II
(Nausicaa)
L'ora che seguiva il pranzo e precedeva le nostre mansioni pomeridiane era il momento che mi piaceva di più della giornata: solitamente mi pungeva un leggero sonno perciò, se faceva abbastanza caldo, mi sdraiavo sotto il nocciolo e mi godevo la pace. Era un bellissimo giorno di primavera, tirava un vento fresco e le foglie dell'albero ondeggiavano piano sopra la mia testa.
«Questo è letteralmente il paradiso» borbogliò Nausicaa.
«Letteralmente?»
«Be', se il paradiso avesse una forma solita e umana, per me sarebbe questo. Si sta così bene dopo aver mangiato, quando non c'è confusione» disse e sbadigliò assonnata.
I bambini dopo il pranzo tornavano nelle loro stanze per dormire, alcuni giorni li seguivano persino le suore più anziane, mentre gli altri erano occupati altrove. Eravamo solo in otto che potevamo svolgere le funzioni religiose più importanti, quindi per occupare il loro tempo andavano a dare una mano in qualche centro o mettevano in ordine la chiesa.
Io e Nausicaa ci godevamo il momento, stese come panni sotto il sole. Un'ombra ci passò davanti al viso e aprimmo gli occhi, ritrovandoci davanti suor Corinne. Si mise la mano sul fianco, a tenerle l'altra c'era Philippe, uno dei bambini più piccoli accolti. Era palesemente assonnato e ci mancava poco prima che crollasse sull'erba e si mettesse a dormire.
«Mi spiace interrompere il vostro riposino, ma i lavori vi attendono. Avete giocherellato anche troppo questa mattina, siete più che riposate. Avanti, non voglio sentirvi lamentare. Vi riposerete questa sera. Nausicaa, metti Philippe a dormire, dopodiché torna qui, dovrai sistemare i fiori sotto l'altare e annaffiare quelli dei giardino. Hazel, tu invece andrai all'associazione del Cuore d'oro, davanti all'ospedale, per fare volantinaggio. Ti accompagnerà Claude.»
Ebbi un leggero cambio di espressione.
Io non odiavo nessuno e specialmente non Claude. Lui era quel tipo di ragazzo che non avrebbe mai fatto male ad una mosca, era tranquillo, altruista, gentile, tutte doti che avremmo dovuto avere noi, o perlomeno sviluppare. La verità era che mi sentissi fuori posto con lui, a lui uscivano naturali quelle qualità.
«Ti sta aspettando fuori» contiuò. Nausicaa prese in braccio il bambino, mi salutò e se ne andò. Mi alzai, mi pulii la veste e feci un silenzioso sospiro affranto. Non mi piaceva affatto fare volantinaggio. «Ah, e non dimenticarti...»
«Il foglio alla superiora, sì» esclamai, dirigendomi verso il cancelletto.
Claude mi aspettava vicino il portone della chiesa, sul lato sinistro rispetto all'uscita del giardino interno. Aveva la sua solita espressione serena, cosa che quel giorno particolare non gradii affatto.
Claude era un bel ragazzo, aveva i capelli castano chiaro, gli occhi verde scuro ed era molto alto. I vestiti che portavamo erano tutti di seconda mano, per questo i pantaloni gli erano un po' piccoli sulle caviglie, però i passanti non lo rifiutavano mai con il suo ampio sorriso.
«Possiamo andare?» mi domandò lui.
Annuii e cominciammo a camminare. Seppure fossi cresciuta con lui non ci avevo passato molto tempo insieme. Ero una ragazza piuttosto introversa e timida, stavo sempre con Nausicaa perché con lei mi sentivo a mio agio. Lui, d'altro canto, era stato un bambino molto studioso, preferiva passare il suo tempo con le persone più grandi o dando una mano alle suore.
