Terza Prova

"Siete sicura?" Le chiese iniziando, tuttavia, ad avvicinarsi al bel lenzuolo candido profumato di lavanda.

"Lo sono." Gli rispose lei con tono piatto, come se il dolore che di lì a poco avrebbe provato le sembrasse un semplice prezzo da pagare, una semplice offerta in cambio di qualcosa di migliore.
La donna cominciò a svestirsi e, quando i suoi piedi nudi toccarono le sporche mattonelle del pavimento, un brivido percorse la sua colonna vertebrale accapponandole la pelle.
Da dietro l'unica arrugginita finestrella presente nella stanza, riusciva a scorgere l'incessante battere della pioggia e si sentì patetica davanti a quella doccia purificatrice che stava lavando la sua città.
L'uomo, intanto, la guardava in estasi esaltandosi per il colorito pallido della donna, per le sue curve morbide e per il calore con cui di lì a poco, era certo, sarebbe entrato in contatto.
La donna scoccò un'occhiata severa all'uomo in trepidante attesa di poterla finalmente toccare, il quale stava già indossando i suoi amati guanti in lattice.
"Alexandra Blake" la chiamò e lei si irrigidì sul posto al suono di quel nome.
Il cuore batteva ad un ritmo più veloce ed il suo sguardo torbido come il cielo in quel momento vagava, adesso, in un costante stato di preoccupazione per la spoglia stanza.
Vi era un tavolo metallico coperto da un lenzuolo, i suoi strumenti, una sedia, vecchi libri ammucchiati sul pavimento e coperti da un non indifferente strato di polvere, muffa su pareti grigie ed alcuni scarafaggi morti sul pavimento bianco. Ignorava volutamente cosa si trovava dietro di lei.
Alexandra provò un moto di disgusto nel vedere uno di quegli scarafaggi avvicinarsi a lei e per un attimo pensò che non fosse poi una così buona idea l'essere lì.

"Alexandra Blake." Ripeté l'uomo, il quale aveva la sensazione che più ripetesse quel nome più dolce e perfetto gli sembrasse.

"Alexandra" disse nuovamente "Vieni qui." Le ordinò e picchettò leggermente con due dita sul tavolo in metallo.
Il rumore prodotto le graffiava l'animo.

"Come conosci quel nome?" Gli chiese, allora, lei dimenticandosi perfino delle sue regole:
- Non chiedergli qualcosa;
- Non fissarlo per più di tre secondi;
- Dargli sempre del voi;
- Non toccarlo.

Ma il panico che le scorreva veloce in corpo come la linfa rossa nelle vene, l'aveva resa più intrepida e sprezzante della pericolosità dell'uomo che le stava di fronte. Sapeva bene, tuttavia, che quella stessa linfa rossa tra poco avrebbe macchiato il lenzuolo.

"Non è un segreto quel nome" ridacchió l'uomo, alzando lo sguardo dal tavolo alla donna, forse incuriosito dalla sua domanda.
"Ciò che più amo di voi è l'espressione di panico che vi si dipinge in viso non appena siete posti davanti al vostro destino.
Non sei la prima, Alexandra.
Tutti coloro che vengono da me hanno un segreto, sai?
Si affanano tanto per cercare di nasconderlo, non comprendono che anche affrontare il proprio segreto faccia parte del servizio da me offerto, Alexandra.
Il tuo segreto è il tuo nome stesso. Il tuo segreto sei tu.
Un nome ed un corpo così vecchi da far vagare la mente nei ricordi, in un periodo migliore e farci consumare dalla nostalgia.
Ti adoravano, sai?
Eri innalzata a dea... spiegami, dunque, perché l'hai fatto.
Alexandra Blake perché hai deluso molti uomini?!"
Alexandra, intontita dalle parole acerbe e dirette dell'uomo, non disse nulla e cadde nei ricordi come la pioggia cadeva sulla strada sporca di quella traversa: si schiantò completamente in quel mondo offuscato, fatto di piaceri, luci e colori che per anni l'aveva inghiottita e consumata fino quasi a portarla alla morte.
Un singhiozzio uscì dalle sue labbra rosee che molti giovani avevano sognato baciare, ma che adesso erano secche e screpolate dal freddo.
La sua vita era caduta in una spirale di vizi in cui alcool, feste e droga tenevano tesi i fili del suo destino. Una marionetta guidata dai vizi che ridevano della sua idiozia, della sua debolezza.
Una marionetta alla continua ricerca del piacere, della soddisfazione della carne. Soddisfazione inesistente, tuttavia. Si era ben resa conto come non le bastasse mai: più ne aveva e più ne voleva.
Quel desiderio l'aveva portata alla follia, aveva tormentato i suoi pensieri la notte e straziato il suo animo di giorno, nella continua corsa che era diventata la sua vita.
Velocità... adesso odiava quel termine.

