25. L'assoluta verità - prima parte

Ventisette febbraio 2017

Casa Rocher

Ore 11:15

Trovarsi tutti sotto lo stesso tetto era strano. Sarah era entusiasta, mentre tutti gli altri sembravano a disagio, un po' confusi. La visione di una grande famiglia felice sembrava, fino a qualche giorno prima utopia, invece La famiglia Gills e i Rocher erano insieme, seduti allo stesso tavolo in cucina.

«Perché non volevi che scoprissi la verità? Avrei capito che lo facevi per proteggermi, che volevi a tutti i costi evitare che papà mi facesse del male... Ti avrei sostenuto, sarei venuta a trovarti in carcere, ti avrei amato... Avresti dovuto dirmi tutto!» mormorò Melissa al fratello.

L'uomo annuì: «Hai ragione, avrei dovuto... Scusami.»

«Io direi che serva un'ora piena per cucinare per così tante persone e ormai siete qui, non potete declinare l'invito» esultò Sarah.

Jinger e Rose si scambiarono uno sguardo e, mettendosi in piedi, affermarono di volerla aiutare.

Nonostante tutto fosse chiarito, Melissa aggrottò la fronte, un po' confusa. La visione di Rose, Jinger e Sarah assieme, mentre preparavano il pranzo non le sembrava reale. Fino al giorno prima credeva il fratello colpevole, mentre in quel momento era quasi naturale per loro condividere pentole e ortaggi, come se tutto ciò che era capitato fosse stato vissuto in un'altra vita o da terze persone. Melissa si alzò, osservando il padre e Phill parlare di quanto fosse venuta bene la ristrutturazione della casa. Iniziò a passeggiare per la cucina e si diresse fuori, sul portico.

Un flash sulla sua vita passata si fece strada: lei che da bambina giocava in mezzo alle alte spighe, mentre Phill e Bert la seguivano. Risate e felicità erano vivide nel ricordo di Melissa che, continuando a osservare il campo, sorrise.

Era una delle pochissime volte che aveva ricordi sereni della sua infanzia.

«Tesoro, va tutto bene?» chiese Rose raggiungendola.

«Credo di sì, mamma... Mi sembra strano, ma sì!» disse sorridendo.

«Bene, vado in macchina a prendere la borsa. Sono la solita sbadata, l'ho dimenticata lì dentro.» spiegò Rose, scuotendo la testa. «Sto rimbambendo!» continuò mentre si allontanava.

Melissa entrò in casa e, vedendo che tutti erano impegnati tra il cucinare e il chiacchierare, salì le scale per andare al piano di sopra.

Rose aprì la portiera e perpetuò il suo movimento con la testa, ancora sorridente, per essersi resa conto di quanto fosse ormai inavveduta. Nell'afferrare una maniglia della borsa, essa si aprì e la donna notò la lettera che aveva portato con sé. Alzò lo sguardo verso la casa, si sedette in auto e pensò di dare una sbirciata a quella lettera. "Ma sì, a questo punto voglio conoscere ciò che c'è scritto, non si accorgeranno nemmeno della mia assenza!" pensò tra sé.

Mentre la donna scartava la lettera, Melissa entrò nel bagno del piano di sopra e, vedendo la vasca in cui trovarono il corpo della madre, strizzò gli occhi più volte perché all'improvviso le apparve di fronte come in un brutto sogno. Ma non era un incubo, faceva parte della realtà di venti anni prima... Era il ricordo della madre senza vita.

Come una video-cassetta riportata velocemente indietro, la ragazza cominciò a ricordare gli avvenimenti dal primo dicembre 1996, il giorno prima del delitto.

Rose, nel frattempo, iniziò a leggere quella lettera. Passò le dita sulle prime righe: "Questa notte ho sognato tutto ciò che ci è capitato e non so perché ho bisogno di metterlo nero su bianco, mi sento che questo è l'unico modo per esorcizzare i miei demoni, non so neanche se te la spedirò, ma devo scrivere tutto per stare meglio!"

Tutta la seconda parte era bruciata e arsa dal fuoco, all'infuori dell'ultima frase, con cui Phill chiudeva la lettera, ancora chiara ed esplicita. Ma presa dalla curiosità, continuò a sfogliarla, inconsapevole di star leggendo parole che raccontassero ciò che contemporaneamente la figlia stava vedendo nei suoi più oscuri ricordi.

VENTI ANNI PRIMA

Hay River, Canada

Casa Rocher

Primo dicembre 1996

Melissa giocava nel campo, passò sul cemento fresco lasciando le sue impronte.

