XI

(Dott. Grimm)

Salutai Ian un'ora dopo e gli avevo lasciato il mio numero. Non sapevo ancora come dovessi comportarmi, mi sentivo felicissima e per quanto fossi emozionata sperai che mi chiamasse subito per chiacchierare.

Anni fa, io, Nausicaa e gli altri ragazzi eravamo stati in un centro estivo per passare una settimana in compagnia di altri bambini. Avevamo circa nove anni, la Saint-Marie non ospitava tutti i bambini più piccoli e, oltre a noi, c'erano solamente i ragazzi grandi, dai sedici anni in su. Mentre loro si occupavano dell'animazione e di pulire la struttura, io e gli altri venimmo invitati a partecipare ad una staffetta con gli altri bambini e vinsi io. Fui la più veloce. Mi sentii felice, per quanto i miei piedi scottassero erano leggeri. Non volevo sembrare troppo esagerata, perciò mi tranquillizzai in fretta, ma per me quello fu uno dei momenti più belli della mia vita.

In quelle ore riprovai le stesse emozioni, un misto tra la felicità più esagitata e la calma più serena, tranquilla perché mi sentivo bene.

Tornai all'Artemis cercando di mantenere il mio entusiasmo. Fu in quel momento che mi rammentai di Nausicaa e di quanto lei mi mancasse. Non avevo nessuno con cui parlare di Ian, di quanto lui fosse gentile e carismatico con me e necessitavo di un consiglio.

Trovai Kieran, Emmanuel e Penelope nel soggiorno, seduti sul divano con dei fogli davanti. Chiusi piano il portone, cercando di non disturbarli e silenziosamente entrai.

Emmanuel mi dedicò un'occhiata lunga e per nulla contenta. Lentamente il mio sorrisetto iniziale si spense e aspettai che parlasse.

«Dov'eri finita?» mi domandò retorico.

Dubitavo che fosse il momento giusto per dirgli che ero con un amico e mossi la mano in aria. «Ho mangiato fuori» mi scusai. «È successo qualcosa?»

Kieran non parlò, stava leggendo dei documenti e di sicuro non badò nemmeno al fatto che Emmanuel, in un modo tutto suo, mi stesse rimproverando del ritardo fatto. Il Cavallo aspettò una reazione da qualcuno, poi si sedette e alzò le spalle, lasciando perdere la questione.

«Dicono tutti la stessa cosa, anche se li leggi al contrario» sillabò Penelope stanca. «Li ho ricontrollati tre volte, quelli urbani cinque.»

Emmanuel mi indicò la poltrona e mi sedetti accanto a lui, aspettando che qualcuno mi spiegasse. Il tavolinetto che di solito era occupato dai dolci di Piers e dai libri rubati in biblioteca, era ricolmo di fascicoli e fogli con planimetrie e dati.

«Siamo stati alla tomba di Gulliame e dato che è stata profanata ci siamo chiesti se ci siano stati altri furti di documenti o testi con il suo nome. Settimane fa dei ladri sono entrati nel Metiers e hanno rubato un documento con la sua firma» disse Emmanuel.

«Dei ladri?» ripetei.

«No, non dei ladri» corresse Penelope e indicò i fogli sul tavolino. «Dicono tutti la stessa cosa. Quello che vedi qui è l'intero layout a disposizione pubblica. Mi sono permessa di rovistare più nel dettaglio e ho avuto anche gli elaborare originali: progetti di costruzione, linee telefoniche, elettriche, idriche e anche fognarie. La struttura è circondata da telecamere attive ventiquattro ore su ventiquattro, guardie in ogni stanza e polizia collegata in un canale privato. Ogni giorno ci sono più di mille turisti, tra famiglie e gite scolastiche. Ogni sala e teca, costruite con un vetro speciale, ha numerosi sensori che scattano non appena qualcuno mi mette le mani. È scomparsa in pieno giorno, nel nulla.»

«E non hanno rilevato niente? Gli allarmi?» domandai.

«Tutto funzionante. Hanno chiuso il museo pensando ad un virus informatico, però anche lì nei server non c'era traccia di niente.»

Sicuramente era impossibile per un comune essere umano eludere così tanti sistemi di sicurezza, per l'aggiunta senza aver accesso al monitoraggio informatico. Dei ladri qualunque, per quanto bravi fossero, non sarebbero mai stati capaci di rubare in uno dei più famosi musei di Parigi e scappare senza lasciare traccia alcuna.

