• Capitolo LXXXVI •

Blake attraversò il corridoio, portando in spalla un piccolo borsone. Fece ingresso in cucina, la teiera sul fuoco gorgogliava di acqua bollente.
Zorah era già a lavoro: la preparazione dell'abito da sposa procedeva bene e le procurava una certa soddisfazione personale nel vedere quanto grazioso iniziasse ad apparire.
"Buongiorno, Blake. Ti senti meglio?" gli chiese, alzando lo sguardo dall'ago.
Il giovane osservò con una certa disillusione l'abito bianco e spostò il borsone davanti ai suoi piedi, rimanendo fermo all'ingresso della stanza.
La donna accennò una smorfia e gettò via un lieve sospiro, "Immagino che la conversazione di ieri non sia andata bene..."
"Già." rispose, sconfitto, "Continuo a ripetermi che avrei dovuto aspettarmelo, ma una parte di me stenta comunque a crederci. Sono ridicolo... questa è la verità." accennò un sorriso malinconico, "Beh, è andata così. Lo ama, quindi..." si perse dentro i lapilli di polvere che si alzavano dal parquet, "Quindi..."
Zorah assottigliò per un istante gli occhi, non trovando alcuna congruenza. Capì, poi, intimamente l'intento dell'amica e rimase in silenzio ancora per qualche secondo.
"Immagino... immagino di sì." gli disse, deglutendo, "In qualunque caso... so che può suonarti strano ma... mi dispiace, Blake."
Era più forte di lei. Non riusciva a volergli male, questo era quanto. Detestava vedere star male l'amica, ancora una volta, ancora per causa sua. Tuttavia non poteva negare che dentro allo sguardo di quel ragazzo, adesso spento e privo di orientamento, si nascondessero gli occhi di un uomo terribilmente innamorato e ferito.

Il balancer si limitò ad annuire e poi schiarì la voce, sopraffatto dal dispiacere, "Potresti... potresti solo darle questa quando la vedi?"
Tirò fuori dal taschino dei pantaloni la collanina che Skyler gli aveva donato anni prima.
Zorah osservò quel cimelio, schiudendo leggermente le labbra.
"Ehm... magari potresti darglielo tu. È giù al fiume in questo momento e..."
"No... no." la interruppe, "Preferisco che sia tu a consegnarglielo."
"Blake... sai che non posso farlo." replicò, palesemente mortificata.
"Per favore, Zorah." la fissò con determinazione dritta negli occhi.
La donna abbassò lo sguardo, "Scusami. Ma... ecco io non posso."
Il ragazzo, allora, ritrasse la mano e strinse nuovamente dentro al pugno la collana.
"Ok..." disse a bassa voce, "Posso almeno lasciarlo nella sua camera?"
Lasciò perdere l'abito che adagiò sulle gambe, "D'accordo. Ma io non ne so niente."
La guardò in un modo che sembrava quasi ringraziarla tacitamente, come fosse l'ultimo favore che la donna gli avesse riservato prima dell'addio.
"Credo sia meglio che io vada, adesso."
Zorah inarcò l'angolo della bocca, con una certa inaspettata malinconia, "Questa scena mi sembra un dejavù..." rispose, viaggiando indietro con la memoria.
"Beh, vorrei che lo fosse..." replicò, "Perché significherebbe che è me che vuole." sorrise nervosamente e decise di stopparsi, notando sul viso di Zorah un'espressione compassionevole e turbata.

Sentì di aver superato la barriera del suo personale orgoglio, di essersi esposto troppo e mostrato incredibilmente vulnerabile. Provò un certo imbarazzo, quasi vergogna, ancora non del tutto capace di gestire certe sensazioni e, dopo un veloce saluto accennato, sparì oltre il cornicione, dirigendosi verso la camera della ragazza.
La stanza era così piccola e silenziosa da sembrargli un minuscolo tempio di quiete e quotidiana semplicità. Gli fece un certo effetto guardare il suo letto, la trapunta a quadrettoni colorati che, chissà, forse si era ricamata da sola, la lanterna arrugginita sul comodino. La finestra opaca che apriva un pezzo di cielo dentro la camera. Ripensò alle parole della giovane e si chiese come fosse stato aspettarlo per un intero anno dentro quelle mura, come avesse trascorso le notti, se ogni tanto sbirciasse fuori da quella finestra con la speranza di vederlo arrivare.
Avanzò verso la scrivania in legno, con la collana ancora in mano e adagiò lentamente la catenina sul tavolo. Poco prima di rialzare lo sguardo, tuttavia, notò qualcosa proprio sotto la copertina di un libro ingiallito. Fece strisciare allora il tomo verso destra e, subito, una delle sue vecchie spille militari gli saltò agli occhi. Doveva averla smarrita proprio durante quei giorni concitati alla foresta di Axor. Skyler l'aveva conservata per tutto quel tempo, non poteva crederci.
Afferrò lo stemma metallico e lo osservò con una nuova luce negli occhi, che adesso brillavano di commozione e di ritrovata speranza. No, forse aveva ragione. Forse non era stata del tutto sincera. Forse non era ancora finita.
Scattò via dalla camera, correndo con energia verso la cucina.
"...DA CHE DIREZIONE SI ARRIVA AL FIUME?!" chiese, ansimando, di fronte al volto stordito di Zorah.

