• Capitolo LXXI •

Zorah sentì vociferare davanti al sentiero fangoso di casa e si affacciò alla finestra.

"Beh, arrivati." disse Caleb, infilando le mani dentro la tasca dei pantaloni.
"Ci vediamo." le rispose immediatamente Skyler, dirigendosi verso la porta.
"Sei ancora convinta di quello che hai detto?"
Il ragazzo rimase immobile davanti alla staccionata, attendendo una conferma.
Lei posò una mano sullo steccato del portico e si girò a guardarlo, "Certo." rispose, trattenendo in petto la tachicardia, "Ci vediamo domattina al lago, buonanotte."

Entrò, non curante della presenza di Zorah, e gettò al lato dell'ingresso dardi e arco. Era esausta e disfatta.
La donna le si avvicinò, stranamente silenziosa, scrutandola negli occhi.
"E... allora?"
"Allora cosa."
La ragazza slegò i capelli e sfilò rapidamente gli scarponi, dirigendosi verso la dispensa della cucina.
"Ti ho visto parlare con Caleb." insistette lei, con fare invadente.
"C'è un coniglio dentro al sacco che ho lasciato davanti la porta. Non è molto, ma meglio di niente." prese del pane e un vassoio con dentro qualche patata bollita, "Domani lo scuoio. Potremmo farlo alla brace."
Zorah tirò in su un sopracciglio e si mise seduta proprio davanti al tavolo in cui la ragazza aveva adagiato il suo pasto.
"...Quindi? Sai che non mollerò la presa fin quando non parlerai."
Skyler si sedette e iniziò a trangugiare voracemente la cena, come a voler affogare nel cibo quella frustrazione.
Buttò giù un grosso boccone e, dopo aver bevuto un sorso d'acqua, decise di farlo.
"Gli ho detto che lo sposerò."
La donna sgranò gli occhi e rimase turbata. Un breve silenzio si interpose tra le parole.
"Deve ancora farmi la proposta, in realtà." proseguì lei, fredda "Ma gli ho fatto capire che non dovrà temere di farlo."
"Non capisco..." disse lei, osservandola mangiare, "Perché lo stai facendo?"
Addentò una patata, senza guardarla negli occhi, "È una brava persona, l'hai sempre detto anche tu. So che potrà garantirmi un futuro, non è conveniente rimanere una donna sola in questo posto."
Si bloccò, con la forchetta ancora dentro al piatto, "E poi lui vuole dei figli. È un buon compromesso."
"Ma il matrimonio non è un compromesso, Skyler." la riprese lei, adesso seria e preoccupata, "È un unione che si fonda sul sentimento reciproco."
Portò il bicchiere alle labbra, "Che sia tu a farmi la morale è davvero un paradosso..." rispose, crudele.
Zorah reclinò leggermente la testa, indispettita da una tale acidità.
"A cosa alludi, Skyler?! Al fatto che sia stata una puttana?!" si alzò e la guardò con espressione ferita, "Sì, lo sono stata! Facevo l'amore per denaro, una volta. Ma non sposerei mai un uomo che non amo!"
"Avrò finalmente una famiglia e dei bambini!" ribattè lei, alzando a sua volta la voce.
"I figli non sono un fottuto passatempo! E DI CERTO NON RIEMPIRANNO IL VUOTO CHE STAI CERCANDO DI COLMARE!!!"

Quelle parole la colpirono dritta in petto, come migliaia di spilli che si infilzavano nella carne nuda. Si mise in piedi, facendo pressione con le braccia sul tavolo, e si attestò a un passo dalla donna.
"Mi dispiace... non volevo dirlo davvero." le disse, dispiaciuta, Zorah.
Gli occhi di Skyler si fecero lucidi di acqua salina, "Tu non hai idea di cosa significhi svegliarsi ogni mattina con la fottuta consapevolezza di essere stata dimenticata. E non permetto a nessuno di giudicare le mie scelte." scandì lentamente, mentre la voce tremava.
"So bene cosa hai passato, Skyler. Questo mondo è crudele. Abbiamo sofferto tutti..."
"Ma tu non hai mai amato come ho amato io."
Zorah soffocò una risposta sulle labbra e si ammutolì.
"Se ti chiedessi cos'è l'Amore, probabilmente mi risponderesti una scopata in mezzo al fieno." una lacrima scese giù dal viso, "Perché non sai... non puoi sapere cosa si prova quando anche solo una carezza ti scalda l'anima. Non hai mai vissuto il terrore che si prova nel vederti morire tra le braccia l'unico uomo che dà senso alla tua vita. E non sai di certo quanta gioia possa esploderti in petto quando capisci che non è finita, che lui è ancora lì, con te."
Prese un respiro profondo e strizzò gli occhi, "Non conosci la determinazione con cui sacrificheresti senza pensarci la Vita per lui, perché non hai mai stretto tra le braccia qualcosa che fosse più prezioso della tua stessa esistenza. E, poi, non sai nemmeno quanto è profondo il burrone in cui si cade quando ti rendi conto che queste sensazioni, che questo coraggio, quest'Amore... apparteneva solo a te. E non a lui."
Zorah deglutì e continuò a sostenere lo sguardo fisso di Skyler che, dopo qualche secondo, si allontanò, ansimando.
"Dopo un Amore così, non puoi amare più. Il mio cuore è completamente svuotato e annerito, Zorah." continuò, di spalle, "E mi dispiace se non comprendi la mia decisione, ma ho scelto così. Preferisco aggrapparmi al pensiero concreto di una famiglia, piuttosto che alle illusioni. Io non credo più a nulla."