«È possibile che siano stati dei Demoni?» chiesi, non sicura.

Kieran annuì. «Ci stavo pensando anche io.»

Penelope sembrò agitarsi, rizzò la schiena e deglutì l'ansia. «Questo è così poco sensato! I Demoni non si alleano con gli umani, anche se questi sono i Cavalieri. Perché allearsi con la preda?»

«Però non può essere una coincidenza» affermò la Regina. «I Demoni non ruberebbero mai una cosa simile, non ha valore per loro. Ciò che vogliono è solo nutrirsi e divertirsi, ma se ci pensi non abbiamo nessuna traccia, nessuna pista. Neppure per i Cavalieri questo sarebbe stato un lavoro pulito, gli umani sporcano.»

Emmanuel si sfregò il mento. «Ma cosa possono volere da Aubert?»

«Qualcosa di molto importante se Demoni e Cavalieri si sono alleati. Non voglio immaginare se immischiati sono anche quelli dell'ordine della Stigmate. Gabriele forse non ci ha detto tutto su questa situazione...» mormorò assente.

«Che documento hanno rubato?» domandai, dato che nessuno mi aveva spiegato bene.

Penelope mi allungò un foglio e notai che era una lunga lista di cimeli esposti nel museo e solo alcuni erano sottolineati con una penna rossa. Sembrava che avessero preso altre cose a caso, di valore vario, giusto per far credere ad un furto. L'unico cimelio di Aubert che era conservato al Metiers era una pagina di uno dei suoi testi.

«Non c'è scritto il libro di provenienza» le feci notare e lei annuì.

«Già. Sfortunatamente in quel museo le foto sono vietate, ma con un po' di magia ho fatto parlare alcuni custodi. Era una pagina vuota, insomma, una normale di appunti. Non credo facesse parte di qualche testo in particolare, ancor meno dell'Indice, ma non aveva un numero di pagina ed era stata scritta su pelle animale, non carta.»

Tirai un angolo del labbro in alto, un po' disgustata. «Ma perché dei semplici appunti avrebbe dovuto scriverli su della pelle animale, al contrario dei suoi altri libri? Si sarebbero conservati meglio» pensai.

Emmanuel scosse il capo. «Perché non erano semplici appunti.»

«Già, è probabile» si accodò Kieran. «Ecco perché i Demoni lo vogliono. Non sappiamo a cosa mirino, ma Aubert di sicuro ha lasciato un indizio in quella vecchia pagina e ce ne devono essere ancora in giro.»

Un brivido mi percorse la schiena e mi fece tremare il braccio. Cominciai a sudare e avvertii la pelle scaldarsi, come se avessi un fuoco vicino. «Pensi che sia per questo che hanno distrutto la Saint-Marie, per avere una di quelle pagine?» balbettai a fiato corto.

«Dovevano pensare che ce ne fosse una. E questo furto è avvenuto prima del rogo. Aubert ha sparso più di una pagina e ora vogliono ritrovare i pezzi mancanti. Kieran, devi convocare i Messaggeri, devi...» parlò veloce il Cavallo, preoccupato.

Kieran si stizzì. «L'ho già fatto e ho già detto a voi tutto quello che so. Per loro non è nulla di preoccupante.»

«E tu ci credi?» domandai.

«No. Non più» sentenziò. «Dovremo trovare le altre pagine e nasconderle qui, all'Artemis. Questo posto è il più sicuro della Terra, se nessun Angelo vuole prendersi il carico della situazione dovremo farlo noi. Prima di tutto dovremmo capire quante pagine mancano all'appello e quali caratteristiche le contraddistinguano. Non c'è tipo un elenco di libri o altri documenti scritti che attestino le opere di Aubert o altre cose?» domandò, rivolgendosi a Penelope.

Lei negò. «La Chiesa ha preso tutto ciò che comprendeva informazioni sull'Indice proibito e metà degli attestati sono stati bruciati con lui, alla sua morte. Solo qualche secolo dopo, quando hanno cominciato a studiare i suoi testi hanno ripreso a scrivere il suo nome. Perché non parliamo con il Vaticano?»

Emmanuel ridacchiò e questo la fece arrossire, capendo l'assurdità della sua idea. «Oh, sì, andiamo da un mucchio di mummie religiose e diciamo loro "sentite, so che sembriamo dei ragazzini, ma in verità siamo stati creati dal vostro amato Dio con l'ordine di proteggere il mondo intero e per farlo ci serve scarrozzare su e giù per i vostri archivi super segreti", pensi che ci crederebbero?»

