Capitolo 50
«Sei sicura di star bene?», si preoccupa Harry dopo avermi facilitato lo stringere della cintura di sicurezza offrendomi il suo aiuto, avendo constatato che le mie mani tremavano troppo per riuscirvi da sole.
Gli faccio un sorriso di circostanza, instabile, allontanando le sue mani da me.
«Mi passerà, è solo l'ansia da primo volo», cerco di convincere più a me stessa che lui.
So che non si tratta solo di questo, ma di tutto ciò che gira nella mia testa. Il fatto di essere su un aereo pronto per il decollo mi pesa molto meno di quanto avrebbe dovuto. Sto per volare, ma la vera me stessa è con i piedi piantati nel cemento armato in un oceano vasto.
Non potrei spiccare il volo nemmeno se lo volessi.
Poco meno di una settimana dopo aver lasciato tutto, Ray e Missi, Mitch in un centro di riabilitazione per tossicodipendenti e Tessa nelle mani dei suoi genitori, posso definirmi quasi pronta a fare il grande passo ed accompagnare Harry da suo padre. Sono emozionata, spaventata, intimidita, eccitata, sono così tante cose che non riuscivo nemmeno a stare seduta.
«So che qualcosa ti turba, piccola, vuoi parlarne?» mi stringe amorevolmente la mano, cercando in ogni modo di guardarmi negli occhi. Una scia di preoccupazione scorre nelle sue iridi verdi mentre io cerco di rilassarmi, sfregando i polpastrelli contro le sue nocche. Fisso le nostre mani unite cercando di focalizzare la situazione, situazione che tutt'ora mi appare incredibilmente irreale.
«Sto bene, sul serio. Sono solo preoccupata per quello che mi aspetterà una volta atterrata».
«Se non te la senti possiamo sempre tornare indietro», replica, ma quella frase me l'ha ripetuta un numero minimo di otto volte da quando siamo partiti da casa sua. So che non è convinto delle sue parole, che la mia presenza a Boston con lui è a dir poco sostanziale; ma so anche che non mi forzerebbe a fare ciò che non voglio.
«Voglio esserci. Non voglio tornare indietro, voglio andare avanti. E' che ho la sensazione di star scappando un'ennesima volta, lasciandomi alle spalle una montagna di problemi da risolvere».
«Non c'è nessun problema da risolvere, ed anche se fosse tra quindici giorni noi saremo di nuovo lì, Chee. Mitchell è in buone mani, ha persone che si occupano di lui adesso. Tessa e suo figlio sono con un assistente sociale che si occupa di ragazze madri, i tuoi genitori stanno bene e tu sei qui, con me, in salvo», mi accarezza il dorso della mano col pollice ruvido.
«Se lo dici tu».
«Se la caveranno anche senza di te. Smettila di comportarti come se fosse una tua fottuta responsabilità», mi rimprovera con un tono incredibilmente gentile.
«Lo è», mormoro tra i denti, per poi deglutire. «Se gli fossi stata vicino Mitchell ora non sarebbe in un centro di riabilitaz..»
«Non iniziare di nuovo con questa storia, non voglio sentirti parlare di questa minchiata di addossarti colpe che non hai», mi lascia andare bruscamente la mano.
«Tu non puoi capire!» sobbalzo quando sento il motore tremare sotto il mio sedere, sussulto leggermente e mi rendo conto di cosa sta per succedere. «Oh cazzo», deglutisco.
Harry si volta verso di me con un mezzo sorriso, come se si aspettasse questa mia reazione. «Vuoi che ti tenga la mano, baby?»
«Ficcatela nel culo la tua mano», borbotto stringendomi le ginocchia tra le mani. Chiudo gli occhi e prendo un lungo respiro, rilassando i muscoli delle spalle e inspirando dal naso.
«Siamo su un aereo, non ad una dannata lezione di yoga», mi lancia un'occhiata. «Smettila di essere.. strana».