***

L'insegna della locanda cigolava avanti e indietro, provocando un fastidioso suono metallico di lamiera. Blake spinse con la spalla la porta e fece lentamente ingresso nel locale, costatando, senza troppo interesse, che tutti i tavoli erano già stati occupati da volti grigi e silenziosi.
Avanzò verso il bancone, Connor lo vide arrivare da lontano e lo sguardo severo che gli rivolse manifestava il dissenso di ritrovarselo ancora una volta lì, come quasi ogni sera, pronto ad affogare nuovamente la stanchezza dentro a un bicchiere di bourbon.
Il ragazzo prese posto su uno degli sgabelli e accennò un saluto al vecchio.
"Il solito?" chiese lui, con una certa preoccupazione.
"No... vada per del gin, stavolta."
Un ragazzino sbarbato, poco più che diciottenne, uscì dallo stanzino adiacente la sala. Si arrestò improvvisamente quando vide il balancer, intento a scambiare qualche parola con Connor.
Blake, allora, spostò l'attenzione su di lui, squadrandolo con sufficienza.
"È il mio nuovo aiutante..." spiegò il vecchio, "Oggi è il suo primo giorno in prova."
Il ragazzino si tuffò, allora, di fronte a B-273, "È un onore conoscerla di persona, signore..." esordì, teso come una corda di violino, "In città tutti dicono grandi cose di lei."
"Ah, si? Ad esempio?" rispose lui, annoiato, mentre Connor gli passava il bicchiere.
Il giovane deglutì, interrompendo la nervosa parlantina.
"Beh... lei è il miglior... il miglior balancer di tutta Osmium."
Blake accennò un cinico sorriso, "Forse un tempo. Adesso passo le ore a guardare l'orizzonte dal mio ufficio. E, tra una pausa e l'altra, stabilisco chi debba vivere e chi no."
Lo fissò dritto negli occhi, con insistenza, ma il ragazzo non seppe sostenere lo sguardo.
"Ok..." intervenne Connor, spostandosi davanti al ragazzino, "Va a posare queste bottiglie vuote e poi tornatene a casa. Hai fatto un buon lavoro oggi."
Quando l'aiutante sgattaiolò silenziosamente via, gli lanciò uno sguardo di rimprovero.
"Ma sì, terrorizza anche lui. Tanto è solo il quarto che cambio questo mese."
Blake bevve un sorso, "Non è colpa mia se si rivelano dei mocciosi incompetenti."
Connor sbuffò e, istintivo, disse "Da quando Anderson non è più..."
Fermò, allora, le parole sul palato, accorgendosi della trasformazione con cui gli occhi di Blake avevano cambiato riflesso.
Il ragazzo strinse i denti e guardò il bicchiere, "Va bene così per stasera."
Tirò fuori dalla tasca cinque osms e gli stirò lungo il bancone.
"Non volevo dire quel nome..." rispose il vecchio, a bassa voce.
"Non fa niente, Connor." risolse freddamente, alzandosi dalla seduta.
Guardò, poi, in direzione del retro del locale, "Se non ti dispiace, vorrei andare a fumare."
"Ma certo... il portico è libero. Vai pure."

