Capitolo 47.
Nda: Solitamente non consiglio mai della musica per i capitoli, ma questa volta vi suggerirei, per tutto il capitolo: Senza Scappare Mai, di Tiziano Ferro. Nonché una delle mie canzoni preferite, che mi ha ispirato molto per questo capitolo! x
Quando scegli uno stile di vita, quello ti rimane per il resto della tua esistenza. E per quanto tu possa desiderare il cambiamento di esso, non ci sarà scusa che regga o azione che tu possa svolgere che possa funzionare. Sei nato merda, morirai una merda. Chi nasce tondo non può morire quadrato. L’albero si raddrizza solo quando è piccolo. Quanti proverbi conoscete?
Quante minchiate ci hanno sparato in testa quando eravamo piccoli, solo per farci imparare a star seduti composti a tavola o quando saremmo diventati grandi avremmo avuto dei fottuti problemi alla schiena.
E’ semplicemente così che vanno le cose, in fondo.
Se hai deciso di piantare merda non aspettarti che fiorisca; non che fiorisca di rose o girasoli, ma non aspettarti che fiorisca e basta.
Sento il cellulare vibrare sulla mia mano sinistra, ma è letteralmente l’unica cosa che sento in questo momento. Chiudo gli occhi, vedo nero, li riapro e vedo ancora tutto nero. Sento il sangue colarmi sulle tempie, il naso e la bocca. Socchiudo le labbra, ma mi bruciano troppo per parlare, figuriamoci per urlare.
Non so cosa sia successo, so di essere stato pestato come se fossi una bestia, ma non so come sia finita. La mia fama mi precede, ma non tanto da aver fermato quei fottuti cazzoni. Sun. Brandon. Dio, li uccido con le mie fottute mani. Cerco di rimettermi in piedi, penso di averlo fatto, ma un secondo dopo mi accorgo che le scena di me in piedi è solo un allucinazione.
Cerco di urlare. Di chiedere aiuto. Sono fottutamente paralizzato sul pavimento sudicio di un condominio di periferia, lontano da tutti, da tutto. Quando ho preso il mio cellulare? Ho già provato a chiamare aiuto? Richiudo gli occhi quando lo sento vibrare, ma sono troppo debole per voltare la testa nella sua direzione.
Non posso più combatterlo, sento la testa che mi scoppia e la vergogna imprigionarmi in una bolla nera di disperazione. Chiudo gli occhi per un’ultima volta, desiderando di trovarmi in un tutt’altro posto. Il cellulare mi scivola dalle mani, dei rumori sconosciuti mi scuotono, ma ho già gli occhi chiusi.
***
«Harry, cazzo», sento urlare, mentre una mano mi scuote la spalla dolorante. Lancio un urlo di dolore, aprendo gli occhi. La pressione sulla mia spalla non si decide a sparire, apro gli occhi, fulminandoli in quelli blu di Ray. Ringhio, facendogli cenno di allontanare la sua maledetta mano dal mio corpo.
«Finalmente ti sei svegliato, cazzo», si porta le mani nei capelli, allontanandosi dal letto in cui sono rilassato. Riesco incredibilmente a mettermi seduto, ma la testa mi gira in un modo assurdo, come ad avvisarmi che se solo provo a mettermi in piedi per me è la fine. «Ehi, amico, stai bene?»
«Ho la faccia di uno che sta bene?» sbotto.
«Ehm.. no», si morde il labbro inferiore, passandomi una pasticca ed un bicchiere d’acqua che erano presenti sul comodino.
«Analgesici?» faccio una smorfia, prendendo il bicchiere dalle sue mani.
«Sì», si corruccia.
«Per come mi sento avrebbe fatto più effetto della coca, o dello speed».
«Fottiti e prendi quelle maledette medicine», scuote la testa, «non posso credere che ti abbiano pestato e tu non abbia reagito».
«Ero al buio, e loro erano tre o quattro fottuti stronzi», alzo gli occhi verso di lui, mentre deglutisco velocemente l’acqua che spinge verso la gola la pasticca ingerita. Sento una tempia che pulsa in una maniera anomale, mentre le dita mi tremano e le labbra gocciolano ancora, brucianti. Fantastico.