Fortunatamente, il mio compagno di viaggio mi lasciò dei minuti per assaporare il silenzio. Il sole era alto nel cielo, c'erano delle nuvole grigie sparse e pensai che forse entro quella sera avrebbe piovuto. Non erano rare le precipitazioni in quel periodo e in cuor mio speravo non accadesse.
Oltrepassammo i giardini del Jarin Villemin, fino alle rive Quai de Valmy, attraversando il ponte.
Il volantinaggio si svolgeva sempre all'aperto, davanti all'ospedale, il quale si trovava nell'arrondissement X, accanto alla stazione della metropolitana. Era vicino anche al centro di Parigi ed era l'ospedale più importante della capitale, all'incrocio tra rue Bichat e avenue Richerand. Passavano molte persone e tutte ignoravano felicemente il piccolo bancone istituito dall'associazione che raccoglieva fondi per i bambini malati. Non ero convinta che odiassero noi volontari o i bambini, forse era l'idea di fermarsi e donare dei soldi ad infastidirli. Era facile provare pena per noi o per loro, questa poi spariva subito perché avevano milioni di altre cose a cui pensare.
Il Saint-Louis era uno degli ospedali più antichi, alcune parti erano considerate come monumenti storici. L'ingresso principale era delineato da una piazzola, con tutt'intorno aiuole e panchine all'ombra. L'androne principale era costruito da un cubo in vetro da cui si intravedeva l'esterno, sui cui c'era attaccata la scritta "400 ans" in azzurro.
C'era un piccolo stand a lato, composto da un tavolo di plastica, dei manifesti incollati con lo scotch e penne e fogli sparsi. Anne e Serge erano già là. Erano moglie e marito, sapevo che avessero un figlio con una rara malattia che lo rendeva cieco e sordo, per questo avevano passato molto tempo all'ospedale e si erano aggregati alla comunità e all'associazione per aiutare altre famiglie.
Ci salutarono con un abbraccio. «Come state oggi, ragazzi?»
«Bene» ripose Claude per entrambi. «Ci sono adesioni?»
Sbirciai il foglio e vidi con rammarico che non c'erano ancora firme.
Anne scosse la testa. «Ancora nulla, ma non demordiamo. Hazel, oggi non era il tuo turno, cosa è successo?» domandò pacata.
Alzai una spalla. «Ho fatto tardi questa mattina» ammisi.
«Eri in compagnia di qualcuno?» ammiccò lei ridendo.
Scossi decisa la testa e arrossii. Lei ridacchiò, mentre il marito le disse di lasciarmi in pace. Non parlavo molto, tutti lo notavano in me e io non facevo nulla per cambiarlo. Non avevo amici oltre la mia famiglia, specialmente non avrei mai potuto passare del tempo con un ragazzo fuori dalla chiesa perché non avrei saputo cosa fare.
Anne compilò i nostri moduli e li firmò, mettendoli in una cartella. Prese una manciata di volantini e me ne passò alcuni, dandomi la parte più leggera. Il lavoro non era difficile, a parte le ore passate in piedi a girovagare. Ero abituata alla gente maleducata, quella che ti spintonava per spostarti o quella che ti aggrediva, per questo apprezzavo maggiormente le persone che andavano avanti per la loro e ti ignoravano. Parlavo troppo a bassa voce, non mi notava nessuno e a volte mi fermavo a metà strada.
Andai da un signore con la valigetta che si stava dirigendo all'ospedale, lo affiancai e gli porsi la brochure dell'Associazione del Cuore d'oro. «Salve, signore, se mi desse un minuto le vorrei parlare dei bambini affetti da malattie genetiche rare e il loro bisogno di...»
«Lasciami in pace, ragazzina, non ho tempo» mi liquidò con poca grazia e proseguì.
Lo lasciai con la faccia arrossata di vergogna. C'era moltissima gente ed era buffo come nessuno di loro incrociasse il mio sguardo e appena mi muovevo, camminavano dalla parte opposta più svelti.
