Gli ordini
L'inquadratura, sapientemente manovrata da un tecnico, si era allargata. Ora permetteva di vedere completamente il corpo del prigioniero (incatenato al piano di legno) e abbastanza spazio alla sua destra da contenere Tekkaman mentre ancora si avvicinava a lui.
«Adesso accenderemo la comunicazione. Non può vederlo di persona, ma possiamo permettervi di parlare, se lo desiderate.»
L'alieno sconosciuto ha ascoltato le parole del dottor Amachi restando immobile. L'unica cosa che sembrava muoversi era il suo occhio; non era un movimento propriamente fisico, somigliava più ad un cambiamento di materia. Cambiava opacità a intermittenza, al ritmo dei respiri profondi che prende chi si sforza di mantenere il controllo... Era proprio inquietante.
«Tekkaman, se mi senti fa' un gesto».
Rispondendo alla voce del professore, il ragazzo ha alzato il braccio verso la telecamera.
«Ricevo forte e chiaro»
«Rambos, hai visite. Vi concediamo dieci minuti di conversazione.»
«Smettetela di burlarvi di me. Lasciatemi andare invece!» L'essere giallo ha mosso le braccia in un vano tentativo di liberarsi; si è voltato a guardare Tekkaman e ha provato a colpirlo con un raggio dalle antenne. È stato un attacco molto rapido e di breve durata, di certo non potente. Lui l'ha comunque deviato con la lancia, avvicinando poi l'arma con un movimento aggraziato - quanto rapido - alla sua gola.
«Sta' fermo, ti conviene. Oppure vuoi morire davanti al tuo scagnozzo?» Ha ululato il terrestre.
Rambos ha soltanto chiuso gli occhi.
Nella sala proiezioni, il visitatore è rimasto immobile a guardare la scena. Dall'angolazione delle labbra così come per le mani che aveva proteso verso lo schermo, in un gesto istintivo di protezione, si sarebbe detto preoccupato. Ma il tono con cui si è espresso suggeriva altro.
«Rambos... S-signore» Ha mormorato con ira.
Le orecchie appuntite del prigioniero si sono mosse come ricercando l'origine del suono che le avevano raggiunte.
«Che c'è?» Ha chiesto, intenerito dalla presenza di quello che sembrava proprio un suo sottoposto.
«Gli-ordini-sono-di-restare-calmo. Signore.»
Confuso tanto quanto l'équipe che lo osservava dallo schermo, Rambos ha strabuzzato gli occhi. Perché un militare sarebbe venuto fin là solo per riferire un ordine? Un ordine tanto stupido, poi?
«Io sono calmo. Sono calmo! Sarei ancora più calmo se sapessi cosa sperate di ottenere tenendomi qui, terrestri!» Rambos ha nuovamente guardato in direzione di Tekkaman, alla sua destra. Non era un'operazione semplice: il suo esile collo sosteneva a malapena la testa gialla in quell'angolazione scomoda e così riusciva a lanciargli soltanto delle brevi occhiate. «Cosa devo fare?»
Joji è rimasto immobile. Sapeva che il suo compito non era di rispondere alle provocazioni ma soltanto agli attacchi e ai possibili tentativi di fuga, infatti la risposta è arrivata immediatamente dagli altoparlanti.
«Togliete il vostro esercito dalla Terra» ha chiesto con falsa cortesia Amachi, parlando al microfono ma guardando fisso il misterioso visitatore.
«Il nostro esercito...» Rambos ha scosso la testa. «Se ne sono già andati. Io sono l'unico umanoide sulla Terra» ha concluso con un sorrisetto.
Appena ha finito di parlare il pugno di Tekkaman gli ha raggiunto il volto, facendo un rumore tale da spaventare persino i suoi colleghi e causandogli la dipartita di un dente, che è rimbalzato per terra fino ad incontrare lo zoccolino della parete. Il sangue della creatura ha subito iniziato a fluire ed il suo sguardo sofferente si è soffermato, senza saperlo, proprio sulla videocamera.
Il visitatore dello spazio, nella saletta, ha portato la testa all'indietro e nuovamente cercato una specie di conforto nel contatto con l'immagine del suo generale. Rambos, intanto, ha ritrovato la sua ostentata sicurezza ed è tornato a fare finta di niente: ha stretto le labbra e poi sputato, per riuscire a dire che «La guerra la stanno combattendo i terrestri... Che ci può fare uno come me? Non so mica trattare con gli umani. Questo è il vostro campo». Il liquido che continuava ad uscire dalla ferita, però, ha fatto sì che l'ultima parte dell'intervento fosse pronunciata male, spingendolo persino a tossire un paio di volte nel tentativo di liberarsene. Gli occhi gli lacrimavano per il dolore, ormai.
Tekkaman ha alzato il braccio per la seconda volta, pronto a colpirlo anche senza aver ricevuto alcun ordine: è stata la voce sicura, stranamente fluente del visitatore a fermarlo.
«Non toccarlo!»
Il terrestre si è pietrificato là dov'era, con la mano in alto già chiusa a pugno.
«Rambos, maledetto! Devi cal-mar-ti!»
Dopo questo scoppio di rabbia, il visitatore si è raggomitolato a terra. Amachi lo aveva fatto circondare dai micro-robot da un po' perché il suo atteggiamento era parecchio sospetto; non ha potuto non cogliere l'occasione e l'ha intrappolato. L'alieno non è parso nemmeno accorgersene; è scoppiato in lacrime e ha perso completamente il controllo sul suo aspetto fisico, diventando una specie di nube, poi prendendo le sembianze di una piovra violacea e infine assumendo una forma fisica simile a quella di Rambos, ma con un solo occhio in mezzo alla fronte.
Andro è definitivamente sbiancato mentre Hiromi si è cautamente avvicinata, rannicchiandosi per osservarlo meglio.
Solo Mutan non ha distolto lo sguardo dallo schermo che trasmetteva il comportamento dell'ostaggio. Dopo aver udito quella voce sembrava essersi dimenticato il dolore del pugno che aveva ricevuto; teneva la testa sollevata e fissava l'altoparlante tremando.
Tekkaman aveva portato la mano sul tek-whip, attendendo il peggio.
«Non ci riesco... Non ci riesco» ha risposto l'alieno dopo qualche momento: «Ho fallito anche stavolta!» Ha continuato, con la voce stridula che viene quando si perde il controllo.
Il dottor Amachi ha chiuso subito la conversazione: era evidente che soltanto tenendoli separati avrebbero potuto evitare che unissero le forze in qualche modo. Dopo che lo schermo è diventato nero, ha rivolto l'attenzione allo strano essere che i suoi micro-robot erano stati in grado di intrappolare: aveva un aspetto tanto esile da non sembrare in grado di ferire una mosca. Le grandi mani sottili nascondevano completamente il suo viso, proprio come ogni umano fa quando piange in pubblico; tutta la sua figura sobbalzava per i singhiozzi e il suo respiro affannoso, unito ai rantoli e ai mugolii propri del pianto, ha fatto inumidire gli occhi degli astanti.
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