XIV
Simon abitava vicino al parco Tuilleres, a poca distanza dalla Western union. Era una zona molto trafficata, con alte palazzine su tre o quattro piane direttamente affacciate sulla strada, la quale era colma di macchine, bici e tram. Fortunatamente l'ingresso principale si trovava una una laterale a senso unico, perciò non ebbi paura che qualcuno mi investisse.
Ian si caricò la roba sulle spalle e suonò a un citofono, aspettando spazientito. Il portone non si aprì, ma una voce emerse dal secondo piano.
Simon si affacciò al balcone e gridò: «Arrivo subito!» e udii la sua voce molto più acuta del normale.
Ian annuì agitato. «Sì, ma spicciati.»
Pochi secondi dopo il portone si sbloccò in un "clock" metallico e il ragazzo entrò svelto. Per un momento pensai che non fosse affatto saggio seguire un ragazzo in un appartamento sconosciuto, che in fondo poteva accadere qualcosa perché le suore mi avevano avvertito di stare sempre attenta, però Ian non era come me: se solo avessi voluto avrei potuto scardinare la porta con una spinta e andarmene ancor prima che qualcuno udisse il rumore. In fondo era lui quello in pericolo con me.
Ian tenne aperta la porta. «Tu che fai?» mi domandò. «Simon ha bisogno di te.»
Centrò perfettamente il mio punto debole. Ero sempre disposta ad aiutare chiunque si trovasse in difficoltà e la Pedina aveva accentuato questo mio lato abnegante, in aggiunta Simon mi ricordava molto i ragazzini della Saint-Marie.
Entrai e Ian mi fece strada. Facemmo due piani di scale fino ad arrivare all'appartamento di Simon, lui era già sulla porta e tenne con il piede lontano il gatto che voleva uscire con insistenza.
Il monolocale era molto grande, i miei standard si basavano ancora alla Saint-Marie e bastava poco per impressionarmi. La cucina e il soggiorno erano un tutt'uno e l'ambiente era totalmente illuminato dalle file di finestre che si affacciavano sulla strada. C'erano molte foto sparse in ogni scaffale, DVD, libri, vari oggetti e persino i disegni di Simon sul frigorifero.
«I miei sono al lavoro, entrate pure. Oh, ciao, Hazel» mormorò afflitto.
Provai a fargli un sorriso di consolazione, ma non servì a molto. Ian doveva aver passato molto tempo in quella casa perché appoggiò le nostre cose sul pavimento e gli portò un tovagliolo dalla cucina per asciugarsi la faccia. Non era un bello spettacolo: doveva aver pianto a lungo perché aveva tutte le guance e il naso rossi, gli occhi umidi e il labbro tremante.
«Ian, non dire a mamma che ho portato gente a casa quando non c'è, ti prego, o quella mi ammazza» disse Simon con un singhiozzo.
Ian roteò gli occhi. «Ciccio, se gli dicessi qualcosa finirei nei guai pure io e non ci tengo affatto. Dai, siediti e fai un bel respiro.»
Lo guardai mentre si precipitò in cucina e gli diede un bicchiere d'acqua fredda per fargli calmare i nervi. Era ancora distrutto e lo capii dal fatto che, per quanto si sforzasse di trattenersi per avere un decoro in nostra presenza, era sull'orlo di una crisi di pianto.
Il gatto bianco salì su uno scaffale e mi annusò curioso. Pensai che volesse qualcosa da mangiare perché forse avevo l'alito che odorava di tonno, eppure si strofinò con furia per avere delle attenzioni, seppure mi spostassi.
«LeBlanch! Lascia stare Hazel, la riempirai di peli!» la sgridò, ma il felino continuò a starmi appiccicato. «Non ha mai fatto così con gli estranei, mi dispiace.»
«Non fa niente» dissi, facendo una carezza al gatto sulla schiena soffice.
Ian schioccò le dita. «Dimmi cosa è successo.»
Simon scoppiò di nuovo a piangere e le spalle gli tremarono. «Io... non sapevo chi chiamare! Scusa, Ian... Quando Monika mi ha piantato credevo che lo avesse fatto perché ero noioso e perché passavo troppo tempo ai videogame, piuttosto che stare con lei, ma oggi il mio migliore amico mi ha detto che si erano messi insieme già da un po' e che volevano dirmelo. Ci stavano male!» sottolineò con odio. «Loro stavano male? E io? Ho reagito davvero male e loro sono andati a dire alla classe che ero un pazzo, che li stavo insultando e cose del genere. Mi sento un tale sfigato!»