«Maledizione! Sei sempre la solita peste, avevo lavorato duro per fare il viottolo di cemento. Ti meriti una lezione!» urlò il padre togliendosi la cinta dai pantaloni mentre si dirigeva verso di lei.

Phill era alla porta, quando Melissa correndo dal portico gli si gettò addosso per abbracciarlo.

All'inizio il fratello, più grande di lei di dodici anni, sembrò ricambiare l'abbraccio per pochissimi secondi, per poi spingerla improvvisamente, e con forza bruta, verso la parete laterale. La piccola, sbattendo prima la schiena e poi la testolina, cadde sul pavimento intontita. Dei grandi piedi, coperti da stivali di gomma, pestarono la sua bambola di pezza. La piccola alzò gli occhi e vide il fratello scaraventato sulla parete opposta, da quel padre violento che lo stava picchiando a morte con la cinta. Quell'uomo rude aprì la porta della cantina, una stanza buia e vuota in cui il padre portava sempre Phill per picchiarlo.

Osservando il viso di Rachel, la bambina riuscì ad afferrarla e scappò. Salì i gradini di legno fino al piano di sopra, si diresse nella stanza da letto, dove la madre era a letto.

«Mamma... svegliati, mamma...» la chiamava la piccola Melissa.

«Cosa c'è?» chiese la donna voltando e strisciando lentamente il suo corpo tra le lenzuola. «Lo sai che non mi devi svegliare, la mamma sta tanto male!» disse strascicando le parole. Vide la donna stirare il braccio, afferrare una boccetta di pillole e ingoiarne tre. Ricadde in un sonno profondo. La bimba sentiva in lontananza ancora rumori e urla, delicatamente entrò tra le lenzuola e si accostò alla donna dormiente. Si coprì interamente con la coperta, mentre ancora tremava dalla paura. Melissa strinse Rachel a sé, l'unica cosa che la facesse sentire al sicuro, anche più di una madre che non si accorgeva nemmeno della sua presenza.

Dopo circa un'ora il lenzuolo si mosse, spaventata, Melissa, stringeva la sua Rachel, quando scorse gli occhi gonfi e insanguinati del fratello. La prese in braccio e l'abbracciò nonostante il dolore alla schiena e all'addome.

«Nessuno ti farà mai del male...» sussurrò Phill.

Più volte la madre si mosse, facendo un piccolo stridulo con le lenzuola.

Si voltò osservando i figli, l'una addosso all'altro. Si mise in piedi, con lo sguardo completamente assente, senza dire nemmeno una parola, iniziò a vagare per il piano, sembrava fosse senza una meta.

Ancora insanguinato, Phill, debole e provato, teneva tra le braccia la sua piccola principessa, che non avrebbe mollato per nessun motivo al mondo.

Scese malamente i gradini e diede un'occhiata preoccupata a quella porta, fortunatamente chiusa in quel momento, dello scantinato. Il padre era lì dentro, Phill doveva sbrigarsi a oltrepassarla per portar fuori Melissa.

Mentre passarono davanti la porta, dei lamenti e dei rumori gutturali provenivano dall'interno. Il ragazzo si fermò: il padre, all'interno della stanza dei dolori, non era solo. Quella volta però, non stava picchiando nessuno, anzi, quegli strani rumori e quei bisbigli non erano che di piacere. Phill si girò verso le scale sentendo dei passi, vide la madre scendere e, percependo anche lei quei versi di passione e piacere, si scaraventò contro la porta, chiusa a chiave, prendendola a pugni e pedate.

Phill spinse la testolina di Melissa verso il suo collo, per non farle vedere ciò che stava accadendo e corse via, per i campi, con lei ancora in braccio e in sottofondo le urla disperate della madre.

Corse... Corse come un disperato fino ad arrivare in casa Jhanson.

«Aiutaci...» sussurrò Phill, appena, l'allora giovanissimo e suo migliore amico, Bert aprì la porta.

Il ragazzo annuì e portò con sé, nella sua stanza, la piccola Melissa.

«Adesso giochiamo con la scatola magica!» disse Bert, cercando di far alzare l'umore alla bambina evidentemente scossa.

«Sì!» urlò lei di gioia.

Bert muoveva quelli che sembravano essere pupazzi. I rigidi fili argentati erano collegati ai piedi, alle mani e alla testa delle marionette e, grazie a quelli, Bert riusciva a muoverli dietro il telo.

«Una bellissima bimba, dai folti capelli scuri e lucidi, passeggiava nel bosco dietro casa...» raccontava il ragazzo, mentre la piccola Melissa portava felice le sue mani al petto e sobbalzava dalla poltrona a ritmo, presa dalla forte eccitazione. «Ogni volta che tornava a casa e passava avanti la porta del lupo, ella sentiva una forte paura.» continuò.

