VIII

Maya atterrò Emmanuel con una singola mossa, gli storse il braccio e lo catapultò davanti a sé, facendolo cadere con la schiena a terra. Raphael strillò eccitato e la elogiò, mentre Emmanuel si rialzò in fretta e deglutì la sconfitta.

Maya era più forte di quel che sembrava, ero certa che avrebbe potuto atterrare persino un lottatore grazie alla sua resistenza e alle sue abilità nelle arti marziali. Emmanuel era feroce nelle battaglie, l'avevo visto io stessa con quanta grazia e letalità aveva affrontato il Demone nel parco e prima di vedere Maya ero certa che fosse lui il più forte. Dovermi allenare con Maya mi metteva in agitazione.

Kieran la chiamò e mi indicò. «Vorrei che passassi del tempo con Hazel e le mostrassi più da vicino i Demoni e le gerarchie che ci sono.» Maya alzò un sopracciglio. «Avevi da fare?»

Non si azzardò a dire il contrario. «No, ma...» Strinse le labbra e guardò il suo ragazzo, chiedendogli un aiuto. Raphael le sorrise e trottò via. «Non penso di essere adatta. A insegnare la teoria sei molto più bravo tu, anche Raphael può farlo. Ti ho detto che le avrei insegnato qualcosa di difesa, non che avrei fatto la babysitter.»

«Io sono impegnato questo pomeriggio, ho un'udienza con Gabriele per gli ultimi fatti. Confido in te, Maya» la salutò Kieran e se ne andò con Emmanuel dietro, a testa bassa.

Non la guardai negli occhi, temendo che avrebbe potuto fulminarmi in un lampo. Lanciò un'occhiataccia a Raphael che, nel frattempo, era fuggito dalla piccola palestra e si era dileguato. Era un ambiente con il soffitto basso, ma estremamente spazioso: c'erano numerosi sacchi da boxe, pesi, corde e tappetini su cui allenarsi.

Maya si asciugò il sudore dalla fronte e mi guardò da capo a piedi, scettica. «Quando hai intenzione di iniziare ad allenarti? Più passano i giorni e mano probabilità di sopravvivere in uno scontro e se vuoi evitare di dare problemi a noi, evita di crepare inutilmente.»

Indicò i muri laterali su cui c'erano esposte numerose armi di legno, tra cui spade, asce e persino scudi. Non avevo idea di cosa intendessero per guerra, né come di per sé fosse lo ScaccoMatto, però sapevo che ero in netto svantaggio. Maya e Emmanuel erano forti e veloci, Marianne e Bernard potevano guarire qualunque ferita, Kieran era intelligente. A volte pensavo di aver fatto un errore a restare là, con loro, di aver rubato qualcosa che ad un altro sarebbe stato meglio.

«Non sarei utile, non sono forte» le feci notare.

«Ma sei veloce, no? Sei un Cavallo, Hazel, cerca di entrare nella mentalità. Anche un proiettile è inutile se lo tieni in mano, è piccolo e leggero, ma se lo spari diventa letale.»

Stava applicando la fisica. Emmanuel era letale perché ogni suo colpo era calcolato con precisione e nulla era lasciato al caso, riduceva i movimenti inutili e la forza mancante la acquistava muovendosi.

Mi sarebbe piaciuto di più passare il mio tempo con Marianne, lei era gentile con me, come Bernard, ed entrambi erano ragazzi simpatici e disponibili. Avrei preferito persino allenarmi con Emmanuel, mi parve mille volte più paziente di Maya e meno crudele, se proprio dovevo iniziare.

«Vieni, ti porto nella sala delle Reliquie» borbottò infastidita.

L'Artemis sembrava una comune villa all'esterno, però oltre ad essere insolitamente più grande delle comuni abitazioni, vantava di altri ambienti totalmente strani, come una biblioteca immensa, una palestra e molte sale di esposizione. Per molti versi, se non ci fossero state le camere, avrebbe potuto assomigliare ad un museo.

Maya si cambiò la maglia e io mi voltai dall'altra parte. Mi aspettò e mi guardò stranita, poi lasciò perdere e uscimmo dalla palestra. Ero molto in imbarazzo, non sapevo di cosa poter parlare con lei e mi pentii di aver chiesto a Kieran di darmi più informazioni sui Demoni. Mi ero lamentata con lui del rapporto con Maya e dovevo aspettarmelo quel gesto. Voleva essere gentile, però non lo apprezzai affatto.