Se si fosse arrabbiato avrebbe trovato di sicuro una motivazione in più per reagire, ma la tristezza era come le sabbie mobili, ti impediva di combattere e per quanto ti muovessi ti tirava giù con lei, a fondo. Avevo già sperimentato quel tipo di emozioni quando ero diventata Paladina, l'odio per la Stigmate, la delusione verso me stessa, la tristezza di aver perso tutto, e la cosa migliore era viverle, lasciale scorrere.
«Non dire così, non piangere per lei» tentò di rincuorarlo Ian.
Mi sedetti sul divano con loro. «Simon, non credo che tu debba sentirti uno sfigato perché stai male. Piangere è naturale, soffrire fa parte della vita. Se riuscirai ad affrontare questo sarai più forte di loro, e non immagini nemmeno quanto. Sei ancora piccolino e affronterai altre delusioni dolorose, però ci saranno momenti bellissimi ad attenderti se solo userai questi sentimenti per darti la carica» dissi.
Ian annuì piano. Non si poteva dire ad una persona di smettere di piangere o di soffrire, era inutile affrettare i tempi. Diventare indistruttibile derivava da una scala di sofferenze e insuccessi.
«Hazel ha ragione. Devi accenderti! Se permetti a quei due di spegnerti li lascerai vincere, è ciò che vogliono. Sii il fuoco, Simon, e brucia» parlò Ian con tono fermo. «Va' a lavarti la faccia, usciamo.»
Simon tirò su il naso, improvvisamente attento. «E dove vuoi andare?»
«Tu spicciati e io te lo dico.»
Il ragazzino annuì, seppure non fosse molto convinto. Guardò il mazzetto di fiori che ancora gelosamente stringevo tra le mani e poi guardò Ian, non convinto. Schiuse leggermente la bocca e disse: «Oh, voi due siete...?»
«Oh, no, eravamo solo ad un pic-nic insieme» specificai, non volendo che si preoccupasse di aver rovinato una giornata all'aria aperta. «Vero, Ian?»
Lui sbatté gli occhi come se cadesse da una nuvola. «Oh, ma sì, certo.»
Simon sospirò. «Mi fate salire il voltastomaco però, che schifo!»
Io e Ian ridacchiammo e anche lui sembrò rasserenarsi, si soffiò il naso e ci sorrise. Era un po' tirato, ma i suoi occhi sembravano più calmi rispetto a pochi minuti prima. L'amore era il dolore più lungo e sincero del mondo e chissà come mai la gente sembrava esserne dipendente. Non avevo mai capito perché la gente si innamorasse per tutta la vita, la morte di una persona spezzava perennemente un cuore, eppure guardando Ian un po' lo compresi. Lo facevano per tutto quello che c'era in mezzo.
«Ti avevo detto che saresti stata d'aiuto. Io non sono bravo con certe cose. Mio padre mi ripeteva solo che non dovevo mostrare debolezze agli altri, di non fidarmi e di non piangere mai, perché la gente se ne sarebbe approfittata, quindi mi fa piacere che tu dica cose più sensate» raccontò vago, rilassandosi sul divano.
Non volevo scavare troppo nella sua famiglia, ma ero certa che non avesse una felice situazione. Benché mi avesse detto di aver superato molto bene l'abbandono della madre mi sembrò triste. Sapeva che gli mancava qualcosa. Qualcosa di importante.
«A volte piangere ti fa capire chi veramente vuole stare al tuo fianco a consolarti e tirarti su» risposi.
«Sei sempre positiva» mi fece notare con tono gentile. La gatta miagolò per cercare attenzioni e si grattò contro la mia gamba affettuosamente. «Vengo qui da anni, ma le devi stare davvero simpatica. Non l'ho mai vista comportarsi così nemmeno per del cibo extra. Nell'antico Egitto credevano che i gatti fossero i guardiani dei custodi dell'aldilà. Magari ti crede uno di loro!» scherzò affettuosamente e io mi sforzai di ridacchiare.
Se era davvero così forse sentiva le onde della Pedina. I Paladini e i Cavalieri non potevano riconoscersi tra loro perché le auree non erano diverse da quelle comuni, però magari gli animali potevano avvertire la differenza e quel gatto sembrava molto interessato.
Ian non ci prestò molta attenzione, quando Simon tornò in soggiorno si era lavato la faccia e aveva preso un piccolo zainetto. Uscimmo dall'appartamento e andammo in un piccolo supermercato poco distante a comprare una dozzina di uova.
All'inizio pensai che Ian volesse cucinargli un dolce per tirargli su il morale, tuttavia non ci stavamo dirigendo verso casa sua. Prendemmo un autobus e ci dirigemmo verso lo Square du Temple, a qualche fermata di distanza, per poi camminare qualche minuto in una direzione precisa. Non sapevo cosa ci facessimo in quell'arrondissement, per un solo attimo pensai che fosse una specie di trappola, ma all'improvviso Simon si fermò all'angolo di una via e indicò una casa. Era un edificio nuovo rispetto a molti altri della zona e molti negozi erano stati appena aperti, lo si capiva dagli infissi e dai cartelli pubblicitari.