***

Il sapone scorreva via lungo i ciottoli lucidi del fiume, confondendosi alla schiuma del corso d'acqua. Skyler strizzò per bene la tovaglia di lino e prese dalla tinozza una coperta di panno verde che iniziò a strofinare contro i sassolini con grande vigore. Stava solo cercando di far passare la mattinata come una giornata qualunque di lavoro e noiose faccende domestiche. Aveva deciso che non sarebbe rientrata in casa prima del tramonto, certa a quel punto di non trovare Blake. Il balancer sarebbe già partito e lei non lo avrebbe mai più rivisto. Fine della storia.
Continuava a ripeterselo in testa, mentre immergeva le braccia dentro l'acqua gelida e un timido raggio di sole le illuminava i capelli di sfumature più chiare.
Fermò i movimenti e asciugò la fronte, costatando di averci messo un po' troppa energia. Ma, prima di afferrare altri panni, sentì un rumore in lontananza, come il suono di terra fresca che franava. Ruotò lo sguardo verso la collinetta e, tra gli alberi, vide Blake discendere a velocità proprio verso la riva del fiume. Lo stomaco le si strinse in una fitta morsa, paralizzandola in ginocchio davanti la tinozza.
"Penso che dovresti lavare anche questo..." il balancer gettò la spilla dentro il secchio e le si fermò davanti, prendendo fiato.
Skyler fissò, incredula, lo stemma discendere dentro l'acqua e posarsi infine sul fondo della tinozza.
"Oppure potresti spiegarmi perché lo conservi ancora se è vero che mi hai dimenticato." proseguì, deciso.
La giovane bagnò le labbra, presa del tutto alla sprovvista, "Credo che tu debba partire..."
"Sai cosa? Ho cambiato idea." rispose, presuntuoso, "Mentre percorrevo questo bosco ho pensato che potrei restare ancora per qualche giorno."
Skyler si mise in piedi, "Non credere che io ti lasci rimanere in casa mia per un minuto di più."
"Sono sicuro che Zorah vorrebbe, invece. In fondo le braccia di un uomo fanno sempre comodo. Mi adatto ad ogni lavoro."
Strinse i denti e resistette all'istinto di dargli uno schiaffo sul viso. Proprio quel viso che, adesso che lo osservava alla luce del sole, non era affatto cambiato da come lo ricordava.
"E, per favore, non mentirmi più." aggiunse, abbandonando quell'aria arrogante per assumere un atteggiamento più serio.
La ragazza stirò il collo, frustata e furente ma, senza avere il tempo di replicare, Caleb comparve dalla pianura che portava alla foce.
"Skyler!" disse da lontano, facendo un cenno col braccio.
In quel preciso istante, la giovane desiderò con tutta sé stessa essere trascinata dalla corrente del fiume e di non tornare mai più.
L'uomo avanzò verso loro due, mentre Blake si voltò a guardarlo con un'indisponenza che non sforzò di celare.
"Non dirmi che è quell'idiota." le disse, tornando a guardarla.
"Invece è proprio lui e io lo amo, Blake. Che ti piaccia o no." riuscì a rispondergli, un istante prima che Caleb li raggiungesse.
Si fermò a qualche passo dal balancer, scrutandolo con ostilità, "Ed ecco che il famoso B-273 fa finalmente ritorno..." esordì, volutamente sarcastico.
"Blake, per gli amici." replicò lui, "Quindi tu puoi continuare tranquillamente a chiamarmi B-273." accennò un sorriso.
La giovane gonfiò il petto e si portò in avanti, "Caleb, sono davvero mortificata di questa situazione. È stato tutto così inaspettato che..."
"No, non devi scusarti. So già tutto, Joshua mi ha raccontato della fantastica sorpresa che il nostro ospite ci ha riservato. Tu non c'entri. Ma penso che possa bastare così. Grazie per la visita e arrivederci, balancer."
Porse una mano verso Skyler, la quale l'afferrò mettendosi al fianco del futuro sposo.
"Beh, penso che mi tratterrò ancora per un po' di tempo, in realtà." disse all'uomo, sostenendo lo sguardo.
Caleb, allora, si rivolse alla giovane, avvicinandosi al suo orecchio "Ehi... che ne dici di tornare a casa? Ti raggiungo subito."
"Io... no, non voglio. Di cosa diavolo bisogna discutere, Caleb..." rispose a bassa voce, vistosamente preoccupata.
"Sta tranquilla, dico sul serio. Voglio solo parlargli un attimo in privato. Civilmente."
La ragazza lo guardò smarrita, tentennando su quelle rassicurazioni e cercando di decidere se fidarsi o meno.