Non ero mai stata nella sala delle Reliquie, l'avevo vista dall'esterno più volte, ma avevo avuto paura a metterci piede per il timore di rompere qualcosa. Non ero ancora abituata a pensare di abitare all'Artemis, per me era ancora un piacevole soggiorno che stava per finire.

C'erano numerose teche con dentro mostri di ogni genere, alcuni avevano lunghi tentacoli neri, altri artigli affilati, orecchie da animale o code piumate. Erano riproduzioni di cera, tuttavia erano tremendamente spaventose. Sembravano vere a tal punto di credere che al solo comando avrebbero potuto rompere il vetro e attaccare.

«Questo è un Demone?» domandai.

Maya annuì. «Uno dei tanti.»

Mi avvicinai alla teca e osservai il mostro con attenzione. Aveva gli occhi rossi e neri, proprio come quello che mi aveva attaccata al parco, ma il suo petto era ricoperto di pelo bianco e aveva le zampe da rapace, sottili e secche.

«I Demoni hanno varie sembianze, le cambiano per mimetizzarsi meglio in mezzo agli umani. Di solito faticano a mantenere la forma umana senza il sangue, per loro è come il cibo» mi spiegò alla meglio.

«Quindi possono morire di fame?»

Maya ci pensò. «Be', non so, presumo di sì, anche se non ne ho mai visto uno morire così. I Demoni sono molto più forti e resistenti degli Angeli, si uccidono molto difficilmente. La loro carne è dura, le ossa indistruttibili e alcuni hanno anche il sangue corrosivo. Hanno un tasso molto alto di zolfo nel corpo, per questo i loro fluidi sono verdi o molto scuri. Si dice che la loro fame sia paragonata alla peggiore delle torture.»

«Tu hai mai visto un Demone? Insomma, oltre a quello del parco.»

Lei annuì. «Un paio di volte...» ammise, abbassando il tono. La notai e riflettei sul non chiederle altro, però lei continuò. «Ci sono molte organizzazioni nel mondo che aiutano a mantenere l'ordine. Umani, intendo. Sappiamo che c'è un gruppo americano con molte sedi globali che analizzano i picchi di attività demoniaca in vari posti, non solo, ma aiutano le creature che sono nel nostro mondo ad ambientarsi e ad adeguarsi.»

«Tu credi che un giorno umani e Demoni possano convivere?» chiesi e pigiai il dito sulla teca accanto a lei.

Maya scosse la testa. «I Demoni sono creature egoiste e senza propositi positivi, pensano unicamente a loro stessi, ecco perché faticano a stare in gruppo persino con i loro stessi simili. Combattono, rompono e uccidono tutto ciò che hanno davanti. Per questo la natura li ha resi sterili, per non far riprodurre la loro piaga. Sarebbe molto più semplice se il Re dell'Inferno dettasse delle nuove regole, ma invece no, li lascia vagare nel mondo a suo piacere, come cani assatanati e noi dobbiamo domarli» si lamentò. «Persone vengono uccise, ci sono terribili incidenti e loro ridono. Tutti i Demoni vorrebbero ucciderti, non lo dico per spaventarti, ma quando ne vedrai uno cerca di ammazzarlo, o almeno corri così veloce da non farti acchiappare. Loro non sono buoni.»

Era facile odiare i Demoni, sia la Chiesa sia i Paladini dicevano che erano degli esseri senza cuore, tuttavia se fosse stato davvero così la natura non li avrebbe creati e sarebbero stati sterminati dal principio. I Demoni erano necessari agli Angeli, facevano parte dell'equilibrio del mondo, ma non sapevano come viverci. Se solo ci fosse stato qualcuno che gli avesse insegnato a non seguire l'istinto sarebbe stato tutto diverso.

Capii da sola che il mio pensiero era fin troppo ottimista. Io stessa ero stata attaccata da un Demone. Un mostro era diverso da una fata.

Passeggiai tra le teche e vidi la figura di un lupo, un mostro grosso quasi quanto un cavallo. Il pelo era rigido e nero, gli occhi azzurri, le fauci spalancate e letali come uno squalo.

