Capitolo 1
Capitolo 1
Tutti dicono che viaggiare, scoprire posti nuovi, posare i piedi su nuovi territori sia meraviglioso.
Nella mia vita non ho viaggiato molto, a parte il tragitto da casa fino a scuola o da casa fino al mare, per il resto ho sempre vissuto a Los Angeles. Quando capitava un'uscita scolastica andavamo in campeggio o in escursione, insomma cose del genere che non comprendevano allontanarsi troppo dal posto.
Quando papà e mamma annunciarono la notizia del trasloco fui provata. Nathan, mio fratello, la prese bene, insomma a lui che importa? Non ha mai avuto chi sa quale rapporto con il mondo circostante, gli basta riempirsi di ragazze per stare bene. Mia sorella Grace, piccola per com'è, prende tutto alla leggera, non le importa degli amichetti che lascerà, per lei è tutto apposto. Ci credo! Nel fior fiore dei suoi otto anni cosa deve capire?
Le bastano le sue bambole per essere felice.
Lasciare Los Angeles per andare a vivere a New York, non è un'occasione che capita tutti i giorni. Nonostante ciò odio il cambiamento, se questo preannuncia ansie e malinconie.
A scuola non ho poi chi sa quali grandi amicizie, non è questo che mi preoccupa, ma il pensiero di ritrovarmi in contrapposizione con una nuova realtà mi inquieta.
E' il grande giorno, se così si può chiamare. Mamma e papà stanno caricando le valige nel taxi, il quale ci porterà in aeroporto. E' triste lasciare una realtà, per dare spazio ad una nuova.
«Dai Nate, faremo tardi» mia madre richiama mio fratello che esce di casa con uno zaino alla spalla e le cuffiette alle orecchie.
Io sono già in auto e mia sorella è al mio fianco.
Siamo pronti. Sono pronta.
Arrivederci Los Angeles.
In aereo faccio una lunga dormita ed al mio risveglio stiamo atterrando. Non sono riuscita neanche a godermi la meravigliosa veduta dall'alto. Pazienza.
Slaccio la cintura e mi metto in piedi, per poi seguire i miei genitori verso l'uscita.
L'aria è frizzantina in questo giorno di Settembre, il tempo è nuvoloso, si prospetta della pioggia. Indosso un cardigan beige e scendo le scale dell'aereo.
Dopo aver recuperato tutte le valige, prendiamo un altro taxi. Mi perdo ad osservare New York da vicino. Le strade affollate, i negozi, la gente frenetica, le auto che sfrecciano al nostro fianco. Tutto nuovo, insomma. Rimango con gli occhi sbarrati fino a quando non giungiamo a destinazione.
La nostra casa si trova affianco ad una schiera di villette, sono abitazioni di un complesso di Manhattan.
«Cazzo!» Esclama Nate, sfilando una cuffia.
«Nate!» Lo richiama mio padre.
«Cazzo» ripete Grace ridacchiando.
«Non è colpa mia se questo mostriciattolo ripete tutto» le rivolge una smorfia, mentre Grace mette il broncio.
Sono l'unica silenziosa, che osserva attentamente ma non fiata.
Scendiamo dall'auto e Nathan penetra in casa facendo un gran fracasso, mentre io mi perdo nel vialetto ad osservare il verde ed il colorito acceso di tutti i fiori. Poi mi guardo intorno, la villetta affianco, alla mia sinistra è popolata. Fuori è posteggiata una moto nera, affianco una Porsche dello stesso colore, poi una BMW bianca.
Cammino lenta e salgo gli scalini per avviarmi all'entrata.
L'interno è ben arredato, il profumo dei mobili nuovi è piacevole, come quello della vernice. I muri sono dipinti di vari colori, è una casa piuttosto moderna, mia madre e mio padre hanno scelto bene.
Nathan e Grace sono già al piano di sopra a sghignazzare per le loro camere nuove, io mi prendo un po' più di tempo.
