I

(Hazel)

Dovetti velocizzare il passo per tenere testa al ritmo sprezzante e naturale di Nausicaa. Era sempre stata più veloce di me, ma forse era dovuto al fatto che fosse una ritardataria e dovette sviluppare quel passo rapido per recuperare il tempo sprecato.

Nausicaa era il mio opposto: energica, vivace e costantemente di buon umore, seppure molte volte venisse ripresa per i ritardi o i passanti la scansassero per toglierla dalla loro strada con poca grazia. Era una di quelle persone che sorrideva sempre e cercava così di non far pesare nulla sulle spalle altrui; era una persona altruista e semplicemente buona.

Non per nulla era la mia migliore amica.

Nausicaa si girò, roteò gli occhi scocciata e mi trascinò per il polso. «Devi muoverti, oppure suor Corinne ci sgriderà di nuovo!» esclamò, tirando la manica più forte.

Suor Corinne sgridava sempre lei perché in verità sapeva che fosse Nausicaa la ritardataria e io, pur di non lasciarla indietro, la aiutavo e finivo nei guai con lei. Solo pochi giorni prima era stato il suo turno di pulire la mensa e per non arrivare in ritardo ai lavori di volontariato, mi ero unita a lei e avevo ottenuto le urla del cuoco Frank, il quale credette che volessi rubare un pezzo di torta alla melassa e mi aveva cacciata dalla cucina facendo roteare il mestolo.

«Dovevamo uscire prima!» mi lagnai.

«Siamo anche già vestite, risparmia il fiato e alza i piedi!»

Sbuffai e ripresi a correre.

Ci stavamo dirigendo verso la Saint-Eustache che si trovava nell'arrondissement I. Non era molto distante, tuttavia suor Corinne si era già raccomandata tre volte di essere puntuali e, come volevasi dimostrare, non lo eravamo affatto. Dovevamo presentarci alle otto e mezza per preparare l'altare, la fonte battesimale e il vino, ed eravamo già un'ora in ritardo. Probabilmente i nostri compagni avevano già finito di preparare ogni cosa e se non ci fossimo sbrigate la messa sarebbe iniziata prima del nostro arrivo e sarebbero stati guai seri.

La chiesa svettava oltre i condomini laterali, era circondata da una piccola area verde sempre popolata di passanti e bambini. Era una delle più grandi e famose della città, nonostante i turisti nominassero sempre Notre Dame. Da lontano poteva parere un castello gotico o la casa di un vecchio aristocratico per via delle numerose finestre e quegli archi eleganti in stile rinascimentale.

In strada c'erano numerose macchine, BMW con nastri azzurri erano parcheggiate nel viale vicino. L'immenso portone era già chiuso e le note dell'organo a canne già riecheggiavano oltre le vetrate colorate. Molte persone aspettavano oltre le possenti mura, accalcandosi vicino i gradini o sedendosi su delle panche all'ombra, poco lontano.

«Siamo in mega ritardo» costatai sospirando.

Nausicaa alzò lo sguardo. «Passiamo dal retro, veloce.»

Aggirammo la chiesa sul lato ovest, verso la cappella, ed entrammo nel sagrato. I nostri compagni si erano già completamente vestiti, indossavano un lungo talare bianco con dei ricami sulle maniche verdi e dorati, uguali ai nostri. Si misero in fila per uscire e con nonchalance ci aggregammo a loro, prendendo i nostri oggetti di incarico. Presi l'ampolline e mi spazzolai la veste, mettendomi in coda dietro Charles.

«Hazel, Nausicaa» ingiunse suor Corinne, dandoci un'occhiata mesta, alzando un sopracciglio sottile. «Di nuovo in ritardo.»

I ragazzi ridacchiarono e Nausicaa scosse la testa. «Siamo sempre state qui» si giustificò.

«Io non vi ho viste durante la preparazione.»

«Eravamo in bagno, giuro su Dio! E lei non può mettere in dubbio la Sua parola!»

Suor Corinne alzò gli occhi, si fece il segno della croce e lasciò perdere. «Che Dio ti abbia in gloria, ragazza! Ora silenzio, e mettetevi in fila. Avete tutto, avanti, allora!» esclamò impettita.