Respirai e, giusto per aiutare Penelope, dissi: «Kieran potrebbe convincerli» ipotizzai e sapevo che fosse così.

Kieran era la reincarnazione del volere e del potere di Dio, era l'essere umano più potente sulla Terra e confidavo in lui la mia massima fiducia e rispetto. Per quel che ne sapevo, pochi erano a conoscenza dei Cavalieri e dei Paladini e la Chiesa non era tra questi. All'inizio ero rimasta dubbiosa riguardo la loro scelta di nascondersi, poi con il passare del tempo mi fu molto più chiara: non avrebbero capito.

Sapevo in prima persona quanto la religione potesse essere chiusa e conservatrice. Nessuno avrebbe creduto alle sue parole e, anche con le prove, avrebbero potuto ritenerci un pericolo o metterci troppo in mostra come miracoli divini.

«Per farlo dovrebbe uscire, non solo dall'Artemis, ma anche dalla Francia. Sarebbe troppo pericoloso» contestò Emmanuel e Kieran non osò ribattere. «E poi il mondo non è pronto a questo genere di cose.»

Il mondo degli umani no, ma tutte le creature che comprendevano l'altra metà necessitavano di un nuovo ordine. Temere una razza era l'equivalente di sentirsi inferiori e i libri di storia erano pieni di questi gesti. Cosa ci guadagnavano i Cavalieri a servire mostri del genere?

Prima che potessi pensare ad altro, il cellulare fischiò e io lo acchiappai subito, notando un messaggio di Ian sullo schermo. Deglutii emozionata e anche se non lessi l'anteprima lo misi via in fretta, cercando di non far notare nulla agli altri.

«Tutto bene?» domandò Kieran.

«Sì!» esclamai. «Perché non dovrebbe andare bene?»

Kieran aspettò un secondo prima di parlare, poi Emmanuel si scomodò, visibilmente impaziente. Alzò la schiena dalla poltrona e si curvò in avanti, piegato. «Hazel, quando diventi un Paladino ci sono molte cose che lasci indietro, cose che non puoi riavere neanche sperando in un miracolo. Te lo posso dire per esperienza, ogni cosa fuori dall'Artemis non ti è utile. Gli esseri umani vanno e vengono, tu devi combattere per degli ideali, perché hai il potere ed è tuo compito farlo. Ti avevamo avvertita quando ti abbiamo parlato dei Paladini.»

«È solo un vecchio amico» cercai di sdrammatizzare e non ci riuscii affatto.

Non ero brava a dire le bugie e lo avvertirono tutti.

Emmanuel aprì la bocca e Penelope alzò una mano, cercando di calmarlo. Decise di parlare per prima e di farlo in modo più diretto e onesto. «Hazel, tu non invecchierai. Non morirai. Tutti all'infuori di noi lo faranno, prima o poi. Tu stai mettendo un altro essere umano in pericolo e lo stai costringendo, dato che lui non sa veramente chi sei.»

«E così deve essere» sottolineò Emmanuel franco. «Isobel si era fidata della persona sbagliata ed è morta. Non puoi sapere quando una persona morirà, ma almeno puoi aiutarla a vivere al meglio. E il meglio, in quest'angolo, non sei tu.»

Gli occhi si inumidirono e mi pizzicarono nel vano tentativo di trattenere le lacrime. Sbattei gli occhi e feci finta di pulirmi il naso, provando a darmi un minimo di contegno. Ero a conoscenza quanto loro che l'amicizia tra me e Ian era impossibile, prima o poi lui sarebbe invecchiato e io no. Amare per un Paladino non era vietato, era una di quelle fortune che capitavano a pochi, come a Maya e Raphael, morti e rinati insieme. C'era un prezzo per ogni cosa e mi domandai se avevo fatto la scelta giusta.

Volevo solo rintanarmi in camera e leggere il messaggio di Ian, vedere cosa avesse da dirmi, ma con gli occhi dei tre puntati contro mi imbarazzai. Non potevo considerarmi diversa da loro. Avevamo tutti gli stessi diritti e doveri e io, come sempre, percepivo che non era il mio posto.

«Ho capito» mi limitai a dire.

«A volte lasciare andare è la cosa migliore» sibilò Kieran. Penelope non sembrò del tutto d'accordo, ma non parlò a vanvera e fu la scelta migliore. Fece per alzarsi e la Regina la guardò. «Hai qualcosa da fare? Ho bisogno del tuo aiuto.»