***

Quella breve pausa si rivelò essere, in realtà, una sosta di circa un'ora. Blake aveva fatto fuori più di dieci stecche, passando nervosamente da una sigaretta all'altra e dondolandosi su una vecchia sedia di legno, su cui Connor amava solitamente fare lunghi sonnellini.
La notte era avanzata velocemente e qualche goccia di pioggia iniziava a scendere dal cielo.
Il vecchio aprì la porta di rete e avanzò di qualche passo verso il ragazzo.
"Sapevo che ti avrei trovato ancora qui." gli disse, procedendo sul portico.
"Sono andati via tutti?" chiese Blake, osservando indistintamente davanti a se, mentre la cenere ricadeva sulle assi di faggio.
"Già..." il vecchio prese posto su una panca poco distante dal balancer e lo osservò, mantenendosi in silenzio per qualche attimo.

Connor era l'unica persona a sapere realmente come fossero andate le cose tra lui e la giovane. Il ragazzo, subito dopo il ritorno in città, gli aveva svelato che Skyler in realtà fosse ancora viva e che si trovava a Parabellum. Quando il vecchio aveva accolto bonariamente tali confessioni, si era ritrovato davanti un ragazzo sconvolto, a pezzi. Blake aveva appena scoperto di essere stato ingannato dalla donna che amava e aveva dovuto fare i conti con la terribile realtà di essere tutt'altro che simile agli altri terrestri.

Dopo lo stallo iniziale, il vecchio si rivolse al balancer.
"Ne vuoi parlare, ragazzo?"
"Di cosa."
"Lo sai bene."
Una nuvola di fumo bianco uscì dalla sua bocca, "Grazie dell'offerta, Connor, ma c'è già il dottor B. ad occuparsi di me."
"Ma lui è una macchina, mentre io sono un tuo amico." rispose lui.
Blake ruotò il capo a osservarlo, "Non dirlo mai più."
"Non mi fai paura. Ti conosco da una vita, non sono mica un ragazzino, buon Dio." replicò, con la severa austerità che caratterizza l'età avanzata, "Che cosa c'è che non va, Blake."
Il giovane deglutì e gettò la sigaretta oltre la tettoia, "È solo la noia che questa città lascia addosso. Nulla di più."
"Ti comporti come se non te ne importasse niente."
"Forse è proprio così, Connor." sgranchì il collo e si concentrò sul verso notturno di una civetta poco lontano, "A volte penso di scendere nel Sottosuolo."
Il vecchio lo osservò, spiazzato.
"Mi chiedo come mai potrei reagire... forse tirerei fuori la pistola e incomincerei a sparare all'impazzata o, forse, mi confonderei semplicemente tra la folla. So solo che il pensiero mi inquieta."
"E di questo ne hai parlato col dottor B.?"
"No..." reclinò lo schienale più in giù, "In fondo, è solo una macchina."
Accennò un sorriso verso il vecchio che durò solo pochi istanti, prima di tornare a incupirsi.
"Credo che godrei di quel caotico mondo, anche solo per poche ore." esordì poi, barricando gli iridi verso un punto nel vuoto, "Mr. Peace me ne ha parlato a lungo. Non ho idea di quante ore abbia speso per spiegarmi quale sia la vita laggiù e per quali motivi non sia ancora intervenuto contro."
Connor annuì, "Ti attrae l'idea di scenderci?"
"Solo se sapessi che andando lì potrei ancora sentire qualcosa." disse, infine, col fiato che si esaurì sulle ultime sillabe.
Strofinò, poi, gli occhi stanchi, "Credo che il gin non faccia per me, Connor. Inizio a fare discorsi inopportuni."

Il vecchio, pensieroso, rimase in silenzio. C'era qualcosa in Blake di poco coerente con quella che risultava essere la sua vera natura. Tra la languida oscurità della notte, gli era quasi sembrato un semplice ragazzo in preda alla malinconia e alla frustrazione, non lo spietato balancer che interpretava alla luce del sole e che, forse, gli avevano fatto credere di essere. Negli ultimi tre anni la sua personalità era stata ambigua, il suo umore altalenante. Pensò che, probabilmente, sarebbe stato un buon raro momento per porgli quella domanda.
"Pensi che sia ancora viva?"

Blake si destò dallo stato di paralisi in cui era caduto e guardò in silenzio il vecchio.
"Non lo so..." rispose.
Poi sembrò dire qualcosa, ma ci ripensò. Rimase, allora, muto e buttò giù il sapore amaro del tabacco.
"Sì... è ancora viva." rettificò, quasi con una nuova consapevolezza, come se quella connessione fosse sempre rimasta integra, "Ma non ti nego che, certi giorni, preferirei pensarla morta."

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