Claude mi venne più vicino. «Tutto quello che devi fare è sorridere» mi consigliò. Feci un sorrisino neutro, per nulla convinto. «È un bell'inizio» mi consolò.
Voltò la testa e vide una signora anziana con degli spessi occhiali scuri e un bastone deambulatorio per ciechi, in mano aveva una pesante cartella piena di fogli. Claude andò da lei e si offrì di aiutarla, da lontano la vidi annuire e appoggiarsi al braccio del ragazzo.
«Hazel, prendi la sua cartella, per favore» mi disse e io feci come aveva detto.
Lasciammo un attimo i volantini ad Anne e accompagnammo la signora all'interno dell'ospedale. Claude camminava a fianco la striscia gialla per non vedenti, in leggero rialzo, procedendo lentamente. Salimmo fino al quarto piano e la guidammo fino al reparto di oncologia, in sala d'attesa. Ci ringraziò grata e mi diede persino una piccola caramella alla fragola.
La masticavo in silenzio mentre tornavamo all'ingresso, passando per le scale. Claude non volle prendere l'ascensore perché ci riteneva abbastanza giovani e in forza per usare le scale e di non sottrarre un servizio che avrebbe potuto utilizzarlo un altro malato.
Era una buona logica religiosa, però dovermi fare quattro piani a piedi, specialmente vicino alle alte vetrate interne, non mi piaceva. Soffrivo di vertigini.
«Perché non ti sei offerta di aiutarla?» mi domandò Claude, inclinando la testa.
«Stavo pensando di farlo, ma tu mi hai preceduta» gli feci notare.
«Se le fosse mancato un braccio lo avresti fatto prima?»
«Lo avrei fatto» sottolineai sommessa. «A te riesce facile.»
«Devi solo provare a rilassarti.»
A volte ero convinta che solo Nausicaa potesse capirmi al mondo, le confidavo che qualche volta mi dava fastidio fare tutte quelle attività per non essere nemmeno ringraziata da qualcuno e lei mi diceva esattamente la stessa cosa. Non mi sentivo più sola e incompresa, a mio parere ero fin troppo egoista. Rinunciare a se stessi era difficile, per questo motivo avevo paura nel pensare al mio futuro nel convento. Non volevo andarmene via, lontano dalla mia famiglia, dalla mia casa e dalle basi della mia intera vita, tuttavia ancor di più temevo di restare.
Appena uscimmo dall'ingresso, notammo subito che c'erano tre giovani ragazzi che stavano dando fastidio ad Anne e Serge. Non capitava spesso, ma Nausicaa mi aveva raccontato di come si era messa a litigare con un uomo in mezzo alla strada che riteneva che tutto il sistema della Chiesa fosse in verità una truffa architettata dall'alto.
Vestivano in modo militare, con anfibi di pelle ai piedi e delle catenelle ai passanti dei pantaloni. Non c'è nessuna caratteristica che li distinguesse l'uno dall'alto, al medesimo modo avevano i capelli tirati verso l'alto e i numerosi piercing sulla faccia.
«Che problema avete? Vi abbiamo solo fatto una domanda.» Il primo schiacciò la mano sul tavolino, davanti ad Anne e lei sobbalzò. Il secondo guardò con curiosità le carte e tentò di prenderle per leggerle. «Insomma, vuoi dirci che i soldi che voi prendete dalla gente poi vanno direttamente alle casse di questa associazione, ai bambini malati?» Serge annuì. «Non è affatto vero, lo sanno tutti che li tenete per voi. Perché menti, eh?»
Gli diede una spinta e io feci un passo in avanti. Claude mi fermò per un braccio, ma senza pensarci mi liberai e andai verso di loro. Non potevo risultare in nessuno modo minacciosa: avevo le spalle da uccellino, ero bassa e magra, mentre loro erano il mio opposto.
Nonostante tutto dissi: «Andatevene via» e poco ci mancò che per abitudine aggiungessi "per favore".
