Randall
|| Il coraggio non mi manca, è la paura che mi frega.
Il flusso d'acqua batteva violento contro il marmo del lavabo, gli schizzi colpivano gelidi le punte delle dita arricciate sul bordo. Alzai lo sguardo e incontrai il mio volto pallido riflesso nello specchio del bagno, la stanza era piuttosto buia, colpevole l'orario e la lampadina fulminata poche ore prima. Individuai il punto del mio viso sul quale avrei dovuto lavorare e il luccichio del nostril brillò nelle pupille. Erano mesi che non davo una pulita al piercing, mi ero volontariamente dimenticata di disinfettarlo. Se ci si prestava attenzione si poteva notare il rossore attorno al buco a causa delle mancate cure.
Non ricordai le indicazioni del piercer, così decisi di provare a sfilare il gioiello e spruzzare sul naso un liquido verdognolo ancora sigillato. Tolsi le mani dal lavabo e chiusi il getto d'acqua, poi afferrai l'estremità appuntita nella narice e la roteai fino a svitarla completamente. L'aria fredda si nidificò attorno al buco libero per qualche secondo, lo poggiai accanto al lavandino e afferrai la bottiglia di plastica per aprirla. Presi un batuffolo di cotone e ci rovesciai il liquido sopra, poi lo tamponai sul naso. L'odore di alcool investì i miei sensi e arricciai il labbro all'insù. Che schifo. Rimossi immediatamente il batuffolo usato e mi voltai per gettarlo nel wc., ma miei occhi si posarono sulla finestra con le tapparelle chiuse, non vedevo assolutamente nulla e optai per tirarle un poco su. M'avvicinai e tirai le corde su, un piccolo fascio di luce rese la stanza leggermente più visibile.
Ormai, però, si stava avvicinando il tardo pomeriggio quindi non potevo pretendere altro, ma meglio così. La luce negli ultimi mesi era diventata una seccatura, come se cercasse di riportarmi in superficie; ma io volevo restare sotto terra, nel buio. Avevo ancora il batuffolo in mano che ormai aveva inumidito tutta la pelle del palmo. Mi girai di nuovo e vidi il wc dall'altro lato della stanza, in basso sulla sinistra vi era il cestino. Non avevo voglia di fare due passi in più, allungai una gamba all'indietro e alzai la punta dell'altra. Mantenni l'equilibrio e mi sbilanciai per lanciare il cotone, centro. Tutt'un tratto, avvertii un tremore e la punta che mi sorreggeva ora era debole.
Tutto il mio corpo oscillava, stavo perdendo l'equilibrio. Tentai di allungare una mano sul lavandino per riprenderlo, ma presi male la mira e sbattei il polso sul marmo, sentii un'infinità di spilli bucarmi la pelle e un formicolio percorrere le ossa. - Mhhhhhh. - Mi morsi il labbro e saltellai su un piede lungo tutta la stanza facendo pressione con la mano sana sul polso dolorante. Strinsi i denti e sbattei i piedi a terra per scaricare la tensione. - Non è possibile! Ma santo Dio! - Esclamai facendo pressione sul margine del lavandino. Le dita diventarono gialle mentre cercavo di scaricare il formicolio sul marmo bianco. Il viso contratto riflesso mi fece venir voglia di prendere lo specchio a testate. Pian piano il formicolio s'affievolì e i muscoli del volto si rilassarono. Tentai di riprendere il controllo quando feci caso al buco ancora libero, allora cercai il brillantino con lo sguardo e non riuscii a individuarlo. - No! No! No! - Spostai con rapidi movimenti le cianfrusaglie attorno a me sperando fosse finito sotto una di esse, ma trovavo solo il marmo. Guardai dentro al foro del lavandino e intravidi, infondo ad esso, un brillio.