«Dai Emily sali!» Esclama mia madre, incitandomi.
Le sorrido e salgo di sopra. In una porta, alla fine del lungo corridoio, c'è una targhetta con il mio nome. La raggiungo a passo svelto ed entro. Tutto come le avevo detto.
Letto matrimoniale, cabina armadio, balcone e finestra affianco, pareti puramente bianche, scrivania e bagno in camera.
Abbozzo un sorrisetto malizioso ed inalo l'odore di nuovo socchiudendo le palpebre.
Poi mi avvicino alla finestra, scosto la tendina ed intravedo un ragazzo poggiato al balcone di fronte, sta fumando una sigaretta e guarda di sotto. Poi gesticola e parla, come se ce l'avesse con qualcun altro, mi sporgo e noto un uomo che sale su di un auto.
Poi il tipo rientra in camera, dopo aver gettato la cicca di sotto.
Maschi!
Tutto ciò di cui ho realmente bisogno al momento è di una doccia, seguita da una lunga dormita, ma prima dovrò sistemare tutto negli appositi cassetti ed armadi. Domattina spero di esser abbastanza carica per affrontare il fatidico primo giorno di scuola.
Il mattino seguente apro gli occhi alle cinque in punto. Fuori è ancora buio ed anche oggi il tempo non promette nulla di buono. Cammino scalza ed esco in balcone. Mi affaccio ed osservo di fuori. E' troppo strano per me svegliarmi in un posto nuovo.
Rientro e scelgo dalla cabina armadio cosa indossare. Quindi acchiappo un jeans skinny, una maglia leggera ed un paio di converse bianche, nuove di zecca.
Mi vesto, consapevole che sia ancora presto e dopo di che mi getto sul letto ad osservare il soffitto.
Mia madre si sveglia poco dopo, la sento scendere al piano di sotto, a causa dello scricchiolio della scala in legno. Così la seguo e l'aiuto a cucinare per la colazione, anche se non ho proprio tanta voglia di mangiare.
Trascorro così un'ora, poi mio padre e Nate scendono al piano di sotto già vestiti ed è lì che comprendo che lui accompagnerà entrambi.
Nate deve frequentare come me l'ultimo anno del liceo, nonostante sia più grande di un anno. Purtroppo la sua voglia di studiare ed impegnarsi è pari allo zero, quindi l'hanno bocciato lo scorso anno.
«Mi raccomando, buon primo giorno! Nathan non farti riconoscere» dice mia madre apprensiva.
Lui annuisce sbuffando ed esce di casa. Io la saluto con un cenno di mano e porto la borsa in spalla.
Uscendo dall'auto, cerco in tutti i modi di nascondermi, per non farmi notare, mentre Nathan è già entrato senza problemi. Mio padre riparte e mi saluta da dietro il finestrino.
«Ti nascondi?» Una voce maschile alle mie spalle mi costringe a voltarmi e sussultare.
E' un ragazzo biondo, con gli occhi verdi.
«Nascondermi? Io? Sì» annuisco colpevole.
«Piacere, io sono Lucas» mi porge la mano.
Esito per qualche istante e poi gliela stringo. «Emily» decreto.
«Sei nuova per caso?» Domanda corrucciato.
«Si nota molto?» Gratto il capo, ricoperto da una lunga chioma di capelli mossi castani.
Scoppia a ridere. «Sì, ma tranquilla... come te altra gente sarà nuova» mi rassicura. «Oh la mia fidanzata» alza le sopracciglia. Probabilmente sarà dietro di me.
«Amore, entriamo?» Chiede con voce fastidiosa.
Non mi volto.
«Sì, stavo orientando una ragazza nuova» si giustifica lui.
A quel punto sono costretta a girarmi ed abbozzare un sorriso forzato.
«Io sono Regina» lo dice con superiorità.
«Io sono Emily» dico semplicemente.
