• Capitolo LXIX •


Tre anni dopo

...

Lo sguardo si perdeva tra gli edifici della capitale. Vette altissime di delirio e cemento che toccavano il cielo cupo e offuscato da nubi di pioggia imminente. Blake strinse tra i pugni la pelle nera dei manici della poltrona girevole e si rese conto che dal 42esimo piano non importava poi così tanto se il Sole fosse riuscito a sbucare via dalle condense grigie di acqua o meno. Le ore si sarebbero susseguite comunque, così come i minuti e, poi, i secondi. E, allo stesso modo, la vita. Pece nera in cui era confortante sguazzare.

Le porte del suo ufficio si aprirono, destandolo dai pensieri. Due guardie governative trascinarono a fatica un uomo fino al centro della sala. Si lamentava e piangeva allo stesso tempo, supplicando una pietà che non avrebbe mai visto.
"È lui?" chiese il ragazzo, tirando fuori dal cassetto della scrivania un pacchetto di sigarette.
"Sì, signore." rispose uno dei soldati, "Reato 133. Detenzione di lettere riportanti messaggi non conformi ai valori, spedite da un soggetto di sesso femminile."
"VI PREGO, NON FATELE DEL MALE!!!" urlò l'uomo, "LEI NON C'ENTRA!!!"
"Il nome della donna?" proseguì Blake, senza scomporsi.
"Le lettere non erano firmate, signore. La stiamo ancora rintracciando."
Il giovane accese una stecca e la portò alle labbra, "Lei come si chiama." disse, allora, rivolgendosi all'uomo.
"No... vi prego..." sibilò, straziato, lui.
"Non lo ripeterò due volte." lasciò che la cenere ricadesse lentamente dentro una ciotolina in marmo, "Voglio sapere il suo nome."
L'uomo strizzò gli occhi, rimanendo immobile e tremante tra le due guardie.
"Facciamo così..." si alzò dalla poltrona, lasciando che la sigaretta si spegnesse da sola nel posacenere, "Se non mi dici quel fottuto nome, prenderò a caso un bambino da quella piazza laggiù, la vedi?!"
Afferrò dal colletto l'uomo e lo tirò con violenza verso l'enorme vetrata, "Riesci a vederla da qui?! Sembra solo un puntino, ma ti assicuro che ci saranno decine di bambini in questo momento..."
Iniziò a singhiozzare, bagnando di lacrime il pavimento lucido.
"Ne farò portare uno qui e lo giustizierò davanti ai tuoi occhi."
"No..." sibilò lui.
"Un'anima innocente verrà sacrificata al posto della tua donna. Questa sarà l'ultima immagine che ti rimarrà sugli occhi prima di morire."
"E VA BENE!!!" rispose, allora, in preda allo sgomento, "VI DARÒ IL SUO NOME... OH, DIO! Perdonami..."
Lo lasciò andare, restituendolo ai militari.
"C-4855... questo... questo è il suo codice identificativo."
Blake tornò a sedersi e poggiò i gomiti sulla superficie del tavolo.
"L'amore è un inganno, C-7219. Te ne renderai conto quando domattina verrai condotto agli inceneritori. PORTATELO VIA!"
"NOOO!!! VI SUPPLICO!!!"
L'uomo tentò di dimenarsi con forza, mentre i soldati lo portavano a fatica via dalla sala.

Blake ruotò la schiena, nuovamente verso il panorama. Le nubi iniziavano a farsi più fitte.
"Camminai sotto la pioggia, tanto tempo fa." disse tra sé e sé, scartando tra le dita una nuova sigaretta, "Ma l'acqua è solo acqua e niente più."