«Demone?» tentai.

«Licantropo» commentò e cercò di nascondere un'evidente risatina divertita. «I Licantropi non sono di per sé pericolosi, vivono con gli umani o isolati da molti anni e c'è un accordo tra noi e loro. Sono degli ospiti molto cortesi.»

«Quindi non se ne vanno ad ululare alla luna?» risi, immaginando come potesse essere accarezzare una bestia di tali dimensioni.

Non avevo mai sentito di simili storie, solo leggende. Mai accertamenti. Quelle creature erano come il Big foot, si vociferava della loro esistenza nell'ombra, tuttavia c'erano state fin troppe bugie e false prove per crederci sul serio.

«Direi di no» rispose.

«Giusto, i lupi mannari si trasformano con la luna piena.»

Maya corrugò la fronte. «I lupi mannari non esistono. I Licantropi controllano la loro trasformazione, anche se non hanno un senso dell'umorismo sviluppato quanto quello dei Vampiri. Loro sì che sanno come animare le feste» esclamò svagata.

Maya si perse anche lei nella vastità della stanza e curiosò con me in silenzio. Avevo mille domande per la testa e non avevo il coraggio di parlare. Quel mondo mi affascinava giorno dopo giorno e volevo conoscerlo a fondo, senza perdermi niente. C'erano milioni di creature che abitavano nel nostro mondo e finora solo a pochi era stato concesso di conoscere la loro presenza, come a me: c'erano esseri docili e gentili che ti facevano sognare tutta la notte e facevano sparire ogni dolori, alcuni che abitavano nelle foreste, altri sotto i sassi, mentre c'erano molte bestie che uscivano e cacciavano solo di notte, nelle ombre. Il nostro mondo era come due piatti di una bilancia perfettamente equilibrati tra bene e male.

Capii perché nello ScaccoMatto non ci fosse mai un vincitore assoluto: era impossibile.

C'erano numerose armi esposte negli scaffali, argento per i Licantropi, veleni per le fate, balestre in legno e varie else in metallo. Notai sedici pezzi degli scacchi chiusi in un piccolo contenitore di vetro, al centro della stanza, illuminati da una piccola luce al neon.

«Queste sono le famose Pedine?» domandai affascinata.

Inclinai il capo. Me le ero immaginate diverse, erano lunghe forse cinque centimetri ed erano fatte di un materiale trasparente, dall'aria molto delicata.

Maya lasciò perdere il ritratto di un Vampiro e venne da me. «Sono una riproduzione, ma sì, sono loro. I veri Pezzi sono dentro di noi» si alzò la manica della felpa grigia e mi mostrò il marchio del Pedone sul polso. «Il sigillo è visibile a tutti, perciò sii sicura di nascondere il tuo. Potrebbero esserci dei Cacciatori. Non siamo molto ben visti dalla comunità magica.»

«Come mai? Facciamo del bene, no?» sibilai.

Si grattò i capelli. «Sì, tecnicamente, ma noi non facciamo più parte del mondo umano, però non siamo nemmeno degli esseri magici. Alcuni ci chiamano "i figli degli Angeli", seppure nemmeno a loro siamo molto simpatici. Dio ci ha creati da esseri umani, ha rifiutato i suoi Angeli per noi. Lo ScaccoMatto ha molte regole, la prima è che solo noi possiamo combattere nello ScaccoMatto. Ciò significa che se qualcosa dovesse andare storto non avremmo alcun aiuto.»

«Perché il mondo è nostro e rispettando ciò siamo noi che dobbiamo proteggerlo» ripetei, ricordando di averlo letto in uno degli scritti di Kieran. «Ma se è vero che i Cavalieri sono pericolosi, perché non tentiamo di fare qualcosa prima?»

Maya si illuminò. «È ciò che avevo proposto io tempo fa!» esclamò sorpresa che l'avessi detto. «La Regina precedente è stata assassinata. Prima dell'inizio del gioco non ci sono regole che vietano l'interagire e loro continuano ad approfittarne: se Kieran muore, moriamo tutti e questo giocherà a favore dei Cavalieri. I Paladini hanno bisogno di preparazione, meno tempo si ha è meno probabilità abbiamo di vincere.»