«Stai messo malissimo», mi guarda Ray, dispiaciuto.
«Oh, dici sul serio?» gli lancio un’occhiata. «Non ricordo praticamente nulla di quello che è successo».
«Non ricordi cosa ti hanno detto?»
«No», ansimo. «Non mi ricordo, forse qualcosa sul fatto che io debba star attento ma.. ho la testa fottutamente vuota».
«Centrano sicuramente Sun e Brandon», deduce Ray.
«Oh, ma non mi dire. Conosci qualcun altro che mi vuole morto?»
Lui alza un sopracciglio, come a dire che conosce più di ‘qualcun’altro’ che mi vuole morto. Sbuffo, posando il bicchiere sul comodino, «Era una domanda retorica, amico», commento.
«Già», sbuffa una risata, alzandosi dal letto. «Perché qui le cose non funzionano mai? C’è sempre un problema quando si tratta di te», cammina verso il suo armadio, tirando fuori un paio di vestiti puliti. Una maglia rossa con dei strani segni mi viene lanciata sulle gambe, la guardo con una smorfia, riconoscendo i gusti di merda del biondino.
«Sei stato in ospedale? Come sta?» domando, spogliandomi della mia maglia macchiata.
«Non si è ancora svegliato», risponde.
«Chi?» increspo la fronte.
«Be’, Mitchell. E’ di lui che stiamo parlando, no?» alza gli occhi al cielo.
«Io stavo parlando di Cher. Come sta? Le hai detto qualcosa?» domando, inquieto. Sono ore che non la vedo, fuori è già sera e lei si starà preoccupando un casino. Ed io, invece? Di cosa ho da preoccuparmi se non di lei? Fanculo, è, come sempre, al centro dei miei pensieri – la cosa più importante.
«L’ultima volta che l’ho sentita era con Missi, sono andate a casa per riposarsi un po’. Ci sono i genitori di Mitchell.. Cioè una donna, con un uomo. Quest’uomo è afroamericano, quindi immagino non sia esattamente suo padre», sorride nervoso. Sollevo le sopracciglia, non cogliendo il suo divertimento.
«Suppongo di no». Il padre di Mitchell non avrebbe le palle di rivedere suo figlio, non dopo la merda che gli ha fatto passare in quasi diciotto anni. Una volta aver indossato la maglia oscena di Ray, mi alzo in piedi e cambio anche i jeans, sporchi di sangue, con dei pantaloni da tuta neri.
«Come hai fatto a trovarmi?» gli chiedo poi.
«Mi hanno chiamato», alza il suo cellulare, facendo un cenno verso di esso. «Un tipo ti ha letteralmente salvato il culo. Ha sentito il tuo cellulare suonare in un condominio disabitato, gli è sembrato strano ed ha dato un’occhiata. Eri svenuto a terra, col cellulare in una mano. Supponiamo tu abbia provato a chiamarmi, in un momento di lucidità, ma poi devi essere morto nei minuti che ne susseguivano», alza una spalla. «Quest’uomo mi ha telefonato, e mi ha detto dove ti trovavi. Inizialmente voleva chiamare l’ambulanza o la polizia, ma tu gli hai ansimato il mio nome. Mi ha trovato tra le ultime chiamate ed eccoci qua, la prova vivente che non tutta l’umanità fa schifo». L’umanità non fa schifo, quasi rido al suono di questa frase. Lo sorpasso, barcollando verso il corridoio, attraversandolo con i piedi scalzi fino a trovarmi in cucina. Ho un fottuto bisogno di non pensare a ciò che è appena successo, ciò che è successo non ora, ma ore fa, e che pure nella mia testa si riversa come un film.
«Vuoi che chiami Cher?» propone.
«Fottutamente levati quest’idea dalla testa», sbraito, girandomi verso di lui, continuando a barcollare. Cher ha troppi problemi al momento, non può occuparsi anche di me. Io so badare a me stesso, riuscirò a sbarazzarmi dei Bellvieri prima che sia troppo tardi.