«E lui è il mio fidanzato» sottolinea.
Annuisco. «Vuoi una benedizione?» Vorrei esser sarcastica, ma mi fissa subito in cagnesco.
«Andiamo dai, buona giornata Emily» il ragazzo la prende per mano, trascinandola via da me, mentre io li seguo distante per entrare a scuola.
Il corridoio è invaso da una miriade di ragazzi e ragazze. Con tutte quelle voci che si accavallano mi sento confusa. Mi sento in una giungla. Sarà che a LA non ci facevo poi così caso.
In fondo noto l'ufficio della presidenza ed è lì che mi dirigo. Busso alla porta e dopo aver sentito quello squillante "prego" apro.
La donna, sulla sessantina, mi scruta attentamente. Sfila gli occhiali da vista e porta un'asticella alla bocca.
«Sono nuova, mi dispiace disturbarla... ma non so esattamente dove andare.» Dico tutto d'un fiato.
«Prego, mi dica il suo nome e cognome» osserva in una lista.
«Emily Stewart» mormoro con voce rauca.
«Ecco a te, questi sono i corsi che deciderai di seguire... prego» mi porge un foglio, in cui sono scritti tutti i corsi, con gli orari e le rispettive aule.
«La ringrazio» indietreggio. «Buona giornata» saluto.
«Buona giornata a te, cara» indossa nuovamente le lenti e ritorna a fissare delle carte, mentre io esco.
Cerco l'aula B del quarto anno e la scorto poco più in là. La campanella è appena suonata e tutti si stanno affrettando ad entrare nelle rispettive classi. Così scatto con una corsetta e raggiungo la porta. Entro e rimango immobile, notando che tutti hanno preso posto.
Mi sento osservata e riesco ad inquadrare l'unico posto libero, in mezzo ad un cerchio di soli ragazzi, di cui uno mi fissa spocchioso, con aria da duro, occhi penetranti e sguardo accattivante, un altro infila una penna su per le narici, un altro ancora lancia palline di carta in giro per la classe ed un altro ancora, quel Lucas, mi sorride.
Così raggiungo quel banchetto e mi metto a sedere. L'insegnante entra e chiude la porta. Si mette a sedere e ci fissa uno per uno.
«Mi hanno detto che c'è un volto nuovo» mi scruta.
«Sono io» annuisco.
«Ciao, come ti chiami, da dove vieni...» parlotta incuriosita.
«Emily Stewart, vengo dalla California» mi limito a dire.
«Emily spero che tu trova il giusto equilibrio, che scelga le amicizie giuste e che non ti faccia prendere subito dal panico in questa prima lezione» ghigna.
«Ti sta dicendo che ci sono elementi che le fanno pena» il ragazzo in diagonale a me prende parola e quell'incessante sguardo provocatorio mi confonde. Solo dopo lo riconosco. E' il mio vicino di casa. Nonostante il mio stupore ed il terribile disagio, non lo lascio a vedere.
«Signor Felton, per cortesia!» Sbotta. «La sua parola non è gradita» aggiunge.
«Vuole gradire altro?» Domanda con malizia. La classe ride.
L'insegnante lo fissa sdegnata. «Non ti mando dalla preside, perché credo che sarebbe troppo anche per lei il primo giorno!»
«La ringrazio, non mi faccia scomodare» risponde scattante lui.
«Signor Adams, la smette con queste palline di carta? Diamine!» Borbotta lei.
Il ragazzo, seduto davanti a quello di prima se la ride, ma almeno la smette.
«E Daniel... dico quanti anni hai? La penna nel naso.» Scuote il capo la professoressa.
I compagni in ogni caso ridono con gusto, solo io mi sento in una gabbia di matti.
«Emily, io sono la tua insegnante di letteratura, spero che integrai il tuo studio con qualche corso extra... hai fatto qualcosa di simile nella tua vecchia scuola?» Chiede cordiale.