Ma sarebbe comunque omicidio, pensai e uccidere era sbagliato, lo disse infine anche Maya. Kieran era contrario ed era ovvio che volesse dare l'esempio a noi. Ero certa che se ci fosse stato qualcun altro al suo posto avrebbe certamente sacrificato la vita dei Cavalieri per il bene del mondo, eppure non sarebbe stato poi diverso da un despota. Kieran era un ragazzo onesto, lo avevo capito e viveva dei principi che gli erano stati tramandati.

Sbattei gli occhi e contai le Pedine. Erano sedici, ma i ragazzi all'Artemis erano solo undici, me compresa. All'appello mancavano quattro Pedine e Kieran non aveva mai fatto parola che ne cercasse altri.

«Manca qualcuno?» domandai a Maya. «Se ogni ragazzo ha una Pedina propria all'appello mancano dei Pedoni, dato che i posti sono già occupati. Dio vale per uno. Ne mancano quattro.»

Maya alzò un sopracciglio. Credetti che non si aspettasse che me ne accorsi, infatti non riuscì a mascherare la sua meraviglia. «Alcuni esseri umani, affinché la trasformazione abbia successo, necessitano di più Pezzi. Non c'è un limite. Penelope vale i tre, significa che quando Kieran l'ha scelto, oltre al suo Pezzo, ha dovuto sacrificarne altri due per renderla una Paladina. Io ne ho necessitati due. Se tu avessi richiesto più di un Pezzo saresti morta, dato che l'altro Cavallo è già occupato.»

«Non si possono mescolare, tipo un Cavallo e un Pedone?» chiesi curiosa.

«Ne dubito. Hanno un valore diverso.»

Non si poteva sapere se qualcuno valesse più Pedine o meno e non potei che considerarmi fortunata. I Pedoni avevano più possibilità di rimanere in vita perché loro erano più numerosi. Io avevo solo una probabilità e l'avevo sfruttata. Mi ricordavo che non volevo affatto morire, mi ero sentita arrabbiata, delusa e spaventata. Qualcuno mi aveva ascoltata, alla fine.

Strinsi i pugni. Maya era convinta che non prendessi sul serio quella storia. «So che ti sembra che non faccio niente» le dissi seria e lei alzò gli occhi, colpevole, «sto cercando di abituarmi in fretta a questa cosa, però è difficile. Non sono agile come te, non sono forte e non controllo nemmeno quando mi muovo velocemente. So che sono inutile, però ce la sto mettendo tutta.»

«Non è questo!» mi puntò offesa.

«Non sono io che ho scelto di essere un Paladino» mi difesi.

Maya strinse le labbra e le sue guance si arrossarono. «Tu hai preso il posto della mia migliore amica!» sbottò. Rimasi di sasso e lei si scomodò, muovendosi. «Era lei il primo Cavallo, ma è stata ammazzata. I Cavalieri hanno scoperto la sua identità e l'hanno fatta divorare da due Demoni. Tu hai la Pedina di Isobel.» Il labbro le tremò e prese un profondo respiro, evitando di guardarmi. «Non ce l'ho con te, ma devi capire che essere Paladino comporta delle responsabilità, cosa che tu non sembri comprendere. Anche Isobel era come te, fin troppo ingenua e ha perso la vita. Nessuno di noi ha potuto proteggerla ed è una cosa che mi perseguita.»

Mi ritenevo in verità una persona molto responsabile, me lo dicevano sempre le suore dato che eravamo cresciuti, io e gli altri miei compagni, in un orfanotrofio e ci eravamo da sempre presi cura l'uni degli altri. Prima di me c'era stata una ragazza che era morta e non lo credevo possibile. I Cavalieri l'avevano trovata, in qualche modo, e avevano resettato tutto. Una parte di Isobel era rimasta in quella Pedina e ora era in me.

«Non voglio fare del male né a te né a Kieran, quello che voglio è scoprire cosa è davvero successo alla mia famiglia. Non ho mai conosciuto mia madre e mio padre, a differenza degli altri non mi hanno lasciato niente, non mi hanno dato nemmeno un nome, però so che sono stata più fortunata di molti. Kieran mi ha detto di ciò che hai passato, spero che anche tu capisca me.»

