• Capitolo XXVI •

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Blake fece marcia indietro, lasciandosi alle spalle la ragazza, che diventava un puntino sempre più ridotto. Raggiunse la sua auto e, prima di entrarvi, guardò verso il cielo: Dio, si sentì quasi una nullità in confronto alla vastità di quel velo azzurro. I suoi battiti presero a farsi più accelerati ed il petto si gonfiò.

Vedi quegli uccelli attraversare il cielo?
Volano per tre miglia
Come fanno a sapere dove andare?
In qualche modo sembra che lo sappiano da sempre

Si dice che ci sia madre natura in tutto ciò che vediamo
Vorrei avere un po' di madre natura dentro di me
Vorrei avere un po' di madre natura dentro di me

Salì in macchina e mise in moto, lasciando che il motore rombasse con estrema aggressività. Una sterzata violenta lasciò una scia sull'asfalto.
Il ragazzo percorse la città come una furia: era come se una parte di sé stesse cercando lo schianto, l'autodistruzione, la morte. Ma, in realtà, quello che lui stava inseguendo non era l'orizzonte, ma quel brivido che gli avrebbe ridato fiducia. Quella sensazione di stallo che gli avrebbe testimoniato che anche lui viveva, che anche lui sentiva.
Non era solo esistenza, pensò, mentre la lancetta si spostava sui 250 km/h, Skyler si era sbagliata sul suo conto o, forse, lo aveva voluto intenzionalmente ferire perché, tra i due, l'unica ad essere davvero spietata... era proprio lei. Lui l'aveva protetta, è vero, lo faceva dal primo istante in cui era riuscito a connettersi con quegli occhi di foresta. E quella whiner era solo un'ingrata, una ragazzina viziata che non provava nulla per lui e che, probabilmente, non avrebbe mai ricambiato quei battiti che, adesso, il giovane sentiva scoppiarsi in petto. Raggiunse casa in un battito di ciglia e decise di risalire quelle ventiquattro rampe con la sola forza delle gambe.

Se è solo questione di feromoni
allora forse
Vorrei che tu avessi un po' di feromoni per me
Vorrei che tu avessi un po' di feromoni per me

La testa gli pulsava ma poco importava a Blake. Skyler non lo avrebbe mai ricambiato, oramai ne era convinto, lo disprezzava e non per come si era comportato, ma per il semplice fatto di essere B-273.
Entrò dentro al suo appartamento, con l'agitazione di un toro che fa ingresso nell'arena, ed osservò quel maledetto ordine che, adesso, sembrava opprimerlo ancora di più. Fu in quel momento che un raptus d'ira mista a sconforto, delusione, dolore, si fece spazio tra i polmoni. Si avvicinò ad una mensola e buttò giù tutto, facendo cadere sul pavimento vasi, posaceneri, riviste. Poi afferrò lo schermo del televisore, scaraventandolo a terra, con veemenza e livore. Il plasma si infranse in migliaia di piccoli microcristalli, determinando un rumore assordante che si confondeva alle sue urla di rabbia. Le poltrone si ribaltarono ed il piccolo Black, che era rimasto accucciato sotto il tavolo della cucina, con la coda tra le zampe, fece uno scatto verso la camera da letto, terrorizzato.
"È QUESTO CHE VOLEVI?!!" urlava a perdifiato, mentre il vetro si scagliava contro il parquet ed i mobili sbattevano l'uno sull'altro.
"SEI CONTENTA ADESSO?!!" emise, in un ultimo sibilo di voce, ricadendo sulle ginocchia e poggiando le mani a terra, tra cocci e fogli di carta.

Perchè non è giusto, sono attratto come un magnete
Da qualcuno che non prova lo stesso
L'amore è paralizzato, lei non avrà mai bisogno di me
Ma come è certo che il mondo tiene in orbita la luna...

Lei continuerà a tenermi in sospeso...
Continua a tenermi in sospeso...

Lacrime crudeli e impietose iniziarono a scavare i suoi zigomi, descrivendo le curve di quei lineamenti perfetti e solcando bruscamente la pelle color latte. Se era, davvero, questo l'Amore, allora faceva male da morire, e colpiva dritto sui reni, pungendo la carne e facendogli prendere a fuoco la testa.
"Lasciami stare..." continuava a ripetere, con la fronte che strisciava sul lucido legno, "...Vattene via dai miei pensieri... vattene via... lasciami in pace..."
Black tornò in salotto, andando a leccare il viso bagnato e salino del suo padrone, completamente inerme.

