10 - Throwback - Decisions and responsibilities

«Ho imparato che ogni volta che decido qualcosa con il cuore aperto, prendo solitamente la decisione giusta.»

Maya Angelou

KELLY

Sette mesi prima, dicembre.

Ho sempre odiato la geometria, la matematica in generale. Eppure resto immobile a fissare queste due rette parallele senza pensare nulla. Mi tremano le mani, non so se sto per piangere o se voglio tirare un pugno ad un muro.

Mi guardo allo specchio e non comprendo l'espressione impassibile che mi decora il viso. Sbatto ripetutamente le ciglia, poi abbasso nuovamente gli occhi sul lavandino.

Due.
Linee.
Parallele.

Alzo nuovamente lo sguardo. «È positivo», è tutto ciò che dico quasi in un sussurro.
Non voglio crederci.
Non riesco a crederci.
Il test di gravidanza che giace sul bordo del lavandino è positivo.
Sono incinta di due settimane.

La schiena trova appoggio contro il muro e scivola fino a che non sono seduta a terra, con le gambe alzate e le mani premute sul volto. Sento gli occhi farsi lucidi, la gola brucia come dopo uno shot di vodka.

Nelle ultime due settimane ho avuto i conati di vomito, ho cominciato a percepire gli odori in maniera più acuta, per non parlare poi dei dolori e della stanchezza. Non me ne sono curata più di tanto, sono abituata a bere come una spugna alle feste che organizzano Hemingway e Sanders, e le fitte le ho associate agli allenamenti delle cheerleader.

Kai e io stiamo insieme da un anno e mezzo ormai, abbiamo oltrepassato già da un pezzo la soglia del sesso. Ma siamo stati sempre prudenti, quindi non capisco come sia possibile tutto ciò.

In questo periodo non capisco nemmeno la direzione che sta prendendo la mia vita, ora si deve aggiungere anche questo?!

Dentro di me c'è una vita.
Formulando questo pensiero, non posso non sentire un peso gravare sulle mie spalle.
Mi ritrovo ad un bivio, un vicolo cieco. E adesso, che devo fare?

Voglio dire, è un bambino, non un oggetto. Con quale menefreghismo potrei fingere che sia un errore e toglierlo di mezzo come se nulla fosse?
Ma allo stesso tempo, io, che faccio schifo a scuola e so solo fare baldoria, come potrei mai occuparmi di una creatura?

E Kai, come la prenderebbe? E i miei genitori?

E c'è da dire che lui non va particolarmente a genio a mio padre.

«Porca puttana» biascico. Tiro un pugno al pavimento facendomi male. Prima che le lacrime si riversino sulle guance, mi premo la mano dolorante contro la bocca e piango silenziosamente.
Io, che non piango da quando ho otto anni.

Forse mi sto disperando per niente, magari è un falso e dovrei rifarlo.

Senza pensarci troppo tiro fuori il cellulare dalla tasca posteriore del pantalone e apro l'applicazione per telefonare. Dopo due squilli Claire mi risponde pimpante. «Kels! Che cosa buffa, stavo per chiamarti io. Senti, come hai svolto il terzo problema di matematica?»

«Claire» la blocco subito, con una punta di freddezza nella voce.

«Kelly...» replica di rimando. «Tutto bene? Hai una voce strana»

Tiro su col naso e scuoto la testa, nonostante lei non possa vedermi. «Io... no, non sto bene» affermo. «Puoi chiamare anche le altre e venire a casa mia... e magari comprare anche un test di gravidanza?»

«Non dirmi che sei...»

«Forse... ma voglio esserne sicura»

«O-okay» balbetta, presa alla sprovvista. «Arriviamo il prima possibile»

«D'accordo» annuisco lentamente, con voce bassa. Sussurro un «grazie» prima che nelle mie orecchie risuoni il bip di fine chiamata.

Tiro un lungo sospiro, cerco di recuperare il controllo. Mi rimetto in piedi, apro il rubinetto e raccolgo l'acqua nei palmi per poi gettarmela in faccia. Ancora una volta, l'occhio cade sul test positivo e un macigno si deposita nello stomaco. Poi però ci rifletto su e mi rendo conto che non è l'ansia o il terrore, ma la nausea!

Impreco, mentre la bile risale per la gola. Scoperchio il water appena in tempo per rigettare il pranzo di questo pomeriggio. Mi sento uno straccio, come si fa a sopportare una cosa del genere per nove mesi?!

Passa una buona mezz'ora prima che Claire e le ragazze arrivino da me, e non appena sono tutte nella mia camera mi chiedono di spiegare la situazione.
Amy si siede sul bordo del letto, tira dietro le orecchie due ciocche castane. Ancora devo abituarmi al suo taglio così corto.
«Quindi... aspetti un bambino?»