Maya abbassò gli occhi, ancora a disagio. Se fosse cresciuta con i bambini dell'orfanotrofio avrebbe capito che non volevo intromettermi nei suoi affari o giudicarla. La mia prima priorità era rimasta la Saint-Marie, dovevo per forza sapere chi e perché aveva scatenato l'incendio. Nessun motivo era valido abbastanza.

Qualcosa si infranse al suolo e si spaccò. Gettai un urletto spaventato e Maya alzò i pugni, attenta.

«Che è stato?» domandai preoccupata, pensando di aver accidentalmente rotto qualcosa.

Maya si guardò intorno. «Veniva da sotto» disse e all'inizio non ci mise molta importanza, poi si allarmò e allargò gli occhi.

Scappò fuori dalla sala delle Reliquie e io le corsi dietro, quasi superandola, fino ad arrivare in cucina. Maya alzò i pugni, pronta a trovarsi qualcosa di pericoloso, tuttavia c'erano solamente Elko, Lee e Piers. Piers era arrampicato su una mensola e ai piedi dei due ragazzi c'era un contenitore di vetro a pezzi.

«Che diavolo state facendo?» ringhiò collerica Maya.

Tirai un sospiro di sollievo, contenta che non fosse entrato un ladro o un Demone. Piers non rispose e continuò a tentare di arraffare qualcosa dallo scaffale più alto, già ricolmo di tazze e piccoli vasetti.

«Avevamo nascosto dei biscotti dato che quelli di Marianne sono praticamente immaginabili. Volevamo tenerli da parte per un'occasione speciale, però se Emmanuel scopre che gli abbiamo rotto la sua tazza preferita si incavolerà con noi» sbuffò Lee, scuotendo il capo.

«E fa bene. Piers, scendi da lì, avanti! Non possiamo morire, ma il dolore è uguale» chiarì Maya severa. «Voi due, prendete qualcosa per pulire. Tu, non toccare i vetri.» Mi diede una leggera spinta e mi fece togliere dai vetri più vicini, incrociando le braccia.

«Ti diamo un biscotto se non dici niente» esclamò Lee convinto.

Piers saltò convinto, non riuscì ad afferrare ciò che gli serviva e quasi mancò con i piedi la mensola su cui era in bilico. Infilò le dita nel legno e con un urletto si salvò, però urtò goffamente un vaso di vetro sullo stesso piano e questo traballò, oscillando oltre il bordo. Allungai la mano per un riflesso stupido, sapevo che ero troppo lontana e non l'avrei mai potuto prendere al volo. Lo stesso fece Lee, allarmandosi.

Prima di infrangersi a terra e spaccarsi in un suono orribile, scomparve. Lo osservammo tutti e fu come se scomparisse nel pavimento della cucina, assorbito. Elko lasciò la paletta dalle manie e spalancò la bocca.

«Che cazzo è successo? Dove è andato?» esordì.

Piers si lamentò vistosamente e lo aiutai a tornare al piano terra, deluso perché aveva rotto un oggetto e non era arrivato al suo dolce premio. Batté la mano sul punto in cui il vaso si era dileguato e constatammo che non ci fosse niente di invisibile in quel punto, a parte il duro marmo.

Elko e Lee guardarono storti Maya e lei si scaldò. «Oh, non sono stata io! Io devo toccarle le cose per farle scomparire, specie se sono un oggetto esterno, e a quest'ora la materia del pavimento lo avrebbe sputato fuori!» si difese offesa.

Mi massaggiai la mano e ci fu una luccichio sul soffitto. Ebbi appena il tempo di esclamare: «Vaso!» prima di vederlo arrivare. Il contenitore sbucò dal soffitto e Maya urlò, Elko si gettò in avanti e lo afferrò al volo, un secondo prima di vederlo, per la seconda volta, finire a terra.

Elko emise in versetto disgustato e lo mise sul tavolo, pulendosi le mani.

Lee scosse la testa. «Non è ectoplasma, idiota. Come è finito sul soffitto?» domandò e alzarono i nasi, per poi guardare me con sospetto.

«Io non c'entro. Non l'ho fatto di proposito» dissi insicura. «Non crederete che sia stata io, vero? Oh, dai!» ironizzai e non aggiunsi che non avrei avuto affatto idea di come fare una cosa simile, nemmeno dopo cento anni di immaginazione e tentativi.