Penelope si mise lentamente a sedere. «Avevo promesso a Marianne di andarle a prendere delle erbe dall'emporio di Grimm, ha le scorte a secco dopo che ha dovuto curare Hazel e con tutta questa confusione non abbiamo potuto andarci prima. Se hai bisogno di me urgentemente può andare Hazel» propose e io mi misi sull'attenti.

Emmanuel si girò verso di me. «Sai dov'è l'emporio di Grimm?»

«Chi?» domandai confusa.

Emmanuel alzò un sopracciglio e sospirò.

«L'emporio di Grimm» disse Kieran con un sorrisetto. «Ci riforniamo da lui da anni, è un dottore, o almeno così dice, ma sa molto sulle erbe e sui manufatti antichi. È una persona molto onesta, un po' eccentrico, direi. Ha un negozietto nella zona del Pigalle, a pochi passi dalla stazione metropolitana.»

Alzai un sopracciglio con aria ambigua. La Pigalle era la zona più nota di Parigi, riconosciuta a gran voce per i suoi numerosi locali a luci rosse e divertimento sfrenato. Non conoscevo molto bene la zona, avevo lavorato una sola volta in uno stand, ma per il resto le suore tendevano a tenerci lontane da quelle zone per sicurezza.

Non volevo dirgli che non avevo la minima voglia di fargli quel favore, specie dopo essermi presa quella strigliata, tuttavia inghiottii il disappunto e annuii. «Cosa vi occorre?»

Penelope mi allungò la lista e notai che c'erano un sacco di piante strane, che sicuramente non avevo mai sentito nominare. «Icusa?» sillabai con dubbio. «Ma quest'erba non esiste» cercai di far presente.

«Non nel nostro mondo, per lo meno» disse Kieran. Aprii la bocca per chiedere ulteriori dettagli. «Il negozio è in Rue Piemont. Credo lo riconoscerai senza problemi, sembra un mercatino delle pulci. Chiamaci se hai bisogno di qualcosa e, per favore, rientra subito dopo.»

Avrei preferito che Penelope o Emmanuel mi accompagnassero e capii che il motivo per cui nessuno dei due lo propose fu che ero stata in compagnia fino a quel momento e seppure avessi cercato di nasconderlo lo avevano capito. Presi in mano tutto il mio coraggio, salutai e me ne andai contrariata.

Presi l'autobus e arrivai fino al IX arrondissement, scesi alla fermata più decisa e mi dissi di fare in fretta. Come al solito durante il giorno era una zona abbastanza tranquilla, diventava animata e pericolosa durante la notte, quando i turisti e gli uomini bighellonavano da un pub all'altro.

Mi indirizzai verso l'uscita della metropolitana e tagliai in una via secondaria. Come le stradine che non avevano molta visibilità, Rue Piemont era veramente stretta e dubitavo che potesse essere a doppio senso di marcia, dato che per passare comodamente, un'auto avrebbe dovuto investirmi. Gran parte di quei negozi erano vecchi e dismessi, a eccezione di pochi erano per la maggiore chiusi da anni per via della crisi. In quella zona non molti negozianti avevano avuto successo e si erano spostati altrove. Tutte le strutture erano vertiginosamente alte e davano la malsana impressione di caderti addosso da un momento all'altro.

L'emporio di Grimm si chiamava in verità "Arcana cianfrusaglie". Aveva una grossa insegna blu di legno ormai rovinata dal tempo e dalla pioggia, piena di graffi e la vernice quasi distrutta. Aveva delle enormi vetrate a bovindo che davano sulla strada deserta, ma erano così gialle da rendere impossibile guardare attraverso.

Non c'era un campanello e provai a bussare, ma nessuno venne. Aspettai un paio di secondi prima di decidere che non avessi voglia di perdere tempo e aprii la porta. Mi investii immediatamente un forte odore di polvere. Il negozio aveva due piani e gran parte dello spazio era impiegato in lunghi scaffali ricolmi della roba più vaga: c'erano bambole di porcellana con un occhio rotto, animali impagliati con strane espressioni, scatole chiuse e numerosi quadri accatastati l'uno sull'altro. Nelle teche erano ammassati gli oggetti più piccoli, come orologi, libri, persino alcune ossa.

