13 - Throwback - Pain
«Sometimes wish I'd never been born at all.»
Queen, Bohemian Rhapsody
CLAIRE
Due anni prima, marzo.
La musica soccombe tutti i rumori intorno a me. Ci sono delle volte in cui detesto vivere in una grande metropoli come Toronto, preferirei di gran lunga una baita sperduta come quella di Heidi.
Ecco, oggi è uno di quei giorni.
Sono arrivata nei corridoi, a prima mattina, e ho visto la ragazza che mi piace — e che mi ha baciato due giorni fa— mano nella mano e occhioni dolci con un idiota della squadra sportiva. Se un trattore mi fosse passato sopra avrebbe fatto meno male.
Percorro il vialetto di casa con il solo desiderio di soffocare la faccia nel cuscino, pensando a quanto io odi il mondo.
Purtroppo, io non sono una che guarda sempre il lato positivo, il mondo a colori o il bicchiere mezzo pieno. Non osservo nemmeno il lato peggiore, se per questo. Piuttosto prendo la vita per quello che è: un mondo in cui sono presenti diverse sfumature, dove però non esistono prospettive che possano cambiare la realtà effettiva dei fatti.
Nel momento esatto in cui varco la soglia di casa, la canzone che sto ascoltando - You Shook Me All Night Long degli AC/DC - termina e, al suo posto, vengo accolta da un paio di voci che urlano.
Mi blocco sull'uscio chiudendomi la porta alle spalle, metto in pausa la riproduzione musicale sul telefono e abbasso le cuffie.
In cucina trovo i miei che discutono per qualcosa con un tono un po' troppo alto. Lancio un'occhiata a Lowell, il mio fratellino di otto anni che gioca alla Nintendo sul divano, e poi a Daisy, nel seggiolone, proprio in mezzo alla discussione.
Mi avvicino alla piccola di casa e la prendo in braccio, poi mi dirigo da Lowell. «Loe, che ne dici se andiamo di sopra? Colleghiamo la Nintendo alla Tv e ci facciamo una partita»
Non se lo fa ripetere due volte e si alza in piedi. «Sì! Così avrò la mia rivincita a Ring Fit Adventure!», e corre come un fulmine su per le scale.
Io gli sono dietro con Daisy in braccio. «Ehi, non si mettono le mani in bocca», la riprendo bonaria dandole uno schiaffetto sul polso. Lei ride, mostrando gli incisivi centrali che stanno ancora sbucando.
Faccio una tappa nella mia camera per lasciarvi lo zaino, poi vado da Lowell, che ha già acceso la playstation e sta settando il gioco. Adagio Daisy nel box, cosparso dai suoi giocattoli e, mentre mi raddrizzo, sento il mio nome dal piano di sotto. È la mamma che mi chiama. Prendo un respiro profondo e dico a mio fratello che sarò subito di ritorno.
«Sì?», chiedo, una volta tornata al piano di sotto.
Mio padre serra le mani sullo schienale della sedia, mia madre ha le braccia incrociate. Solo lui però ha uno sguardo serio addosso. Infatti alza un foglio: la mia verifica di matematica. «Mi spieghi cos'è questo?»
«Beh, credo sia un A4 stampato, no?»
«Non fare la spiritosa, Claire. Mi riferisco al voto che hai preso. È l'ennesima D che prendi in matematica», mi rimprovera. «Cos'hai intenzione di fare, sentiamo?»
Impegno le mani per aggiustarmi il caschetto nero. «Lo sai che non è il mio forte...»
«E allora impegnati di più!», esordisce come se fosse la cosa più semplice del mondo.
D'altro canto io non rispondo. Mi dice sempre così, è inutile anche rispondere. Mia mamma però prende le mie parti. «Non è colpa sua, Jason», dice. «Per lei è difficile capire determinati argomenti, non puoi addossarle la colpa»
«Madison, non è stupida», ribatte papà. «Non si impegna abbastanza, ecco tutto.» poi torna su di me. «Come credi di entrare a Yale?»
Ancora Yale. Sento un macigno depositarsi sul petto. Io non voglio andare lì e percorrere la stessa strada fatta da lui. Serro le mani in due pugni.
«Ma è solo al secondo anno!», esclama mia madre spalancando le braccia.
