Sull'orlo

- In cima ad ogni vetta, sei sull'orlo dell'abisso. -

Dave – 8 anni prima

I fasci di luce battevano sul vetro e s'insinuavano fra le sue crepe, illuminando la cameretta silenziosa. Aprii gli occhi e non udii alcun rumore. Strinsi il bordo della coperta con le dita, un nido di ragni si nidificò nello stomaco. Qualcosa non va. La mattina presto, qui, era l'unico momento della giornata dove c'era rumore in casa, e non mutismo allarmante. Papà rientrava la mattina tardi dal lavoro, quindi mamma aveva solo poche ore per prepararmi la colazione e fingere che fossimo felici.

Quel giorno, non fu così.

Poggiai i piedi nudi sul pavimento freddo, piccoli spilli mi punsero le dita e irradiarono un formicolio lungo la pelle. Il pigiama blu mi stava grande, strusciava a terra ad ogni passo. Un mostro iniziò a strisciarmi sotto i piedi nudi, s'infilò nei pantaloni. Risaliva le gambe conficcandomi gli artigli nella carne, sentii le punte graffiarmi le ossa. Percorsi il corridoio e vidi la porta della camera di mamma socchiusa, una luce fioca brillava sulla soglia. Il mostro s'arrampicò, si aggrappò alla pancia e mi squarciò le membra.

- Mamma...? – La chiamai con un sussurro, in attesa di vederla attraversare il corridoio di corsa per preparare le uova, urlandomi di scendere per aiutarla. La sua voce dolce le rimase strozzata in gola, non sentii la melodia accogliente insinuarsi nel cuore e abbracciarmi. Un silenzio tonante, invece, mi costrinse a portare le pani all'altezza del petto e stringerle fra loro. La pressione dell'aria mi compresse le tempie.

Il cigolio della porta m'invitò a oltrepassarla, con il cuore in mano e i mostri che tritavano le viscere, lo feci. Lei era lì, in piedi sul davanzale della finestra, il vento le sfiorava i capelli morbidi.

Mi piaceva tanto giocarci dopo colazione, stringerli fra le dita e accarezzarli, prima che papà arrivasse per strapparglieli. Sopra di lei una corda spessa legata su una trave del soffitto. I raggi solari le colpivano le mani, la presa debole attorno alla corda.

- Mm-mamma...che fai? – La voce strozzata, incrinata dagli strascichi che ci portavamo dietro.

Vorrà aggiustare una trave. Vorrà togliere un ragno. Vorrà pitturare. Vorrà...

Si voltò verso di me con una lentezza innaturale, il petto si compresse. Aveva lo sguardo vuoto, il volto cinereo, ma una dolcezza sfuggente le tingeva le pupille nere.

- Dave...

Vuole chiedermi di aiutarla a fare una riparazione. Le punte dei gomiti premevano per uscire dalla pelle, le ossa scricchiolavano. Il mostro mi bucò il petto, scavò un foro nel cuore.

- No, Dave...va via. Non dovevi essere qui. Non dovevi vedere tua madre arrendersi. – Un lampo mi fece trasalire. Sbarrai gli occhi.

- Scendi! – Corsi verso di lei. – Mamma scendi subito, ti prego! - Gridai come avessi visto la sua anima volare via.

Lei scosse il capo con un movimento minimo, come se le forze l'avessero abbandonata e il cuore non battesse più.

- Non posso farcela, Dave. Ho provato, ma non posso più vivere così. Io non sono forte, sono...sono debole. – Le lacrime solcavano le guance e colavano veloci, le mani tremavano così tanto che non riuscivo a muovermi.

- Tu non sei come me. Tu sei forte, tu ce la farai. – Proseguì, la voce sempre più lontana. - Vivi la tua vita, piccolo mio. – Il piede sollevato pronto a sfidare la gravità. Allontanò una mano dalla corda e l'avvicinò al mio volto, mi carezzò una guancia per raccogliere una lacrima. Chiusi gli occhi, mi beai del suo tocco, seppur gelido e ghiacciato come un cadavere. Poi, mi spinse delicatamente indietro. I suoi gesti erano meccanici, il suo cuore era già morto. Le dita tornarono sulla corda, lei abbassò il capo e iniziò a formare un cerchio.

In quel momento, vidi un biglietto di carta ai suoi piedi, ma non ebbi il coraggio di aprirlo. Quando alzai il capo, il cerchio era stretto intorno al collo, la pelle raggrinzita e livida. Le labbra s'incollarono, un soffio di vento mi provocò una scarica di brividi che corse rapida lungo la schiena, pronta a iniettarmi un veleno per atrofizzare i muscoli del collo.

Saltò.

Il rumore secco del nodo che le stringeva il collo.