Uno di loro si voltò e mi diede un'occhiata dall'alto in basso. «È arrivata la cavalleria.» Mi afferrò il braccio e mi tirò, giocherellando con la manica azzurra del vestito. «Ma che abito da puritana che porti! Sei libera questa sera?» esclamò.
Serge allungò le mani per distanziarlo. «Stai esagerando, se non te ne vai chiamo la polizia. Questa è aggressione.»
«E vediamo, allora.»
Il braccio cominciò a dolermi per la presa, lo scossi, piantai i piedi a terra e tentai di liberarmi. Non ero claustrofobica o catatonica, tuttavia in quel momento mi salii il panico e l'istinto di gridare a pieni polmoni.
Senza aspettarmelo, Claude si immischiò a denti stretti. «Se non siete qui per le donazioni potete andarvene via, nessuno gradisce la vostra presenza» intimò serio.
Non era ciò che speravo dicesse, infatti i tre ragazzi la presero ridacchiando e lo ignorarono. I passanti non ci dedicarono occhiate superflue, girarono e fecero il giro largo.
«Ti ho detto di lasciarla stare» ripeté Claude infastidito.
Il ragazzo alla mia destra alzò le mani, fingendo terrore. «Chi diavolo sei tu? Sei uno di quei ragazzi di chiesa che si vedono in giro?»
«Sono un futuro prete» sentenziò serio.
Il ragazzo si avvicinò e gli guardò il collo. «Ma non hai ancora il collare, ergo non lo sei. Se ti colpissi nemmeno mi sentirei in colpa! Ma non ti scoccia che non potete scopare?» scherzò.
Gli calpestai il piede con furia, ma nemmeno quello servì a far variare la situazione. Capitava che per Parigi qualche donna venisse derubata o aggredita, specie di notte. Non avevo mai sentito dalle mie compagne di cose simili, non a loro, dato che eravamo ragazze molto attente.
Serge scosse la testa. «Io vado a chiamare la polizia!» li avvertì guardingo.
Il tizio mi passò un braccio su un fianco, dandomi una scrollata. «Sono sempre le ragazze di chiesa che fanno i lavori migliori.»
Prima che potessi capire cosa fosse successo, io e Claude eravamo già scappati e il naso del ragazzo perdeva sangue. Sentimmo un urlo femminile, probabilmente di Anne, non ci fermammo a lungo per capire.
Claude mi afferrò il polso, giusto il tempo per dare ritmo ai miei piedi e far capire loro di dover correre via per la nostra sopravvivenza. Gli stavo dietro nonostante lui fosse notevolmente più alto di me e le sue gambe il doppio delle mie. Sembravo saltare come un coniglio impazzito, i talloni non toccavano mai terra. Si davano la spinta come una pedana e ripartivano.
Dietro di noi, il ragazzo si era preso il naso in una mano e inclinò la testa all'indietro per fermare il sangue. Anne sembrava paralizzata, non sapeva cosa fare.
«Non pensate a me, imbecilli... Prendeteli, cazzo!» urlò fuori di sé, indicandoci.
«Serge, chiama la polizia!» esclamò Anne spaventata.
Uscimmo dal parchetto dell'ospedale e ci immettemmo nella strada, su Avenue Claude Vellefaux, circondata da macchine in corsa e da alti alberi. Corremmo spediti senza più guardarci indietro, i nostri respiri ci intasavano le orecchie. Non avevamo bisogno di voltarci per capire che fossero dietro di noi, arrabbiati e pronti a farcela pagare.
All'incrocio Claude attraversò velocemente la strada senza badare alle macchine in moto che provenivano dal senso unico. Fui distratta dal vetro di una vetrina, fui attratta dal movimento oltre le nostre spalle e diedi un'occhiata per capire quanto indietro fossero: avevamo un notevole vantaggio, eppure né io né Claude avremmo resistito a lungo.