«Le figlie dei miei colleghi hanno la sua stessa età e i padri si vantano sempre di quanto siano eccellenti. Capitani delle squadre di dibattito, rappresentati d'istituto, dirigenti del club del libro...», comincia ad elencare sulle dita. «Tu cosa fai tutto il giorno, Claire? Te ne stai chiusa in camera con quelle dannate cuffie a leggere quegli stupidi fumetti»
Sento le unghie penetrarmi nei palmi, graffiano la pelle.
Sempre questi paragoni con quelle perfettine delle figlie dei suoi colleghi.
«Io non sono come loro» biascico, fisso il pavimento.
Mamma comincia a sparecchiare. «Sei pesante Jason, lasciala respirare»
«Non difenderla», le punta il dito contro. «Ha un solo compito, ossia studiare. Non accetterò un'altra insufficienza, Claire, sia chiaro», asserisce deciso prima di scomparire nel suo studio al piano di sopra.
La giornata non può che proseguire peggio. Ho la mascella talmente contratta che potrebbe spezzarsi qualche dente. Gli occhi cominciano a bruciare, io scuoto la testa. Imprecando, salgo frettolosamente le scale ed entro in camera mia.
«Clary, non giochiamo più?», mi domanda Lowell, fermo in mezzo al corridoio.
Nego. «Scusa Loe, facciamo un'altra volta. Ora non mi sento in vena». Accompagnando piano la porta e mi chiudo nel silenzio della mia stanza. Poggio la fronte sul legno e abbasso le palpebre.
Sono così una delusione per mio padre. Scommetto che, se potesse, farebbe scambio con una delle figlie dei suoi colleghi. Rido amareggiata a quel pensiero.
Mi volto, incollando la schiena alla porta, e scivolo fino a che non sono seduta per terra. Abbraccio le gambe e poggio la testa sulle ginocchia.
Quelle dannate cuffie e quegli stupidi fumetti, come li chiama lui, sono la mia liberazione. Sono gli strumenti con cui creo la mia bolla, il mio angolino di felicità.
Leggo manga per la precisione, non fumetti, e il mio sogno è diventare una mangaka, non studiare economia e finanza a Yale.
Jason Walker non sa nemmeno quali sono i miei desideri, mi reputa solo una sfaticata.
Per non parlare di Krystal, la ragazza che mi piace. Siamo compagne di banco a biologia e credevo ci fosse un'intesa fra di noi. Invece mi sono sbagliata, sono stata l'unica a finire con il cuore spezzato.
Nessuno sembra capire quali siano i miei sentimenti. Forse nessuno vuole capirli perché a nessuno importa.
Mi sento così fuori posto.
Inutile.
Che senso ha la mia vita per gli altri?
Mi viene voglia di prendere l'essenziale e partire per una meta sconosciuta, lasciandomi tutti i problemi alle spalle.
Sento un paio di lacrime rigarmi le guance. Sono solitarie, non sono accompagnate dai singhiozzi. Il mio non è un pianto disperato, ma uno malinconico e amaro. Qualcosa mi opprime il petto, quasi mi blocca il respiro.
Non sono nulla, quasi mi domando se io non sia già un'anima vuota.
Solo ora mi accorgo dei segni delle unghie scavati nei palmi delle mani. È sangue secco ormai ma ricordo la sensazione soddisfacente di quando ho rilassato il corpo e ho schiuso i pugni.
Un'idea mi s'intrufola in mente.
Una stupida idea.
Un'idea che spero si allontani presto.
Un'idea che, però, potrebbe essere messa in pratica solo una volta. Forse mi basterà.
Mi rimetto in piedi e asciugo le guance con le maniche. Apro i cassetti della scrivania e cerco alla rinfusa tra la roba. Nell'ultimo cassetto, dove tengo il materiale per disegnare, trovo il taglierino. Più comodo e preciso delle forbici.
Lo fisso e me lo rigiro tra le mani, dubitante. Mando giù la saliva, sento il cuore battere un po' più forte.
Sii forte Claire, affronta i problemi, dice la voce nella mia testa.
Saldo la presa sul taglierino e chiudo porta e finestra. Tolgo i pantaloni e mi siedo sulla sedia con le rotelle, spostandomi davanti allo specchio lungo appeso alla parete.
Mi prendo un momento per guardarmi negli occhi scuri, nella superficie riflessa. Sono tristi. Un po' vuoti. Quasi spenti.
Allungo la lama di metallo quanto basta e l'avvicino alla pelle morbida della coscia, la punta premuta nella carne. Con un po' di coraggio affondo e taglio la una linea dritta.