- No! – Un grido tonante squarciò l'aria. Il mostro s'avventò sulla lingua e me la strappò, visualizzai il sangue schizzare sulla pelle morta.

- Non...non essere debole. – L'ultimo soffio di vita che aveva in corpo sfumò nell'aria. Le ultime parole pronunciate dalle labbra che mi baciavano la fronte. L'ultimo briciolo di colore le abbandonò la pelle, ormai pallida. Il volto le divenne viola, le gambe le oscillavano, sospese in aria.

- N.no...per favore. – Mi avvinghiai alle sue gambe, conficcai le unghie nella carne per sentirla viva. Singhiozzai, così forte che scambiai i colpi del petto per il suo battito cardiaco. Un albero si schiantò contro il mio sterno e mi lacerò le membra.

- Mamma! Mamma! – La strattonai, gridavo e piangevo. Urlavo e pregavo. Lo feci finché ogni fonte d'energia scivolò dal mio corpo, come la sua anima si era sollevata. Lasciandomi qui, lasciandomi solo, con lui.

La presa sulle gambe pian piano s'allentò, le unghie le graffiarono la pelle quando precipitai a terra. Gli occhi chiusi, il corpo mollo, le dita su una superfice liscia...

Il bigliettino. Mi feci coraggio, mentre il suo corpo oscillava sopra di me. Pregai mi cadesse addosso, così avrei potuto sentire ancora il suo calore. La scrittura sbavata, come se non vedesse l'ora di finirla, come se avesse fretta di lasciarmi.

L'ho fatto Dave, l'ho denunciato. Stanno venendo a prenderlo. Sei libero, ma il mio cuore non riesce a vivere col suo ricordo. Perdonami. Vivi. Non essere debole come me, tu sei forte.

Le parole mi trafissero come m'avessero sparato dieci proiettili, con un fucile, come fanno con gli animali per ucciderli, per strappargli le pelli e giocare con le membra.

Quando arrivarono, le sirene, forse la polizia, forse l'ambulanza. Non lo so. Qualcuno arrivò, mi trovò sotto di lei. Le braccine strette alle ginocchia, la schiena piegata. Oscillavo avanti e indietro, con gli occhi sbarrati a ripetere – Non essere debole, mamma non vuole. – Come una cantilena, come il suono di un carillon che s'appiglia alla membrava del cervello e ti rintocca nella mente come il ticchettio di un orologio. Calarono il suo corpo e lo portarono via. Qualcuno mi prese in braccio e mi caricò nella volante.

- Non essere debole, mamma non vuole. – Non mi scomposi neanche quando vidi il suo volto satanico dietro il vetro dell'altra volante, mi fissava, bramava l'anima di suo figlio.

- Non essere debole, mamma non vuole. – Mi portarono in orfanotrofio, dove avrei dovuto iniziare una nuova vita.

Senza papà.

Senza mamma.

- Non essere debole, mamma non vuole. – Continuai a ripeterla per giorni, finché, un giorno, accettai di essere solo e la frase nella mente prese un'altra forma, come uno scatto meccanico.

Non sei debole, i deboli muoiono. Tu, sei forte.

Presente

- Non essere debole, Kendall. –

- Non è debolezza, te lo giuro. – La sua impertinenza iniziò ad innervosirmi, quando dico no è no.

- La stai usando come scusa per non agire. Volerle ancora bene è il campanello che mi avverte della tua debolezza, i tuoi sentimenti offuscano il giudizio. Come puoi non voler compiere l'attacco solo per una persona che ti ha lasciato andare così facilmente e, soprattutto, ha lasciato andare Tho...– Il tono beffardo sottolineò la mia delusione nei suoi confronti. O meglio, l'apparente delusione. La verità, è che non vedevo l'ora di bearmi della sua presa di follia. E, di sicuro, non avevo tempo per i suoi piagnistei.

- No! Dave, hai frainteso. Non me ne frega un cazzo di lei, ma non voglio che muoia! – Un'interruzione. I nervi cominciarono a salire.

- Sei di una debolezza e di una delusione uni...-

- No! È proprio questo il punto. – Batté i pugni sul tavolo della mia cucina. - Non voglio che muoia perché non merita di ricongiungersi con Thomas come me, Dave. Sul serio, è così egoista. Lei a lui non ci pensa, non è giusto che sia io a doverla riportare da lui. – Irrigidii la mascella per la seconda interruzione, ma il pensiero contorto di Kendall mi diede anche modo di fare un ghigno soddisfatto.

