9. La scena del crimine

Tredici febbraio 2017

Casa di Sebastian e Rose Gills.

Ore 11:00

«Perché continui a star zitto? Sebastian, è arrivato il momento.» insistette la donna chinando il viso verso quello del marito che persisteva a tenerlo basso. Lo sfiorò con la mano e spinse il mento delicatamente per fargli riprendere la posizione naturale e poterlo osservare dritto negli occhi. Lei annuì, invitandolo, ancora una volta, a parlare.

L'uomo sospirò, prese coraggio: «Era un lunedì di dicembre del 1996...»

Venti anni prima: due dicembre 1996

Casa Rocher

Hay River, Canada

Ore 22:50

«Sebastian, presto, vieni con me, i vicini dei Rocher hanno chiamato, hanno sentito degli spari!» urlò Jhanson, collega e amico del Gills.

«Santo cielo, andiamo!» rispose.

I due, dalla centrale, si diressero verso casa Rocher, superando ogni limite consentito di velocità, a sirene accese e con l'animo in gola.

Quando i poliziotti arrivarono sulla scena del crimine, ciò che videro fu inquietante: il nulla. Non c'era gente fuori a curiosare, non c'erano faretti accesi, tutte le case stavano al buio, all'infuori di quella dei Rocher, sembrava non si muovesse una foglia; come se il tempo si fosse fermato, tutto era immobile e silenzioso.

Sebastian e Jhanson si scambiarono un'occhiata prima di scendere dall'auto e pian piano si diressero verso l'entrata, passando per il campo di spighe. Il piccolo percorso di cemento era ancora fresco e se ne accorsero per via dell'odore aspro che esso emanava. Appena arrivarono avanti il portico, finalmente un uomo si avvicinò, l'unico ad averne il coraggio: il signor Jackson.

«Ha dato lei l'allarme?» chiese Jhanson all'uomo.

Egli annuì, come se gli mancassero le parole. Il poliziotto, dai grandi baffi scuri e quasi calvo, gli posò una mano sulla spalla: «Torni a casa, verremo noi a farle qualche domanda.» continuò.

L'uomo, ormai anziano e curvo, si addentrò tra le spighe per sparire nel campo.

I poliziotti, con le pistole in mano, entrarono in casa. Il silenzio era tombale, una lampadina, quasi fulminata, a intermittenza emanava luce soffusa nel corridoio. Tutte le porte delle stanze erano aperte, all'infuori di una, che sembrava chiusa a chiave. Jhanson provò ad aprirla, ma dei piccoli gemiti in lontananza attirarono la loro attenzione. Camminarono furtivi per il corridoio fino a intravedere il ragazzo, in piedi, di fronte la porta del bagno, spalancata.

«Phill» chiamò delicatamente Sebastian, alzando il palmo della mano verso il giovane e puntando, con l'altra mano, la pistola nella stessa direzione. Lo conosceva bene, uno dei tossici del paese che a volte dava problemi.

Il diciottenne teneva una pistola in mano, che però gli pendeva per lungo al torace, sembrava poco chinato su se stesso e teneva l'altra mano sul petto, come se non riuscisse a respirare bene, piangeva e sussurrava: «Mamma, mi dispiace.»

«Phill, butta la pistola...» consigliò dolcemente Sebastian. «Coraggio, ragazzo, non vogliamo farti del male.»

Phill alzò di poco la testa e osservò i due uomini che, con gesti lenti e pacati, continuavano a fargli segnale di buttar via l'arma. Il ragazzo faceva grandi respiri, come se tentasse di calmarsi; il suo viso era stanco, pallido e a tratti ceruleo, un occhio nero e gonfio, le labbra spaccate da cui aveva perso del sangue. Quel liquido scarlatto aveva macchiato maglietta e parte superiore dei pantaloni chiari. I suoi boccoli, intrisi di sangue, gli cadevano sulla fronte e sulla guancia incavata; i suoi occhi, dalla sclera giallognola, sembravano spenti e calanti.