L'uomo le si avvicinò e poggiò le mani sulle spalle curve di Alexandra che ormai piangeva inconsolabile ed ecco che un'altra regola era stata infranta.

Lo chiamavano Mani di Ghiaccio ed adesso lei capiva perché, anche se probabilmente non era per lo stesso motivo a cui si riferivano gli altri.
Alexandra percepì il suo tocco freddo e lo paragonó a quello della morte.
Ma lei non era lì per morire, no.
Non aveva alcuna intenzione di piegarsi, infatti adesso era lì davanti quell'uomo freddo perché il suo potere era completamente opposto: lui donava la vita.
In realtà non si trattava propriamente di un regalo gratuito poiché lui non donava la vita in sé, come potrebbero fare una madre ed un padre, lui la riciclava.
Utilizzava la vita di altri per i suoi clienti e ne traeva guadagno.

Ricordava bene la prima volta che si erano incontrati e che l'impressione che lui le avesse dato non fosse delle migliori. Di lui, quel giorno, non aveva visto nulla. Avevano parlato seduti ad uno sgangherato bar del quartiere più malfamato e lui si era presentato con un mantello a coprire il suo corpo ed una maschera a nascondere il suo viso.
Non si erano stretti la mano, lei gli aveva detto cosa volesse e lui aveva annuito.
"Ricicla la mia vita." Gli aveva ordinato senza troppi preamboli.
"Non voglio morire. Ma così come sono adesso sono inutile, sbagliata, una falla nel sistema perfetto di vite creato da tutti. Magari potrei essere utile ad altri..." Aveva aggiunto e lui le aveva passato un modulo da riempire e le quattro regole, poi le aveva detto:
"Vieni quando ti sentirai pronta."
Aveva portato con sé i brividi della morte, lasciandola infreddolita sulla sedia mezza rotta del bar.

Adesso che poteva vederlo, però, le sembrava un angelo dai lineamenti severi.
L'angelo che l'avrebbe riciclata.
Aveva lunghi capelli biondi e occhi freddi come il suo tocco, la mascella era tesa e gli conferiva dei lineamenti marcati, probabilmente era in difficoltà a causa della situazione venutasi a creare.
Le sue dita percorsero lentamente la cravatta nera dell'uomo e solo in quel momento si accorse di quanto gli fosse vicina.

"Eri anche il mio sogno." Le disse sorridendo seducente ed il cuore di Alexandra provò l'impulso di prendere a pugni quell'uomo.
"Lo sei ancora" aggiunse poi, facendo vagare lo sguardo sulla pelle nuda della donna.
Alexandra sorrise leggermente all'affermazione dell'uomo, ma scacciò quella misera traccia di allegria e riprese a vagare nei meandri dimenticati della sua mente, quei meandri che aveva deciso di blindare per sempre abbandonandosi alle sue dipendenze, affogando i problemi e l'insuccesso nella gioia fasulla creata per uccidere.
Perché l'aveva fatto?
Perché aveva desiderato così ardentemente la libertà concessa dall'autodistruzione?
Era giovane, era stupida, accecata completamente dalla smania di fama e successo e logorata dal poco che al tempo aveva.
Niente pause.
Una continua corsa prima che fosse troppo tardi, prima che fosse troppo vecchia o forse troppo se stessa.
La sua vita era diventata una gara di velocità che aveva finito per lasciarla indietro.
L'unico modo che le era stato concesso per sopravvivere e rilassarsi, per non venire logorata dallo stress, era quello di buttarsi sulla droga.
Poi cos'era successo?
Non lo ricordava precisamente... quella parte della sua vita era sbiadita e molto confusa.

Voleva uscirne.