«Sì, ho seguito un corso di scrittura ed altro insomma» spiego, ma odio sentirmi la nuova arrivata con occhi puntati contro.
La lezione prosegue con una chiacchiera ed un'altra, fin quando suona la prima ora e tutti si mettono in piedi. Io acchiappo la borsa e la metto alla spalla.
«Ciao Emily» due ragazze si avvicinano e mi sorridono, una di loro saluta. «Sono Samantha» mi porge una mano ed io la stringo.
«Piacere Hanna Parker» aggiunge l'altra.
«Ed io ho seguito qualche corso di scrittura ed altro insomma» quel fastidioso tipo a lezione ci passa affianco imitando la mia voce.
Hanna lo fulmina, Samantha sbuffa.
«Brandon ma la finisci?» Dice seccata la prima.
«Hanna, ma chi ti caga?» Scoppia lui a ridere.
Hanna mi osserva. «Evitalo, è un consiglio» mi intima. «Porta solo guai» aggiunge. «Che altra lezione hai adesso?»
Osservo il foglio che tengo ancora fra le mani e leggo ad alta voce. «Chimica» decreto.
«Noi abbiamo arte e poi filosofia, ci vediamo a mensa» dice Samantha.
Mi salutano con un cenno di mano ed io mi reco per la seconda lezione.
Anche lì un'altra presentazione, anche lì occhi puntati contro. Per la seconda un po' meno, ho ritrovato Hanna, Samantha, quel Brandon e la sua combriccola di sbruffoni. A quanto ho potuto notare è scortato da altri tizi, loschi e stupidi allo stesso tempo quanto lui.
A mensa mi siedo in un tavolo al centro con le due ragazze che parlottano tra di loro.
«Quindi quella combriccola?» Domando curiosa indicando il tavolo poco più distante del nostro.
«Brandon è il capitano della squadra di basket, gli altri sono suoi amici ed ovviamente altri giocatori. Quello alla sua sinistra è Marcus Adams... un tale coglione» ride e guarda l'amica maliziosamente, «quello alla sua destra è il suo gemello, Thomas Felton. Non so come faccia ad uscire con loro.» Scrolla le spalle mentre sgranocchia una mela.
«Perché?» Corrugo la fronte.
Prende parola Samantha: «Thomas è il suo gemello, ma sono completamente l'opposto... a parte la fisionomia, caratterialmente Thomas è un angelo» annuisce.
Li osservo, eppure non noto questa somiglianza. Brandon ha i capelli più lunghi, arruffati, lo rendono proprio un tipo trasandato ed una barbetta leggera. Thomas ha un taglio corto, è sbarbato e meno muscolo del gemello.
«Sam perché non le parli di Marcus?» Hanna scoppia a ridere, mentre la sua amica la fulmina con gli occhi.
«Hanna» l'ammonisce.
«Sam è pazza di Marcus. Non mi chiedere come faccia» abbassa il busto e parla sottovoce. Sembra mia nonna quando prova a raccontarmi qualcosa di particolarmente importante.
«Ciao ragazze» improvvisamente Lucas piomba di fronte a noi.
Hanna e Samantha alzano subito la testa, «ciao» dicono in coro.
Io sorrido velocemente e ritorno subito seria, portando in bocca una patatina.
«Stasera comincia il campionato, la prima partita insomma... venite?» Chiede.
Le due si guardano e spalancano la bocca.
«Senti coso, che vuoi?» Hanna alza un sopracciglio con superiorità.
«Senti cosa, ti conosco?» Sbotta lui.
«Dal momento in cui hai salutato, dovresti conoscerci» ribatte lei.
Osservo la scena in silenzio.
«Veniamo alla partita anche senza il tuo invito. Insomma lo hanno capito anche le patatine che sei venuto solo per stuzzicare Emily» continua lei arrogante.
«Ah, va bene» si congeda e si allontana.