Ero stata molte volte dentro quella cattedrale, mi piaceva molto l'arte e rimanevo comunque affascinata dagli interni e dagli ornamenti dettagliati nei minimi particolari. Le splendide vetrate mostravano numerosi mosaici costruiti con vetro colorato, la luce che si infrangeva ed entrava aveva dei toni morbidi e caldi, nonostante l'ambiente freddo. C'erano numerose statue di gargoyle sparse ovunque, con i loro occhi demoniaci parevano osservare con estrema severità ogni mia mossa e assistevano ad ogni rito da secoli. Erano considerati i guardiani. L'organo a canne suonava con armonia e nel silenzio le sue note erano alte, vibravano in ogni navata e percuotevano i muri.

Tutti i banconi principali erano pieni, c'erano numerosi uomini con macchine fotografiche e telefoni pronti ad immortalare ogni momento.

Con efficienza, io, Nausicaa, Adele e Charles portammo i nostri oggetti nei luoghi adatti: il Calice, le ampolline, il Messale e l'Orazionale, poi tutti andammo verso l'Altare e facemmo un inchino in segno di rispetto al celebrante.

Il nostro ordine celebrava molti sacramenti e quasi tutte le settimane eravamo invitati a partecipare a una funzione, o almeno i ragazzi più grandi del dormitorio, quelli che avevano già compiuto quattordici anni. Quel giorno era un evento speciale, il battesimo del primo figlio del sindaco della città. Tra tutti, era il sacramento che mi piaceva di più: vivevamo in un dormitorio con oltre venti ragazzi e la maggior parte erano piccoli. Passare il tempo con i bambini mi piaceva, ancor più assistere mentre la loro anima veniva consacrata a quella di Dio. Da una parte, era come vederli nascere.

Si passò al dialogo con i genitori e annunciarono che il bambino si sarebbe chiamato Michel. Un bel nome. Scelto dal padre.

Dopo l'omelia e la preghiera dei fedeli, il bambino venne battezzato ufficialmente. Era una cerimonia privata, perciò l'Eucarestia fu sbrigativa dato il numero ridotto di partecipanti.

Attendemmo le preghiere finali e la benedizione. Prima di andare via con ordine, notai la famiglia del bimbo stringersi vicino, la madre pianse e diede un tenero bacio al figlio. Evitai di guardare oltre per rispettare la propria privacy, tentando di dimenticare che io non avessi né una mamma né un papà. Nessuno di noi li aveva.

Essere orfani presso la Saint-Marie non era male. Certo, c'erano giorni in cui la malinconia mi attanagliava e contagiava altri, tuttavia ci avevano insegnato che c'era chi stava peggio di noi. Erano molti i bambini abbandonati, specie negli ultimi anni. Eravamo ventitré ragazzi in tutto, di cui quindici non superavano i quattordici anni. Eravamo cresciuti tra le mure di una chiesa, le suore erano state le nostre maestre e ci avevano insegnato i valori della religione. Prima di tutto, cercavamo di non pensare mai a noi stessi e di essere dediti sempre agli altri.

Sapevo di essere fortunata, avrei potuto finire in qualche casa famiglia o essere chiusa in qualche orfanotrofio statale, invece ero stata graziata. Ero stata abbandonata poche settimane dopo la mia nascita, nessuno sapeva chi fossero i miei genitori e non mi avevano lasciato nulla. Ero stata trovata i primi giorni di primavera, quando l'albero di nocciolo del giardino aveva cominciato a dare i suoi frutti.

Mi chiamarono Hazel. Un nome appropriato.

Eravamo come tutti gli altri ragazzi: studiavamo la letteratura francese, l'arte, la matematica, il latino. Giocavamo e facevamo molte altre attività, tuttavia – e forse era per la nostra educazione – tutti i giorni pregavamo assorti e ci dedicavamo al volontariato presso molti enti. I ragazzi comuni non ci capivano, ci consideravano strani, ma lo pensavamo anche noi di loro. Ci era stato impresso di essere umili, gentili, il perdono costante, l'ubbidienza e la fede. Nausicaa era molto brava ad escludere i propri bisogni. Io invece temevo sempre di non essere sincera.

Appena la funzione finì, ci ritirammo nella sacrestia e ci svestimmo, rimettendo con attenzione i talari negli appendini, al riparo dall'umidità. Ripulimmo il calice e la piccola ciotola dorata contenenti le Ostie. La folla di partecipanti uscì dalla chiesa, lasciando le mura vuote e silenziose. Alcuni altri fedeli entrarono approfittando della pace, si sedettero ai banconi e pregarono in silenzio verso la statua della Madonna.

«Voi due, signorine» ci riprese suor Corinne, non avendo lasciato perdere la questione. «Credete che non ho notato il vostro comportamento questa mattina? Dovevate unirvi al gruppo alle otto e mezza. Non avete scusanti, non era il vostro turno di pulire. Che avete fatto?»