Portai una mano alla base del collo per massaggiarlo e serrai gli occhi inalando quanta più aria potessi. La gettai fuori con un soffio potente e strinsi le mani nei capelli. Li sentii tirare fino a strapparsi. Era finito lì dentro, risucchiato nel nero delle tubature. Con uno scatto strinsi i pugni e li sbattei brutalmente sul margine. Stavolta avvertii mille spade trafiggermi le mani e morsi il labbro tanto forte da non sentirlo più. Il respiro si fece celere, il battito irregolare e sentii le orecchie bruciare. Sarei dovuta uscire o il buco si sarebbe chiuso. Mi aspettava circa mezz'ora di camminata, lo studio dove mi ero forata il naso si trovava nell'area turistica di Littleton, sulla Cottage Street. Era difficile trovare per quelle vie i cittadini perché era una zona un po' più isolata, popolata da chalet e cottage per i turisti che volevano starsene fuori dalla vitalità del centro. L'avevo scelto per questo, isolato e vuoto.
Ancora non eravamo in alta stagione, dove, anche se piccola, Littleton veniva invasa da appassionati di montagna che si rifugiavano qui per andare a scalare le Mount Evans Wilderness. Tentai di riprendere coscienza, puntai gli occhi dritti in loro stessi; due carboni ardenti bruciavano ove un tempo brillavano due stelle. Gl'occhi vispi d'un tempo s'erano ammuffiti, ora colavano due strisce di fuoco fuori dalle orbite che m'ustionavano la pelle. Le colate infuocate scuoiavano l'epidermide, esponendo le ossa bianche ai rimasugli dei lapilli che le bruciavano fino a diventar carbone. Era così che mi sentivo ogni istante d'ogni giorno: carbone ardente. Bruciato, consumato, ma ancora bollente e smanioso d'incenerire qualsiasi cosa si trovasse intorno a me. Il calar del sole attirò la mia attenzione quando anche il riflesso s'oscurò, così chiusi gli occhi e regolarizzai il respiro, abbassando e alzando il petto lentamente. Sentii i nervi allungarsi e restringersi più volte, uno ad uno.
Si scontravano fra loro, come se dovessero decidere chi dovesse prevalere fra la calma e la rabbia. Ebbe la meglio la prima, isolando i pensieri e concentrandomi sul mio battito cardiaco riuscii a cessare la lotta fra i diversi fasci. Una volta riuscita a riprendere il controllo uscii dal bagno neanche stessi fuggendo via da un maniaco, sbattei la porta e logorai il tessuto del tappeto disteso sulle scale per la velocità con la quale le percorsi. L'aria pungente delle sere d'ottobre fece sì che i miei sensi si svegliassero; ciò non mi aggradava particolarmente. Non ero più abituata ad avvertire e assaporare le sensazioni che poteva darmi la natura; così cercai di non bearmi dell'umidità sul volto o del dolce odore della pioggia. Anzi, mentre mi avviavo verso l'oscurità delle vie secondarie della città, tentai di sostituirlo con il ricordo dell'odore di ferro, l'odore del sangue. Lo riportai lì, scavando nei meandri della coscienza e lo sentii intenso sulle dita macchiate, come nell'incubo vissuto settimane prima.
Svoltai numerosi angoli, il sole era calato e lungo la strada vi erano poche anime intente a muoversi per andare chissà dove. Se mi fossi ritrovata a camminare per il centro avrei trovato una miriade di persone pronte a fingere d'essere ancora più raggianti di quanto non fossero durante il giorno; per cercare di contrastare l'arrivo della notte e l'infelicità della penombra. Fu proprio dove mi ritrovai senza rendermene conto, proprio nel momento più intenso e dinamico di una qualsivoglia domenica di Littleton. Evidentemente avevo girato senza volerlo per una delle vie che conduceva proprio nel fulcro della cittadina, Chutters.
Il luogo dove le preoccupazioni di adulti e bambini potevano essere affogate in un'immensa quantità di caramelle e soffiate via da festose melodie suonate dai cittadini con i pianoforti colorati. Praticamente il luogo più sbagliato dove potessi trovarmi a passare. Una folla di persone si aggirava di fronte al negozietto rosa e lilla, le pareti esterne erano colme di decorazioni floreali e dolciumi raffigurati. Chutters è il negozio di dolci con il più lungo bancone di caramelle al mondo. La domenica pomeriggio qui di fronte si radunano famiglie e gruppi di amici che vogliono concludere la settimana danzando per le strade con le guance piene di schifezze. Dei conati di vomito mi colpirono lo stomaco quando m'accorsi che la via era quasi impossibile da percorrere senza imbattersi in corpi saltellanti e sorridenti.