All'improvviso urtai la punta del piede in una mattonella fuori posto e rallentai, agitando le braccia per non cadere. Una macchina mi tagliò la strada e si mise sopra le strisce pedonali, impedendomi di proseguire. Senza fermarmi, seguii la strada secondaria e svoltai per Rue Juliette.
«Dividetevi, voi seguite il prete! Io vi taglio la strada per Vellefaux e prendo la ragazza!»
Sul marciapiede c'erano numerosi passanti, la strada era a senso unico e vedevo le vetture che venivano verso di me, quindi corsi in mezzo alla via per non avere intralci. Non c'erano edifici o parchi dove nascondersi, solamente qualche bar all'aperto e una piccola piazzetta.
Accanto ad un vecchio negozio di alimentari chiuso per fallimento, c'era un palazzo in via di costruzione. C'erano numerose travi che sostenevano impalcature e pontili di legno sopra la strada, su vari piani, mentre l'accesso pedonale era sviato dall'altra parte.
Scivolai sotto il recinto e senza perdere tempo salii sulla scala di ferro, inciampando nella mia stessa gonna. Atterrai al primo piano e mi infilai dentro l'edificio tramite una finestra rotta. Facendo attenzione ai vetri mi accovacciai sotto la finestra, restando in silenzio.
Il ragazzo che mi inseguiva girò l'angolo e proseguì dritto, senza sollevare lo sguardo.
Mi asciugai il viso tremando. Respirai, tentando di calmarmi e restai lì, zitta.
Non seppi quanto tempo passò per l'esattezza, ma quando uscii era il tramonto e degli operai mi cacciarono via dal cantiere, minacciando di chiamare i miei genitori o le forze dell'ordine. Non seppi cosa fare, perciò tornai da Anne e Serge all'ospedale.
Erano entrambi preoccuparti per me, ma li rassicurai che non fosse successo nulla.
«Mi sono rifugiata in una casa abbandonata, ma ho perso Claude per strada. Sapete dove sia?»
Anne mi pulì con un fazzoletto della polvere grigia dalla guancia e Serge mi rispose. «È tornato poco fa, non è andato via da tanto. Ci ha aiutato a mettere via la roba. Abbiamo chiamato la polizia, a quanto pare è un gruppetto che si diverte a dare problemi qui intorno. D'ora in poi ci faranno più attenzione» mi garantii. Mi porse il foglio della presenza e notai che aveva segnato tutte le ore, persino quelle in cui ero stata assente. «Ecco a te, Hazel. Torna al dormitorio e fatti una bella dormita, ne hai bisogno. Grazie per essere intervenuta. La prossima volta fai più attenzione.»
Annuii. In qualche modo, seppure mi sentissi per gran parte stanca per aver corso chilometri interi, provavo anche collera e delusione. Volevo che qualcuno la facesse pagare a quei bulli, in modo tale da farli allontanare o smettere di infastidire la gente. Compresi che fosse un pensiero cattivo e me ne vergognai; la chiesa ci aveva educato al dialogo, non alla violenza. Io credevo che non tutte le volte le parole erano la scelta più sensata.
Tornai al dormitorio con la faccia stanca e i piedi tremolanti, la luce scese totalmente quando arrivai e pensai di essermi persa persino la cena. Non avevo fame, volevo unicamente mettermi a letto e sprofondare con la faccia dentro il cuscino.
La mensa era già chiusa, Frank era rintanato in cucina a lavare i piatti e non pensai minimamente di andare da lui e chiedergli qualche avanzo. Mi trascinai oltre il dormitorio dei ragazzi e procedetti verso il corridoio che portava al convento.
Faceva più freddo rispetto alle altre zone, alcune suore si erano già ritirate a pregare in solitudine. Attenta a non fare rumore mi diressi al piano superiore, verso l'ufficio della superiora Jeanne. Appena mi avvicinai, oltre ai rumori provenienti dall'esterno o dalle altre sale, udii una voce sconosciuta.