«Phill... maledizione, butta la pistola!» ripeté con più foga Sebastian.

«Ti prego, Phill, ascolta Sebastian, non costringerci a spararti, ti prego, pensa a Bert, mio figlio, il tuo grande amico... Ne morirebbe se ti vedesse in questo stato...» lo supplicò Jhanson.

Fu allora che Phill sembrò destarsi dai suoi pensieri. Alzò di poco il braccio, osservando l'arma, con uno scatto veloce, tirò la pistola ai piedi dei poliziotti.

Mentre Jhanson si avvicinò rapidamente al ragazzo e lo ammanettò, Sebastian tolse le pallottole rimaste dalla pistola del giovane ed entrò in bagno.

Ada, la madre, era riversa dentro la vasca da bagno, completamente nuda e coperta dall'acqua trasparente e senza alcun tipo di schiuma. Dai bordi, le braccia fuoriuscivano e una pendeva fino a sfiorare il pavimento. La testa, chinata sulla spalla, si intravedeva già entrando dalla porta. La cosa strana era che i capelli erano madidi, come se fosse stata immersa e il viso era striato di sangue. Era evidente che fosse stato trasferito e che non le appartenesse, non aveva ferite di nessun genere. Le poggiò due dita sul collo, sulla vena arteriosa, ma ovviamente non vi era più battito.

«Devi venire fuori! Subito!» urlò Jhanson con voce affannata per la corsa fatta.

«Che succede?» chiese l'altro confuso.

I due corsero fuori e Sebastian rimase esterrefatto da ciò che stava accadendo. Tutti i vicini erano ammassati lì fuori, tentando di capire cosa fosse successo. Incoraggiati dalla presenza della polizia uscirono tutti, illuminando ogni casa internamente ed esternamente. Una mandria di giornalisti curiosi aveva già creato formazioni a squadre di inviati e tecnici per saperne di più e scoprire chi avesse ucciso chi... L'auto della polizia era stata accerchiata dai fotografi nel momento in cui Jhanson aveva rinchiuso lì dentro il ragazzo.

«Chiedi rinforzi, io torno dentro e fai smettere i fotografi di accecare con quei flash il ragazzo!» ordinò Sebastian.

Percosso da una strana sensazione, ripassò davanti quella porta chiusa, ma tornò indietro e la scaraventò, a colpi di spalla, a terra. Come se portasse a una cantina, scese i gradini di legno robusto, fino alla fine e con velocità. Ma lì sotto non c'era affatto un seminterrato, era solo una stanza vuota, buia e fredda, senza mobili né elettrodomestici, solo quattro pareti di cemento armato e una piccolissima lampadina al tetto, che illuminava flebilmente la stanza. Un corpo, al centro, a pancia in giù, era adagiato sul pavimento.

Il poliziotto si avvicinò al cadavere, il quale teneva la faccia voltata di lato, o perlomeno... ciò che ne restava. L'uomo era stato colpito da una pallottola al centro della faccia, poggiata su una grossa pozza di sangue e materiale cerebrale sparso. Il resto del corpo sembrava non essere stato colpito, ma i vestiti erano sporchi di fango.

«Sebastian, siamo arrivati», disse uno dei quatto poliziotti, che si sporse dalla porta, arrivati per aiutare i colleghi.

«Bene, qui c'è un corpo, scendete, occupatevene voi, io faccio l'ultimo giro per la casa», ordinò l'uomo risalendo dai gradini.

Sebastian teneva una bruttissima sensazione dentro di sé. Percorrendo i corridoi del piano notte, sentì degli scricchiolii arrivare da dentro un armadio a muro. Aprì lentamente l'anta, mantenendo tesa la pistola, l'unica che potesse difenderlo da altri ipotetici aggressori. Ma appena la visuale si fece più chiara, di fronte a sé vide una giovanissima ragazza, da strani capelli colorati di viola e dal viso madido di lacrime. Sebastian affondò la pistola nella fondina e aiutò la ragazza a uscire di lì: «Tesoro, che ti è successo, cosa hai visto? Phill ti ha fatto del male?»