«No Emily, vietato» fa un grande X con le braccia e mi fissa dritta negli occhi. «Non metterti contro Regina» mi consiglia.
«Ragazze non sono venuta qui per cercare un ragazzo, voglio stare tranquilla» sospiro onesta.
«Vabbè dai Hanna, Lucas non è poi così male» esita Samantha, fulminata subito dall'amica.
«Oltre Thomas Felton, di lì non se ne salva uno!» Esclama gesticolando. «Faresti meglio a smetterla di difendere quel gruppo solo per la presenza di quel troglodita spastico di Adams» sbuffa poi.
Samantha le risponde con una smorfia, che Hanna, ahimè, non riesce a notare. Io rido sotto i baffi.
Al ritorno a casa mia madre compone tremila quesiti diversi, mentre Nathan se la svigna nella sua camera, senza raccontare la sua giornata. Le racconto di Hanna e Samantha, di come mi sia trovata spaesata e di come spero di ambientarmi con il passare dei giorni.
«Mamma stasera vado a vedere la prima partita di basket del campionato» dico subito dopo, mentre lei sta preparando la cioccolata calda.
Non sembra infastidirla l'idea, così annuisce. «Non tornare tardi, però» raccomanda.
«No, no... se avessi l'auto magari certi disagi li eviterei, ma comunque...» dico allusiva.
Lei mi lancia un'occhiataccia, «ti farai accompagnare, queste ragazze ce l'avranno un auto» aggiunge.
«Sì, Hanna» schiarisco la voce, «corro a prepararmi, passa a prendermi più tardi» salgo in camera e scontro Grace.
Ha una barbie fra le mani e parla da sola. «Emily ma secondo te Barbie ha bisogno di Ken?» Aggrotta la fronte.
Trattengo una risata. «Credo stia bene anche senza.» Annuisco.
«Infatti» ritorna nella sua camera correndo scalza ed io non posso fare a meno di ridere.
Faccio una doccia veloce e scelgo cosa indossare. Rovisto fra la roba e trovo una gonna di jeans svasata a vita alta, l'accompagnerò con un maglioncino corto nero e le converse nere.
In mezz'ora sono pronta, stavolta alzo i capelli in una coda alta e metto solo del mascara.
Metto un giubbotto di jeans ed acchiappo una borsa con le frange, in cui infilo dentro l'iPhone, il portafoglio, un lucidalabbra, un assorbente, un pacco di fazzoletti e le chiavi.
Scendo al piano di sotto, saluto mia madre ed esco di casa. Mi metto a sedere sul dondolo posizionato affianco alla porta ed attendo che arrivino con l'auto.
Improvvisamente una Mini Cooper nera posteggia e suona il clacson. Scendo e salgo in auto salutando entrambe.
«Scommetto che piove fra non molto» Samantha guardava di fuori con il broncio. «Fortuna che ho messo gli scarponcini» mugugna.
«Io mi preoccupo più per i capelli, li ho appena stirati» si da un'occhiata allo specchietto retrovisore centrale e poi accelera. «Speriamo di trovare posto al parcheggio» sospira.
Mezz'ora dopo siamo di fronte scuola. Le auto sono tutte posteggiate perfettamente e sembra non ci sia neanche più un posto libero.
«Dannazione» sbuffa Hanna.
«Vai più avanti... lì» dice Samantha.
E finalmente posteggiamo anche noi. Usciamo dall'auto e corriamo dentro, non appena ci accorgiamo delle goccioline che ci ricadono addosso. Impazzirei anche io se iniziasse a piovere, ma fortunatamente siamo dentro sane e salve.
La palestra è colma di gente, credo che alcuni non siano neanche studenti. La partita è appena iniziata e noi prendiamo posto nelle gradinate più alte. Da qui si vede tutto alla perfezione.
«Quello è Marcus, con il numero venti» mi sussurra Samantha all'orecchio.
