette un dito in una fossetta, alzando gli occhi verso i miei e sorridendomi.
«Sto bene», mi risponde. Non so perché, ma sentirglielo dire mi alleggerisce l'anima, mi rende meno ansioso. E' così fottutamente importante per me. Non so dove sarei in questo momento senza di lei.
«Sono felice, piccola», le prende il labbro inferiore tra i denti, avvicinandole per baciarla con trasporto. Sento la sua lingua ruvida scivolare contro la mia, chiudo gli occhi e mi godo quel momento. Le sue mani calde salgono verso il mio collo, poi tra i miei capelli e li tira debolmente, il suo bacino si muove contro il mio, stupendomi. Sta prendendo le redini del gioco ed adoro quando lo fa.
«Mi sei mancato così tanto», mi accarezza una guancia, sorridendomi con le guance lievemente arrossite. Gli sorrido di ricambio, prendendo i lembi dei suoi pantaloni ed aiutandola a sfilarseli. «Con calma», borbotta, arrossendo maggiormente.
«Cosa? Non ho fatto niente», sorrido maliziosamente, facendola stendere sul divano. Una volta essermi levato le scarpe mi posiziono su di lei, baciandola ancora una volta con trasporto e passione, succhiandole il labbro inferiore. Le sue mani nei miei capelli mi creano uno strano piacere che non riesco a negare.
Le divarico le gambe, posizionandomi tra di esse, sentendo il mio membro pressare contro i boxer man mano che mi spingo contro di lei. Prendo una parte del suo collo tra le labbra, succhiandole ed assaporando la sua dolce pelle. Faccio scivolare quella parte tra i denti, lentamente, per poi lasciarla e iniziare a succhiarla dolcemente, chiudendo gli occhi.
«Cazzo.. Harry..» la vedo mordersi il labbro inferiore, prendendo la mia maglietta tra le mani per levarmela. Sollevo il torace, in modo che posa sfilarmela. Le faccio un mezzo sorriso, accarezzando la pelle del suo fianco con una mano, graffiandola appena, salendo fino al suo seno e calando il reggipetto per sfiorarle il capezzolo con il pollice.
Chee si passa la lingua tra le labbra, portando la testa indietro e inarcando la schiena. La sento alzare il bacino verso il mio, come se fosse una preghiera silenziosa. Con le labbra scendo verso la sua scollatura, baciandola dolcemente con le labbra umide, abbassandomi fino al seno scoperto. La desidero, subito. Ho una voglia maledetta di lei, della sua pelle contro la mia e di sentirla stringersi contro di me, bisognosa.
«Harry», mi chiama, ansimando. La ignoro e mi abbasso per abbassarle gli slip, ma la sua mano mi ferma sul più bello. Merda. «Harry», mi richiama.
Sollevo gli occhi verso di lei, alzando un sopracciglio confuso. «Qualcosa non va?»
«Sento la vibrazione del mio cellulare», ammette, reggendosi sui gomiti.
«Sono altre le vibrazioni che dovresti sentire», chiudo gli occhi e mi abbasso per baciarle il pube, infilando due dita nell'elastico degli slip, pronto ad abbassarli.
«Harry, sul serio. Se è urgente?» Si rialza, lasciandomi a petto nudo sul divano. Sbuffo, crollando sul divano, eccitato e annoiato all'unisono. Fa che non sia nessuno di importante, ti prego.
«Kelsey», la sento sussurrare.
Girandomi verso di lei, confuso, aggrotto la fronte e la guardo. «E cosa vuole da te?»
«Non lo so.. Harry, e se..» si volta verso di me, mordicchiandosi il labbro inferiore.
«Perché pensi subito male?» mi alzo e le vado incontro, circondandole il bacino con un braccio, baciandole la fronte, poi le labbra e soffermandomi su di esse. No, non posso resisterle. Ricomincio a muoversi, baciandola con trasporto, spingendola verso il muro.
«Perché.. Perché..» sorride mentre la bacio, allontanandomi per le spalle. «Ogni volta che ci chiamano c'è sempre una cattiva notizia, sempre. Siamo sfigati in una maniera incredibile quando si tratta di telefonate», finge di mettere il muso scrollando le spalle.
«Se proprio insisti richiamala», mi stacco facendola spazio.
Cher chiama immediatamente il numero di Kelsey, portandosi il cellulare all'orecchio ed aspettando una sua risposta. Non appena risponde lei attiva il vivavoce, in modo che anche io possa ascoltare.
La voce di Kelsey è ovattata da quella dei medici e di tanti macchinari, dei soliti bip e di porte che sbattono. «Cherie? Harry? Ci siete?» sta singhiozzando, e il ciò non porta nessuna buona notizia. Sbatto con le spalle al muro, crollando seduto sul pavimento e mi posto i capelli dalla fronte, tirandoli all'indietro. Porca puttana, perché a me?
«Kelsey..» risponde Chee.
«Oddio Cher, finalmente, il padre di Harry.. Lui..» Cher la interrompe, abbassando lo sguardo verso di me.
«Kelsey, stiamo arrivando», le sussurra. Il resto della conversazione mi è sconosciuta, quelle parole non sono arrivare alla mia testa. Sono stato ottimista, uno sciocco, di nuovo, e ora me ne sto pentendo.
Sono confuso, disgustato, amareggiato e molto.. triste. Cazzo, sono triste. Sono fottutamente triste. Mi sento morto, morto dentro. Vuoto, vuoto dentro e fuori. Sento come se uno dei pezzi di quel puzzle, fosse improvvisamente andato a fuoco. E mio padre, quel pezzo di merda di mio padre, è morto.

**

Scusate. Scusate. Lo so, non ho scuse. Ma scusatemi ancora per il ritardo. Le mie 'vacanze' non sono ancora iniziate. No, non per la scuola, ma motivazioni personali. In ogni modo sto per darvi GRANDI notizie. Siate solo pazienti, come me. Mancano pochi capitoli alla fine, nel prossimo vi dirò con certezza quanti ne mancano. Ma sono veramente pochi. 

Non dimenticate che ci sarà un: SEQUEL. Un secondo libro, di "Una Stupefacente Trilogia".

Instagram: SABRINE_WATTPAD

E il Gruppo di Facebook che sto per riattivare: Sabrynex's Stories.

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