Rimasi inerme ad osservare la mentre il buio la sovrastava; rimasi stupita di come i volti di queste persone non sembrarono neanche accorgersi di ciò che stesse succedendo attorno a loro. Le persone cantavano, ballavano e mangiavano ignorando la notte che arrivava. Era troppo. Sentivo come se la loro solarità stesse bussando colpi netti al mio stomaco per invadere anche me, non lo avrei permesso. Non avrei permesso ai ricordi di sbattermi in faccia quanto io fossi squallida adesso. Li avrei bloccati, rivisti, ma non rivissuti. Infatti, mentre tentai di passare fra la calca destreggiandomi fra le poche fessure disponibili, le domeniche di un decennio fa si fecero nitide fra i miei ricordi.
Era come se i corpi miei e dei miei fratelli fossero accanto a me e io potessi stringere le loro manine come quando da bambini formavamo un trenino con la mamma per passare fra la stessa identica folla. Ogni domenica anche noi eravamo qui, la mamma suonava al pianoforte verde di fronte a Chutters mentre noi ballavamo e facevamo a gara a chi fra noi tre riuscisse a tenere più caramelle gommose in bocca. Vinceva sempre Kendall. Rividi la scena, si, ma quando sentii una manina toccarmi la punta delle dita una scarica di adrenalina mi colpì e mi voltai di scatto strepitando con le braccia al cielo
- Che cazzo vuoi Thomas!? - Mi uscì di getto, come se avessi paura che fosse tornato da me. Invece, rimasi impietrita, non era lui. Un ragazzino di circa sei anni mi fissava con gli occhi lucidi e il labbruccio inferiore tirato in fuori. Gl'occhi gli tremavano, ma rilasciai l'aria che avevo bloccato nei polmoni e tornai a respirare. Tutt'intorno a noi continuavano a fare rumore, ma quel bambino sembrava essersi estraniato come me. - Che c'è!? Lo sai che non si viene alle spalle delle persone? La mamma non te lo ha insegnato che non si parla con gli sconosciuti? - Al suono della parola mamma, scoppiò in un pianto disperato ed io sentii che stavo per avere una crisi di nervi quando il collo si bloccò. - D'accordo! D'accordo! Non la trovi più? - Gli chiesi borbottando esasperata e lui annuì proseguendo con il suo lamento straziante. - Se la smetti di piagnucolare ti aiuto a cercarla! - Gli afferrai la mano bruscamente e lui s'ammutolì.
Mi grattai la nuca con gli occhi sbarrati mentre vagavo con lo sguardo in cerca di qualche testa preoccupata, ma non vedevo nessuno. Nessuno stava cercando questo ragazzino, nessuno se ne stava preoccupando. Sembravamo due corpi in un'altra dimensione, come se nessuno potesse vederci; di colpo non mi parve più così tanto odioso. Riabbassai lo sguardo su di lui e i suoi occhioni verdi mi guardavano speranzosi. Pensai di non dirgli che non avevo visto nessuno cercarlo o sarebbe scoppiato di nuovo a piangere.
- Va bene, ragazzino. So che mamma ti ha detto di non seguire gli sconosciuti, ma vedi quella collinetta dove sono quelle persone? Ti porto lì, così puoi vedere dall'alto se riconosci tua madre. Non ti succede niente, ok? - Tentai di rassicurarlo, sentendo una strana connessione con lui che mi causò subbuglio allo stomaco. Gl'indicavo ancora la collinetta e i suoi occhietti seguivano il mio indice, non disse niente. Sospirai e incollai la mia mano destra alla sua cominciando a spingere le persone che m'ignoravano completamente. Dannazione, muoviti ragazzino o mi si chiuderà il foro del piercing.