«Lei deve sapere dove sei e cosa cazzo stai facendo», replica il biondo. Gli lancio un’occhiata, mentre prendo una sigaretta dal pacchetto recuperato dai miei jeans e la porta alla bocca, accendendola con l’accendino.
«Non serve farla preoccupare inutilmente», mormoro.
«Inutilmente?» batte il palmo contro il bancone, guardandomi dritto negli occhi. «Eri mostruosamente coperto di sangue, potevano ucciderti, Harry».
«Non l’hanno fatto, sto bene», rispondo, impassibile.
«Non stai bene», scandisce, parlandomi come se fossi un bambino incapace.
«Sto bene», ribatto, freddo, inspirando il fumo con gli occhi chiusi. Lei non deve saperlo, io starò bene, come sempre. Ho avuto situazioni del genere di continuo, trasformandole ormai in una stupida routine. Sto bene. E se non sto bene adesso, starò bene prima o poi.
«E che cosa le dirai? Hai intenzione di ignorarla? Prima o poi ti vedrà, e ti vedrà così», indica la mia faccia.
Calo lo sguardo, mordicchiandomi l’angolo in alto del labbro inferiore. Sentendomi scoperto, spoglio di ogni difesa, quasi non so cosa rispondergli. «Tu..»
«Io? Cosa centro? Non voglio mischiarmi nelle tue bugie, Harry», dice.
«Cristo. Ho bisogno del tuo aiuto», ammetto. «Non voglio che si preoccupi anche dei Bellvieri, non di nuovo. Dille che sono andato ad un combattimento, e che ero abbastanza nervoso».
«Le diremo che hai perso?»
«Le confermeremo quello che dirà», scrollo le spalle. «A me basta sapere che lei stia bene, e.. ultimante starmi accanto non le sta facendo del tutto bene», sorrido amaramente, portandomi una mano nei capelli mentre l’altra l’avvicino per restituire la sigaretta alle labbra.
«Lei ti ama», mi ricorda Ray.
«Ed io amo lei. La amo maledettamente tanto, ma ora non sto facendo altro che ferirla. E’ entrata in un mondo che non le spetta».
«E’ entrata in questo mondo perché ti ama, e vuole affrontare tutto questo con te, semplice», sento la sua mano sulla mia spalla. Dimenandomi mi stacco da lui, odiando un qualsiasi forma d’affetto che non sono pronto a ricambiare.
«Sto cercando di aggiustare le cose», sbuffo via il fumo. «Eppure mi sembra di star aggiungendo benzina all’incendio».
«Cher non è più una bambina, sa cosa sta succedendo, e non pensare che si tirerà indietro solo per una banda di coglioni».
«Continuo a trascinarla nei guai, continuo a farle perdere tempo», mormoro. «Come faccio ad essere come loro? Come te. Come i ragazzi perfetti che erano in quei film mielosi. Come il principe dello charm che tutte desiderano. Come faccio ad essere perfetto?»
«Non c’è nessun modo, tu non puoi cambiare, fratello», mi risponde, guardandomi attentamente. Distolgo lo sguardo dai suoi occhi, costringendo le mie iridi a specchiarsi contro la mia immagine riflesse nella vetrata della cucina. Le luci della città sono in lontananza, ma non troppo. Guardandomi nel vetro, riesco a vedere una lunga cicatrice contro la tempia che mi avverte che ci metterà un po’ a guarire.
«Non ce la posso fare», mi dico, chiudendo gli occhi.
«Smettila, non ti riconosco», scuote la testa.
«Sto sbagliando tutto, me lo sento», mi mordo il labbro inferiore. «Dovrei lasciarla andare».
«Stai delirando», sbotta Ray, prendendomi per le spalle, scuotendomi.
«L’unico modo per farla star bene è tenerla lontano da me».
«Lontano da te? Lei ti ama, fottuto coglione», mi dà una spinta, facendomi aderire completamente contro il bancone alle mie spalle. Lascio un lungo sospiro, non riuscendo a credere alle sue parole, a quelle che lei stessa sarebbe pronta a confermare. Perché? E’ così fottutamente difficile accettare una more che pensi di non meritare. Stringendo il labbro tra i denti, abbasso lo sguardo sui miei piedi, cercando di darmi una svegliata.