***

"Che guardi?"
Zorah si rivolse alla ragazza con fare quasi divertito.
Skyler, seduta accanto alla piccola finestrella, osservava il cielo da parecchi minuti.
"Credo che si stia avvicinando un altro vortice."
"Sai che novità..." commentò la donna, asciugando frettolosamente dei piatti crepati ai bordi, "Fammi un favore, vai a chiudere nel pollaio le galline, non vorrei avere altri brutti scherzi. Le uova ci servono."
"Ci servirebbe anche della carne, Zorah." replicò lei, richiudendo la tendina e ruotando il busto verso la donna.
"Quante volte dobbiamo parlarne, Skyler?! Non uscirai nel bosco fin quando il tempo non si sarà dato una calmata. È troppo rischioso adesso!"
"È da una fottutissima settimana che non metto piede fuori! La caccia è la mia vita! O vuoi togliermi anche questa?!"
"Oh, quindi adesso cosa mi stai rinfacciando esattamente?!" Zorah gettò sul bancone lo straccio umido, "Che mi preoccupi per te?! Beh, perdonami Skyler, ma credo di tenere più io alla tua vita che te stessa!"
"L'ultima volta è stato solo un incidente..."
"Un incidente che ti stava quasi facendo ammazzare, però!"
La giovane deglutì e ripensò al brutto incontro avuto, due settimane prima, con una carovana di briganti. Avevano tentato di rubarle l'arco, il suo amato e fedele compagno di giornate. Poi, avevano cercato di stuprarla ma Skyler era ormai abbastanza forte e temprata alla dura vita che si respirava laggiù, da essere riuscita a fuggire, riportando solo qualche ammaccatura al volto.

Parabellum non era più una città governativa.
Mr. Peace aveva perso ogni sorta di autorità e controllo sulla metropoli da circa due anni. Il primo anno Skyler lo aveva trascorso perlopiù come un fuggitivo segregato in casa, privato di qualsiasi tipo di contatto con l'esterno. Zorah, ai tempi, era ancora fedele ai precetti che le aveva intimato di seguire il balancer, la mattina in cui era andato via. E così, aveva mantenuto quella labile promessa. Nessuno avrebbe dovuto sapere che la giovane era ancora in vita, la notizia si sarebbe sparsa velocemente in tutta la città e, infine, ad Osmium City.
Ma, dopo il totale collasso delle amministrazioni, i reazionari erano riusciti incredibilmente a prendere possesso della metropoli, istituendo un lungo periodo di anarchia in cui l'unica regola da seguire era la pura lotta per la sopravvivenza. La città si era decentralizzata verso le campagne e i boschi circostanti, dando vita ad uno stile di vita perlopiù rurale e povero come non mai. Gli uomini e le donne avevano ripreso la loro legittima umanità ed iniziato a creare famiglie, con un boom spropositato delle nascite. Ma, se da un lato, la normalità di una vita dignitosa sembrava in via di ricostruzione, dall'altro, violenza e barbarie si diffondevano a macchia d'olio. Senza salde istituzioni ed autorità, non vi erano leggi, né morale.
I vandali saccheggiavano le fattorie e violentavano le giovani donne, per il solo piacere di dare sfogo ai propri istinti, dopo anni e anni di privazioni e dittatura. Gli assassinii erano all'ordine del giorno e non esisteva alcuna forma di giustizia per le famiglie delle vittime, se non quella personale.

Durante i due anni di anarchia, Skyler era profondamente cambiata, diventando più arida e, a tratti, più dura nei confronti del mondo che la circondava. Aveva perso anche il più piccolo briciolo di fiducia nei confronti degli uomini e il suo animo si era inasprito così tanto da sviluppare, nel corso del tempo, un'innata passione solo verso la caccia e il suo arco, che aveva pazientemente costruito durante il primo anno passato chiusa in casa.

Quest'ultima somigliava più che altro a un vecchio alloggio di pietra e legno, circondato da campi coltivati e terreno fangoso. Disponevano di una piccola stalla, niente di più che pochi metri quadrati adibiti al riparo di due mucche da latte e qualche pollo. L'essenziale per tirare avanti quando la caccia risultava impraticabile e il raccolto si dimostrava scarso.
Era una vita semplice e dura allo stesso tempo, fatta di stenti e sacrifici. Ma le due giovani donne avevano imparato a conviverci e, facendosi forza l'una con l'altra, erano riuscite ad andare avanti e a costruirsi nuove identità e nuove vite.
Nonostante ciò, un'ombra gravava sempre sulla testa della ragazza. Un dolore mai del tutto assopito che, sporadicamente, riemergeva nell'anima. Non ne parlava mai fino in fondo e quasi era riuscita a convincersi di averlo superato, di aver gettato per sempre nel cassetto dei ricordi il viso di Blake, i suoi lineamenti, il colore lunare della sua bianca pelle. Tutto, adesso, le sembrava solo il pallido ricordo di una vita mai realmente vissuta. Eppure, ogni tanto, guardando il cielo, una parte di sé volava via e si posava sul pensiero di lui.

