13. La quarta lettera

Ventidue febbraio 2017

Casa di Sebastian e Rose Gills.

Ore 21:00

«Stai uscendo di nuovo?» chiese Sebastian, vedendo Melissa indossare il cappotto.

«Sì, papà, c'è Bert qui fuori.» rispose la ragazza, dopo aver baciato la guancia del padre.

Sebastian si affacciò e con sguardo minaccioso osservò Bert, che aveva ormai perso quello sguardo di sfida e acquistato la solita espressione da caro ragazzo. Fece qualche passo sul viottolo, ma fu fermato dalla moglie.

«Sebastian, torna qui!»

L'uomo sospirò e strofinando le mani sulle braccia incrociate, colpito dal freddo, rientrò.

«Non mi piace questa storia. Nasconde qualcosa quel ragazzo. Tutte quelle foto... dovevi vederle, facevano venire i brividi! Non era una ricerca, né un indagine. Lui la sta tenendo sotto controllo dal giorno dell'omicidio. Ci sono persino delle nostre foto, quando ancora l'avevamo appena adottata, Rose!»

«Credi ci sia qualcosa di losco in tutto questo?» chiese la donna preoccupata.

«Ne sono quasi certo.» disse l'uomo sicuro di sé. «Rose, su quella bacheca vi è una foto di Melissa avanti la lapide dei suoi genitori. Sapevi già che si recasse lì?» domandò l'uomo curioso.

«No. Mi ha sempre detto di non volerlo fare, che per lei solo noi siamo i genitori. Che di loro non ricorda nulla. A volte mi dà la sensazione che si rifiuti di ricordare...» spiegò la donna con tono calante.

«Tesoro, ricordi cosa mi dissero i vicini? La madre, Ada, era malata, mentalmente instabile, non badava ai figli... a quanto pare sin da dopo la nascita di Melissa. Magari è per questo che lei non ha ricordi dei genitori. Il padre era sempre a lavorare... Rose, che fai?» si interruppe Sebastian, notando la moglie accelerare i movimenti per prendere le lettere.

«Ne sono rimaste quattro da leggere, non so perché ma sento che qui troveremo le risposte alle nostre domande.»

«Sono stanco di...» iniziò Sebastian.

«Io le leggo, tu no?» chiese la donna, sfidandolo.

L'uomo sospirò e lentamente si sedette accanto la moglie, la quale aprì la quarta lettera.

«Riporta la data del ventisei novembre 2010, non è così?», chiese l'uomo facendosi un rapido calcolo.

«Sì... Sulla busta sì. Ma all'interno ha un'altra data... come per le altre.»

Sette febbraio 1998

Prigione di Puvirnituq, Nunavik.

Caro XXXXXX,

perdonami se non ti ho scritto per così tanti mesi, ma è successo un po' di tutto qui. Sono ancora vivo e questo è ciò che conta, ma restare in salute  dentro queste mura è veramente difficile. Mi hanno trasferito in un altra cella, sto in quella di Stallone. Ma tu sai già che è stato lui a fare in modo di avermi accanto! Non è così?  Ricordi che ho concluso l'ultima lettera scrivendoti che si erano aperte le celle e che questo accadeva quando Stallone, o uno dei suoi, voleva dare il benvenuto? Beh, quel giorno era per me, ma tu lo hai capito e ora ne sono certo.

Si sono presentati in quattro nella mia stanza. Stallone, i suoi tre bracci e, come se non bastasse, anche i miei compagni di cella si sono riuniti al festino. Mentre questi mi hanno sbattuto al muro e mi hanno tenuto fermo, i tre mi hanno pestato a colpi di pedate e a pugni in faccia. Stallone avrebbe dovuto darmi il colpo decisivo sul petto, tanto per farmi perdere coscienza e lasciarmi marcire lì per terra, ma, dopo avermi squadrato dalla testa ai piedi, ha esordito con un: «Lasciamolo perdere, un mingherlino come questo non avrebbe mai potuto ammazzare nessuno, mi fa quasi pena!»

Se ne sono andati, li sentivo ridere mentre ancora tentavo di alzarmi. Più mi muovevo più i dolori penetravano nelle ossa. 