Le sorrido. «Se ti piace perché non provi a parlargli?»
Lei scuote subito il capo. «E' abituato a gente di un altro calibro, le cheerleader ad esempio» abbassa gli occhi.
«Capelli biondo rame, occhi azzurri, carnagione chiara, snella, alta... perché non dovrebbe interessarsi a te?» Le do una gomitata d'incitazione.
«Sssh voi due» borbotta Hanna.
Samantha rotea gli occhi, «grazie, ma credo di non essere nella lista delle ragazze da frequentare» mi sorride dolcemente. Ha qualcosa di tenero questa ragazza, al contrario di Hanna che risulta a volte aggressiva ed esuberante. Nonostante ciò apprezzo che mi abbiano coinvolto nelle loro vite, quindi sono felice di non trascorrere questa serata su di un letto, in solitudine, in una casa che non sento ancora del tutto mia.
Devo essere onesta, non seguo molto la partita, piuttosto parlotto con Samantha e sbadiglio e quindi il tempo vola senza rendermene conto. Quando capisco che la nostra squadra ha vinto e che tutti, compresa Hanna, esultano applaudo anche io mettendomi in piedi. Poi lo sguardo di Hanna s'incupisce e viene catturato da qualcosa di più interessante. Cerco di capire cosa e quando noto la figura di Regina sgattaiolare fuori dalla palestra con un tizio, capisco tutto.
«Lucas è un coglione, come fa a farsi prendere così per il culo?» Scrolla le spalle.
«Sarà che gli piace essere un cervo» commenta Samantha sorridendo. «Che ti frega!»
All'uscita, entrambe si posizionano sul cofano dell'auto ed attendiamo che i ragazzi facciano la loro uscita. Il primo a venir fuori è Brandon, acclamato, esultato, applaudito soprattutto dal pubblico femminile. Poi Marcus e Thomas, seguiti da Lucas che discute animatamente con la fidanzata Regina.
«Regina vai a prendere un gelato, facci godere la vittoria, evapora» borbotta quel Brandon.
«Un gelato?» Domanda lei irritata.
«Sì, vuoi il mio?» Gli indica il suo membro ed io rimango pietrificata.
Che schifo di gente.
«Brandon smettila di rompere» gli intima Lucas.
«Che fai? Il macho davanti alla nuova arrivata?» L'altro scoppia a ridere e dopo avermi lanciato una lunga occhiata monta nella sua auto, seguito dal fratello e dall'amico.
Lucas, con nonchalance, risponde alzandogli il dito medio.
Brandon mette in moto, fa retromarcia, esce dall'auto e gli si para davanti.
«Dai finocchio, fallo di nuovo» lo minaccia stringendo i pugni.
«Buffone del cazzo» insulta Lucas.
Si avvicina al suo orecchio e gli sussurra qualcosa che solo Lucas riesce a sentire. Dopo di che Brandon va via, Regina rimane al fianco del fidanzato e Lucas mi rivolge uno sguardo.
Io distolgo il mio.
Come primo giorno mi sento sconnessa. E' tutto un gran disordine e soprattutto non mi va che io sia messa in mezzo in faccende delle quali non c'entro nulla e mai c'entrerò.
Brandon, Lucas e compagnia bella non so chi siano e mai vorrò saperlo.
Non mi è mai piaciuto immischiarmi in rapporti che non possono arrivare a destinazione.
La vita ad ostacoli, insomma, non è mai stato il mio forte. Proprio per questo ho sempre evitato situazioni complicate.
Non mi sarei fatta travolgere o abbindolare proprio da nulla.
Angolo autrice.
Buonasera! Visto che in molti chiedono come mai Ostacoli del cuore non ci sia tra le mie Opere, eccoci qui. Con questa scusa l'ho revisionato, o meglio riscritto, perchè c'erano tante cose che non andavano bene. Che dire, magari vi farebbe piacere notare cos'è cambiato.
Un bacio!
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