Avverto un leggero senso di intorpidimento in quel punto, poi il sangue si fa più vivido e comincia a sgorgare giù per la gamba.
Il riversarsi del liquido rosso è... pacificante.
Abbandono la testa all'indietro, godendomi il piacere che mi provoca. In un certo senso mi sto liberando. Mi sento un po' più viva, il peso che grava sul petto si alleggerisce e torno a respirare.
Questo è per Krystal.
Decido di farne un altro, sulla gamba destra. Questo è per papà, che pensa che io sia una nullità.
Il dolore diventa piacere. Sollievo, oserei dire.
Quando sento dei passi fuori dalla mia stanza mi allerto. Forse non è stata la cosa migliore fare una cosa del genere con i propri genitori in casa. Ci manca solo che mi vedano così, mi spedirebbero in qualche ospedale psichiatrico.
Con delle salviette e dei fazzoletti asciugo il sangue e tampono le ferite.
Torno in piedi, sentendo le gambe molli. Almeno, però, sto meglio. Riesco a respirare più facilmente.
In fondo mi è servito.
Non è successo nulla.
Una volta.
Basta.
✩⋅*.⋅༄☾︎
È passata una settimana da quell'evento. Si è ripetuto altre due volte. Papà mi guardava a cena con il suo sguardo duro, un po' intimidatorio, mettendomi in soggezione, quasi fosse un rimprovero. Mi mortifica quando fa così.
Ora ho un taglio trasversale sul braccio sinistro, all'interno, e uno sul polso. Lì è stato diverso, più reale. Ho indossato la polsiera per nascondere le bende.
In questo momento sono a lezione di storia, il professore sta parlando di qualcosa che non mi interessa più di tanto. La matita oscilla, premuta tra pollice e indice. Amy, alla mia sinistra, non stacca la penna dal quaderno, segnandosi tutto ciò che esce dalla bocca dell'insegnante.
Io e lei siamo esattamente agli antipodi. È arrivata in questa scuola a settembre, qualche mese fa, e ha conosciuto Veronica. Poi lei le ha presentato me e gli altri e, un po' alla volta, si è inserita nel nostro gruppo. È una ragazza tranquilla, un po' particolare. Quando si è avvicinata al nostro tavolo in mensa, la prima volta, ho creduto che fosse una di quelle che pensano ancora a giocare con le bambole. Invece è solo un carattere estroverso, che ama vestirsi di mille colori e sorridere sempre.
Io, al contrario, vesto principalmente di nero e guardo con disappunto la maggior parte delle persone.
Quando suona la campanella, afferro lo zaino e faccio per seguire la massa e uscire dalla classe. «Tu non vieni?», chiedo ad Amy, che sistema con calma i trecento evidenziatori sparsi sul banco.
«Sì, arrivo. Devo chiedere una cosa al professore, tu vai pure»
Fortunatamente anche questa giornata scolastica è giunta al termine. Prima però dovrei usufruire del bagno dato che me la sto trattenendo dall'ora precedente.
Mi blocco per un secondo quando noto Krystal sorridere mentre guarda il suo nuovo ragazzo perfetto.
Io non sono perfetta.
Entro in bagno e apro il rubinetto per sciacquarmi le mani sporche di pennarello nero e, per sbaglio, apro l'acqua bollente. Mi scotto e ritraggo le mani.
La bruciatura però... mi ricorda quella sensazione.
L'acqua continua a scorrere e il vapore sale appannando lo specchio. Lentamente allungo di nuovo le mani sotto il getto.
Non sono perfetta.
Sussulto e serro le palpebre, abituandomi alla temperatura. Solo quando mi sento accaldata chiudo il rubinetto.
Le mani formicolano, osservo i palmi arrossati e il piacere che comincia a farsi spazio.
Esco di lì e dalla scuola trovando i miei amici alla fine delle gradinate. Qui fuori fa un caldo esagerato. Cat è quella che mi adocchia. «Oh, eccola lì!»
«Mi avevate data per dispersa?», chiedo con una punta di ironia avvicinandomi a loro.
«Il professore di storia ci ha messo in coppia», cambia subito argomento Amy stringendo le bretelle dello zaino. «Power point sulla rivoluzione francese»
«Mio Dio, che caldo che fa oggi», constata Kelly sventolandosi con le mani. «Non ti levi quella cosa? Non stai facendo la sauna?», domanda a me.
Faccio conto che questa felpa sia diventata la mia pelle. «Non ho nient'altro a parte il reggiseno sotto», mento.