Ignoro il suo commento poco gentile, ormai abituata. «Scommetto che anche la tua prima volta ti ha spaventato. Quanti anni avevi la prima volta che hai volato?» gli chiedo.
«Penso di aver avuto poco più di due anni quando i miei genitori si sono trasferiti dall'Inghilterra al Massachusetts», spiega indifferentemente.
«Non significa nulla, eri un bambino, la cosa ti eccitava», mi difendo.
«Non esattamente. Anni dopo ho seguito mio padre nei suoi viaggi esteri, e non ho mai avuto paura di volare, anzi, credo che l'idea di precipitare mi abbia sempre incuriosito», sulle sue labbra si apre un lieve sorriso mentre studia il mio volto.
«Ogni giorno che ti frequento diventi sempre più strano», brontolo fingendo di mettere il muso. Lui si abbassa verso di me e mi lascia un bacio lieve sulle labbra, sfiorandomi il labbro superiore con la punta della lingua.
«Morire insieme a te è come dare inizio ad un'altra vita».
«Noi non moriremo su un aereo, Harry, smettila di spaventarmi», gli mollo una spallata.
«Lo spaventarti però è servito a farti dimenticare che stiamo correndo da parecchi secondi ad una velocità irrefrenabile», sghignazza posizionando la schiena contro lo schienale grigio.
Trasalgo alle sue parole, stringendo il bracciale d'appoggio con le mani. Girandomi lentamente noto che tutti gli altri passeggeri sono nella stessa posizione di Harry, ed il motore sotto al mio fondoschiena non sta solo tremando, sta letteralmente impazzendo. E' come stare in un ascensore che dà il meglio di sé.
«Non mi ero accorta che eravamo già partiti», sussurro preoccupata.
«Tra poco decolliamo», si guarda intorno, passandosi ripetute volte la lingua tra le labbra screpolate. Nonostante la stanchezza presente sul suo volto, rimane incredibilmente bello. I suoi occhi sono esausti, ma il modo in cui quella bandana gli tiene fermi i capelli lo rende incredibilmente affascinante.
«Papà, ho sete.. Papà», affacciandomi leggermente verso la fila centrale noto una bambina dai capelli ramati tirare la cravatta del padre cercando di richiamare sua attenzione. Sorrido istintivamente, mentre guardo il padre porgerle una bottiglietta d'acqua e sistemarle il vestito rosa.
Ciò mi porta a chiedere qualcosa ad Harry, «Hai avvisato tuo padre che stiamo per arrivare?»
«Qualcosa del genere», risponde a bassa voce, continuando a fissare la bambina che abbraccia il braccio del proprio genitore.
«Harry», gli stringo il polso imponendolo a riportare l'attenzione su di me.
«Gli ho detto che ci saremmo rivisti presto».
«Perché non dirgli che partivamo oggi?»
«Non so quando andrò in ospedale, non me la sento di dargli una data. So dove sono le chiavi di casa sua, staremo lì per un po'..»
Gli stringo più forte il polso, nonostante sappia di non stargli facendo male. «Non mi porti dall'altra parte dell'oceano per una gita di piacere, ci stiamo andando perché tu hai bisogno di rivedere tuo padre e parlargli», gli ricordo, fermamente convinta.
«Che palle, ancora con questo discorso? Mi hai già convinto a tornare a Boston, nonostante mi ero giurato di non rimetterci più piede, cos'altro vuoi?»
«Non parlarmi come se stessi dicendo qualcosa di male», mi impongo. «Sai perfettam..» mi blocco quando sento un peso nello stomaco, come un mulinello, e man mano sento il contatto con la terra sparire da ogni singolo angolo del mio corpo. Portandomi entrambe le mani davanti agli occhi mi obbligo ad immaginarmi altrove, magari su una spiaggia sulla terra ferma, o nel mio letto con il mio libro preferito ed una tazza di tè caldo.