- La vita è una punizione migliore per Rachel? –

- Si! perché la morte significherebbe ritrovarlo. Invece, merita di vivere senza di lui nel suo egoismo. Lei, da sola. Non voglio che torni da lui, non può farlo per mano mia. Lei...lei è una piccola stronza ingrata dell'affetto che Thomas provava per lei. – L'ombra del controllo calò sul mio corpo e, di colpo, la spiegazione di Kendall scivolò lontana dalle mie percezioni. Niente aveva più importanza, se non che mi avesse mancato di rispetto.

- Bene, Kendall. – Vidi sorgere la speranza nei suoi occhi, ma quando mi avventai su di lui scomparve seduta stante. Lo presi per il collo e lo attaccai al muro. La pelle tirata e il mento sollevato, scuoteva il capo per provare a succhiare aria dalle fessure dei denti.

- Non azzardarti mai più a interrompermi o a mostrarti arrogante davanti a me. – Ringhiai a denti stretti, aumentando la presa sul collo. La giugulare pompava e la bocca era spalancata.

- Lo sai, posso toglierti la possibilità di redimerti in un attimo.-Lo fissai, i suoi occhi s'erano inginocchiati a me.

- Hai capito!? Non vali così tanto da potermi sorpassare. Ricordati che ti ho raccolto da terra, eri sudicio e debole. Ti ho sollevato e ti sto ricostruendo. Tu, sei una mia creazione. – Schiacciai il suo corpo contro il muro. L'idea di vederlo soffocare tra le mie mani fu allettante, ma macchiarmi di sangue per un pezzente come lui, sarebbe stato un insulto alla mia superiorità. Annuì con un movimento lento, un po' più forte e avrei sentito la morte sotto i polpastrelli.

- Bene. – Dischiusi le dita in un colpo e Kendall si accasciò a terra, tossendo e sputando sul pavimento. Brividi di disgusto mi pervasero le gengive. Gli sputai addosso e posai lo scarpone sulla sua spalla con vigore.

- Lecca, verme. Pulisci con la lingua lo sputo che hai lasciato sul pavimento. – Lo spinsi verso il basso con uno scatto. Era così terrorizzato all'idea che lo abbandonassi che non esitò un secondo a tirare fuori la lingua come un cane. La punta rosa leccò i suoi schizzi mescolati ai miei, cercò di contenere l'espressione schifata. Io, invece, non contenni affatto le risa spontanee.

- Alzati. – Lo strattonai, rimettendolo in piedi. Nei suoi occhi da cane bastonato traspariva lo schifo che si faceva da solo.

- Perdonami. –

- Zitto. Alla prossima non sarò così clemente. – Rimase in silenzio, in attesa delle mie istruzioni. Sapeva che un'altra parola gli sarebbe costato la morte.

La morte, non la vita, perché Kendall voleva morire più di un'animale in agonia.

- Tua sorella non morirà. Ti darò un liquido da somministrarle in endovena la sera prima dell'attentato. Dormirà e sarà stordita per ore. Per quando arriverà a scuola, tu sarai già dentro e lei fuori. – Meglio per me, potrò consumarla io stesso anche dopo che avrò finito con te, dopo che mi sarò preso la tua vita senza toccarti.

- L'hai già provato su qualcuno, funzionerà? – Si, proprio su quell'impertinente di tua sorella, parassita. Mi limitai ad annuire, tutto poteva accadere tranne che i miei due burattini si parlassero a vicenda. Li avevo scelti apposta, due fratelli che si odiavano tanto da rendermi il gioco più facile, ma non per questo meno bisognoso d'attenzione. Lei, aveva scoperto tutto. La stavo attendendo, con una frenesia che mi rese difficile anche concentrarmi con il fratello da punire davanti, umiliato e bagnato dalla mia saliva.

- Grazie. Grazie, Dave. Grazie davvero. Quella stronza, diamine. Come può fingere? Non l'ho mai vista piangere.-

- Basta! – Battei i pugni sul tavolo con autorità, Kendall trasalì e spalancò gli occhi. - Non m'interessano le vostre dinamiche familiari. Devi rimanere concentrato su Thomas e sulla voglia di fucilare quei due bastardi. – Inghiottì la bile e fece si col capo, senza proferire parola. Bravo, burattino.

- O non ce la fai, Kendall? Hai un cuore troppo delicato per smettere di pensare a tua sorella? – Avanzai. – Forse ho sbagliato con te, non sei così assetato di vendetta, forse sei davvero inutile come pensava tuo fratello. – Si strinse in sé stesso, un velo calò sui suoi occhi e tentò di ricomporsi, di mostrarsi coraggioso.

- No. Voglio uccidere. Voglio solo vendicarmi e traforargli il cranio. –

- Prendi la piantina della scuola che ti ho chiesto di stampare, ora studiamo i punti strategici e progettiamo il piano. – Un lampo di luce balenò nelle sue iridi, trasformando gli occhi da cerbiatto in quelli di un leone.