Mi guardai in giro. Il posto sembrava abbandonato da anni, il lucernario in soffitto per via dello sporco emanava una luce giallognola, spenta. Non avrei mai creduto che i Paladini conoscessero un posto come quello, totalmente diverso dall'Artemis, asettico e ordinato.

Il mio sguardo venne attirato da uno luccichio sopra una vecchia stufa rotta e nera. C'era un cofanetto aperto e dentro, in un morbido velluto rosso, c'era un pugnale. Anch'esso era pieno di sporcizia, dato che la lama e l'elsa erano opachi, ma incastonata nell'impugnatura c'era una pietra brillante. Tirai l'orlo della giacchetta fino al polso e allungai la mano per afferrarlo, quando una voce emise un urlo acuto e io saltai impaurita a lato.

Da dietro un bancone sbucò un uomo di mezz'età, con folti capelli scuri e dei baffi spinosi. Aveva un'espressione tra il curioso e il corrucciato, cosa che gli fece accumulare molte grinze vicino agli occhi.

«Nel 1836 un uomo inglese chiamato Everard Mordecai scoprì un modo per intrappolare i Demoni in un'arma e costringerli a servire il loro padrone, dotandoli di un potere inimmaginabile. Si dice che se osi toccare la sua arma a mani nude il Demone ti confinerà a morte nel suo mondo» mormorò con voce dura, dando un'occhiata al pugnale.

Dopo un attimo di smarrimento tornai in me e feci un passo indietro. «Mi scusi tantissimo, stavo dando solo un'occhiata in giro, non mi sarei mai permessa di...»

Stavo per dire "rompere o rubare qualcosa", quando l'uomo chiuse il cofanetto e lo gettò senza riguardi oltre le sue spalle. Cadde altrove su altra roba e produsse un po' di baccano, eppure lui mi fece un sorrisetto cordiale e non mi perse di vista.

«Ho qualcosa per te, Hazel» esclamò lui cordiale, passandomi oltre.

«Come sa il nome?» domandai cauta.

«Perché leggo nel pensiero!» mi beffeggiò con aria ovvia. Aprii leggermente la bocca, stupita e lui scoppiò a ridere. Fu una risata lunga e strozzata, non riuscii a capire cosa ci trovasse di così buffo, ma lo lasciai in pace. «Oh, non ti preoccupare! Kieran mi ha avvertito per telefono poco fa. Temeva ti perdessi o ti spaventassi. Questo posto è vecchio, ma innocuo, come me.»

«Vecchio o puzzolente?»

Lui si fermò e mi lanciò un'occhiata strana. Sbattei gli occhi e giocherellai con una mattonella smussata, provando a non vergognarmi. Lui sospirò.

«Non vecchio come questo negozio. Mio padre lo aprì più di settant'anni fa, allora il mondo aveva più riguardi verso l'occulto e tutto il resto della magia. Io l'ho solo rilevato, ma come vedi gli affari non vanno molto bene» mormorò.

Sulla punta delle lingua avevo il consiglio di rasarsi e dare una rassettata al negozio, perché per conto mio qualcuno avrebbe potuto morirci là dentro, tra gli accumuli di roba e la polvere spessa quanto uno strato di glassa appiccicosa.

«Da quanto conosce Kieran?» chiesi curiosa.

«Da moltissimo tempo ormai, è un ragazzo che si mantiene molto bene nel tempo...» ammiccò vago, aspettandosi che ribattessi. Non lo feci per non parlare a sproposito. Si pulì le mani sul maglione blu notte che portava e si presentò. «Chiamami pure dottor Grimm. O Augustus se ti piace di più. Lo sai che Augusto era un noto imperatore romano?»

«Un dottore in cosa?» chiesi e non riuscii a nascondere il mio scetticismo.

«In cosa si può essere dottori secondo te?» ribatté scocciato.

«Be', in molte cose.»

Lui affilò lo sguardo. «Tu sei un po' petulante, ragazzina. Kieran non me lo aveva detto. Dov'è Marianne? Di solito viene lei qui e mi porta qualche regalo. Magri un bell'amuleto protettivo.»

«Marianne aveva da fare, hanno mandato me al posto suo.»

«Sei nuova? Non ti avevo mai vista.» Si appoggiò su una pila di vecchi CD e questi caddero, facendo alzare una nuvola di polvere che lo fece tossire aspramente. «Dov'è il tuo tatuaggio?» Mi afferrò un braccio e lo alzò, senza chiedermi nulla. «Ne avete tutti uno, no?»