Scrollo le spalle e le allungo il primo test. «Questo affare dice che è di due settimane»

«C'è solo un modo per averne la conferma» subentra Claire, che sventola uno scatolino tra le dita e me lo porge.

«La prova del nove...» sospiro, tesa come una corda di violino. «Grazie di avermene comprato un altro»

La corvina scrolla le spalle. «Figurati. Con questo acquisto la mia scheda della farmacia ha ottenuto abbastanza punti per comprare qualsiasi cosa con uno sconto del quaranta percento»

Rivolgo uno sguardo eloquente a tutte loro prima di chiudermi in bagno e ripetere quel benedetto test per la seconda volta. L'ansia comincia a divorarmi da dentro, socchiudo gli occhi e mi ripeto che tutto andrà bene.

Il test, pronto, è capovolto sul lavandino e non ho il coraggio di scoprire il risultato. Qualcuno bussa alla porta del bagno. «Kels», mi richiama Cat. «Hai fatto?»

Vado ad aprire, i loro sguardi sono concentrati su di me, in attesa di un verdetto. «Allora?» chiede Veronica, stringendosi al petto un cuscino.
Annuisco, loro sgranano gli occhi. «È positivo?!»

«Non lo so», ammetto. «Non l'ho guardato ancora»

Cat mi poggia delicatamente le mani sulle spalle, allontanandomi dall'uscio del bagno. «Allora parliamo un secondo prima di scoprire il risultato»
Ci sediamo sul mio letto, come quando facciamo i nostri pigiama party.

Fuori è buio, il Natale è agli sgoccioli. Le strade brulicano di decorazioni e lucine colorate, ogni tanto si sente il clacson di una macchina che sfreccia lungo la strada.

Torturo le pellicine delle dita con i denti, bruciano un po' quando le tolgo, e ciò mi distrae per un nanosecondo. Cat mi prende una mano, Amy l'altra, e ci lasciano sopra delle carezze.

«Come ti senti?». È Ronnie a pormi questo quesito.

Ci rifletto, in cerca di una risposta. «Non lo capisco»

«È normale» mi dice Cat, nella voce colgo il tono materno che la caratterizza. «È una cosa inaspettata e abbastanza delicata»

«Ma...» comincia Claire, la guardo. «cosa faresti se fosse positivo?»

Ed ecco la domanda che mi sono posta assiduamente nell'ultima ora. Prendo un respiro profondo.

«Ci sono tanti scenari possibili» espone Amy.

«Forse dovrebbe prima dirlo a Kai e ai suoi genitori, no?» si aggiunge Veronica.
Espiro fortemente. Terrore.

Amy nega. «Il corpo è suo. Dovrebbe decidere lei cosa farne, senza essere condizionata dagli altri». Poi si rivolge a me, si mette a sedere dritta. «Facciamo una cosa. Kels, chiudi gli occhi»
Faccio come dice e poi parla. Mi prende le mani e me le posa sulla pancia.

«Qui dentro, immagina, c'è un semino piccino» comincia. «Che mese dopo mese cresce un po' dentro di te. Il suo cuoricino inizierà a battere e dopo qualche sacrificio te lo ritroveresti in braccio»

Sto immaginando.

«Piange, piange un sacco.» la sento ridacchiare. «Ma poi arriva tra le tue braccia e smette. È così piccolo e fragile»

Mi si blocca il respiro. Mi chiedo come sarà la forma del nasino e della bocca, il colore degli occhi, il suono della sua risata. La sento come un eco nelle orecchie.
Ed è veramente meraviglioso.

«Ti stringe forte il dito, con la sua manina... ora lo stai guardando?»
Annuisco.
«Cosa provi?»

Sento le lacrime solcarmi le guance, ma sorrido. «Non riesco a smettere di guardarlo...» ammetto.

«Però non sarà tutto rosa e fiori, lo sai? Guarda ora. Ha fame, piange perché ha sonno e ops... va anche cambiato»

Penso a cosa dovrei andare incontro in nove mesi e dopo. Nausee, dolori in tutto il corpo, le nottate in bianco, i piagnistei continui... ma poi immagino ancora il suono della sua risata, la forma del suo sorriso con i primi dentini. E tutto passa in secondo piano.

Piano piano schiudo le palpebre. L'ansia è diminuita e riprendo a respirare normalmente. Claire mi asciuga le guance con i pollici.
«Ora ti faccio una domanda» fa Amy, con la dolcezza nello sguardo. «Abortiresti o ti sentiresti pronta a prenderti questa responsabilità?»