Lo trascinai tenendolo stretto e non lo sentii fare un fiato, il contatto tra le nostre pelli fece incendiare la mia, pensai che il bambino potesse addirittura scottarsi. Giungemmo alla collinetta e risalimmo lungo di essa, qui c'erano parecchi adolescenti intenti a bere birra e cantare. Sperai che nessuno di loro mi rivolgesse la parola, così avrei potuto trovare l'idiota che aveva perso suo figlio e andarmene di corsa da questo strazio di posto.
- Dimmi il tuo nome. - Gli ordinai.
- Ran-Randall - balbettò e io roteai gli occhi al cielo.
- Ti tiro su, così vedi se trovi tua madre. - Lo informai e in pochi secondi lo afferrai per le ascelle e innalzai il suo corpicino. Per un attimo mi sembrò di rivedermi tirare su Thomas per consolarlo quando Kendall vinceva la gara di caramelle. Scossi la testa, volevo andarmene.
- Allora? - Fece no con la testa e lo rimisi giù. Sbuffai e lo guardai, gli occhi ricominciarono a tremargli - No! No! No! Ti prego, adesso la trov... - non feci in tempo a completare la frase che una signora lo afferrò per il braccio, istintivamente acciuffai il tessuto libero della sua maglietta e lo tirai dietro di me. La donna avvertì il braccio del ragazzino sfilarsi dalla sua presa così si volto immediatamente.
- Chi sei? - Le chiesi velenosamente, mentre sentivo Randall divincolarsi dietro di me. La donna sulla quarantina mi guardò di sottecchi e tentò di riprendere il bambino
- Chi sei tu ragazzina! Ridammi mio nipote. –
- Io sono la stronza che ha trovato il ragazzino! Come si chiama? - Le sputai contro, sentii la necessità di assicurarmi che conoscesse davvero Randall.
- Si chiama Randall! Ora ridammelo subito prima che avverta le autorità. - Nel frattempo, giù in strada la musica continuava a suonare, ma qui sulla collinetta l'atmosfera s'era ghiacciata. Mi guardai attorno e vidi una sfilza di occhi silenziosi puntarmi contro. Osservai la donna con il braccio teso a mezz'aria e lo sguardo corrucciato, lasciai la presa su Randall che corse ad avvinghiarsi alle gambe della zia. Mi guardò dal basso e rimasi impietrita mentre sua zia borbottava andando via. Ripassai la folla con un rapido sguardo e poi un lapillo mi si accese nello stomaco. Dimenticai le persone dietro di me e scattai, riscesi rapida la collinetta e dovetti nascondermi dietro i corpi delle persone per seguire Randall e assicurarmi che trovasse sua madre.
Non mi feci vedere, ma quando sua zia mollò la presa dal colletto della sua maglietta rossa e lui corse in braccio a sua madre singhiozzante mi tornarono i conati di vomito e storsi il naso. Inaspettatamente, i suoi occhi trovarono subito i miei e mi fece il saluto con la manina. Una fitta al petto sfrecciò decisa e pungete fra gli organi, così trasalii e mi sottrassi svelta al suo sguardo. Ad oggi, non so dire perché avessi voluto assicurarmi così tante volte che ritrovasse la sua famiglia, forse perché al tempo mi sembrò che in qualche modo avrei ritrovato anch'io un pezzetto della mia. Tuttavia, in quel momento, avevo la sola certezza che dovevo sparire da quel branco di pazzi o avrei rigettato in strada.
Così feci, presi non so quanti corpi a gomitate finché non mi ritrovai di nuovo in una strada secondaria. Ora l'eco della musica era lontano, i brusii erano spariti e Randall era distante. Ero di nuovo io con me stessa, nel buio. Non mi guardai dietro neanche una volta, continuai a camminare imperterrita, bucando l'asfalto col mio passo pesante. Sentivo ancora la pressione della manina di Randall premere sulla mia pelle per la paura, tentai di scrollarmi di dosso quella sensazione, di strapparla via dalle punta delle dita con gesti secchi e incontrollati. Il cielo s'era fatto ancora più nero, proseguii lungo la strada assorta in una specie di vortice oscuro, non m'accorsi d'essere arrivata a destinazione finché l'insegna rossa mi accecò la vista.