«Ho capito», dice lui, allontanandosi, con la testa alta. Sollevo lo sguardo verso di lui, confuso, non capendo cosa voglia dire. Lo vedo allontanarsi, andando verso la sua camera. Girandomi, cercando di non cadere a terra per la poca lucidità, apro il frigorifero; in questa casa non manca mai l’alcool, faccio un mezzo sorriso raccogliendo una lattina di birra. La apro, godendo del frizzante suono che emette quando spingo la linguetta verso il basso.
«Sì, è qui», sento parlare Ray, mentre attraversa il corridoio e ricompare nella mia visuale. Corrugo la fronte quando lo vedo a telefono, e non appena mi mima con le labbra il nome della mia ragazza rischio di soffocare con il liquido dorato. Dandomi dei colpi sul petto barcollo verso di lui, battendo più volte le palpebre.
«Che cazzo!» ringhio, strappandogli il cellulare di mano. Lo avvicino al mio orecchio, tenendomi con una mano sulla superficie del tavolo. Sguardo basso e ricci sulla fronte sudata, occhi spenti e labbra tramanti – sono felice che lei non mi veda in questo stato, di nuovo. «Piccola?»
«Fottuto coglione», sbotta. Sta diventando aggressiva, ultimamente. «Che cavolo, Harry! Sei scomparso tutto il giorno, nemmeno una chiamata».
«Scusami», mi acciglio nel sentirmi pronunciare quella parola. «Sono stato impegnato».
«Cosa sta succedendo?» Come fa a capire che succede qualcosa?
Chiudo gli occhi, facendo un grosso respiro, cercando di instaurare un sorriso convincente sulla mia bocca. «Ero in giro, tranquilla», sbuffo una finta risata.
«Stai bene, vero?» la sua voce pare rilassarsi.
«Certo che sta bene».
«E dove sei stato?»
«Uh», presso le labbra in una linea sottile.
«Harry, ti prego, non mentirmi», mi supplica.
«Prometti che non ti arrabbierai?»
Passano una manciata di secondi silenziosi, in cui cerco di rilassarmi e prepararmi alla sua reazione. Quando sto per aprire bocca lei ha già staccato la chiamata, lasciandomi senza parole. Fisso il cellulare, cliccando i pulsanti, cercando di dare un’ovvia scusa alla sua reazione.
«Ha staccato?» domanda Ray, affiancandomi.
«Ha staccato», ripeto in un sussurro, annuendo distrattamente.
Un attimo dopo il suo cellulare suona, di nuovo. Rispondo senza nemmeno leggere il nome. «Cher senti..»
«Ehi, Harry, ciao», mi saluta Missi. «Puoi passarmi Ray, è urgente?» Speravo tanto si trattasse di lei, ma non ci penso nemmeno a pregarla di parlarmi; sta facendo la sua scelta, ed è bene che io la lasci fare. Sposto il cellulare dalla mia faccia e lo passo a Ray, che inizia a sorridere e sussurrare minchiate ovvie alla sua ragazza.
Riprendo la mia lattina di birra e la deglutisco, lentamente. La sua effervescenza mi pizzica la gola, creandomi fastidio e sollievo. Raccolgo anche il pacchetto di sigarette, lo apro con la mano libera e con i denti ne sfilo un’altra, fermandola tra le labbra screpolate. Cerco di restare dritto fino alla poltrona, ci crollo sopra, facendo gocciolare via qualche goccia di birra.
«Io vado dalle ragazze, vuoi venire con me?» Ray passa per il salotto, infilandosi un giubbino di pelle marrone. Scuoto la testa, chiudendo gli occhi e facendo un lungo sorso.
Una volta infilata un’altra manica, mi guarda attentamente. «Starò via per due minuti», mi lancia un’occhiata, che ricambia appena. «Pensi di riuscire a non cacciarti in nessun casino?» Scrollo le spalle, non sapendo che rispondergli. Inizio ad accendere la fiammella dell’accendino, inspirando la sigaretta in modo che il tabacco all’estremità si accenda facilmente.
