Capitolo 28 - Una Rabbia Incontrollabile
Uscii fuori dalla camera di Amelie incazzato come una iena e mi diressi rapidamente verso le scale per scendere al piano inferiore.
Per il troppo nervosismo, sbattei addirittura contro la porta di camera mia che avevo lasciato accidentalmente aperta e la chiusi aggressivamente, facendo un enorme baccano.
Intanto udivo mia sorella piangere e urlare allo stesso tempo per il conflitto che avevamo appena avuto. Mentre la ascoltavo, sentivo il mio cuore battere alla velocità della luce e le mie braccia tremare per la paura, l'ansia, la tristezza e la rabbia che mi stavano dominando, anzi direi distruggendo, in quel preciso istante.
Mi sentivo veramente abbattuto. Ma allo stesso momento mi sentivo anche una bestia, per quello che avevo osato fare ad Amelie.
Aspetta, Jacob. Aspetta.
Tu lo sai, vero?
Loro penseranno di sapere chi è la bestia.
.etnein onnas non orol ,àtlaer nI .ìsoc orevvad àras non ...on aM
Cazzo... ma come siamo potuti arrivare a tutto questo? Fino a tre anni fa ci volevamo un sacco di bene: ci abbracciavamo di continuo, ci davamo conforto, ero sempre lì per farla stare bene... e ora?
Adesso invece stavo facendo l'esatto opposto di prima. La stavo distruggendo, frammentando la sua anima come pezzi di vetro.
Ma come cazzo sei giunto a questo punto, Jacob?
Perché, cazzo, perché?!
Silenzio totale. Nessuna risposta.
E voi, invece? Sapete come è stato possibile arrivare a tutto ciò?
No?
No. No, dannazione.
Tutta colpa mia. Era tutta solo ed esclusivamente mia la colpa, cazzo!
La morte di Henry mi aveva cambiato... davvero tanto. Ma non pensavo sarei mai arrivato a diventare così... come mi ritrovo adesso.
E tu, invece? Sai darmi una risposta? È particolare la tua situazione. Ci sei sempre stata, ma allo stesso momento non ci sei mai stata. Non la sento rispondere...
Voi la sentite? No? No. Che lei stia dormendo? Beh, forse... ma si risveglierà? Non saprei.
Cosa? Oh, merda. Giusto... sono il solito stolto. Suppongo non stiate riuscendo a comprendere nulla di quello che sto dicendo... ma tranquilli, capirete. Bisogna solo aspettare. Col tempo, otterrete tutte le risposte alle vostre domande. È una promessa.
Comunque... è meglio che andiamo avanti.
Mentre scendevo le scale, mia madre notò che c'era qualcosa in me che non andava e cercò di fermarmi per comprendere meglio cosa stava succedendo, ma io provai ad ignorarla.
- J-Jacob? Jacob, perché stai camminando così velocemente? Esigo una risposta, Jacob! - urlò mia madre.
- Lasciami stare. - le risposi nervoso.
- Jacob, ma che ti prende?!
- Ti ho detto...
Andai a cercare le chiavi che si trovavano vicino alla mia giacca ma non riuscivo a trovarle, così cominciai ad andare nel panico e ad irritarmi sempre di più.
- Ma... si trovavano qui, poco fa...
Mia madre prese qualcosa dalla tasca e alzò la mano destra, emettendo un fischio.
- Cercavi queste, per caso?
Merda. Le chiavi le aveva lei...
- Ehm... potresti darmele? - le chiesi.
- Sì... a patto che tu mi dica cosa sta succedendo. - propose mia madre.
- Mamma, ti ho detto di lasciarmi stare. Falla veloce, cazzo. Dammi quelle chiavi e chiudiamola qui.
- Jacob Johnson. Ti ho detto di dirmi cosa sta succedendo e pretendo una risposta immediata e ben precisa, se vuoi queste chiavi.
La rabbia in me non faceva altro che incrementarsi, ma dopo un po' mi subordinai al suo volere.
- E va bene. Okay, okay. Te lo dico. Allora... aspetta, Amelie? Che ci fai qui a spiarci? Ti avevo detto di stare in camera tua, cazzo!
- Eh, cosa? Amelie! - gridò mia madre.
Appena mia madre si girò per cercare con lo sguardo Amelie, io le rubai velocemente le chiavi.
Ero riuscito ad ingannarla proprio per bene.
- Jacob! Ridammi subito le chiavi. Ora. - ordinò mia madre.
- Te lo puoi sognare. Io me ne vado fuori, ho bisogno di fare una passeggiata.
- Va bene, Jacob. Puoi andare. - si arrese mia madre - Però ti prego, dimmi cosa c'è che non va.