Era mezza fulminata, due delle quattro lettere illuminavano la strada, S A. La G e la E invece lampeggiavano incontrollate. SAGE piercing, qui era dove feci il buco al naso a fine estate. Mi coprii il volto con le mani e avanzai verso l'entrata, il tintinnio del campanello riecheggiò nell'aria e si scontrò con la pelle rossa dei mobili all'entrata. Un divano, due poltrone e un tavolino rivestiti interamente di rosso che contrastavano con il nero pece delle pareti.
- Buonasera, posso aiutarla? - Distolsi lo sguardo dai poster di tatuaggi e incontrai un ragazzo alto e massiccio che mi fissava, non era quello che mi aveva forato.
- Sto cercando un piercing per il naso, il mio l'ho perso e devo rimetterlo." Il ragazzo annuì - Cerchietto o brillantino? –
- Brillantino. - Fece un cenno col capo per indicarmi lo scaffale dietro di me, con una serie di gioielli esposti tra cui scegliere. Afferrai il primo che mi capitò sotto mano e lo alzai in un gesto deciso - C'è Sage per inserirlo? - Domandai frettolosamente, i suoi occhi neri iniziavano a darmi sui nervi.
- Si, va nella stanza a destra. - Non me lo feci ripetere due volte, sgattaiolai nello stanzino, mi sedetti sul lettino e mi feci sistemare il gioiello. In meno di dieci minuti avevo pagato e avevo riattraversato la porta dalla quale ero entrata. Svoltai qualche angolo con la mente completamente assente, sentivo un leggero bruciore al piercing perché aveva dovuto bucare la pellicina formata in quelle ore.
- Ferma. - Mi si gelò il sangue, una voce profonda e fredda aveva emanato quest'ordine, non capii subito che non era rivolto a me. Rimasi immobile, nascosta dietro il muro. Era un quartiere turistico, non avrei dovuto incontrare alcun cittadino nelle vicinanze. I nervi saldi mi tenevano in posizione eretta, rigida come lo scopettone con cui da piccola inseguivo Kendall. Non udii più rumore per un po', quindi decisi di sporgermi quel poco che bastava per osservare la scena. Il fiato mi si bloccò in gola, lo sentii premere contro le pareti, quasi a soffocarmi. Una figura incappucciata stringeva i polsi ad una ragazza schiacciata contro il muro.
Era buio, buio pesto.
L'unica fonte di luce proveniva da un lampione lontano e tagliava nettamente a metà i volti delle due persone nel vicolo. I muscoli si contrassero e avvertii gli arti bloccarsi nervo dopo nervo, non riuscivo a muovermi. Il ragazzo era di spalle, potevo vedere solo le sue mani afferrare i lembi di pelle della ragazza e stringerli saldamente. Serrai gli occhi per qualche secondo e cercai di concentrarmi, di capire cosa stesse succedendo. I due non si muovevano, non riuscivo a vedere il volto di nessuno dei due nonostante la ragazza fosse rivolta verso di me. Provai a seguire la scia di luce, portava dritta sulle mani del ragazzo.
Trattenni il fiato quando riconobbi due elementi inconfondibili, due anelli. Uno scorpione e una croce che lasciavano segni sulla pelle delicata di quella ragazza. Li avevo già visti, ma non riuscii a risalire al ricordo nitido di dove li avevo registrati. Il ragazzo sembrò parlare, ma la voce mi apparve stranamente lontana, anche se le due figure erano in realtà piuttosto vicino a me. La ragazza era sempre più uniforme con il muro, si spostò lentamente e un volto tondo e stretto venne illuminato. La sua espressione mi colse alla sprovvista. Rilassata, la ragazza era rilassata. Inarcai le sopracciglia e cercai di studiarla il meglio che potevo. Puntava gli occhi dritti in quelli del ragazzo, le sopracciglia erano distese, il suo respiro era regolare.