«Vorrei capire quando smetteranno» ha detto Luk, la guardia. Ha sospirato diverse volte scuotendo la testa prima di aiutarmi ad alzarmi. Mi ha portato in infermeria, dove mi hanno curato le lesioni sull'addome e sul viso, completamente tumefatto. Non so come, avevo ancora gli zigomi e il naso intero, seppur pieni di ferite aperte. Qualche punto qua e là e mi hanno rimesso in sesto in venti giorni, dopo i quali ho scoperto che mi avevano cambiato di cella.

Appena Luk si è fermato avanti quella di Stallone, mi sono voltato verso di lui sconvolto e impaurito.

«Ti credevo diverso dagli altri, come puoi farmi questo!» ho esclamato. Luk però ha sorriso, mi ha dato una pacca sulla spalla dicendomi che tutto sarebbe andato meglio. L'ho guardato sempre più adirato e, allo stesso tempo, spaventato.

Stallone rideva, si è avvicinato a noi e, strattonandomi, mi ha spinto all'interno della cella.

Ho notato che i due si sono scambiati uno sguardo e Stallone ha chinato verso di lui la testa, come segno di ringraziamento credo.  Il terrore mi è salito fino sopra la testa. Ci fanno rasare ogni mese e quei pochi millimetri di capelli che mi uscivano dalla cute sembravano elettrizzati. 

«Ho sempre preferito stare in cella da solo. Sai... Qui dentro posso permettermi tutto, anche di essere l'unico ad avere una cella tutta per me, ma mi sono stancato a star solo...» ha detto mentre faceva avanti e indietro per la stanza. Io stavo ancora seduto sul letto, con le braccia conserte e la testa bassa, come un bambino tremante di fronte la sagoma di un mostro durante la notte. «Guardami... Ho detto guardami!» ha urlato. Pretendendo che io alzassi lo sguardo su di lui, mi ha messo una mano sotto il mento e lo ha spinto verso l'alto. Con i denti che sbattevano tra loro per la paura, rimasi fermo a fissarlo. «Come credi di poter sopravvivere qui dentro? Devi crescere, devi farti rispettare. Non uscirai vivo da qui se continui a farti pestare come un verme che striscia.»

Sono state queste parole a confondermi. Ho aggrottato le sopracciglia e l'ho osservato meravigliato, come se non stessi capendo ciò che voleva dirmi.

«Coglione! Ti sto dicendo che da adesso tu mi starai sempre accanto, che non andrai nemmeno in bagno senza di me, soprattutto se siamo in mensa o in cortile...»

Ho annuito ancora confuso.

«Ciliegia ha in mente di farti fare la fine di una formica, esattamente come ha fatto con quei ragazzi. Non ti sto aiutando perché mi fai simpatia, ma perché tu sei mio, fai parte del mio braccio e devo fargli capire che dalle mie parti comando io, non lui!»

«Quindi vuoi aiutarmi?» ho detto spiazzato.

«Sei duro di comprendonio! Certo che voglio farlo! E va bene, sarò sincero: non lo faccio solo per andare contro Ciliegia, ma perché conosco la verità sul tuo conto.»

Appena mi ha detto questa frase ho capito che dovevi esserci tu di mezzo. Sei stato tu a parlargli dopo che ti ho inviato l'ultima lettera, non è così?  Sei l'unico a sapere tutto, solo tu potevi fare una cosa del genere. Ma allora perché non mi hai mai risposto? Perché continui ad aiutarmi nonostante non vieni più a trovarmi come, invece, hai fatto i primi giorni?

Avevo deciso di non scriverti più, ma volevo ringraziarti. Da quando Stallone mi ha messo sotto la sua ala protettiva mi fa allenare con lui, il mio corpo comincia a prendere forma, i muscoli sembrano uscire pian piano e definirsi, ma cosa più importante... qui cominciano a temermi e mi lasciano in pace.

Mi fido solo di te, so che se a lui hai detto tutto è solo per aiutarmi, ma ricordati la promessa che mi hai fatto! Qualunque cosa accada non ne devi parlare con nessuno. Proteggila sempre, Melissa non deve conoscere la verità... Sarebbe troppo rischioso per la sua vita.

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