Ricordava soltanto questo eco di pensiero del periodo buio ormai andato, lontano.
Voleva uscire dalla trappola in cui era caduta, in cui aveva deciso di cadere, ma per farlo doveva ritirarsi dalle scene. Doveva tornare ad essere invisibile.
A lei, alla fin fine, non importava più di tanto ma altre persone non sarebbero state affatto concordi con questa sua scelta...
Cosa le rimaneva da fare, quindi?
Inscenare un suicidio.
Nulla di più difficile.
Il finto corpo sarebbe stato ritrovato il mattino ed Alexandra Blake sarebbe morta per sempre.
Quasi impossibile, ma in qualche modo era riuscita a farcela ed il suo piano aveva raggiunto il successo sperato e tristemente si era resa conto di come fosse vero che i soldi nascondessero tutto. Lo scandalo era passato ad un semplice e "spiacevole fatto di cronaca nera", così definito dai media.
Aveva finalmente raggiunto l'agognata libertà...
Allora perché in quel momento non si trovava in una casetta di campagna con il suo amato marito ed i due figli che aveva sempre sognato, ma nei bassifondi di Sheffield tra le braccia di un uomo profumato di pulito, ma sporco dentro almeno il triplo di lei?
In quel momento ebbe la certezza di star provando un immenso disgusto per se stessa ed un sentimento che le risultava sconosciuto: pena.
Pena di sé.
Essere toccata da un uomo sconosciuto, voler riciclare la propria vita... era davvero caduta così in basso?
Aveva davvero fatto la fine che fin da bambina si era da sempre ripromessa di non fare?
No! Si rifiutava di crederlo!
Poggiò una mano sul petto ampio dell'uomo fasciato da una leggera camicia linda e fece per allontanarlo, ma quello rimase fermo nella sua posizione.
I suoi occhi di ghiaccio osservavano con curiosità scientifica la donna davanti a loro e valutavano con lo sguardo le cause e le conseguenze delle sue azioni.
Quando comprese, si allontanò di poco, sistemò la cravatta nera che portava e stirò le pieghe che si erano formate sulla camicia.

"Voi non siete più sicura." Esordì guardandola con una certa delusione.

Alexandra recuperò le sue vesti dal pavimento e con sguardo fiero gli rispose:
"No, infatti. Non sono più sicura. O forse, invece, sono sicurissima di non voler avere più niente a che fare con te e di voler uscire immediatamente fuori di qui."
L'uomo rise alla sua affermazione e le si fece nuovamente vicino. Alexandra poteva sentire di nuovo quel profumo di menta e lavanda che avvolgeva l'uomo e le inibiva i sensi.
"Mi chiamano anche Il Riciclatore, sai? Non solo perché chiunque passi sotto le mie mani ritorna in vita, una vita completamente nuova, ma anche e soprattutto perché non sono avvezzo a lasciare andare qualcosa, a scartare qualcuno.
Nessuno deve vedermi in viso, per questo giro mascherato.
Solo in questa stanza, solo con voi posso essere me stesso senza nascondermi. Per questo motivo coloro che vengono da me sono dei disperati pronti a compiere un gesto estremo.
Io li aiuto semplicemente.
Nessuno, uscito da questa stanza, deve ricordarsi di me.
Mi dispiace Alexandra, ma non posso proprio lasciarti andare..."
Si avvicinò di un passo ancora e la donna strinse gli abiti al suo petto, quasi in un gesto di difesa.
Fece un passo indietro con i nervi tesi ed i riflessi pronti, come se fosse sul punto di scappare o di attaccare.
L'uomo le sorrise sornione e con uno scatto la costrinse a voltarsi e ad osservare la parete alle sue spalle.
La immobilizzò e tenne il suo viso dritto verso la parere mentre gli occhi della ragazza lacrimavano incessantemente.
"La vedete?" Le chiese, il suo fiato caldo si scontró sul suo lobo e per un attimo credette di sentire l'uomo ringhiare.
"La vedete?!" Chiese ancora e lei fu sicura che in quel momento lui stesse sorridendo.
La parete piena di teste mozzate, crani ed organi in dei barattoli in vetro le faceva venire il voltastomaco ed avrebbe rimesso volentieri, se l'uomo non l'avesse tentuta bloccata per la vita e con una mano le stringesse il viso tenendolo fisso davanti a sé.
"Quella è la vera e sola natura del Riciclatore! Anche voi dovete far parte di quella collezione!"
Alexandra non sentiva più gli sproloqui dell'uomo, presa com'era ad osservare il macabro spettacolo offerto da quei ripiani.
Lei era il suo sogno...
Fu allora che la mente la portò a creare un piano. Un altro piano per essere libera...
Si voltò ed osservo l'uomo in quei suoi profondi occhi ghiaccio iniettati di sangue e lo baciò senza chiedergli il permesso.
Lui non rifiutò quel bacio, ma anzi la sospinse lentamente verso il tavolo in metallo.
L'intenzione di Alexandra non era, tuttavia, quella di concedersi ad uno sconosciuto psicopatico, infatti mentre lui era intento ad approfondire la situazione lei gli assestó una potente ginocchiata tra le gambe che lo costrinse a terra e gli tolse il respiro.
L'uomo annaspò rantolando dal dolore e lei lo offese sia con i gesti che con le parole.
"Addio, psicopatico!" Gli urlò.
Il tempo di indossare velocemente l'abito ed era già fuori dalla stanza che, per precauzione, chiuse a chiave.
Era così intenta a correre, a scappare, ad andare sempre più veloce che, purtroppo, non vide l'auto che stava velocemente mangiando i metri che li separavano e separavano la povera Alexandra dal suo destino.

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