«Mi dispiace, signori, ma non intendo aiutarvi.» La superiora aveva un tono guardingo e freddo, così diverso da quello che usava con noi. La consideravamo una specie di zia o madre, era sempre dolce con tutti noi, per questo mi turbò sentirla parlare così. «Come sapete, la Saint-Marie non custodisce sacre reliquie da almeno due secoli, sono state tutte spostate altrove per garantirne la sicurezza.»
«Lo sappiamo» intervenne l'altro, di sicuro un uomo adulto. «Abbiamo guardato gli archivi e i fascicoli, ma non è ciò che le ho chiesto. Non stiamo cercando le catene di san Pietro o le ossa di san Lorenzo, ma qualcosa di ben diverso. Lei deve averne sentito parlare di certo. La chiesa ai tempi della guerra era un rifugio sicuro, si diceva che nei vostri sotterranei celaste molti segreti e talismani che vi assicuravano la vita.»
«È una bugia, ahimè, ero una ragazzina quando venni qui e le assicuro che non c'erano talismani o forze celesti, solo vecchie ceste e mobili rotti. Non c'è niente che valga la pena di vedere anche adesso.»
Ci fu un momento di pausa. «Avremo bisogno di verificare. Il mio ordine richiede il primo libro di Guillaume Aubert. Deve sapere dove è.»
La superiora reagì come se avesse udito il nome del diavolo in persona e la sua voce si incrinò. «Quel libro fa parte dell'Indice dei libri proibiti, lo sa meglio di me. I primi sei sono andati persi, bruciati, mentre i restanti tre sono stati presi in custodia dal vescovo stesso. Non troverete niente qui.»
L'uomo emise un leggero risolino. «Lei non sa chi siamo noi.»
«Lo so, al contrario, ecco perché non voglio avere nulla a che fare con il vostro ordine. State lontani da quei libri e dai ragazzi, non intendo...»
Schiacciai il piede a terra e la lastra di legno cigolò rumorosamente sotto di me, facendomi sobbalzare di paura. Non potevo correre via, anche perché dovevo consegnare il foglio, perciò bussai e cercai di mostrarmi calma.
L'ufficio era poco capiente, c'era unicamente una scrivania antica piena di fogli e appunti e una grossa libreria ricolma di tomi in latino. La superiora era seduta al suo posto, era una donna piuttosto vecchia e aveva cominciato a subire da tempo gli acciacchi delle mani e della schiena. Portava una lunga tonaca nera e la cocolla bianca da cui non si intravedevano i capelli argentati.
Alla mia sinistra, vicino alla parete, c'erano due figure. L'uomo mi fece un sorriso compiaciuto, portava un cappotto scuro e delle scarpe lucide, mentre il secondo doveva avere più o meno la mia età. I suoi capelli erano color sabbia, chiaro e pastoso, piccoli occhi azzurri e un viso viperino. Era vestito unicamente di bianco, al collo portava un pesante crocifisso di legno. Notai che un angolo del labbro gli tirava verso l'alto.
«Mi dispiace, non volevo interrompere» mi scusai.
«Hazel, che ci fai qui?» mi domandò severa la superiora. Alzai il foglio. Allungò la mano e io glielo porsi. Non lo lesse nemmeno, aprì il cassetto e lo ficcò dentro senza sprecare tempo. «Claude è tornato mezz'ora prima di te, è andato tutto bene?»
Se Anne e Serge non mi avevano fatto presente niente era perché Claude aveva chiesto di non dire niente: un litigio del genere poteva mettere in cattiva luce il suo stato e far preoccupare inutilmente le suore.
Mentii. «Tutto bene. Ho aiutato a mettere a posto.»
«Allora puoi andare.»
Annuii e mi diressi verso la porta. Senza aspettarmelo, l'uomo si mise sulla mia strada e si inclinò. A distanza non ci avevo fatto caso, ma era davvero alto e imponente. Feci un passo indietro per avere più spazio.