«Ci stiamo innalzando», afferma Harry con voce tranquilla. «Se bastava questo a farti tacere, avrei fatto un cenno al pilota molto prima». Mi libero di una mano solo per pizzicargli il braccio, per poi tornare nascosta dietro le mie dita. Poco dopo sento di nuovo la mia mano allontanarsi dal viso, ma questa volta grazie a lui. Le sue dita si incastrano tra le mie, mi costringe ad aprire gli occhi e li fissa irrimediabilmente con i suoi, procurandomi una scarica di brividi lungo le braccia.
«Ti amo», mi confida, come se fosse il più proibito dei segreti.
«Ti amo», sussurro, mordendomi il labbro con forza.
«Si pregano i signori passeggeri di tenere le cinture agganciate finché l'aereo non sarà regolarmente in posizione», ripete l'hostess al microfono in diverse lingue, come ha fatto con il resto degli ordini poco prima.
«Penso che non mi toglierò la cintura nemmeno per andare al bagno», risposi con convinzione.
«Esagerata», scoppia a ridere. «Goditi il volo, Chee».
«Come se fosse facile», brontolo.
«Chiamalo».
«No».
«Harry, fallo».
«Scordatelo», brontola.
«Chiama tuo padre, Harry», ringhio gattonando sul letto, arrivando fino a lui che è seduto al bordo del materasso intento a sfilarsi le scarpe.
«Non rompere, Chee», borbotta, alzandosi in piedi ed andando verso la sua valigia.
«Non può non sapere che suo figlio è a pochi chilometri da lui, questa si chiama cattiveria», mi metto seduta sui polpacci, con le braccia conserte.
«Lo chiamerò quando sarò pronto ad andare da lui», caccia fuori da essa una canottiera bianca e se la porta su una spalla, facendo lo stesso con un paio di boxer.
«E quando sarai pronto?» insisto.
«Tu non chiudi mai quella bocca? Ha mai provato a stare zitta per.. non so.. quindici minuti?» ci lanciamo a vicenda delle occhiate, prima che io mi alza e gli cammini incontro, ma lui cerca di scapparmi precipitandosi nel bagno della sua vecchia casa.
Lo raggiungo quasi subito e gli tiro la maglietta, prepotentemente. «Non dirmi di stare zitta, stronzo».
«Scusi, principessa, non succederà», alza gli occhi al cielo, avvicinandosi alla vasca da bagno lasciando sgorgare l'acqua tiepida.
«Perché aspettare? Sei qui, puoi farlo ora, non sprecare altro tempo».
«Cher, non è così facile», si sfila la maglietta gettandola a terra. Fingo di non essere scossa alla vista del suo petto, dorato, liscio e pieno di tatuaggi. «Qui mi conoscono tutti, ho bisogno di fare piccoli passi, non voglio incontrare nessuno di cui so che mi pentirei», dice, sfilandosi i pantaloni ed i boxer.
«C'è qualcuno in particolare?»
Harry sembra pensarci su, poi mi guarda col suo sguardo insicuro, come se le sue parole potessero ferirmi. «Sì».
«Ne vuoi parlare?» faccio un passo in avanti.
Lui abbassa gli occhi sul proprio corpo, facendomi cenno che è nudo.
«Oh, certo, vuoi lavarti prima..» scuoto la testa, cercando di nascondere il batticuore e l'imbarazzo.
«Spogliati», mi intima, facendo un cenno col mento.
Presso le labbra, non sapendo come ribattere a quel suo ordine. Quasi automaticamente, come se dovessi farlo per priorità, mi sfilo la maglia di dosso, sotto i suoi occhi affamati. Ho la pelle d'oca quando i suoi occhi si bloccano sui movimenti delle mie mani, come un lupo che segue con lo sguardo un cucciolo indifeso.
«Sbrigati, Cherie», supplica con voce vellutata, inclinando la testa di lato e passandosi la lingua sul labbro inferiore.
Faccio scivolare via anche gli shorts neri, lasciandoli a terra, per poi scacciarli vicino alla sua maglia. Porto due dita contro l'elastico degli slip di un rosa pallido, facendoli scivolare verso il basso, rimuovendoli. Continuo a mordermi un labbro, con gli occhi chiusi, slacciandomi anche il reggiseno.