Mi tirai indietro e mi appuntai di dire a Kieran due parole su quest'uomo. Non aveva l'aria cattiva, sembrava uno di quegli strani individui che all'alba davano da mangiare ai piccioni sulle rive della Senna.

«Ah! Tenetevi i vostri segreti allora.» Mi puntò un dito contro e disse, serio: «Ecco perché mi piace di più studiare i Demoni. Gli umani sono così indisponenti.»

Ignoravo cosa lui intendesse con "indisponente" e a sentirlo doveva essere una frecciatina sul mio conto. Non era un normale dottore o ricercatore, altrimenti Kieran non si sarebbe fidato e non mi avrebbe mandato da sola. Come uomo in sé era abbastanza curioso.

«Vieni con me, ragazzina. Giù ho la roba» disse neutro e spostò una tenda dietro il bancone principale, rivelando un altro corridoio.

Sospirai e lo seguii, scendendo lungo delle vertiginose scale a chioccia che portavano al seminterrato. Faceva molto più freddo del piano terra, ma l'aria era decisamente più respirabile e mi strinsi nel leggero giubbino che portavo, tremando appena.

Al termine c'era un piccolo locale di pochi metri, completamente illuminato da una singola lampadina bianca. Era diverso dal negozio al piano superiore, intasato di ragnatele e robaccia priva di valore: quell'antro era pulito, lunghi scaffali di legno scuro percorrevano le vecchie pareti di mattoni e c'era un grosso tavolo al centro della stanza.

«Avanti, dammi» fece sbrigativo, allungando la mano e io gli diedi il biglietto.

Nonostante ci fossero dei nomi completamente inventati lui non batté ciglio, lo lesse una volta e me lo lanciò indietro, andando su e giù tra gli scaffali a prendere i prodotti desiderati. Quell'angolo pareva molto più ad una vecchia farmacia, c'erano numerosi contenitori di vetro con dentro liquidi, erbe o semi di vari colori.

Il dottor Grimm prese una manciata di fili verdi da un recipiente e li mescolò con altri, li peso su una bilancia dorata e li mise in una piccola provetta di vetro.

«Cos'è questo posto?» domandai, guardandomi in giro.

«Non toccare niente» mi ordinò senza guardarmi, altrimenti mi avrebbe vista con le mani in tasca, lontano da tutto. «Sai, io ho una certa età e ho visto il mondo. Ho girato davvero tanto e ho visto cose più varie, strane, alcune belle, altre terrificanti. Collezionavo cose, all'inizio e aiutavo chi potevo lungo i miei viaggi, ho una bella reputazione in molti luoghi. Quando è morto mio padre ho dovuto trasferirmi qui e ho cominciato a lavorare qui sotto. Alcuni amici vengono ancora a trovarmi.»

«Siamo i tuoi unici clienti?»

L'uomo si pulì il naso e si rimise gli occhiali. «Intendi buoni o quelli che non vogliono uccidermi?» Lo guardai. «Più conoscenza hai e più gli altri vorranno utilizzarla per i loro scopi, ricordalo, Hazel. Non puoi guadagnare senza perdere.»

Forse era davvero così, in fondo: io ero diventata una Paladina, avevo riottenuto la vita, ma la mia famiglia ne aveva pagato il prezzo. Non volevo che Ian fosse il prossimo sulla lista, non per colpa mia.

«Però hai scelto di aiutarci comunque. Credo che Kieran e gli altri contino molto sul tuo aiuto» borbottai.

Lui annuì. «È l'unica cosa che posso fare. Vedi queste erbe viola? Se le mescoli con lo zucchero e un altro infuso viene una pasta molto morbida e puoi cuocerla. I licantropi vanno fuori di testa per questi dolcetti, te lo assicuro. Li chiamano Moff.»

Mi appoggiai al banco e lo guardai lavorare. Era davvero bravo e minuzioso a preparare quelle strane erbe mescolate tra loro, per alcune bastava metterle in una provetta e chiuderla, altre richiedevano di essere tagliate o diluite con altri liquidi strani.

«Hai visto molte cose strane nella vita?» domandai curiosa.

Come sempre, mi rispose senza staccare gli occhi dalle sue mani, impegnato. «Tantissime. Per gli esseri umani senza la fede è difficile vedere oltre il velo che divide questo mondo dagli altri, però per alcuni baciati dalla sfortuna questo viene così naturale e questo è il mio caso. La gente ti crede pazzo se osi dire che hai visto una stella ballare sulla cima di un albero.»