Guardai Nausicaa e lei finse di non sentire. «Ci siamo perse.»

«Perse? E come?»

«Non lo so, se avessimo saputo come ci fossimo perse non ci saremmo perse» rettificai e qualcuno soffocò una risatina mentre Nausica pronunciò senza prendere aria quello scioglilingua.

Suor Corinne mi guardò a lungo. «Presumo che una di voi due dovrebbe ripulire l'orologio della sala, è parecchio che nessuno lo fa e magari potrete guardarlo più spesso per non essere in ritardo.»

Nessuno fiatò. Quell'orologio non piaceva a nessuno, era un grosso pendolo antico risalente al XVI, pieno di polvere e ragni. Faceva un enorme baccano ad ogni oscillazione e ad ogni cambio dell'ora un uccellino saltava fuori, gridando quella che un tempo era un docile fischio e che ora era un tetro trillo. Se ti fosse caduto sopra saresti finito schiacciato.

Padre Pascal venne a salutarci e posò la mano sulla spalla della suora, facendola un attimo da parte. «Suvvia, suor Corinne, le lasci stare. Sono arrivate comunque in orario e c'era molta folla al Louvre. È stata giovane anche lei, non è successo niente. I signori Lefebvre erano felici di aver avuto la benedizione della nostra chiesa, torneranno di certo.»

Suor Corinne sospirò spazientita, annuendo. «Ciò che conta in fin dei conti è il bambino. Nonostante questo, voi due per questa settimana svolgerete i compiti nei dormitori e alle lezioni. Nausicaa, tu ti occuperai del giardino oggi. Hazel, tu dell'ospedale. Se vorrete diventare parte del nostro ordine dovrete capire che il mondo non può aspettare i vostri comodi. Dovete diventare più responsabili, intesi.»

Respirai scocciata. Nausicaa e io eravamo le uniche due ragazze della stessa età, per questo eravamo molto amiche e amavamo stare insieme. L'ospedale era dalla parte opposta rispetto alla Saint-Marie, ma per quanto amassi passeggiare, dovermi fare metà Parigi a piedi senza di lei non mi piacque.

«Intesi» ripetemmo in coro io e Nausicaa.

«Hazel, riporta il foglio dalla superiora prima di andare ai dormitori. Quanto a te, ti terrò d'occhio di persona» l'avvisò con un sorrisetto sornione, mettendola in guardia.

Nausicaa alzò le braccia. «Non è necessario!»

«Oh, sì. Questa è l'ultima volta che mi scappi.»

Era quasi mezzogiorno, quindi dovemmo tornare presso la nostra casa e iniziare i preparativi per il pranzo. Solitamente tutti i ragazzi, grandi o meno, aiutavano nelle faccende domestiche: rassettavamo le nostre stanze, lavavamo i nostri vestiti e svolgevamo senza fiatare gli altri incarichi che ci venivano affidati. Era un buon modo per imparare a essere responsabili, avere più manualità e non pesare sugli altri.

Padre Pascal era ufficialmente il nostro tutore, insieme ad un agente dei servizi sociali che ogni mese veniva a farci visita e compilava delle caselle nelle nostre schede. Dovevamo restare fino al nostro diciottesimo compleanno poi, una volta diventati maggiorenni, avremmo potuto scegliere il nostro percorso: andarcene via, magari trovare un lavoro o continuare a studiare all'università, oppure rimanere ed entrare nell'ordine come suore o preti.

Il percorso era lungo, dovevamo affrontare il postulato, il noviziato e infine i primi voti. Io e Nausicaa non eravamo le ragazze più grandi, avevamo sedici anni, ma quell'anno sarebbe stato l'ultimo di Claude. Sapevamo già che le sue intenzioni erano quelle di diventare prete, si stava impegnando molto perché aveva già le idee chiare: studiava quasi tutta la notte, era una persona buona e altruista di natura e il suo animo era fermamente pronto. A differenza sua, l'anno precedente, due ragazzi avevano abbandonato la chiesa. Marc veniva ogni domenica a messa, aveva trovato lavoro in un ristorante e diceva di essere soddisfatto.

La Saint-Marie si trovava vicino alla rive droite, nel I arrondissement, poco distante dall'Opéra. Era nata nel XIII secolo come un semplice convento di suore, successivamente era stata aggiunta la cappella e infine la stessa chiesa, finita nel XVI secolo. Erano state molte le reliquie che erano state esposte e conservate in quelle mura, dalla corona di spine di Gesù fino agli archivi di Guillaume Aubert.