Ma la ragazza non rispondeva, sembrava essere sotto shock. Il poliziotto, da ciò che aveva trovato nella stanza accanto quella patronale, aveva capito che era anche sotto effetto di stupefacenti.

Quando uscì dalla casa, accucciando con un braccio la ragazza, riuscì a farsi spazio tra i giornalisti, affamati per lo scoop, e aiutò la giovane a salire sulla volante dei colleghi appena arrivati.

«Portatela in ospedale!» ordinò, poi, rivolgendosi a lei, chiese: «Come ti chiami, cara?»

«Melissa...» bisbigliò, alzando la testa verso l'uomo in piedi accanto lo sportello.

«Ti chiami così?», insistette, ricordando vagamente che i Rocher avessero una figlia ancora piccola, lungi dal poter essere lei per l'età che mostrava.

«Sarah... Il mio nome è Sarah. Trovate Melissa, è scappata nel bosco.» continuò balbettando.

«Hai un bellissimo nome, Sarah. Sta' tranquilla, cercherò io stesso la bambina.»

Quando Sebastian stava per chiudere lo sportello, la ragazza iniziò a ridere sguaiatamente e ripeté una frase insensata per tre volte.

L'uomo, seppur particolarmente provato, si diresse dietro le terre dei Rocher, punto in cui iniziava il bosco. Ma quella zona era troppo buia e, dai walkie talkie, chiamò aiuto.

Servirono quindici poliziotti e venti volontari per controllare, con l'ausilio delle torce, quella parte di bosco, ma Sebastian fu fortunato: dopo neanche mezz'ora dall'inizio delle ricerche, scorse una sagoma di bambina, seduta a terra con la schiena poggiata sul tronco dell'albero, le braccia sulle ginocchia e la testolina adagiata su di esse. Da una mano pendeva una bambola di pezza, dal vestito verde e con un solo occhio. La bambina aveva sugli abiti degli schizzi di sangue, Sebastian capì subito, per la formazione delle gocce, che anche in quel caso, il sangue non era, fortunatamente, suo.

«Tesoro, sei sola qui?», chiese l'uomo aiutandola ad alzarsi.

«No, c'è Rachel» disse la bimba alzando il braccio e mostrando la bambola.

Il poliziotto sorrise: «Piacere, Rachel, io sono Sebastian.» affermò con tono elegante, stringendo il braccio di pezza.

La piccola Melissa afferrò la grande mano del poliziotto, alzò il viso per osservarlo negli occhi e sussurrò: «Signore, è stato mio fratello.»

Tredici febbraio 2017

Casa di Sebastian e Rose Gills.

Ore 11:30

«Mi dispiace, tesoro, per ciò che hai dovuto vedere in quella casa» disse la donna, mentre accarezzava il marito. L'uomo perpetuò il silenzio. «Ricordo che la portasti da noi quella stessa notte chiedendomi di farle fare un bagno e di darle del cibo, io ero già a letto e mi svegliasti per questo motivo. Che tenerezza provai per quella dolce bambina!»

«Sei stata bravissima anche nel risolvere tutti i problemi e gli intoppi per l'adozione. Non hai mai permesso che ce la portassero via.» rispose Sebastian, abbracciandola.

«Tesoro mio, chissà quanta sofferenza ha dovuto subire prima che venisse ad abitare da noi!» sussurrò la donna, ancora provata.

«Una sofferenza che colpì tutti, Jhanson morì d'infarto dopo pochi giorni, ricordi? Che strana la vita: Bert e Phill, due diciottenni, due ragazzi con una vita davanti, uno entra in prigione e l'altro nell'accademia di polizia per prendere il posto di un padre morto a causa dell'amico! Due strade parallele che si dividono per vie opposte. Un disegno della vita parecchio strano, non credi?»

«Chi sarà adesso?» chiese la donna, sentendo il campanello suonare.

Facendosi forza sulla spalla del marito, la donna si alzò dal divano dirigendosi all'entrata, aprì la porta...

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