«E di cosa ci dovremmo scandalizzare?» Sebastian arcua un sopracciglio biondo. «L'altro giorno ho visto uno che camminava con le mutande abbassate»
Punto la lingua nell'interno guancia. «Quindi per te mi dovrei abbassare al suo livello?». Incurvo le labbra in un sorriso trasversale. «Così puoi vedere un paio di tette?»
Mi spintona amichevolmente. «Le tue sono l'ultimo paio che vorrei vedere»
«Certo, come no»
Amy interrompe lo scambio di battute. Stranamente non sfodera uno dei suoi enormi sorrisi, anzi ne finge uno in segno di educazione. «Io vado. Claire, vieni da me alle cinque?»
Annuisco. «Sarò da te»
Saluta con la mano e poi ci volta le spalle per andare a casa.
✩⋅*.⋅༄☾︎
Alle cinque in punto mi ritrovo sotto il portico di casa Reed e ad aprirmi è un ragazzino di forse tredici anni. Un controller in una mano, l'altra ferma sulla porta. «Ciao»
«Ciao», ribatto. «C'è Amy?»
«Sì, è nella sua stanza» si fa da parte e mi lascia entrare. Il soggiorno è vuoto, la Tv però è accesa. Credo sia Fortnite. «Io sono Nat, il fratello della rompiscatole», si presenta. «Sali le scale, prima porta a destra»
«Grazie mille»
«Di nulla» dice, poi torna alla partita che ho interrotto.
La casa è più piccola della mia e si basa sui toni del beige, il parquet è in legno. Sembra uscita da un catalogo.
Salgo quei dieci gradini che portano di sopra e busso alla porta socchiusa. Amy mi accoglie nel suo mondo con uno dei suoi calorosi sorrisi. «Ehi, sei arrivata!»
Mi lancio uno sguardo tutto intorno. Le pareti e i mobili bianchi si alternano ai dettagli rosa, come i cuscini sul letto. Poster di Taylor Swift ed Harry Styles sono a fianco alla sfilza di polaroid appese sul letto. Sulle mensole capitolano pupazzi, libri e cd.
«Bella stanza», commento. «Mi aspettavo di peggio»
«Ho insistito per farmi comprare il tavolo professionale per il trucco. Mia madre mi avrebbe lanciato una ciabatta in testa se le avessi azzardato la proposta di mettere dei glitter sulla parete»
Avvicina la poltrona ad angolo al bordo del letto. «Mettiti pure comoda. Puoi togliere le scarpe se vuoi», mi invita.
«Okay», dico a bassa voce. Mi sfilo gli anfibi e mi siedo sul letto, il piumone bianco è una nuvola morbida su cui vorrei rimanere a lungo. Caccio fuori il libro di storia dallo zaino, Amy accende il computer rosa metallizzato. Mentre attende il caricamento della schermata Home si alza e si dirige verso la scrivania.
«Ma come?!», esclamo stupita. «Voglio anche io il mini-frigo in camera!»
Lei ridacchia e chiude lo sportellino. «Punto sempre sulle cose giuste» dice, poi mi allunga una lattina di Monster. «Spero di ricordare bene. Gusto classico?»
«Sì, corretto», confermo. Uso la linguetta per il solito giochino della lettera. «Uffa, mi è uscita la S»
Amy fa la stessa cosa con la sua Coca. «Lettera B», annuncia. «Nessuno che mi venga in mente»
Sospiro. «Peccato. Comunque, che dobbiamo fare?»
Mi passa un quaderno su cui c'è la classica lista delle cose da fare. «Ho elaborato una scaletta seguendo l'indice del libro» dice sorseggiando, poi volta lo schermo del pc verso di me. «Ti piace lo stile delle slide?»
È uno in perfetto tema Rivoluzione Francese, per cui alzo i pollici. Cominciamo a lavorare alternandoci per scrivere.
«Mio Dio, che caldo», scuote la testa e si allunga per aprire la finestra alle sue spalle. «Se vuoi ti presto una mia maglietta»
Nego. «Nono, sto bene così»
«Oh, okay»
Mentre ha gli occhi concentrati sul pc, mi concedo di staccare l'attenzione dal libro di storia per guardare il muro alle mie spalle, costellato di fili a cui sono appese le polaroid.
Alcune ritraggono una piccola Amy alle prese con il tiro alla fune. «Qui eri nel campo estivo di cui ci ha parlato?»