«Vorrei vederle anche io queste cose» feci senza pensarci troppo.

Lo dissi a bassa voce e forse non mi sentii perché non mi rispose, o magari non aveva nulla da dire a riguardo. Non era giusto che considerasse il suo dono una sfortuna, lo avevo pensato anche io di me all'inizio, prima di decidere di andare avanti e fare chiarezza. Avevo deciso di aiutare chi aveva bisogno e dare pace al ricordo della mia famiglia.

Alzai gli occhi e vidi una grossa piuma nera in un contenitore di vetro tondo, posato su una delle ultime mensole in cima. Era lunga quasi venti o trenta centimetri, aveva dei riflessi della barba scuri molto belli e un calamo molto sottile.

«È di un uccello quella?» chiesi e la indicai.

Lui la guardò, capendo il mio interesse e si fermò. «No, è di un Demone.»

Aprii la bocca stupefatta. «Hai la piuma di un Demone? Come?» Tentò di tornare al lavoro e io gli arrivai più vicino. «Come hai fatto ad ottenerla? Ti ha attaccato?»

Sospirò sconfitto e si tolse gli occhiali, ammonendomi. «Fai un sacco di domande, si vede che sei nuova» mi ammonì. «I Demoni hanno caratteristiche basilari: sono solitari e hanno istinti di caccia animaleschi. In questo somigliano anche ai Licantropi e ai Vampiri. Di tutte le creature puoi guadagnarti la fiducia se ci sai interagire... Detto questo, sì, un Demone mi ha attaccato.»

Roteai gli occhi. «Io non penso che i Demoni siano fondamentalmente cattivi. Penso che i loro istinti li portino ad essere quelli che sono.»

«I Demoni non hanno ordine» mi diede ragione, alzando un dito. «Vagano nel mondo senza regole, perché sono costretti a seguire il loro Re. Se la base è marcia anche il resto lo diventerà. Molte cose devono cambiare prima che il mondo sappia vederli come una risorsa.»

«I Demoni sanno proteggere?» sillabai stupita, fino ad allora avendo sentito solo cattiverie sul loro conto.

«Sulle coste dell'Inghilterra del sud-est c'è un'organizzazione militare, mi hanno detto, molto all'avanguardia. Usano i Demoni per combatterne altri, in pratica li stanno addestrando o qualcosa di simile. È un concetto molto interessante. Un umano e un Demone si legano per la vita e creano una connessione doppia.»

«Quindi il Demone che vive di istinti naturali viene spinto a proteggere l'umano» affermai e lui annuì confortato. «Ma non è poi diverso dalla costrizione. Non puoi costringere un'altra creatura a difenderti, proteggerti o uccidere per te. Sarà sempre qualcosa di finto.»

«Per questo vorrei andare là. Ho già vissuto troppo a Parigi e vorrei vedere con i miei occhi un Demone buono, almeno una volta prima di morire. Ti manderò una cartolina!» Ridacchiai. Mise in una busta le provette e le serrò con dello scotch in modo sicuro. «Ecco a te, ragazzina. È bello vedere facce nuove. Non molti di voi condividono la mia idea a riguardo, ma ricordati che non è l'idea di essere qualcuno a definirti, ma le azioni che compi. Una pistola in mano a un criminale è pericolosa, ma se lo dai ad un poliziotto la prospettiva cambia.»

Presi la busta. Era poco pesante e la tenni stretta tra le braccia, timorosa che avrebbe potuto sbattere contro qualcosa e rompersi. Non volevo vedere la faccia scontrosa di Marianne. Salimmo al piano di sopra e il dottor Grimm mi diede un biglietto con un conto fin troppo salato per i miei gusti.

«Pensavo fosse un aiuto» sottolineai.

«Potresti essere anche Cristo, ma farei pagare anche lui. Dallo a Kieran, lui sa cosa farci.»

La cassa era un vecchio attrezzo pieno di ruggine, aveva dei grossi tasti grigi e ogni volta che premeva un tasto questo faceva un disturbante "ting" metallico, per nulla rassicurante.

Gettai per caso l'occhio sulla libreria dietro di lui, era ricolma di un'intera sezione di enciclopedie di inizio secolo, sorprendentemente in buono stato. Notai per caso che in mezzo a quella confusione, tra il tomo dodici e tredici, c'era un libro di Gulliame Aubert.