Involontariamente sorrido. Sorrido come se mi avessero appena fatto una proposta di matrimonio. Forse, dopotutto, non sarebbe così male.
«Sì» ripeto più volte. «Sono disposta a prendermi questa responsabilità»

Tutte loro sorridono, Cat mi abbraccia da dietro. «E ti aiuteremo noi, qualunque cosa accada. Saremo le zie migliori del mondo!»

Ognuna qui c'è sempre per l'altra. In qualche modo è ciò che mi fa passare la paura, quella di rimanere da sola e non farcela.

Claire scatta in piedi e corre nel bagno. «Allora?» grida Veronica. Per fortuna nessuno è in casa.
La corvina torna da noi con passo lento, fissa il test con la bocca incurvata all'ingiù.

Mi si stringe il cuore. Che piega prenderà la mia vita?

«È positivo, cazzo!» esulta. Cat, Amy e Ronnie urlano e mi si lanciano addosso.

È positivo. Per davvero.

Avrò un bambino. Sarò madre.
Avrò un bambino e sarò madre!

Ora non mi resta che annunciarlo alla mia famiglia e a Kai. Questo mi fa un po' paura, ma guardo queste quattro ragazze e so che ce la farò.

In fondo, sono il capitano delle cheerleader e non mi faccio mettere i piedi in testa da nessuno. Sono una combattiva che non molla mai. Sembra che per un attimo lo abbia scordato, ma adesso sono sicura più che mai.

✩⋅*.⋅༄☾︎

«Perfetto ragazze, ora riprovate la coreografia da capo. Giuro che dopo siete libere»
Il suono del fischietto è talmente acuto che mi rompe i timpani.

Oggi é lunedì. Due giorni fa ho scoperto di aspettare un bambino. Ora sono nella palestra interna della scuola a dirigere gli allenamenti delle cheerleader. Questa è una delle tante cose a cui dovrò dire addio molto presto, a malincuore.

«...e cinque, sei, sette, otto... e uno, due, tre, quattro. Sollevate quelle gambe!». Battendo le mani e urlando come un'ossessa impartisco le direttive.

Improvvisamente la vista va via e io sobbalzo. Poi mi rendo conto che qualcuno — che ora se la sta ridendo — mi ha tappato gli occhi. Smetto di seguire la coreografia per voltarmi e trovare Kai e la sua banda di skater alle mie spalle.

«Piccola!» si sbraccia, attendendo di ricevere un bacio. Mi chiedo perché indossi gli occhiali da sole — alzati in testa — nonostante sia il diciotto dicembre e fuori il cielo sia plumbeo, pronto a scaricare acqua su Toronto. Ma del resto Kai è fatto così. È talmente imprevedibile che potrebbe presentarsi con una cresta fucsia fluo in testa, dipende da quello che gli passa per la mente.

Indossa un paio di cargo jeans e una felpa col disegno di uno scheletro, i capelli sono bicolore e rasati. Sembra un rapper di strada. Uno dei perchè mi ha affascinata.

«Che ci fai qui?» gli chiedo. Istintivamente mi copro il ventre con le braccia, come se avesse i raggi x e potesse scannerizzarmi. Ancora devo capire come dirgli che aspetto un figlio da lui.

«Volevo sapere se venissi alla festa di stasera» mi risponde.

«E non potevi lasciarmi un messaggio?»

«Nah» fa un gesto con la mano. «Volevo vederti dato che mi hai piantato all'ultimo sabato sera»

Beh, sai com'è... ho scoperto di essere incinta, mi viene da pensare.

Mi gratto la nuca, un po' in colpa di star mentendo. «Si, lo sai, te l'ho detto. Papà ha avuto... un'intossicazione al ristorante in cui abbiamo pranzato e... siamo rimasti in ospedale tutto il pomeriggio»

Rolla gli occhi al cielo. «Quel vecchio non sa nemmeno leggere da cosa sono fatti i piatti che mangia...»

«Kai...»

Alza le mani in segno di scuse, poi muove due passi verso di me e imprime le sue labbra sulle mie, dando vita a un bacio lungo, in cui le nostre lingue s'intrecciano.

Devo sfruttare l'occasione. Devo dirglielo il prima possibile, quindi stasera.

«Ci sarò alla festa» confermo.

Kai sorride e successivamente abbassa gli occhiali sul capo. «Allora ci vediamo stasera. Ciao piccola!». Lui e la sua allegra banda vanno via dalla palestra, lasciando posto alla signora Harrison, la preside.

Li osserva con un sopracciglio inarcato siccome il loro gruppo è abbastanza particolare. Quando la preside intercetta il mio sguardo, fischio. «D'accordo ragazze, riproveremo mercoledì»

E parlottando, mezze sfinite, si dirigono agli spogliatoi lasciandomi da sola con la preside Harrison.