«Mh?»
Le indico la foto.
«Oh, sì», sorride. «Il mio secondo anno.»
«Sembra figo»
«Sì, è divertente», poi torna a digitare sulla tastiera.
Qualcos'altro che prima non ho notato attira la mia attenzione. È uno strano oggetto a forma di cuore appeso al muro e fatto di frammenti di vetro, sembra un mosaico. «E quello lì?»
Amy sospira, cambiando leggermente espressione. «In teoria dovrebbe essere uno specchio. Uno stupido dei miei bricolage», liquida la questione e fa per ricominciare, ma le mani restano sospese sui tasti. Sembra esitare per un momento.
Rilassa le braccia e rivolge una lunga occhiata allo specchio. «L'ho fatto qualche mese fa... dopo che la mia migliore amica ha... smesso di calcolarmi», racconta.
Aggrotto un sopracciglio. «Non devi parlarne se non vuoi...», dico piano.
Sorride per un secondo prima di tornare più seria. «Scusa, non ti interessa...»
«Oh, no, puoi dirmelo se vuoi», mi affretto a correggermi. «Non volevo che ti sentissi forzata»
Si adagia allo schienale della poltrona, passa un dito sul bordo circolare della sua lattina. «Dopo le medie siamo andate in due scuole diverse, ed è stato lì che abbiamo cominciato a perdere i rapporti.»
«Scusa, il cellulare a che serve? Non ci vuole molto a scriversi e darsi appuntamento per vedersi», obietto.
Lei sbuffa una risatina. «Già, lo pensavo anche io. Ogni mattina le mandavo il buongiorno e, nonostante fosse online, la risposta mi arrivava alle sette di sera. Se non ero io a scrivere per prima, figurati se lo faceva lei», confessa con una punta di ironia.
Non c'è traccia di rabbia nella sua voce, ma un pizzico di delusione la percepisco.
«Così feci un esperimento e smisi di scriverle. Volevo vedere se lei se ne accorgesse. Spoiler: la chat è ferma al sette giugno dello scorso anno, quando le chiesi di andare a mangiare fuori per festeggiare la fine della scuola»
«E ti ha risposto?»
Annuisce. «Aveva detto: scusa Amy, vado a stare da mia nonna per un po'»
«Sento che c'è un ma»
«I suoi account social dicevano invece che se n'era andata nella residenza al mare - con tanto di piscina - di una sua nuova amica, a quanto pare»
«Oh...»
«Il mio cuore è andato in mille pezzi in quel momento» confessa, lo sguardo perso in un punto nel vuoto. «E così ho fatto quello», e col mento indica lo specchio.
«Come fai ad essere così... tu!?», la faccio ridere. «Voglio dire, non ti sei chiusa in te stessa, non ti sei sentita... ferita?»
«Certo che sì. Ma ho un super papà che mi ha detto una cosa», mi rivela. «Se le nostre strade si sono separate un motivo c'è stato, forse eravamo troppo diverse. Il mondo è fatto di otto miliardi di persone e, fra tutti, prima o poi, arriva qualcuno. Arriva per restare». Si stringe nelle spalle, tira un piccolo sorriso sulle labbra.
«Shakespeare diceva: Ama, ama follemente, ama più che puoi e se ti dicono che è peccato ama il tuo peccato e sarai innocente.»
Fissa gli occhi color nocciola su di me. «Per questo non smetto mai di voler bene alla gente. La mia unica colpa è quella di amare tutto. Così ci ho messo sopra una pietra e ho realizzato quello specchio»
«E che significa?» le domando, presa da quello che mi sta raccontando.
Butta giù un sorso di Coca prima di rispondermi. «Quando il cuore si rompe ci sentiamo vuoti, ma comunque rimane lì dov'è, a pompare sangue in tutto il corpo. Continua a svolgere le sue funzioni, e allora perché noi non dovremmo fare lo stesso?»
Non so che dire. Abbasso lo sguardo sul piumone e ripenso a quello che ha appena detto. Allora è proprio vero che anche le persone più sorridenti mascherano il proprio dolore. Ma lei ha frantumato uno specchio, non il suo corpo. Perché?
Una mano si poggia sulla mia. I miei occhi lucidi incontrano quelli comprensivi di Amy. «Claire, le cose si affrontano in tanti modi. Non devi far del male a te stessa per mandare via il dolore. È solo apparenza»
«Come lo sai?» le chiedo in un sussurro, spaventata. Tutti i miei muscoli si tendono.