Una volta che Ray scompare dalla mia visuale, il liquido frizzante mischiato alla nebbia di fumo riaprono in me alcune scene, confuse, di ciò che è successo quest’oggi.
Flashback.
Non conoscevo i lineamenti dei loro volti. Non era la prima volta che venivo pestato, sono praticamente cresciuto tra le risse di quartieri e le espulsioni scolastiche e dai locali. Eppure quella volta era differente, ero stato preso contropiede. Poche volte nella mia vita mi ero sentito così debole, incapace di avere un minimo controllo su ciò che accadeva nello spazio a me circostante.
Sapevo di non essere debole, non come gli altri. Sarà da stronzo pensarlo, ma so di aver fatto più male di quanto la gente ne abbia fatto a me. Il destino, però, è crudele. E, come se fosse un’ex impazzita, prima o poi ti paga con la stessa moneta. Non riuscivo a pensare ad altro che a lei, Cherie, null’altro.
Non potevo permettere che la seconda donna che ho amato sparisse dalla mia vita, per colpa mia, di nuovo. I déjà-vu succedono solo una volta nella vita, la seconda ce la andiamo a cercare.
Il peso del tizio che spingeva il proprio piede sulla mia caviglia si aggravava, a malincuore lasciai un urlo di rabbia e dolore. La paura, non l’avevo ancora sperimentata. Cercai di liberarmi da quella presa, rotolando su me stesso, ma sbattei con la schiena. Le loro risate facevano eco della mia testa, con il braccio ancora intero cacciai fuori dai jeans il mio cellulare; pressai direttamente il tasto verde, due volte, attivando la chiamata con Ray.
La luce del cellulare mi aiutò ad illuminare il volto di uno di loro, di cui intravidi null’altro che una cicatrice che gli copriva metà volto. Quando mi afferrarono di nuovo per i capelli, e lanciarono contro il pavimento, pensai immediatamente che mi avrebbero ucciso. Chiusi gli occhi, incassando un ennesimo pugno, stringendo il cellulare tra le mani.
«Questo è da parte di Brandon, saluta la piccola Cherie da parte nostra», sussurrò una voce, che andò ad affievolirsi man mano che perdevo i sensi.
End of Flashback.
Vengo risvegliato da un momento di trance dal campanello che suona spazientito. Scuotendo la testa mi rendo conto che la sigaretta ha smesso di fumare, arrivata ormai al filtro. Scattando in piedi, traballo, mezzo brillo e mezzo fumato, finendo contro il muro, inciampando nei miei stessi passi.
«Va’ al diavolo», lancio a terra la lattina vuota. Tirandomi i capelli con le dita, cammino verso la porta, sentendomi il sangue incendiarsi nelle vene. Ho bisogno di qualcosa, di iniettarmi qualcosa che possa calmarmi, che possa spegnermi.
Con la mano tramante apro la porta, abbassando lo sguardo, non volendo mostrare la mia faccia a chiunque si trovi dall’altra parte. Il silenzio ed il freddo mi avvolgono come una coperte, stringendomi fino a soffocarmi. Socchiudo gli occhi, alzandoli verso quella persona, verso di lei.
«Harry», sussurra la sua bocca. La guardo, bellissima come sempre. I capelli scuri, puliti, che ondeggiano intorno al suo volto, coprendole una parte dell’occhio sinistro. Quegli occhi azzurri come il cielo d’estate. Le labbra, rosse, piccole ma definite. Si sporge verso di me, prendendomi il viso tra le mani, abbassandomi alla sua altezza; la lascio fare, perché lei è l’unica che può permettersi di vedermi in queste condizioni. Lei è l’unica che con un bacio può alleggerire ogni mio dolore, curare ogni mia maledetta ferita.
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Trattini, yo.
Buonaserata, gurls! Tra poco è la festa della donna, e dato che la maggioranza sono donne, cercherò di aggiornare entro quel giorno!
P.s Nel prossimo capitolo avrete notizie di Mitchell, promesso. Non so se vi piaceranno o no, ma le avrete ♥
Domanda: Cosa ne pensate di Ray? c:
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