Muovo un passo verso di lei. «Salve preside Harrison»

La donna sorride. È una tosta lei, l'ammiro un sacco. Non fa preferenze, ma è rigida quanto comprensiva.
«Signorina Green» saluta di rimando. In mano ha una cartellina, la apre e sfoglia alcuni dei documenti contenuti.

«Quale piacere la porta qui?»

«Volevo parlarle un secondo del suo rendimento scolastico»

Mi gatto la tempia. «Oh»
Tanto già so che fa schifo.

«Ha una serie di C e una D in scienze» mi rivela. «Sa che con questi voti sarebbe difficile entrare ad un buon college...»

Gongolo su me stessa udendo queste parole. Il punto è che la scuola, lo studio... non fanno per me.
Il periodo delle superiori l'ho vissuto principalmente dal punto di vista sociale, non accademico.

«Non credo che farò richiesta da qualche parte...» dico piano.
Ora più che mai.

«Ne è proprio sicura?»

Scuoto la testa. «Sì»

Sfoglia ancora una volta i documenti presenti nella cartellina, sfila un depliant e me lo porge. «In questo caso le consiglierei di andare al corso di orientamento che abbiamo messo a disposizione per coloro che vogliono buttarsi nel mondo del lavoro»

«Oh, grazie mille» commento, osservando il pezzo di carta ripiegato come un ventaglio.

La preside chiude la cartellina e mi regala un sorriso. «Di nulla cara, in bocca al lupo per tutto» e dicendo così mi volta le spalle e va via dalla palestra.

Io resto ferma a rigirarmi il depliant tra le mani, leggendone il contenuto. Se non voglio andare al college dovrò trovare un lavoro. Sembra strano dirlo, ma a poco a poco sento che la mia vita sta cominciando ad acquistare un senso.

✩⋅*.⋅༄☾︎

La festa, come al solito, si tiene a casa — o meglio, la villa — di Scott Hemingway. Indosso un dolcevita nero e un paio di pantaloni a palazzo con lo strappo sul ginocchio, e proprio da lì entra l'aria fredda che mi provoca la pelle d'oca lungo le gambe.

Nel vialetto ci sono solo coppie che limonano e qualcuno che fuma. Entro in casa senza nemmeno bussare, tanto la porta è aperta sempre. Il calore dell' interno mi riscalda le gote e il naso cristallizzato, tolgo il cappotto e lo lascio sulla prima sedia libera che trovo.

Piano inferiore, superiore e scale pullulano di ragazzi e ragazze. La musica raggiunge ogni angolo dell'abitazione, inducendo tutti a ondeggiare a ritmo. Mi muovo tra la gente alla ricerca di Kai o delle mie amiche di cheerleading. Getto un occhio a destra e a sinistra, trovando chi gioca a carte, chi a Just Dance e chi ancora a Beer Pong.

Conosco troppo bene Kai da sapere che passerebbe la serata a far rimbalzare le palline sul tavolo solo per fare centro e bere birra a morire.

Mi avvicino al tavolo, circondato da altra gente, mentre tengo le mani impegnate a districarmi i capelli lisci. Vorrei doverlo non fare stasera, ma devo liberarmi di questo peso il prima possibile. Via il cerotto, via il dolore.

Sono sempre stata una diretta, non mi riesce bene addolcire la pillola.

Kai, con gli occhiali da sole calati sul naso, si concentra e tira la pallina con precisione facendola finire nel bicchiere e scatenando le urla dei suoi amici ormai brilli. E non sono neppure le dieci e mezza.

Sfoggio un sorriso e vado da Kai, le mani mi scivolano nelle tasche posteriori dei pantaloni. «Ehi» saluto io. Intanto lui si scola il contenuto del bicchiere in gola.

«Piccola!» esclama, poi mi stampa un bacio che sa di birra. «Sei arrivata. Tieni, finiscila tu, ce n'è ancora un po'»

In tutta tranquillità l'accetto e mando giù l'ultimo sorso, ma mi blocco prima di ingoiarla.

Cazzo, non posso bere!

Senza essere vista, mi giro e sputo la birra di nuovo nel bicchiere e poi la rovescio nella pianta — finta, tra l'altro — poggiata contro il muro.

Appena torno a voltarmi, Kai è saltato in piedi su un tavolo e punta il dito verso qualcuno. «Ehi, tu nerd, alza il volume. Questa è una bomba!»

Il povero ragazzo si spinge gli occhiali sull'arco del naso ed esegue il comando, inondando la casa con le note di una canzone di Eminem. Kai comincia a muoversi a ritmo, sul tavolo mezzo occupato dai bicchieri del Beer Pong.
«Kai!», urlo per sovrastare la musica. «Scendi di lì»

Caso vuole che in questo momento la canzone esprima una negazione, e Kai la interpreta come risposta. Scuoto la testa e alzo gli occhi al cielo.