I miei preferiti, quelli da assassino, quelli da predatore.

Posai la piantina sul tavolo, avevamo davanti ogni angolo della struttura scolastica.

- La scuola ha tre ingressi. Quello pedonale. – Indicai un punto in alto sulla planimetria. – Quello secondario, per le auto. Entrambi sono troppo esposti per prepararci. – Lo guardai negli occhi.

- Il terzo, quello sul retro, è il nostro. E, guarda tu stesso Kendall, dove conduce quest'ingresso. – Sorrisi in modo sinistro. Lui, incuriosito, abbassò il capo.

- Al parcheggio degli atleti. – Le labbra si allargarono in un sorriso tale e quale al mio, le sue iridi brillarono, vogliose di agire. Sei pronto, Kendall. La tua mente è sull'orlo della completa follia, pronta a esplodere.

- Come continuiamo ad osservare, alle 12.05 sono quasi tutti in mensa. Noi, alle 11.45 arriveremo al parcheggio degli atleti. –

- Loro saranno ad allenarsi, avremo il tempo di prepararci. –

- Esatto, Kendall. Ci posizioneremo qui, davanti la finestra che dà sul corridoio della palestra. – Prese un respiro profondo, per soffocare l'eccitazione crescere dentro di lui.

- Ti sei allenato abbastanza per costruire in circa 5 minuti la bomba molotov. Io ti aiuterò, ne costruiremo due. Per le 11.55 saranno pronte. –

- E poi? Cosa facciamo mentre aspettiamo le 12.10, quando Mason e Joseph vanno negli spogliatoi? –

- Tu aspetterai, Kendall. Io farò il giro dell'istituto ed entrerò dall'ingresso principale. Nello zaino avrò la tanica di benzina. Mi assicurerò che nessuno circoli per quei corridoi e traccerò una linea con il liquido, proprio davanti la palestra. –

- Così quando lancerò la bomba che spaccherà la finestra, cadrà proprio sulla linea e alzerà un muro di fuoco. – Spalancò le palpebre. – Quei bastardi saranno rinchiusi come animali al macello. – Sussurrò flebilmente, ogni parola era un respiro accelerato. Li vedeva, le loro teste forate, schizzare sangue d'dappertutto.

- Si, esatto. Mi vedrai tracciare la linea dal parcheggio. Dammi un minuto. Alle 12.06 lancerai le bombe. Da lì, avrai circa trenta secondi prima che si accorgano del fuoco ed escano dalla porta sul retro. Dovrai essere rapido. Altrimenti sarà stato tutto inutile. –

- Ce la farò. – Gli lanciai uno sguardo duro, quasi provocatorio. Lo sfidai, per accrescere la sua volontà di non deludermi.

- Da lì, toccherà a te. Ucciderai tutti quelli che non erano ancora negli spogliatoi. Nessuna pietà. Poi, ti dirigerai nei bagni. –

- Dove quei luridi stronzi saranno ancora col pene all'aria. Posso staccarglielo, Dave? – Iniziò saltellare freneticamente sul posto e a sbattere i polpastrelli sul tavolo.

- Puoi fare tutto quello che vuoi, a quel punto, Kendall. Sono tuoi, è il tuo momento di vendicare tuo fratello. Di riconquistarlo. – Si morse il labbro fino a farlo sanguinare. Io, invece, mi limitavo ad assecondarlo. Dentro di me, però, il cuore pompava al pensiero della menzogna che stavo per dire.

- Quando avrai finito, io ti avrò raggiunto. Avrò sorpassato i cadaveri e ammirato il tuo lavoro. Dopodiché, nella palestra, ci ricongiungeremo con i nostri fratelli. Grazie a te, ritroverò il mio. Ci punteremo una pistola alla tempia e lasceremo questo posto di merda. Torneremo a casa. –

- Non vedo l'ora. –

- Solo una cosa, Kendall. Se dovessero prendermi, tu procedi. –

- Cosa? Non voglio farlo senza di te. Meriti di tornare anche tu da tuo fratello. –

- Lo so, ma non posso permettere che dopo il lavoro che hai fatto non ricevi il premio che meriti. Se non mi vedrai, fallo. Sarò fiero di te. – Vidi il suo petto gonfiarsi.

Nessun fratello, nessuna pistola alla testa. Solo le risa per aver preso la sua vita senza nemmeno toccarlo. Si ucciderà, per mano mia. Le mie parole gli risuoneranno in testa prima di premere il grilletto, il mio viso sarà l'ultima cosa che ricorderà. Gli strapperò l'anima solo con la voce.

Le sue ultime parole sarebbero state – Grazie, Dave. –

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