Maya fece spallucce. «Be', io non posso essere stata! Posso rendere incorporeo ogni cosa, compresa me stessa, però devo toccarla e l'effetto ha un tempo limite» rispose Maya convinta.

«Magari è stato qualcun altro in questa casa» propose Lee.

«Genio, ci siamo solo noi qui e nessuno sarebbe in grado di farlo. Questa è una magia a sé. E cosa pensi, che un Cavaliere è entrato qui di pura fortuna e vuole farci smattare con questo gioco?» ribatté Elko furente.

Quando Lee ribadì la sua versione dei fatti, dicendo che fosse per forza opera di Maya e avesse avuto un "upgrade", la ragazza e l'altro urlarono il contrario e si insultarono a vicenda. Rimasi a fissarli senza capire niente e non ascoltai nemmeno una parola in quella confusione.

Picchiettai il dito sul vaso di vetro. La cucina era calda e il vetro era tiepido. Piers mi gettò un'occhiata lunga e non sembrò per nulla credere a nessuno, i suoi occhi marroni mi squadrarono e attesero, come sperando di vedermi fare qualcosa di magico.

Ero ancora certa sul fatto che non fossi stata io a far scomparire quell'oggetto, ma dall'altra sapevo che niente era oramai possibile: mi ero reincarnata in un Paladino, un essere quasi angelico, ed ero circondata da ragazzi che compivano magie tutti i giorni. Al mondo umano sarebbe potuta parere un'illusione, tuttavia nelle mie mani avvertii qualcosa, una specie di sottile filo che ci propagava come un intreccio di vene dai polsi fino ai polpastrelli.

Fu facile la prima volta, fu come giocare con della plastilina modellabile. Sfregai le dita e sentii l'energia concentrarsi, immaginai di toccarla e si allargò tra le mie mani. Prima era piccola, poi la allargai e diventò un cerchio luminoso, grosso più o meno quanto un piatto.

Piers spalancò gli occhi e Maya afferrò la manica di Elko, stupita.

«Brilla» commentò il bambino e allungò la mano per toccarlo.

«No! Potrebbe essere pericoloso!» lo fermò Elko cauto.

«Non lo è» lo rassicurai, sicura per qualche motivo di me stessa.

Infilai la mano dentro il cerchio e a mezz'aria la mia mano scomparve, sentivo ancora che ci fosse, muovevo le dita e con mio totale stupore sapevo che non fosse dentro la cucina, ma da tutt'altra parte. La temperatura dentro quel misterioso vortice era diversa, tiepida come il vaso.

Maya sobbalzò e saltò via spaventata. La mia mano emergeva, dal nulla, alle sue spalle. Lee la guardò e ci fece il giro intorno. Era comparso un secondo cerchio e la mia mano spuntava, come se fosse stata mangiata dal nulla.

«È una porta?» Non capii se fosse un'affermazione o una domanda, quella di Elko.

Piers ci ficcò le dita ed emersero dallo stesso punto, ridacchiando. «Oh, fa il solletico! È davvero una figata!»

Tolsi la mano e il cerchio accanto a Maya si chiuse, lasciandola in un sospiro. Agitò la mano in aria, credendo di fosse ancora qualcosa là, ma non accadde più nulla.

«Kieran!» urlò Maya per farsi sentire, ma non riuscì a muoversi.

Lee afferrò un barattolo di biscotti sul tavolo e venne verso di me. «Ci puoi buttare ogni cosa?»

Tolsi la mano, ma non feci chiudere il portale. Lo allargai della misura giusta e lo misi in orizzontale, di fronte a me. Lee ci gettò dentro il barattolo e guardammo tutti. Il portale brillò di una luce bianca-azzurra, ma il suo interno era invisibile. Non potevamo guardare il pavimento direttamente perché c'era quel flusso ed era tangibile il fatto che fosse nel nostro mondo.

«Lo hai rotto» esordì Elko, battendo le mani verso Lee.

«Perché è sempre mia la colpa?» commentò acido.

Piers guardò il soffitto e capii che dovesse per forza esserci una via d'uscita. Quella parte era l'entrata, il barattolo seguiva una corrente precisa e necessitava di una via a senso unico. Il vaso esisteva ancora, da qualche parte.