«Che ci facciamo qui?» domandai.
«Quella è la casa di Monika» disse e aprii la bocca, capendo esattamente cosa avesse in mente.
«Ian! Questo è un reato, è infrazione!» commentai acida.
Lui scosse la testa. «Non è infrazione se restiamo sulla strada» mi fece notare.
«È una proprietà privata» sottolineai.
«Non la strada.» Batté il piede per terra. «Questo è suolo pubblico. Questo è per l'onore di Simon, Hazel. Avanti, dammi un uovo.»
Glielo passai senza dire nulla, però gli lanciai un'occhiataccia di rimprovero. Mi guardai in giro: era una via laterale molto tranquilla, eravamo vicini a molti parchi e musei, perciò era altamente improbabile che qualche turista si avventurasse in quelle vie, ignorando le altre bellezze.
Simon prese un uovo e poi ci ripensò. «Oh, e se mi vedesse?»
Ian alzò le braccia al cielo. «Ma chi se ne frega se ti vede.»
«Non pensi che gli stai dando un cattivo esempio? Potremmo fare un dolce con queste uova.»
In uno slancio, Simon tirò l'uovo in un urletto sgraziato. Questo volò sopra un paio di macchine, ma si schiantò poco oltre il portone d'ingresso. Mi venne un po' da ridere perché l'appartamento era al secondo piano e aveva mancato il bersaglio totalmente.
«Simon, hai una grossa finestra di due metri davanti a te e l'hai mancata? Hai davvero le braccia corte» gli fece notare Ian sorpreso.
«Sei proprio uno stronzo, fallo tu allora!» si indignò.
Sospirai. Nonostante l'ansia che potesse da un momento all'altro venire qualcuno e chiamare la polizia, la situazione era davvero comica perché Simon era indignato, e per quanto volesse lanciare un uovo contro la finestra della sua ormai ex ragazza, non ci riusciva. Eravamo dall'altro lato della strada, perciò avrebbe dovuto tirarlo verso l'alto, in modo da creare un arco verso la fine.
Ian caricò e lanciò l'uovo. Mi sorpresi quando centrò perfettamente la persiana e l'albume colò sul legno blu come una poltiglia. Simon si irritò maggiormente, afferrò un altro uovo e lo tirò con furia. Seppi dall'inizio che non avrebbe centrato nemmeno il balconcino e Ian ridacchiò perché pensò esattamente la stessa cosa.
Mi concentrai, feci due calcoli approssimativi e aprii un minuscolo portale, per riaprirlo esattamente nella stessa traiettoria di quello di Ian, pochi metri più su. Fu davvero veloce, meno di un secondo e l'uovo beccò il vetro della finestra, macchiandola.
Ian saltò e rise di gusto. «Ce l'hai fatta, l'hai presa!»
Simon si fermò un secondo confuso. Non era certo di averlo fatto e in un momento la paura di aver fatto qualcosa di stupido mi pervase la mente. Kieran mi aveva avvertita di non usare stupidamente il mio potere, perché era pericoloso e se avessi fatto un errore lo avrei fatto davanti a due ragazzi comuni, senza una spiegazione da poter dare. Emmanuel non me lo aveva detto, ma se per caso uno di loro avesse scoperto chi fossi cosa sarebbe successo?
Simon afferrò un altro uovo e lo tirò. Aprii sempre dei piccoli portali e mi assicurai e fossero invisibili e molto veloci. Il ragazzino tirava in alto e gli aggiustai la mira con quel trucchetto.
Ero così sollevata che fosse di buon umore che non feci minimamente caso alla donna che si affacciò rabbiosa dal balcone e, senza prepararsi, si beccò un uovo in faccia. Avevo già stabilito la connessione e mi ero focalizzata su quello, senza badare al resto.
La donna lanciò un urlo. «Ma come osate, luridi criminali? Io chiamo la polizia!»
«Oh, cavolo, oh, cavolo! Si scappa!» gridò Ian divertito.
Gettò le uova in un bidone della spazzatura, mi afferrò il polso e mi trascinò via. Rischiai di inciampare per lo spavento che quella donna mi aveva fatto salire e la paura di essere arrestata. Il flusso del mio Dono si infranse e sentii la magia bruciarmi le dita in un effetto collaterale del taglio netto.