Con il passare degli anni e delle guerre, tutte le reliquie furono spostate altrove, la chiesa divenne un luogo di preghiera, di formazione e un orfanotrofio: un luogo in cui trovare un rifugio, una casa.

La Saint-Marie era una chiesa vecchia, ma ancora frequentata. Io, gli altri ragazzi e le suore ci occupavamo della sua manutenzione e ricevevamo molte donazioni per tenerla in funzione, aperta ai bisognosi. Le pareti erano di pietra e gli interni interamente di legno, così come il convento e il nostro dormitorio. D'inverno era eccessivamente freddo, però d'estate, quando il sole non batteva direttamente, si stava benissimo. All'interno c'era un piccolo spazio verde dove eravamo soliti a passare i pomeriggi vuoti o le serate calde, sotto il grande nocciolo da cui prendevo il nome.

Era primavera e le temperature si stavano alzando, anche se di mattina e la sera tardi facesse ancora freddo. Mi piacevano le stagioni calde, i fiori sbocciavano e con il vento trasportavano un delicato aroma per Parigi.

Tornai insieme agli altri ragazzi e i bambini più piccoli vennero da noi, abbandonando la palla con cui stavano giocando e saltandoci tra le braccia. Daniel e Martine corsero da me e mi abbracciarono, avevano rispettivamente cinque e sei anni. Passavo molto tempo con loro, ero una specie di maestra e talvolta, quando le mie lezioni finivano, mi occupavo delle loro.

«Guarda, Hazel! Sembra o no il morso di un vampiro?» esclamò Daniel, alzando il braccio sinistro dove, vicino al gomito, c'era una sbucciatura ben visibile. Lo voltai con foga e notai che persino la sua maglia si era sporcata di sangue e terriccio. «Diventerò un vampiro.»

«No» lo liquidai. «Ma se suor Elisa ti vedesse così sporco le verrebbe un infarto. Sei caduto? Quante volte ti ho detto di non giocare vicino all'albero?»

Daniel fece una smorfia. Evidentemente pensava che elogiassi le sue doti atletiche o il suo coraggio, ma la verità era che loro non sapevano come lavarsi i vestiti da soli e quella a cui sarebbe toccata fossi io. Mi preoccupavo sempre più del dovuto.

«Ci penso io a lui» intervenne gentile Charles, prendendo in braccio Daniel. «Tu vai pure a preparare in mensa.»

«Ti ringrazio» dissi. «Martine, mi vuoi aiutare?»

Lei annuì e trottò al mio fianco fin dentro il dormitorio. Era stato costruito negli ultimi vent'anni, nonostante questo era piuttosto piccolo e funzionale: per via del poco spazio le camere non erano mai singole, i bambini più piccoli potevano dormire anche in quattro e imparavano in quel modo a condividere.

La mensa era il luogo più grande del perimetro, a parte forse la navata della chiesa. C'erano delle lunghe tavolate di legno con delle panche, le finestre erano alte e la luce fresca della mattina entrava omogenea. Era piacevole stare lì, era ventilato d'estate e caldo d'inverno, per via delle cucine.

Presi i piatti dall'armadietto in fondo e diedi il vassoio delle posate alla bambina, con pazienza misi tutti i posti a tavola, compresi anche quelli per le suore. In tutto eravamo in ventinove. La superiora e il padre mangiavano sempre nei loro uffici.

Martine metteva con attenzione i coltelli e le forchette vicino al piatto, per poi ficcarci sopra i fazzolettini. Intanto, andai a prendere i bicchieri di plastica con i nostri nomi. Era pericoloso far bere i più piccoli in quelli di vetro, le suore più anziane lo sapevano bene dato che ne erano rimasti pochissimi del servizio vecchio.

Verso l'una e mezza, suor Marcelle uscì dalla sala delle preghiere con altre sorelle, suonò una piccola campanella dorata e i bambini saltarono in piedi, attenti. I ragazzi corsero dentro e, prima di mettersi seduti, legarono i bavaglini ai piccoli e misero il pane in mezzo alla tavola.

Nausicaa e Adele uscirono dalla cucina e distribuirono la prima razione di riso con le verdure. Non entravo mai in cucina per aiutare in quei lavori, ero negata, per questo né il cuoco né le suore mi mettevano a lavorare lì, dato che più di una volta avevo bruciato una pentola e rovinato verdure buone. Preferivo passare il mio tempo con i più bambini, a giocare o a leggere loro qualche storia.

Quando fummo tutti, suor Corinne pronunciò il padre nostro e mangiammo con calma, in silenzio.

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