Vederla così preoccupata mi faceva spezzare il cuore... tuttavia, io cercai di ignorarla e andai a prendere il telefono che si trovava sopra la tavola.
- Jacob, rispondimi. Ti supplico. - disse mia madre con voce sofferente.
- Madre...
- Devo lasciarti stare...
- N-No, no. Solo... non ti preoccupare per me. - dissi mentre accendevo il telefono.
- Jacob, non posso non preoccuparmi per te. Tu sei mio figlio e io sono tua madre. Ma lo capisci o no? - continuò lei con le lacrime agli occhi.
Finalmente il telefono si decise ad accendersi e notai che c'erano tre chiamate perse, tutte da parte di Beatriz.
- Oh, merda... - dissi a bassa voce dopo aver visto le chiamate perse da parte di Beatriz.
- C-Cosa hai detto? - domandò mia madre.
- N-Niente. Ho solo visto che si è fatto tardi.
- Ma se sono appena le 16:30!
- Mamma, ascoltami, cazzo! Sono già abbastanza nervoso, e... ci mancavi solo tu, effettivamente. Stai serena e...
Alzai lo sguardo e vidi Amelie che ci stava spiando da sopra. Ma stavolta, lei era lì per davvero.
- Umpf, Amelie... - borbottai osservandola.
- Finiscila, Jacob. Non è un bello scherz... Amelie? Amelie, tesoro... che ci fai lì?
Anche se inizialmente non riusciva a credermi, mia madre si girò nuovamente e trovò Amelie che, effettivamente, si trovava realmente lì sopra a spiarci.
Amelie mi osservò con un brutto sguardo, condensato di rabbia e delusione, e si ritirò rapidamente in camera sua, scappando da lì. Notai che la sua faccia era ancora piena di lacrime per l'accaduto di poco prima e, di conseguenza, questo mi fece rattristire ulteriormente... più di quanto non lo fossi già.
- Ehm, mamma... ascolta, io devo urgentermente scappare. Ci vediamo dopo.
- Aspetta, Jacob! - urlò invano lei.
Troppo tardi. Ero uscito da casa e avevo ormai chiuso la porta, sbattendola in faccia a mia madre, che stava venendo verso di me.
Una volta uscito fuori, mi diressi presso il parco in cui andavamo da piccoli io, Amelie e Henry.
Non ci riesci, Jacob?
¿otassap out lad erigguf a oirporp icseir noN
Fuori c'era davvero un tempo di merda. Stava piovendo, il vento era fortissimo e dal cielo cadevano continui temporali, ma non mi importava. Io volevo comunque stare fuori da quella fottuta dimora, avevo bisogno di sfogarmi in qualche modo.
Appena arrivai lì, la mia rabbia prese il sopravvento. Osservai che non c'era nessuno, ero da solo. Allora mi misi a dare calci a tutto ciò che vedevo, per quanto era spropositata la collera dentro di me.
Cominciai a colpire e a distruggere una casetta in cui giocavano molti bambini che andavano là al parco, ma non riuscivo a riflettere all'atto malvagio che stavo commettendo.
Perché, Jacob?
¿aut aploc rep etnemavisulcse de olos erirffos e elam erats orebbervod irtla ilg èhcreP
Avevo solo voglia di distruggere tutto ciò che si ritrovava davanti ai miei occhi. Non risparmiai neanche l'altalena... quella su cui da piccolo mi posizionavo sempre. Ricordo ancora quando Henry mi spingeva sempre, su mia richiesta, e faceva finta di farmi volare. Mi sedetti su di essa, divorato dalla nostalgia, ma non c'era nessuno lì che potesse spingermi. C'erano soltanto il forte vento e quella soave pioggia a farmi compagnia. Niente di più.
Adesso, Henry... tu sei volato via per davvero. Hai lasciato il segno su quell'altalena, sai? Riuscivo a percepire ancora il tuo odore su quell'"aereo di legno", come lo chiamavi sempre tu.
Tuttavia, non mi avevi mai avvisato che saresti partito, senza di me. Mi hai lasciato qui da solo, senza avvisarmi, facendomi travolgere dalla disperazione.
Quindi... quell'altalena non ti merita più. Ed è soltanto tua la colpa. Tua.
Dopo tutto quello che hai fatto. E dopo tutto quello che stai ancora facendo...
.enoiznitse'l è ...itirem ecevni ut ehc òiC .ùip atirem it non arret aL
Lì vicino c'era un tubo di ferro, così decisi di raccoglierlo e di rovinare il più possibile quell'altalena di merda che si trovava di fronte a me. Ma poi... vidi qualcosa che mi rievocò nella mente la mia infanzia.