Sposta il computer e si siede di fronte a me. Si permette di togliermi la polsiera sinistra, scoprendo così le bende che coprono la ferita. «Le ho solo intraviste. La polsiera non le copriva bene e mi è venuto il dubbio. Poi, fuori scuola, mi sono accorta delle mani arrossate e mi ha ricordato un programma che mi era capitato di vedere», spiega dolcemente.
Una lacrima silenziosa mi scivola sulla guancia e mi bagna la felpa. «Non dirlo a nessuno, ti prego» le stringo forte la mano, implorandola.
Lei annuisce. «Non dirò nulla, promesso.» mi assicura. «Ma devi fermati ora. Il dolore si affronta in tanti modi. So che a primo impatto provi una strana sensazione di piacere... ma è sbagliato prendersela con te stessa»
Sono sull'orlo di un pianto. Come se n'è accorta? Perché le interessa? Ognuno affronta le cose in maniera diversa, no?
«Perché lo fai?»
«Perché a nessuno importa quello che provo! Mio padre non fa altro che paragonarmi a delle ragazze perfette, mentre io sono una totale delusione» sbotto, nascondendo il viso nelle mani. Un paio di braccia mi cingono da dietro, Amy si è spostata alle mie spalle e porta la mia testa sul suo petto. «E come se non bastasse Krystal ha preferito un qualsiasi stupido a me!»
«Non sei una delusione, Claire. Non lo sei», prova a rassicurarmi. «Tuo padre è un po' stronzo, okay, ma ti vuole bene. Non dicevi che da piccola era lui a portarti al parco? Che ti comprava i pacchi di figurine in più di nascosto?»
Annuisco e tiro su col naso.
«Esatto, vedi. Lui vuole solo che tu dia il tuo meglio. Crede in te, sa che puoi fare tanto. Gli hai mai parlato sul serio di quello che vuoi davvero?»
Nego. «No. Sapevo che a lui non sarebbe andato bene»
Poggia il mento tra i miei capelli. «E se invece ti stessi sbagliando? Se lui capisse? In ogni caso dovrai dirgli che ti interessa altro, su questo lui non può controbattere»
Io ascolto le sue parole come se fossero le cose più giuste del mondo. Sono un suono dolce che mi penetra nelle orecchie.
Inclina appena il capo dal lato destro per guardarmi. «E Krystal... è come la mia ex-migliore amica», dice poi. «Qualcuno, per tutti, arriverà per restare.»
«Mi sento una perfetta stupida»
«Non sei stupida, Claire. Nessuno sceglie un male sapendo che lo è. Tutti fanno errori, l'importante è che bisogna saper rimediare.»
Può sembrare la solita frase fatta e rifatta, ma in casi come questi, quando veramente si capisce il senso... solo allora assume un vero significato.
«Il dolore è così che va via. Si piange, si parla. Ma esternarlo fisicamente è una cosa fasulla, perché finché non lo risolverai realmente, si accumulerà soltanto. E starai peggio»
Mi aggrappo al braccio con cui mi cinge, un segno di ricambio. «E come faccio a smettere? A-a comprimere l'impulso?»
Purtroppo, quando qualcosa ci fa star bene, qualunque essa sia, diventa una dipendenza. Come il fumo, l'alcol, le droghe...
«Chiama me», mi dice. «Devi essere più forte della voglia di farti quelle brutte cose»
Mi stacco da lei solo per girarmi e guardarla in faccia. Per fortuna che non ho messo alcun tipo di trucco oggi, sento le guance umide. Mi affretto ad asciugarle. «Grazie»
Mi porge un mignolino e sfodera un piccolo sorriso. Gentile, caloroso. Uno di quelli che ti fanno stare bene. «Ci teniamo i nostri segreti per noi?»
Lego il mio mignolo al suo, alzo un angolino delle labbra. «È bello avere un'amica come te, Amy Reed»
.・。.・゜✭・.・✫・゜・。.
Spazio Autrice💙
Credo che i capitoli Throwback siano i miei preferiti. Immergersi nei panni di ciascuno di loro è una sfida e allo stesso tempo terapeutico. Il mondo non è lo stesso visto da occhi diversi dai nostri.
#Parliamone.
🧡🎗️
Mancano solo le storie di Sebastian ed Amy. Cosa vi aspettate da loro?
Grazie di leggere Our Last Summer.
Un bacio e alla prossima <3.
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