«Cazzo..» sento Harry sibilare, quando apro gli occhi noto che è di spalle e i muscoli gli si sono irrigiditi. Sta entrando nella vasca, fino ad immergersi del tutto. Si sciacqua quasi immediatamente il volto con l'acqua, riprendendo fiato e sospirando.
«Posso..» chiedo, facendo un passo in avanti.
Lui fa emergere una mano, fradicia, e me la porge. La stringo e lascio che mi aiuti a posizionarmi tra le sue gambe, dandogli le spalle. Trasalgo sentendo il suo membro contro il mio sedere, mentre le sue mani vagano contro le mie gambe.
«Stai comoda?» mi domanda, stranamente premuroso.
«In un certo senso sì», rabbrividisco.
«Vuoi sapere di Evelyn?» con le labbra mi accarezza la spalla destra, socchiudo gli occhi ed annuisco inconsciamente. Evelyn? «Eve è stata la mia prima vera ragazza, quella con cui potrei dire di aver instaurato il rapporto che andava oltre al sesso occasionale».
«Okay», rispondo insicura sul cosa aspettarmi.
«Con lei è successo tutto per puro caso. Era una ragazza fantastica, come te, avete molte cose in comune ed entrambe usate la bocca solo per inveirmi contro», sogghigna. «Nonostante ciò, Eve aveva una spinta in più da tutte le altre. Era forte, decisa, e cercava in ogni modo di cacciarmi fuori dai guai. Mitch la conosceva, erano buoni amici. Eve mi è stata accanto fino a quanto ha potuto, mi ha sorretto e dato forza. Quando mio padre era via lei dormiva da me, e nei finesettimana quando non aveva scuola passavamo letteralmente tutta la giornata a letto..» la sua voce è nostalgica, non sono nella posizione di poterlo guardare negli occhi ma scommetto che direbbero lo stesso. Eppure il pensiero di loro due a letto non mi dà esattamente quel brivido di gelosia che dovrebbe percorrermi, so che le cose in quel tempo funzionavano in modo diverso.
«L'amavi?»
«No», risponde con una sincerità inquietante. «Sei l'unica persona che ho amato più di me stesso. Lei però mi amava, era inspiegabilmente innamorata di me», fa un sospiro. «Ed è stato il suo amore a portarla via».
«Se ne è andata perché non ricambiavi?»
«Mi lasci finire?» mi pizzica un fianco, trasalgo ed annuisco allontanando la sua mano da me. Lui la porta sulla mia pancia, accarezzandomi dolcemente con le dita, procurandomi irrequieti brividi. «Ovviamente quel periodo è stato un vero schifo per me. Me ne successero di tutti i colori, ero poco uscito da prigione e Mitchell mi cercava ovunque. Io e Eve litigammo pesantemente quella mattina, lei mi diede addirittura del figlio di puttana. Non le misi le mani addosso, non l'ho mai fatto effettivamente, ma la ferii con le parole dicendole che non avevo bisogno di lei ed altre merdate che solo io sono capace di dire. Quella sera avevo bisogno di dimenticare, con un paio di amici me ne andai in club notturno, uno dei peggiori in assoluto», prende una lunga pausa, lasciandomi col fiato in gola. «E quella sera ho mostrato il lato peggiore di me. Ti ricordi quello che ti raccontò Mitchell, a proposito di quella ragazza nella cabina del sudicio bagno?»
«S-Sì.. Evelyn era quella ragazza?!» trasalgo.
«No, non lo era», deglutisce. «Iniziai con una tipa a caso, che era ubriaca tanto quanto me. E quella sera, per la cronaca, non ero solo ubriaco.. probabilmente anche fatto di cocaina, fu tra le prime ed uniche volte che la provai», abbassa la voce. «Mi chiusi in un bagno e la scopai violentemente, fregandomene quando mi chiese di andarci piano, ero preso dalla collera e volevo farlo male, tanto. Non so perché, ma condividere il dolore interno con quello esterno di qualcuno.. mi faceva sentire bene, cazzo. Per quanto suoni spregevole e malato, era così». Le sue parole mi lacerano dentro, ferendomi nel profondo, ma cerco in ogni modo di ripetermi che non è più quella persona. Il ragazzo che mi sta abbracciando nella vasca di suo padre, non è lo stesso che ha abusato di una ragazza in un sudicio locale.