Il dottor Grimm mi guardò e io indicai il libro. «Me lo faresti vedere, per favore?»

Lui assottigliò lo sguardo, poi me lo passò. Pulii la copertina dalla polvere. Come immaginavo non era un testo proibito, sarebbe stato troppo facile. Oltre alla sezione, Aubert era famoso per i suoi studi e i suoi romanzi e quella era la pubblicazione di una sua non provata ricerca.

Non era uno scienziato e la sua enorme fede lo aveva spinto ad andare oltre a molte regole e dogmi scientifici. Era uno dei libri sulla sua tesi della resurrezione, lo sapevo perché una copia l'avevamo anche alla Saint-Marie.

«È una prima edizione» sillabai stupefatta, leggendo le indicazioni. La rilegatura era grossolana e molte pagine si stavano strappando, non era stata usata la carta, bensì quella strana pelle ruvida e dura. «Come hai fatto ad ottenerla?»

Il dottor Grimm alzò le spalle. «E io che ne so. Può essere che fosse qui da prima che venissi io, mio padre era un accumulatore e molte persone mi portano la loro vecchia roba che non vogliono più.»

«Dovrebbe stare in un museo o... in una biblioteca curata!» esclamai. «È una prima edizione autografata! Vale un mucchio di soldi!»

Lui fece una smorfia. Lasciai perdere e lo sfogliai velocemente, nonostante mi dicesse di non aprirlo troppo per non rompere la colla. Non sapevo cosa stessi cercando esattamente, però mi bastavano le poche informazioni che avevo avuto da Kieran per essere sospettosa. La carta era decisamente molto più economica della pelle animale, Aubert era benestante prima di cadere in disgrazia per la stesura dell'Indice, che lo portò alla povertà e alla denigrazione pubblica.

«Cosa stai cercando?» borbottò lui annoiato.

Percorsi le pagine una ad una, velocemente, fino a quando non incontrai, verso la fine del tomo, una senza numero. Era davvero strano perché non era un errore di stampa, i numeri prima e dopo proseguivano senza interruzioni e aveva una filigrana leggermente diversa al tatto. Era come se qualcuno l'avesse cucita successivamente alla riproduzione.

Il dottor Grimm me lo prese di mano e lo studiò. «Cosa credi ci sia qui dentro? Un messaggio invisibile?» Detto così mi parve proprio una sciocchezza, ma poteva essere. «Stai scherzando, vero?»

«Mi serve il libro. Solo in prestito!» gli assicurai. «Penso che Kieran debba esaminarlo. È una questione molto importante, ci sono stati vari furti riguardanti Aubert ed è meglio accertarci che questo non sia nella lista.»

Pensai che metterlo davanti alla realtà potesse servire a metterlo in guardia sul pericolo dei Demoni o almeno fargli sorgere dei dubbi, tuttavia l'uomo scosse la testa rigorosamente.

«Se lo vuole Kieran deve venirselo a prendere, o significa che non gli serve affatto, e poi io non presto le cose. Se lo vuoi devi comprarlo, ragazzina. Posalo e vai via, ho da fare.»

Strinsi i denti e le mie guance arrossirono. Lo posai su uno scaffale a caso e presi la busta dal bancone. L'uomo si girò e se ne tornò di sotto, senza degnarmi di un'occhiata. Sospirai sconfitta, mi guardai in giro e ripresi il libro. Non c'erano telecamere, perciò, sotterrando il mio buonsenso, strappai la pagina senza numero e me la infilai in tasca.

Dio, stavo davvero rubando? Cercai di non pensarla in questi termini e chiesi immediatamente perdono a Dio. Di sicuro mi stava guardando con rassegnazione.

Uscii dal negozio in fretta e fino a quando non fui sull'autobus mi guardai intorno impaurita, convinta di vedere il dottor Grimm correre furibondo verso di me. In cuor mio, anche se sapevo di aver fatto una cosa fondamentalmente sbagliata e che in assoluto modo non volevo rifare, sentii di aver fatto la cosa sensata. Dubitavo che se ne sarebbe accorto, aveva troppe cianfrusaglie lì dentro e non era il lavoro che davvero voleva, tuttavia mi sarei ugualmente scusata.

Tornai all'Artemis correndo e incrociai immediatamente Kieran, da solo in soggiorno. Prima che potesse dire qualcosa gli diedi subito la pagina in mano.

«Credo di aver trovato il secondo indizio di Aubert.»

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