Lui continua a cantare senza darmi retta, e guardandolo stringo forte le mani in due pugni, tanto che conficco le unghie nei palmi. Accetterà mai la gravidanza? Farà qualche sacrificio?

«But I do know one thing though, bitches, they come they go, Saturday through Sunday, Monday, Mon-» e non terminala frase che sporge il piede oltre il bordo del tavolo e cade a terra.

«Te l'avevo detto!» grido con aria pacata, poco sorpresa che sia caduto. Gli allungo una mano e lo aiuto a rialzarsi, ma lo fa con smorfie doloranti. «Ti sei fatto male?»

Finalmente alza gli occhiali in testa, scoprendo gli occhi verde militare. Sarà un bel bambino il nostro, ne sono certa.
«Il gomito» risponde massaggiandoselo.

Mi osservo intorno. Tutti gli sguardi sono puntati altrove, afferro il mio ragazzo per il polso e lo conduco verso la cucina trascinandolo in mezzo alla gente.

Abbiamo la fortuna di trovarla vuota, ma è stata usata come pattumiera dato l'accumulo di cibo, bicchieri e piatti di plastica. Mi prendo la briga di aprire il congelatore e prelevare gli stampi del ghiaccio; prendo due cubetti e li avvolgo in un panno, che poi posiziono sul gomito arrossato di Kai.

Stringe gli occhi per via del freddo. In effetti solo ora mi rendo conto che indossa una maglia a maniche corte. «Grazie piccola» biascica, premendo forte il panno. «Credo di essermi rotto perfino l'osso del culo»

Accenno un sorrisino per via della frase. Dopo qualche minuto, butta via il ghiaccio e si cura di baciarmi sulle labbra. La differenza di altezza è minima, per cui non devo mettermi sulle punte. Le sue braccia mi circondano la vita, mi costringe ad indietreggiare fino a quando non mi scontro con il bordo del lavello. Morde e assapora le labbra, mi toglie il respiro.

Le mani trovano i miei pantaloni, cercano di insinuarsi dentro, contro la pelle nuda, regalando una scossa di calore al basso ventre.
Mando giù la saliva quando ritrovo il controllo, riuscendo a bloccarlo. «Kai» soffio sulle sue labbra.

Inarca un sopracciglio. «Che hai, Kels? Non ti va?»

Scappo via da quello spazio ristretto, finendo dall'altro lato della stanza. Un pugno batte sul palmo aperto dell'altra mano, scrocchio le dita e mi mordo le labbra. «Devo dirti una cosa»

«Così mi fai preoccupare» si allarma, mettendo le mani avanti.

Comincio a fare su e giù per la stanza, sposto i capelli dietro e davanti alle orecchie in gesti nervosi. Il battito mi accelera, quasi credo che la voce sia sparita. «Okay... uhm... allora»

Diretta, Kelly, mi dico.

Mi blocco, lo guardo negli occhi. «Sono incinta»

Sbianca di colpo. Anche se non gli sono accanto credo che si sia irrigidito. Non sbatte le palpebre, le labbra non si muovono. Sembra una di quelle statue situate nella galleria d'arte.

Un silenzio insopportabile cala tra di noi, dalla porta arriva ovattata la musica. Mi chiedo cosa stia pensando, che emozioni stia provando. Il mio petto si alza e si abbassa ad un ritmo irregolare, come per raccogliere più aria possibile.

Alla fine Kai sghignazza, come se fosse una burla. «È uno scherzo» dice alla fine.
Sono impassibile, la risposta è chiara, ma lui comincia a ridere istericamente. «È uno scherzo bello e buono, piccola» applaude a rilento e gira su se stesso. «Dove sono le telecamere? È un video per le tue amiche? Ciao ragazze, non ci sono cascato!»

«Kai...» lo richiamo con una voce così bassa che non so nemmeno se ho parlato veramente.

Il sorriso gli muore sul viso, lascia ricadere le braccia lungo il corpo. Gli resta solo un'espressione confusa. «Kels, non puoi-»

«Lo sono» lo interrompo bruscamente. Le gambe sembrano essere diventate un tutt'uno con il pavimento.

Sbatte ripetutamente le palpebre, si passa le mani in testa e respira pesantemente, quasi pare stia ridendo. «Che cazzo stai dicendo, Kelly?!»

«Che aspettiamo un bambino»

Corruga la fronte, fermandosi proprio di fronte a me. «Aspettiamo?» domanda. «Quindi non vuoi abortire?»
Mi sento punta nel profondo ma dovevo aspettarmelo.
Nego scuotendo la testa.
«Kelly cazzo!» esclama, ora adirato. «Non so se ti sei resa conto della situazione». Si passa la lingua sulle labbra per poi parlare di nuovo. «Abbiamo diciassette anni, porca puttana!» e, nel dirlo, butta giù dall'isola della cucina una serie di bicchieri.