L'espressione della bimba variò da gioiosa a triste. Bert continuava a far passare i vari personaggi da dietro il telo; Melissa, angosciata, osservava l'ombra a forma di lupo.

«Piccola principessa, non devi aver paura del lupo, non è lui il vero cattivo, anzi è qui per proteggerti...» raccontava Bert.

Allora Melissa sorrideva, tornando a sentirsi al sicuro.

«Il vero mostro non ha scampo, perché il lupo lo mangerà...»

Rideva felice, ma poi si faceva cupa e borbottava: «E se riesce a prendere la piccola principessa?»

Allora Bert rispondeva prontamente: «Lei riuscirà a salvarsi!»

Il ragazzo sentì aprire la porta, Shona si presentò nella stanza di Bert.

«Melissa, ciao!» disse stupita la donna. «Sta diventando un'abitudine!» continuò rivolgendosi a Bert con tono sarcastico. «Devo andare dalla nonna, devo farle la notte! Torno domani sera sul tardi!» concluse.

«Anche la tua sta diventando un'abitudine! Papà è di turno stasera?» chiese Bert, causando un tic nervoso alla madre.

La donna strizzò gli occhi più volte: «Si! Torna domani sera... anche lui.»

Annuì più volte Bert e lasciò andare la madre, mentre si preparava a giocare ancora con la bambina.

Credeva che Phill sarebbe tornato a riprenderla poco dopo, ma il ragazzo, completamente fatto si addormentò a casa di Sarah, restandoci fino alla sera successiva.

Due dicembre 1996

ore 19:00

Fu quando la bambina chiese a Bert di Phill, che il ragazzo, notando l'ora, decise di riportare a casa Melissa. Si era occupato tutto il giorno di lei, l'aveva nutrita, l'aveva fatta giocare, le aveva persino fatto la doccia. Ma si era fatto tardi e non voleva che i suoi trovassero nuovamente la bambina a casa loro. Non voleva dare ragione ai suoi, che dicevano quanto Phill si approfittasse di lui.

Bussò più volte alla porta ma il silenzio era tombale. Melissa guardò in viso Bert e disse: «Il mostro starà giocando con la sua amica.»

Il ragazzo aggrottò le sopracciglia, confuso da ciò che aveva detto la bambina. Stava per chiederle spiegazioni, quando arrivò Phill.

«Che ci fai qui?»

«L'hai lasciata da me per due giorni quasi, non dirmi che sei di nuovo fatto!» esclamò l'amico preoccupato, mentre Phill apriva la porta. Sarah entrò e salì le scale rinchiudendosi nella stanza del fidanzato, a testa bassa, con lo sguardo completamente assente e il respiro incostante.

Bert scosse la testa: «Forse è meglio che la riporto da me!»

«No, lasciala me ne occupo io.» disse Phill prendendola per mano.

Quando l'amico si allontanò, Phill accompagnò Melissa nella sua stanzetta, promettendole di portarle un toast e un bicchiere di aranciata.

La bimba si posizionò sul suo letto, aspettando il fratello che tornasse. Cosa che non fece. Melissa aveva tanta fame, così lentamente passò avanti la stanza del fratello e aprendo di poco la porta, si accorse che era con Sarah e che aveva una siringa in mano.

Superò quella porta e sentendo il rumore dell'acqua dal rubinetto passò dal bagno e vide che la madre stava entrando nella vasca, dopo aver sfilato la vestaglia. Con movimenti lenti e goffi si rannicchiò all'interno portandosi una mano sul petto. Melissa iniziò a chiamarla, ma la madre non rispondeva. Chiuse a fatica il rubinetto della vasca e osservando il viso spento della madre iniziò a urlare il nome del fratello. Phill corse nel bagno, con ancora infilato l'ago al braccio, che per i movimenti bruschi, nel tentare di svegliare la madre, cadde in malo modo, facendo gocciolare un po' di sangue dal braccio di Phill. Quel liquido scarlatto si riversò, seppur in pochissima quantità sulla fronte della madre ormai deceduta.

«No!» urlò Phill nel capire lo stato della madre. Un grido disperato che destò l'attenzione del padre rinchiuso ancora una volta nello scantinato. Egli salì di corsa, nervoso e arrabbiato. Quando entrò nel bagno e si accorse della moglie, si voltò verso i due figli con un demone negli occhi...

«Che diavolo le avete fatto?» urlò scaraventandosi contro di loro. Senza pensarci due volte, li spinse con violenza a scendere le scale e aprì la porta dello scantinato. Aveva il fuoco negli occhi.

«Io vi ammazzo!» gridò.

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