Ripetei il procedimento e ne aprii un altro proprio sopra il primo. Un secondo dopo il barattolo cadde dall'alto e scomparve su quello in basso, emergendo solo per poco tempo alla nostra vista. Lo fece altre due o tre volte e lo guardammo curiosi, incapaci di distrarci.

«Kieran!» strillò più forte Maya.

«Ma va, e continua?» ridacchiò Lee curioso, passando una mano sotto il vortice.

Kieran, Penelope ed Emmanuel entrarono in cucina e rimasero fermi, basiti come lo eravamo stati noi pochi minuti prima. Il Cavallo sbatté gli occhi e indicò i cocci sul pavimento, riconoscendo la sua tazza azzurra e bianca in frantumi.

«È il mio bicchiere quello?» domandò neutro.

Elko fece il vago. «Forse.»

«Be', era il tuo bicchiere» aggiunse Piers con aria colpevole. «L'ho fatto cadere. Per sbaglio.»

Emmanuel stava per ribattere e la sua faccia era totalmente rossa, furente. Ancora non lo avevo mai visto perdere le staffe, così come Kieran, erano sempre calmi e avevano una soluzione per tutto, tuttavia il biondo sembrava aver tollerato anche troppo e fosse sul punto di esplodere. Aveva visto troppe cose strane per dare peso a quello strano fenomeno in cucina, a differenza nostra.

Kieran si avvicinò e guardò le mie mani. «Che è successo qui?» chiese piano.

Maya alzò le spalle. «Io e Hazel eravamo nella sala delle Reliquie quando abbiamo sentito un rumore provenire da qui, siamo arrivate e Piers stava provando a prendere una cosa sullo scaffale più alto, ma ha perso l'equilibrio e ha fatto cadere un vaso. Hazel si è mossa e sono comparsi questi buchi nel nulla, le cose ci vanno dentro e... scompaiono!» spiegò a grandi linee.

Kieran esclamò di sorpresa quando il barattolo gli spuntò davanti alla faccia e si smaterializzò dopo, facendo il suo giro.

«Vanno e vengono, direi» chiarii.

«È stupefacente» sibilò Kieran e immerse un dito, muovendolo nel nulla sopra le nostre teste.

«Pensi che sia qualcosa legato ai Cavalieri?» domandò Lee.

«È il Portale delle rune» spiegò Penelope e ci girammo verso di lei. «Non è il potere dei Cavalieri o l'influsso di qualche Angelo, è una magia. Il tuo Dono, Hazel.»

Il mio Dono. Guardai i due cerchi magici e riuscii a fare un debole sorriso. Una parte di me si scaldò e si riempì di orgoglio, pura e semplice felicità di aver fatto qualcosa che tutti reputavano impossibile. Non avevo idea di cosa fosse o come funzionasse, tuttavia sapevo che sarei riuscita a controllarlo. Il mio cuore batté meno per la paura e si tranquillizzò, fu come ricevere una carezza sulla schiena da parte di qualcuno e da qualche parte percepii la mia famiglia esultare di gioia.

Il vaso scomparve dalla nostra vista e Lee ficcò la mano dentro il portale in basso fino alla spalla, cercando di prenderlo. Confuso, indietreggiò.

«Non torna» disse Lee, leggermente preoccupato.

«Magari si è perso» optò Piers.

Penelope sospirò. «Non puoi pretendere mica di avere indietro tutto, no? Ho letto delle storie sui Portali, ma francamente non me li immaginavo così. Sono un magia tra le più antiche. Ci sono dei libri in biblioteca, te li posso dare.»

Annuii e, come se schiacciassi qualcosa, rimpicciolii le porte e le chiusi, facendole sparire in un soffio. Emmanuel rabbrividì e Maya ordinò di nuovo a Elko di pulire per terra, mentre il biondo gli gettò un'occhiata lunga e pesante.

«Andiamo in biblioteca» optò Kieran e io annuii, respirando a fatica per l'emozione. «Che ci avete buttato dentro?»

«Il contenitore dei biscotti di Marianne, quelli mezzi bruciati» rispose Elko, raccogliendo i vetri a terra.

«Allora fareste meglio a trovare un nascondiglio migliore della panca al secondo piano.»

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