***

"Per quale motivo ci hai chiesto di riunirci, Skyler?" l'anziano del Consiglio della Resistenza, scrutò il viso della ragazza.
Deglutì, "Credo di aver commesso un grave errore, stamani." fece qualche passo avanti, "Mi sono lasciata sopraffare dal farmaco... e ho detto cose che non avrei voluto dire."
"E cosa ti turba così tanto, ragazza?" proseguì, l'uomo.
Skyler sospirò, provando a mantenere la mente lucida "...Non riesco a ricavare alcuna sorta di informazione. Credo di aver scelto l'approccio sbagliato."
"Perché dici questo? A noi, invece, sembra che tu ti sia spinta molto oltre rispetto a qualunque altro whiner." intervenne un giovane, "Sei riuscita a stabilire un contatto reale, Skyler. Non era mai successo con un balancer."
La ragazza abbassò lo sguardo, "No... non lo so." borbottò, come se qualcosa non le quadrasse "Io non riesco a fare il passo successivo. E, in più, il dosaggio non mi aiuta ad essere empatica, ad essere capace di trovare la chiave giusta."
"E allora perché non interrompi?" chiese, con semplicità, una delle due donne.
La ragazza ruotò il volto verso lei, esitando per qualche secondo.
"Io... io non posso farlo."
"Perché, Skyler." riprese, lei.
Gli iridi si mossero spasticamente, "Rischierei... rischierei troppo. E lui se ne accorgerebbe subito." rispose, quasi a bassa voce.
"E allora continua per la tua strada, ragazza. E non temere... stai andando bene." proseguì il più anziano.
Poi osservò gli altri membri, "Se è tutto... direi che possiamo andare." concluse, alzandosi insieme agli altri.
Skyler portò gli occhi al cielo, non soddisfatta da quella conversazione. Era come se si sentisse non capita. E più cercava di spiegarsi, più si sentiva del tutto incompresa.
Iniziò a incamminarsi verso l'uscita, ma una voce femminile la chiamò: era la donna del Consiglio che era intervenuta poco prima.
Le si avvicinò, guardando la ragazza negli occhi con uno strano sorriso malizioso.
"Perché quel muso lungo, cara?" le fece.
Skyler inizialmente sfregò le mani sulla felpa, molto imbarazzata "...È stata una giornata abbastanza difficile, tutto qui."
La donna indagò il suo viso, "Sai... ho come l'impressione che rimanga sempre un qualcosa di non detto nelle tue parole."
Alzò il collo, "...Che intende dire?"
Sorrise, "Sono una donna, Skyler. E nonostante sia qui da oltre vent'anni, saprei riconoscere quegli occhi a kilometri di distanza."
La ragazza reclinò leggermente la testa, palesemente in difficoltà "Quali occhi."
"Quelli di una giovane donna innamorata, Skyler."
Le sue palpebre tentennarono e lo stomaco risuonò in un leggero gorgoglio.
"...Io... io credo che lei abbia... abbia davvero frainteso, signora."
"Invece credo di averci letto bene, Skyler." proseguì, mantenendo quasi un espressione complice "E penso che tu non voglia interrompere il reset-41 non perché temi di essere scoperta, ragazza. Ma perché hai paura di lasciarti coinvolgere da quell'uomo."

***

"Pensierosa?" esordì Alan, entrando in una delle camere del grande complesso della Resistenza.
Skyler rinsavì dal turbine di pensieri che la stavano tormentando, "...Sono solo un po' stanca."
Il ragazzo le si avvicinò, sedendosi sulla brandina "Volevo chiederti scusa per l'altro giorno..."
Skyler nemmeno lo guardò, era troppo intenta ad osservare il suo riflesso sul vetro della piccola finestra ovale, che dava sulla piazza principale del Sottosuolo.
"Non fa niente, Alan. Avevo addirittura rimosso quell'episodio."
"Ed invece è giusto che io mi scusi..." insistette lui, "Tu hai scelto di stare in una posizione scomoda, Skyler. Ed io mi sono comportato come un fottuto egoista."
La ragazza, d'un tratto, prese a piangere, singhiozzando vistosamente e bagnandosi il colletto della maglia.
Alan la osservò, perplesso e sorpreso "Ehy, piccola..." le andò incontro, "...Stai male?!"
"Mi sento... mi sento così fragile, Alan... È come... è come se fossi sul punto di rompermi in mille pezzi..." balbettò, quasi in preda ad un attacco di panico.
Il ragazzo la accolse tra le sue braccia, "Shh... vieni qui..." le sussurrò, "...Adesso calmati..." proseguì, accarezzandole i capelli.
Ma nulla poteva fermare quel flusso di lacrime, "Pensavo fosse più semplice... pensavo di essere più forte..." continuava lei, con gli occhi arrossati.
"Tu lo sei, piccola... sei fortissima..."
"E allora spiegami perché sono così, adesso..." rispose, con un filo di voce, guardandolo "...Spiegami perché sono crollata in questo modo. Non mi sono mai sentita così vulnerabile."
Il ragazzo deglutì, "Forse sei solo stressata... in fondo, è da quasi due mesi che ci sei dentro."
"Pensi sia questo?..." disse lei, col mento che le tremava.
"Ma certo, baby..." Alan mutò in uno sguardo ambiguo, "E so anche come farti rilassare..." le fece, portando una mano sotto la sua felpa e percorrendole la schiena.
Skyler chiuse gli occhi e cercò di resistere all'istinto di divincolarsi. Non voleva farlo, per niente al mondo, ma decise di non ascoltarsi e di staccare la spina. Voleva mettersi alla prova, capire se quella donna fosse riuscita a leggerle l'anima più di quanto lei era riuscita a fare con sé stessa. Voleva concentrarsi su Alan, lui soltanto e, mentre il ragazzo le sfilava gli slip e lei lo lasciava fare, quasi spettatrice distaccata di quel momento, solo un viso riuscì a distinguere davanti a sé.
E fu come se quelli occhi blu, ma di un blu che non sa di mare, bensì di cielo, un cielo notturno estivo, la stessero osservando attraverso i muri. Fu come se di quei capelli bianchi come la stessa cenere delle sigarette, che fumava a decine quando era nervoso, ne riuscisse a sentire il profumo fin da lì.
Fu come se, infine, di quel cuore, a volte troppo duro, a volte troppo fragile, lei ne percepisse i battiti ritmati.
Quella donna aveva ragione, pensò, mentre Alan spingeva sopra lei, ansimando e toccandole il viso, senza nemmeno accorgersi che gli occhi della giovane erano altrove, proiettati in una quarta dimensione mai provata prima, che i molti erano soliti chiamare Amore.

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