Sento di trovarmi su una collina di sabbia, pronta ad affondare.
«Kai, è un bambino, non un oggetto!»

«Kelly» scandisce ogni lettera, come a voler farmi ragionare. «Non è nemmeno un giocattolo. Necessita di cure e... e attenzioni, ma come potremmo mai dargliele? Non lavoro nemmeno!»

«Beh, potresti cercarti un impiego allora»

Sgrana gli occhi, come se avessi detto la più grande scemenza del mondo. «Non è questo il punto!»

«E dimmi qual è!»

«Che non posso fare il padre di famiglia, Kelly!» mi urla di rimando, e io comincio a realizzare cosa mi attenderà. Si avvicina piano e poggia le mani sulle mie braccia. «Ascolta, io non sono pronto a prendermi questa responsabilità. È troppo grande»

«Dicevi di amarmi» gli sputo in faccia come se avessi del veleno in corpo. «Che mi saresti stato sempre a fianco. E ora, quando ne ho bisogno, te ne lavi le mani come se non fosse anche un tuo problema?»
Scivolo via dalla sua presa, profondamente delusa e amareggiata.

«Cosa ti aspettavi? Che sparassi i fuochi d'artificio, comprassi casa e avremmo giocato alla famiglia felice?» continua a dire. Scuote la testa e comincia a indietreggiare.

«Fai schifo»

«Ora non dirmi questo, Kels»

Affilo gli occhi, ricacciando indietro le lacrime. «Io sono disposta a fare dei sacrifici, perché non puoi provarci anche tu?»

Rivolge uno sguardo muto alla porta, che da' sulla festa che si sta tenendo a casa Hemingway. «Non posso, mi dispiace»

Sento che potrei prenderlo a pugni. «Va bene» dico solamente. «Allora crescerò questa creatura da sola, prendendomi anche la porzione di amore che avrebbe dovuto essere destinata a te»
Gli punto il dito contro. «È parte di me quanto di te, e se avessi le palle per davvero non faresti così»

Mi sento soffocare qui dentro, devo andarmene. Gli riservo solo occhi tristi e delusi. Sapevo come sarebbe andata a finire, eppure non posso evitare di piangere.

Scappo via di lì, recupero in fretta il cappotto e chiamo un Uber per farmi riportare a casa. Non vuole prendersi le sue responsabilità? Bene, che si faccia in culo lo stronzo. Diceva "ti amo, non ti lascerò mai" e ora eccoci qui.

Tutte chiacchiere.
Tutte stronzate.

Gli imprevisti non sono mai calcolati e sconvolgono totalmente le carte in tavola. Pensavo che il mio castello di carte sarebbe stato più solido però.

Una volta arrivata a casa, apro la porta con l'unico intento di fare una doccia e andare a dormire.

«Kelly!»

La voce pimpante di mia madre mi induce ad alzare lo sguardo. Lei, papà e Prue sono seduti a tavola.

«Oh», dico sorpresa. Fisso l'orologio appeso al muro. «Non è tardi per mangiare?»

Papà spegne la tv, ha ancora addosso la camicia e la cravatta da lavoro. «Abbiamo ordinato le pizze, ma forse il fattorino si è perso per la strada»

Prue mi analizza da capo a piedi. «Hai pianto?»
Lei è mia sorella maggiore e il mio esatto opposto. È perfetta in tutto, dai voti al college al fidanzato uscito dalla rivista di Cosmopolitan. Ed è dura reggere il confronto.

Vedo papà farsi curioso. «Litigato col ragazzino?»

Sapessi...

Il cappotto finisce sull'appendiabiti, mi avvicino nervosa alla tavola. Le gambe mi si fanno molli. La mia testa ha deciso di dire anche alla mia famiglia questo piccolo segreto.

«Sì, più o meno» mi appoggio con le mani allo schienale della sedia.

«Ah, e come mai sta volta?» chiede, cominciando ad armeggiare col telefono. «Non gli andava bene che la Terra fosse un geoide?»
Papà ha l'abitudine di criticare i punti di vista di Kai. L'ho detto io che non vanno così d'accordo.

«In verità ci siamo lasciati»

Sulle facce dei presenti si dipinge un'espressione di stupore, che maschera invece quella di felicità. Sono sicura come la morte che mio padre in questo momento voglia uno spara coriandoli tra le mani per festeggiare.

«Ma allora la cosa è grave» constata la mamma.