«Hazel, giusto? Ciao, io mi chiamo Alain e lui è il mio giovane apprendista Gregori, siamo entrambi degli adepti dell'ordine della Stigmate. Siamo alla ricerca di un tomo molto importante e alcune fonti ci hanno indirizzato in questo luogo. Hai notato nulla di strano in cantina o nei sotterranei?»
Alzai le spalle con aria evasiva. «A volte ci giochiamo a nascondino.»
Lui alzò un sopracciglio e il suo sorriso sereno scomparve piano. «Bene, Hazel, grazie per la tua sincerità.»
Mi congedai e uscii dalla porta. Tornai in giardino e mi diressi verso la piccola pietra sotto il nocciolo, dove era inciso il nome di Guillaume Aubert.
Guillaume era stato un brillante prete, studioso e scrittore molti secoli prima, alle origini della Saint-Marie. Molti dei suoi libri erano custoditi in biblioteca e venivano studiati dai giovani novizi, ma si diceva che oltre a quei tomi avesse scritto nove libri proibiti, denominati "Indice dei libri proibiti di Aubert".
Respirai l'aria fresca e mi sedetti a terra, facendo una preghiera. A volte lo facevo anche se non avevo nessuno a cui rivolgere i miei pensieri o qualcosa da chiedere, solo per farlo e sentirmi bene, pulita.
«Oh, scusa, non volevo interromperti» esclamò una voce alle mie spalle.
Era il ragazzo dell'ufficio, Gregori. Non c'era traccia del suo superiore e lui saltò il piccolo recinto di fiori, evitando di calpestarli. Senza sapere il motivo mi alzai e coprii il masso con la gonna dell'abito e i piedi, mascherandolo.
«Mi dispiace per prima, siamo in viaggio da giorni e ancora non riusciamo a farci una dormita come si deve. Non volevo che pensassi che fossimo dei truffatori o impiccioni» manifestò rammaricato.
Sbattei gli occhi. «Venite da lontano?»
Lui annuì. «Io sono nato in Grecia, ma proveniamo dai Paesi Bassi. Abbiamo girato per Londra, Vienna, Ginevra e Roma per trovare quello stupido libro. Alain non si da pace, seppure non gli dicano mai niente di nuovo.»
«A cosa vi serve?» mi impicciai.
Lui alzò le mani. «Non lo so, ma il mio maestro dice che è veramente importante e io eseguo ogni suo ordine.»
«È un libro proibito, non dovreste cercarlo» lo ammonii.
«Può essere. Non te la prendere con me. Se Aubert desiderava di non farli leggere allora non doveva scriverli, è stato giustiziato per averlo fatto, sai? Si dice contengano i segreti dei regni infernali e celesti, così come le creature che ne fanno parte. Era un ottimo scrittore, ho letto tutti i suoi testi, ma l'ultimo libro è incompiuto. Lo ha lasciato a metà per iniziare l'Indice...» bofonchiò pensoso.
Guardai i suoi abiti bianchi. Normalmente solo le suore prima di prendere i voti avevano l'abito bianco.
«Sei un prete?» domandai curiosa.
«Qualcosa del genere. Un esorcista» mi rispose. Corrugai la fronte. «Ti fanno paura i Demoni?»
«A te no?»
«Li trovo affascinanti, direi.» La risposta non la trovai adeguata. «È curioso come non avendo un corpo fatto di carne si infilino negli umani per cercare riparo. La loro soluzione è anche la fine, dato che in questo modo sono mortali. Credo siano un po' stupidi, ecco.» Ridacchiai e lui mi sorrise. «E tu, sei una suora?»
«Qualcosa del genere.»
Gregori si girò all'improvviso e vide che il suo maestro stava marciando verso l'uscita a gran passo. Dalla velocità e la furia con cui si muoveva intuii che non avesse avuto ciò che stava cercando. Anche Gregori lo capii e si lasciò sfuggire un espiro scocciato.