Prendemmo i nostri zaini e scappammo via velocemente, mentre la signora ci insultò e ci minacciò di denunciarci tutti per vandalismo. Non sembrava aver riconosciuto Simon e questo bastò a farlo ridere come un matto.
«Ci arresteranno!» boccheggiai impaurita.
Ian ridacchiò. «Oh, sì! Ci arresteranno e ci spediranno in cella nella peggiore prigione della Francia! Corri, Hazel, se non vuoi essere presa!»
Stava scherzando, sapevo riconoscere quel tono metà divertito e piccante che usava spesso, nonostante ciò accelerai e lo superai in un momento per puro orgoglio. Fui io a trascinare lui e ci fermammo solamente al parco Square du Temple. Ian si sdraiò su una panchina per riprendere fiato e Simon andò a bere da una fontanella vicino a dei giochi per bambini.
Mi guardai intorno con aria preoccupata, credendo prima o poi di vedere la donna o qualche poliziotto pronto a urlarci contro. Promisi a me stessa di non rimettere più piede in quella zona.
Ian mi fece spazio sulla panca e io mi sedetti stanca. «Tranquilla, siamo al sicuro, qui non viene mai nessuno.» Mi mise una mano sulla spalla e pensò che avessi corso troppo perché respiravo piuttosto velocemente. In realtà era solo adrenalina e il potere della Pedina del Cavallo che si era svegliata momentaneamente. «Tutto a posto?»
Annuii. «Non penserai mica di aver risolto i suoi problemi con le uova, vero?» domandai.
«Non volevo risolverglieli» rispose. «Simon è un ragazzino davvero intelligente, ma spesso si stufa o si deprime velocemente e questo non gli fa finire tanti progetti. Spesso gli serve l'incentivo. Le uova erano una metafora. Sono certo che ora si farà maggiore forza.»
«Non puoi mica lanciare le uova addosso a tutti però» sottolineai e lui mi guardò tipo "perché non posso farlo?"
«La finestra si pulisce. Le uova si ricomprano. Sono cose che puoi sistemare in pochissimo tempo. Una delusione, l'umiliazione, la paura sono ancore che ti tengono incastrato a terra, sono cose con cui o ci convivi o le molli. Io sono un suo amico, tengo davvero a lui e se qualcuno ha la possibilità di aiutare un'altra persona ha il dovere per farlo» mi spiegò con la fronte corrucciata. «La gente è davvero cattiva, voglio che sappia reagire e spero che non ci metta lo stesso tempo che ci ho messo io per capire, perché sono gli altri che ci perdono, non lui.»
Usò un tono diverso, così distante da quello che il solito Ian utilizzava e questo mi fece pensare molto. L'Ian che conoscevo era sempre di buon umore e la battuta pronta, c'era dell'altro che non voleva mostrare e riconobbi che oltre la superficiale rabbia c'era anche un profondo dolore. Lui si alzò e andò a bere, non feci nemmeno in tempo a rispondergli.
Tornai all'Artemis nel pomeriggio e per fortuna non incrociai né Kieran né Emmanuel, ma per ogni evenienza avevo chiesto a Marianne di coprire la mia assenza. Mi dispiaceva non poter restare con Simon e Ian ancora, però preferivo non destare nessun sospetto.
Sistemai il resto del cibo avanzato in cucina e mangiai una merendina nel mentre misi i fiori di Ian in un vaso sul tavolo. Marianne e Bernard entrarono e mi offrirono la limonata che avevano fatto poche ore prima.
«Come è andato il tuo appuntamento?» mi domandò Marianne curiosa.
«Non era un appuntamento» spiegai ancora. «Il pic-nic è andato molto bene» la corressi e volevo rimanere sul vago per evitare che sapesse che avevo adoperato il mio potere per scherzo.
«E i fiori? Sono davvero stupendi» puntellò Marianne, ammirandoli.
Bernard si sedette accanto a me e rilassò le spalle. Dovevano aver lavorato all'aria aperta perché erano entrambi sudati e avevano i capelli attaccati al collo e alla fronte.
«È stato gentile, tutto qui» le feci notare.
Marianne sbuffò. «Oh, andiamo, Hazel! Anche se sei cresciuta in un orfanotrofio cristiano devi pur distinguere quando interessi a qualcuno. Un amico non ti regala mica i fuori! Ben, diglielo anche tu.»
Bernard la guardò e sospirando le fece notare: «Io te li ho regalati un sacco di volte.»
Cominciarono a punzecchiarsi e io guardai i fiori, pensando se avessi potuto rivedere Ian prima che questi morissero.
Se non ricordi che Amore t'abbia mai fatto commettere la più piccola follia, allora non hai amato.
Chi l'aveva detta questa frase? Mi sembrò calzasse a pennello.
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