«Quello che Mitchell ti ha raccontato però non era riferito a questa prima ragazza. Quella che portai nel secondo bagno poco, quella mi preoccupa fottutamente tanto. E' entrata nella mia testa, l'immagine di lei, del suo sangue, mi uccide tutt'oggi», la sua voce è un misto di tristezza che non gli avevo mai sentito prima. Cerco le sue mani nell'acqua calda e le stringo tra le mie sul mio addome, facendogli capire che ci sono, e sono lì per lui. «Inizialmente lei sapeva a cosa andava incontro, sapeva che volevo solo fotterla, e mi ha lasciato fare indifferentemente da come sarebbe finita. Era ubriaca tanto quanto me, fu lei stessa a portarmi in quel bagno. Le alzai il vestito e la presi contro il muro, in uno dei cessi. Dopo un paio di spinte lei gemeva, forte, segno che le piaceva; poco dopo le grida divennero grida di dolore, stavo andando troppo forte e lei non riusciva a fermarmi. Le stavo facendo male, mi pregava tra le lacrime di smetterla, ma più lei mi pregava più aumentavo con veemenza. Quando venni dentro di lei, ne uscii con la punta sporca del suo sangue e le gambe di quella ragazza piena di lividi», si ferma ancora una volta, come se stesse cercando di fare mente locare. «La parte peggiore? Qualche mattina giorno dopo mi ritrovai Eve fuori casa, furiosa, con lo sguardo assassino ed era pronta ad ammazzarmi con le sue stesse mani», pressa le labbra sulla mia spalla.
«Conosceva quella ragazza», suppongo.
«Peggio ancora», finge una risata. «Quella ragazza era sua sorella minore. Ero l'artefice di una specie di stupro, contro la sorella di quella che era la mia ragazza. Sogno quella scena quasi sempre, come se fosse un mio dovere, una punizione per ciò che ho fatto. Lei mi diceva che ero uno stronzo, che sarei morto nella mia merda, ma non era nulla che io non sapessi già. Quando poi capii che lei mi vedeva nello stesso modo in cui mi vedevano gli altri, il mondo mi crollò addosso, non volli più riprovarci. Non potevo darle torto, avevo fatto delle cose orribili, ma sapere che riprovarci sarebbe stato inutile mi feriva ugualmente».
«Sai quanto questo ti segni? Non sei più quella persona orribile. Hai fatto delle cose di cui ti vergogni, ma il fatto che tu ne penta ti rende già una persona diversa».
«E' per quegli avvenimenti che ho capito di avere dei problemi, problemi che nemmeno uno psicologo poteva risolvere. Sparire dalla zona era l'unica soluzione, Mitchell mi ha aiutato in questo più di quanto lui creda. Evelyn decise di non denunciarmi, sua sorella finì poco dopo da uno psicologo, e ci rimase per più di un anno per quanto ne so», concluse. «E lei è solo un pezzo dell'enorme puzzle che costituisce la mia nomina di ragazzo di merda in questa città».
«E lei ora dov'è?» quando Harry si alza per uscire dalla vasca, aspetto che mi porga la mano per aiutarmi ad uscire.
«Lo vuoi veramente sapere?» rabbrividisce.
«Sì», sussurro, insicura. «Chiudiamo questa storia una volte per tutte».
«Cher, questo..»
«Harry», gli prendo una mano, «ti prego».
«Okay, ti porterò da lei», abbassa lo sguardo, sospirando.
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Domani vi darò le mie spiegazioni, ma per ora devo proprio scappare, sono le sei del mattino :c
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