Guardo lei, poi mia sorella e per ultimo mio padre. E per la seconda volta nella serata il cuore batte all'impazzata. Sudo le mani, avverto la secchezza alla gola. Una sola parola: Paura.

Paura della loro reazione, più di quella di Kai. Lui potrà anche essere il padre del bambino, ma non lo ha accettato e mi ha abbandonata. Loro sono la mia famiglia, il posto in cui dovrei essere al sicuro. Un rifiuto da parte loro sarebbe come una coltellata dritta nel cuore.

«Mamma... Prue... papà... io... aspetto un bambino» dico, con una punta di colpevolezza nella voce.
Queste parole bloccano il tempo. Nessuno fiata, mi guardano e basta. Così riprendo a parlare, tirando su col naso. «L'ho appena detto a Kai e lui mi ha fatto capire chiaro e tondo che non vuole prendersi questa responsabilità»

La gamba destra sembra aver preso vita propria, animata da un tic di nervosismo. Una sedia stride contro il pavimento e due braccia mi circondano, sono quelle di mia sorella. Mi aggrappo a lei, e soffoco il pianto contro la sua spalla, scaricando tutto il peso e le incertezze accumulate.
Prue mi culla, mi dice che va tutto bene, mi accarezza i capelli e la schiena donandomi una speranza.

«Scusatemi» è tutto ciò che riesco a dire, con gli occhi grigi contornati dal rossore delle lacrime. Mia madre, nel mio stesso stato emotivo, si preme il dorso della mano contro la bocca e poi si unisce all'abbraccio.
«So di essere una pessima figlia, che sono una buona a nulla e che vi causo solo problemi. Scusatemi»

«Amore» mi sussurra la mamma.

Ad un certo punto sento un tocco diverso sul capo, che delicatamente scende su tutta la lunghezza dei capelli. Mi scosto di poco da Prue solo per vedere mio padre con un sorriso comprensivo sulle labbra. «Papà...» borbotto buttandomi tra le sue braccia. Lui mi stringe a sé, mi bacia la tempia e mi culla senza dire nulla.

«Non sei una pessima figlia, amore. Pessimo è chi commette errori veramente gravi, difficili da sistemare.» mi parla con voce ferma e sicura. «Sei una brava ragazza»

«E quindi» comincia a dire la mamma. «Sei veramente incinta?»

Annuisco ripetutamente, sul torace di papà. «Di due settimane. L'ho scoperto Sabato»

«E quel bastardo del tuo ragazzo ti ha lasciata da sola?!» esclama Prue sconcertata. Non mi va nemmeno di parlarne di questo. Mia sorella si impegna a rivolgergli i peggio insulti.

«Che stronzo schifoso» lo apostrofa papà. «Figurati se quell'emù con lo zerbino in testa si fosse preso le sue responsabilità. A stento sa distinguere un bicchiere di plastica da uno di vetro»

Ridacchio un po', le lacrime si sono fermate. Il profumo del mio papà è così familiare, mi tranquillizza.
«Io voglio tenerlo» confesso loro. Mi allontano giusto per guardare anche mia madre e mia sorella. «Credo che sia un segno. Questa credo sia la mia strada»

La mia è una decisione presa col cuore, voglio fidarmi.

Sento papà emettere un respiro profondo, si scambia uno sguardo d'intesa con la mamma. «Se questo è ciò che vuoi, allora questo sarà. Sai cge non sarà facile, vero?»

«Si, lo so», ammetto. «Ma so anche che ce la posso fare... che lo voglio fare»

Prue si tappa la bocca con le mani e comincia a saltellare entusiasta. Io mi asciugo le guance con le maniche del dolcevita nero.
«La nostra famiglia è pronta ad ospitare un altro Green»

Ridacchiamo e sorridiamo tutti insieme. Ora mi sento felice, perché questo bambino crescerà circondato da persone che gli vogliono veramente bene e che non gli faranno mancare mai nulla.

✩⋅*.⋅༄☾︎

Inspiegabilmente i primi due mesi volano via, marzo è ormai alle porte. Papà ha ricevuto una grandissima offerta di lavoro, ma dovremo trasferirci in Francia a partire da settembre.

Voglio cominciare una nuova vita, ripartire da zero. E so che a mancarmi più di tutto sarà l'amicizia con le ragazze. È un vero peccato che quest'anno non possa nemmeno godermi l'estate al White Firs con loro, sarebbe stata l'ultima estate da poter passare lì.

Ad ogni modo ho seguito i corsi di orientamento che la scuola ha messo a disposizione, e mi sto approcciando al settore dell'estetica. L'arte del trucco e parrucco è favolosa!

La pancia comincia piano piano a gonfiarsi ma, nonostante ciò, continuo a essere il capo delle cheerleader. Solo che non posso partecipare, ovviamente, agli allenamenti.