Durante il primo anno di permanenza a Parabellum, le immagini e i fatti principali della capitale furono regolarmente trasmesse nella città periferica. Skyler lo intravide due o tre volte, di fronte alle telecamere di Stato. Parlava ai microfoni, con decisione e distacco, di come le risorse di Osmium stessero crescendo e la tecnologia migliorando. I primi mesi pensò che fosse una copertura, un modo come un altro di non dare dell'occhio. Era convinta che di lì a poco sarebbe tornato a prenderla, non c'era motivazione più forte che le facesse aprire gli occhi al mattino. Ma, col passare dei giorni e dei collegamenti, iniziò a notare che qualcosa non quadrava. Blake aveva un'espressione diversa, così come cambiati sembravano essere i suoi occhi. Non riconosceva più, in quelle immagini, l'uomo che le aveva sussurrato di amarla, quella notte di Luna, a un passo dal lago di Axor. C'era qualcosa di diverso in lui, la luce sul suo viso si era come di colpo spenta.
Capì, allora, ciò che forse si era ostinata a ignorare per troppi mesi: lui non sarebbe tornato, non avrebbe mai più mantenuto quella promessa. L'aveva abbandonata al suo destino e non vi era cosa più crudele al mondo di quella, tra i pensieri di Skyler. Per intere settimane si rifiutò di assistere ai collegamenti in diretta di Osmium City. Non voleva più saperne nulla di lui, anche solo guardare il suo viso attraverso uno schermo le provocava un tale rancore da bruciarle quasi lo stomaco. Il dolore e la delusione erano troppo forti, non l'avrebbe mai perdonato.
A facilitarle le intenzioni fu, in seguito, la disfatta del potere sulla metropoli. I collegamenti con la capitale furono bruscamente interrotti e le immagini di Mr. Peace e Blake furono date alle fiamme, insieme alle effigie di Stato.

Erano più di due anni che non vedeva il suo viso, pensò di sfuggita, mentre usciva sul cortile, avvolgendosi a una mantellina che aveva lavorato con le sue mani. Il vento diventava sempre più forte e il pensiero fugace di Blake le fece perdere per qualche istante l'equilibrio. Si sentì una stupida, ma ogni tanto la mente viaggiava incontrollata su ricordi e immagini che irrompevano come flash improvvisi davanti agli occhi.
"Skyler, sbrigati! Il tornado si sta avvicinando! Dobbiamo chiodare le finestre!" le urlò da dentro l'abitazione Zorah.
"Si..." sibilò lei, ricomponendosi e correndo verso il pollaio.
Agitò velocemente le braccia, facendo svolazzare le galline verso le gabbie.
"Forza... su!" diceva, rinchiudendo finalmente l'ultimo pennuto, mentre il vento le scomponeva violentemente i lunghi capelli.

Rientrò in casa, infreddolita, e gettò su una poltrona mezza scucita la sua mantella.
Osservò, allora, la donna che si era premurata di preparare le assi per le finestre.
"Mi dispiace per poco fa..." le disse, aiutandola ad alzarne una, "Sono stata una stronza, come sempre."
"No, a volte sei anche gentile." replicò la donna, abbozzando un sorriso, "Forse mi preoccupo troppo per te... è solo che non voglio perderti, Skyler. È questo che significa voler bene... fare di tutto per non perdersi."
La ragazza la guardò negli occhi, con un velo di tristezza, "Già...", bloccò in gola un nodo di dolore e sorrise, "Dai, occupiamoci dell'ultima finestra." le disse, cambiando tono, "Prima che questo tetto voli via."

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