Girai per il parco e, improvvisamente, vidi davanti a me una panchina. Ma quella... non era una semplice e comune panchina. La esaminai attentamente per essere sicuro e... sì. Sì, cazzo.
Quella era la panchina in cui ci sedevamo sempre io, mia sorella e Henry.
Dato che l'ira dentro di me aumentava sempre di più, sollevai il tubo di ferro e mi preparai a colpire il più possibile quella fottuta panchina che mi trasmetteva sofferenza e nostalgia, ricordandomi i giorni passati lì con Henry durante l'infanzia.
Ma quando stavo per eseguire il primo colpo... Henry ricomparve davanti a me. Era seduto lì, proprio su quella panchina.
- Jacob, Jacob, Jacob... ma cosa ti sta portando a fare questa rabbia? - domandò il fantasma di Henry accavallando le gambe.
- Tu... tu non vuoi proprio lasciarmi in pace, eh?
- Già... - rispose Henry sorridendo - pensi che tu stia facendo la cosa giusta, Jacob?
- Che intendi dire? - gli chiesi disturbato.
- Distruggere un luogo simbolo della nostra infanzia. Anzi... della nostra amicizia. Oh, vero, quasi dimenticavo. Non te ne fotte un cazzo della nostra amicizia.
- Non ricominciare, Henry...
- Non te n'è mai fottuto un cazzo di noi due, vero? - domandò lui alzandosi di prepotenza dalla panchina.
- Henry, ti ho detto di smetterla...
- Da quando lei è arrivata... hai cominciato a dimenticarmi. Come se io non fossi mai esistito, o come se io non avessi mai avuto tanta importanza per te. È così, vero? Non ti sei mai interessato davvero di me.
Lei... avevo capito di chi stava parlando.
- Henry, non è vero. Sarah non c'entra un cazzo! È tutta una tua convinzione! - gli urlai contro.
- Sì, certo, Jacob. Sai cosa ti dico? Mi fai schifo.
Appena Henry enunciò quella fastidiosa frase, persi il controllo e per la rabbia colpii la panca con il tubo di ferro, come se stessi partendo per uccidere Henry.
Tuttavia, com'era ben prevedibile, Henry si polverizzò e io buttai il tubo di ferro lì vicino, a terra, e me ne andai via dal parco, frustrato come non mai.
Ma non avevo ancora voglia di tornare a casa. Anzi, a dire il vero... non avevo il coraggio di rivedere Amelie.
Dunque, decisi di dirigermi presso il fiume, dove io e Beatriz avevamo fatto, il giorno prima, quella serena passeggiata da soli.
Appena arrivai lì, mi venne alla mente proprio lei... Beatriz.
Notai dal display del telefono che lei aveva chiamato tre volte al mio numero, e io non l'avevo ancora ricontattata. Tuttavia... non la chiamai subito. Decisi prima di camminare un po' vicino al fiume e cercare di riprendermi da tutto il casino e dai numerosi pensieri che girovagavano nella testa, prendendo un po' d'aria.
Finalmente la pioggia, insieme ai temporali, cessò e davanti ai miei occhi apparve un meraviglioso arcobaleno. Mi fermai per circa cinque minuti ad ammirarlo e respirai profondamente, facendomi cullare dal vento che riuscì lentamente a calmarmi.
Forse, la rabbia incontrollabile che era dentro di me in quel momento stava cominciando a svanire.
Così, visto che mi sentivo più tranquillo, ripresi a camminare e presi il telefono dalla tasca destra della giacca per richiamare Beatriz.
In seguito, aprii la rubrica del telefono e cercai il suo contatto. Quando lo trovai, abbassai il pollice per schiacciarlo su di esso, in modo tale da far partire la chiamata. Avevo troppa voglia di risentire la sua stupenda e carezzevole voce... magari mi avrebbe fatto sentire meglio, chissà.
Ma mentre stavo per effettuare la chiamata, sbattei accidentalmente contro una persona che stava camminando nella mia direzione. Stavo per scusarmi con quella persona, ma quando la vidi... rimasi un po' scosso.
Era una persona incappucciata e indossava una giacca nera, mi sembrava essere molto familiare. Non sembra familiare anche a voi?
Sembrava essere una ragazza.
- Sì... tutto sembra combaciare. Che sia quella ragazza di ieri, che ho visto a scuola? - pensai tra me e me.
Però, appena quella persona si girò verso di me... rimasi molto, molto confuso. Così tanto che cominciai a pensare che la mia ipotesi potesse essere stata completamente sfatata.
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