«Senti, perché non provi a cercare nella tomba di Aubert?» gli proposi senza pensarci. «Qui non abbiamo più cimeli come quello, ma la Chiesa lo ha etichettato come eretico e traditore, perciò degli scritti sulla sua morte devi per forza trovarli. Se riesci a scoprire dove lo hanno seppellito puoi trovare i tuoi tomi.»
Lui si illuminò. «È una bella idea, grazie, Hazel. Spero di rivederti!» disse e saltò via, salutandomi energicamente.
Corse dietro Alain il quale era scomparso attraverso la notte, non lasciando traccia. Osservai l'ultimo scorcio chiaro dell'abito di Gregori dileguarsi e poco dopo notai la superiora sotto il porticato del convento. Aveva il volto pallido sotto la luce lunare, sembrava uno spettro, le mani giunte e tremolanti.
Mi diressi da lei, convinta della ramanzina. «Cosa hai sentito della discussione?» mi interrogò senza muoversi.
Mi grattai un braccio. «Solo che cercavano un libro e che non era qui, basta. Superiora, quello che stanno cercando di trovare non è il primo dei libri proibiti?»
Lei tese le labbra, ma poi annuì. «Sì, il primo, quello che per secoli satanisti, eretici e atei hanno cercato. Nessuno sa cosa contenga. Gran parte dei tomi è andata distrutta in un incendio appiccato in modo doloso il secolo scorso da parte di un partigiano francese. Solo tre libri sono rimasti integri e il Vaticano li ha presi in custodia. Non per nulla sono ritenuti proibiti. Guillaume Aubert ha svelato uno dei segreti più pericolosi di questo mondo e ora qualcuno vuole trarne vantaggio» mi spiegò.
«Ma, mi scusi, se loro stavano cercando il primo significa che hanno delle prove che non è stato distrutto. Forse nemmeno gli altri.»
Lei parve rendersi conto di una cosa spiacevole e scosse la testa. «Aubert ha studiato presso questa chiesa, molto, moltissimo tempo fa, per questo quell'uomo è tornato. Pensava che li avesse nascosti qui, ma a quell'epoca non si facevano copie, era tutto scritto a mano. L'inchiostro scompare, la carta diventa più fine e la colla si sgretola, sono venuti in molti a prendere le reliquie per proteggerle. Se fosse qui qualcuno lo avrebbe notato, anche per caso. Il Vaticano deve essere messo a conoscenza di questa cosa. Hazel, ora ascolta, devi promettere che non dirai a nessuno ciò che hai sentito e visto questa sera, intesi?» Annuii. «Devi prometterlo.»
«Lo prometto» le garantii.
Lei socchiuse gli occhi, quasi stanca. «Faranno di tutto per screditarci.»
«Loro chi?»
«L'ordine della Stigmate. Era un ordine religioso tempo fa, ma negli ultimi anni sono stati minacciati varie volte dagli ecclesiastici di Roma, volevano trovare quante più reliquie sacre possibili. Nessuno sa il perché con precisione. Alcuni vennero accusati di furto. D'ora in avanti dovrai stare molto attenta. La gente può essere pericolosa.»
«Dirò ai bambini di non giocare più nella cantina» le assicurai e lei annuì, seppure sperassi dicesse l'opposto. «C'è davvero qualcosa là sotto?»
«No, ovviamente, no» disse l'ovvio, alzando il mento verso l'alto. «La Saint-Marie ha dei sotterranei che si collegano a delle fognature, era una precauzione della guerra, ma la Chiesa non ha lasciato nulla dei vecchi tesori. Specie i suoi libri, sono proibiti per tutti, persino il Papa li teme. Non interessarti più a questioni del genere, non sono alla tua portata. Ora vai a dormire, è già tardi.»
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