Oggi è una giornata particolarmente cupa, il cielo è del medesimo colore dei miei occhi. Chissà se il bimbo prenderà questa caratteristica da me o da suo... da Kai.

Sono le cinque del pomeriggio, ingurgito cioccolata calda da questa mattina.
Il caminetto mi regala calore. Sul pc sto guardando alcuni articoli che dovrei comprare per il nuovo arrivato. O nuova arrivata. Sono appena entrata nella dodicesima settimana, la ginecologa ha detto che per saperlo ci vuole ancora un po' di tempo.

Una serie di starnuti mi travolge in pieno, uno dei tanti motivi per cui non sopporto l'inverno.
«Che palle» borbotto e faccio per alzarmi dal tappeto peloso del soggiorno, necessito di un fazzoletto.

Quando raggiungo la cucina ne strappo uno dal rotolone e lo uso, ma in quello stesso momento una fitta mi trafigge il basso ventre, costringendomi ad aggrapparmi al bordo del ripiano.

É la stessa identica sensazione di quando arriva il ciclo. Il punto è che io, per nove mesi, non dovrei averlo. E invece sento un flusso caldo cominciare a scendere ininterrottamente.
«Prue!» urlo il nome di mia sorella in preda ad un dolore atroce. «Prue, aiuto!»

Dei passi scendono frettolosamente le scale, Prue mi arriva davanti sbarrando gli occhi. «Kelly» biascica, inginocchiandosi al mio fianco e osservando la chiazza di sangue che ha imbrattato i jeans. «Che è successo? Stai bene? Riesci ad alzarti?»
Mi passa una mano intorno alla vita per sollevarmi.

«Ahi, ahi, ahi!» mi lamento, massaggiandomi il basso ventre.

«Ti porto in ospedale» decreta mia sorella. Mi appoggio a lei, nel tentativo di camminare. «Tieni duro». Afferra i cappotti e le chiavi dal mobile all'ingresso, poi usciamo nel vialetto e raggiungiamo la macchina.

Prue schiaccia sull'acceleratore mentre il dolore comincia piano piano a dissolversi. Una forte ansia, invece, si fa spazio in me. Ho paura possa essere accaduto qualcosa al bambino.

No, no, no, non dirlo nemmeno Kelly, penso. Le labbra mi tremano.

È buio, vaghiamo alla ricerca di un posto nel parcheggio dell'ospedale. Prue è scattante, mi prende una sedia a rotelle e mi trasporta dentro. Medici, infermieri e pazienti creano un andirivieni che crea quasi confusione. Chiacchiericcio, telefoni che squillano, il suo dell'ambulanza che parte. È caotico.

Mia sorella espone il problema alla tizia della reception, quella annuisce e ci scorta in una sala. Di lì a poco entra una dottoressa, dice di dovermi fare degli esami ma io non sento quasi nulla. La mia mante è preda della preoccupazione.

Passa mezz'ora, Prue non ha lasciato la mia mano nemmeno per un secondo, mamma e papà stanno arrivando.

Divoro le unghie e la pelle intorno. «Ma quanto ci mette...» sbuffa mia sorella.

Come se l'avesse chiamata, la dottoressa torna da noi. «Allora?» domando subito io.

La sua espressione non indica nulla di buono. Trascina una sedia davanti al lettino, ha una cartellina in mano. Accavalla le gambe e si strofina lentamente le mani, giocherella con la fede al suo dito.

«Come sta il bambino?» mi affretto a chiedere.

Si sposta i capelli biondi dietro alle orecchie e mi rivolge uno sguardo compassionevole. «Tesoro, ascolta...»

Nego, sento già le lacrime inondare i miei occhi, provo a trattenermi. So già ora dove andrà a parare.
«Mi dica che va tutto bene» la imploro. «Mi dica questo, la prego»
Mia sorella mi stringe forte la mano.

La dottoressa sospira. «Purtroppo hai avuto un aborto spontaneo.» dice infine. «Mi dispiace, hai perso il bambino»

Credo che mi si sia fermato il respiro.
Mi sento svuotata. Poggio le mani sulla pancia ormai vuota.
Le lacrime scendono come gocce di pioggia dai miei occhi. Stringo le palpebre. Non ho la forza di urlare, di provare qualcosa. 

Sento solo un grande dolore che mi trafigge il cuore.

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Spazio Autrice💙

Io sono una valle di lacrime. Kelly è un personaggio molto realistico perchè non è la classica perfettina tuttofare.
Sentivo di dover dare spazio a queste dinamiche. Voi che avreste fatto?

Aborto oppure no?

Mi interessa sapere come la vedete voi <3.
Un bacio e al prossimo capitolo!

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