Scelse di acconsentire a quella richiesta apparentemente normale ma, allontanandosi, iniziò a domandarsi in quale maledetto guaio si fossero cacciati tutti quanti. Si sentiva la principale responsabile, esattamente come tre anni prima. Aveva lottato con tutte le sue forze per scacciare via di dosso quel velo di colpevolezza per i principali disastri che avevano colpito prima Osmium City e, successivamente, Parabellum. Ma la sua mente continuava a tormentarla e la convinzione di essere una calamita di disgrazie le penetrava il cervello come se cento spille da sarta la stessero torturando proprio sotto alla nuca.

Caleb avanzò di due passi verso il balancer e si accertò di essere finalmente rimasti i soli ai piedi di quel fiume guizzante.
"Pensi che ti permetterò davvero di rimanere nel mio territorio?!"
Blake abbozzò una smorfia, come a fare finta di pensarci su.
"Sì, credo di sì. Innanzitutto perché questo posto non ti appartiene e, in secondo luogo, perché anche se ti appartenesse, a me non importerebbe comunque nulla."
Al ragazzo scappò una breve risata, "Mi avevano detto di quanto fossi arrogante... ma così superi ogni mia aspettativa, balancer."
"B-273, prego."
Caleb tornò serio in viso, "Posso chiamarti in qualunque modo io preferisca e sai perché? Perché quaggiù tu non conti più nulla. Forse a Osmium City sarai qualcuno, ma ti assicuro che per la gente di Parabellum un maiale vale molto più di te."
"Ti sei mai chiesto che, forse, il mio unico interesse sia contare qualcosa agli occhi di Skyler Anderson?" ribatté, avvicinando il viso.
"Beh, fra pochi giorni dovrai chiamarla Skyler Beesley. E ti assicuro che non riuscirai a rovinare il nostro futuro."
"Come se potesse mai averne uno insieme a te."

Un fruscio di vento si intromise tra i loro sguardi che, adesso, puntavano fissi l'uno verso l'altro.
"Lei ti detesta, balancer. Mi chiedo come non ti abbia sputato ancora in faccia."
"Dal momento che non è successo, faresti bene a porti ancora più domande di quanto tu già non stia facendo."
Caleb accennò un sorriso nervoso, "Ci penserò, balancer. Ma tu tieni gli occhi bene aperti in questi giorni, perché se qualcuno dei villaggi vicini dovesse scoprire che il famoso protetto di Mr. Peace si trova nei paraggi... oh, beh. Sono certo che verrebbero a farti visita e non con le migliori intenzioni. La gente cova molta rabbia quaggiù. E la rabbia chiama sempre vendetta."
"Mi stai minacciando?" chiese lui, con tono calmo.
"Prendilo come un cortese avvertimento."
Blake non riuscì a trattenere un sorriso e osservò il letto del fiume, "No, non sei affatto il tipo di Skyler." commentò.
"Non provocarmi, balancer..."
Caleb strinse i denti e lo guardò arcigno.
"Perché se no...?" rispose il ragazzo, piantandosi a qualche metro da lui.
I suoi occhi, fermi e intensi, si imposero su di lui, senza dargli tregua e posandosi sulle spalle come macigni che pressavano contro il terriccio bagnato.
Deglutì e gettò via aria secca dalle narici, "Non mi fai paura, B-273."
"Paura? Non l'ho mai citata, Caleb. Ne stiamo parlando solo adesso, grazie a te. È curioso come il subconscio spesso giochi questi scherzi."
"ADESSO BASTA!" sbottò lui, dando un calcio ai sassi, "Hai avuto la tua occasione, balancer. E l'hai buttata via. E se pensi di essere arrivato qui per distruggere la nostra tranquillità, allora sta certo che non mi ci vorrà molto per far mobilitare ogni contea contro di te!"
Tentò di controllare il respiro e sputò a pochi centimetri dai piedi di Blake.
"Questo è da parte della mia futura moglie." disse, prima di puntargli il dito "Prova ad avvicinarti a lei e giuro su Dio che ti farò a pezzi."
Si allontanò in fretta, risalendo la collina. Blake lo guardò sparire tra gli alberi, mentre il fruscio dell'acqua trasparente riprese possesso di quel raro paradiso.

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