Abbassai nuovamente lo sguardo sui suoi polsi, la pelle si era arrossita, anche lei spostò la sua attenzione sulla presa ferrea e...annuì? Sembrò sollevata che la circolazione si era bloccata, che era stato vietato al sangue di scorrere. Schiusi le labbra e socchiusi gli occhi. Cosa significa? Non sembrava un'aggressione, un attacco o una rapina, i due mi parvero persi in una specie di limbo. Lei assopita, lui quasi attento a farle male. D'un tratto, le mani spesse mollarono la presa e resero ben visibili i segni sulla pelle delicata. Pulsavano, profondi e sanguinanti, ma sul viso della ragazza non vi era alcuna traccia di dolore. Ci misi qualche secondo per interpretare la connessione fra i due, lei lo osservava come se lo venerasse. Era uno sguardo silenzioso e profondo, come se lo stesse pregando di farlo ancora.
Le pupille erano dilatate e lo fissava negli occhi, senza spostare mai la traiettoria. Da come schiudeva e richiudeva le labbra dedussi che avesse la bocca asciutta, come se lui le avesse risucchiato via un frammento di sé. Non parve accorgersi dei segni che le aveva lasciato. Lui anche la guardava intensamente negl'occhi. Aveva il petto gonfio e un ghigno sinistro gli dava un'aura di mistero e terrore. Sarei dovuta andarmene, ma c'era qualcosa in quelle due figure che mi tenne inchiodata al cemento. Percepii un movimento improvviso del ragazzo e mi rigirai di scatto per non farmi vedere. Il cuore mi pulsava in gola, cercai di restare immobile con gl'occhi sbarrati. Spalmai quanto più riuscii il corpo contro la parete e cominciai a tremare alla possibilità che svoltassero l'angolo dove mi trovavo io.
Un scarica di brividi viaggiò lungo la mia pelle, udii un rumore di passi e per poco non mi sembrò che gl'occhi stessero per schizzarmi fuori dalle orbite. Non venire di qua, non venire di qua. Portai istintivamente le mani sugli occhi e mi paralizzai, non avevo più aria nei polmoni. Attesi. E se mi avessero visto? Forse erano una coppia di pazzi e mi avrebbero rapito. Pregai di trovarmi di nuovo nel mio letto, insieme agl' incubi e al fuoco pronto a corrodere lo sterno. Pregai persino di ritrovarmi nella stanza di Thomas insieme al suo cadavere. Pregai...pregai mentre facevo pressione sugli occhi con le dita.
Silenzio.
Una quiete agghiacciante riempiva il vicolo oscuro. Solo il fruscio del vento che mi aveva soffiato sulla pelle mi fece capire di essere ancora viva. Tolsi lentamente le mani dagli occhi e spostai lo sguardo a destra, facendo respiri lenti e corti. Cercai di fermare il tremolio, ma le dita vibravano senza che riuscissi a controllarle. Dovevo guardare, o sarei rimasta lì in eterno. Ripetei a me stessa circa una decina di volte che il coraggio non mi mancava e che solo i deboli si lasciavano sopraffare dalla paura. Io, non potevo provare paura. M'avvicinai lentamente allo stipite della colonna e feci sbucare il capo quel poco che bastava per vedere il fondo del vicolo vuoto e cupo. Non c'era più nessuno. All'improvviso, un fresco pungente toccò i polmoni e mi sembrò di tornare in vita dall'aldilà.
Una sensazione di confusione e leggerezza sembrò mischiarsi con i sospiri lunghi e deboli. Il macigno sul cuore, però, era ancora pesante e mi accompagnò lungo tutta la via del ritorno che percorsi assorta in un limbo sconosciuto. Le mani e gli sguardi di quelle due persone continuavano a presentarsi, ad ogni passo i loro occhi e i loro movimenti tornavano.
Non riuscii a decifrare la scena alla quale avevo assistito. Solo la sera tardi, quando raggiunsi la mia camera fredda e solitaria, prima di perdermi in un sonno ipnotico, m'accorsi che il mio corpo per la prima volta dopo tempo non era ardente e caldo d'odio, ma gelido e spoglio d'energia. Man a mano che la mia anima s'addentrava nel buio, s'assolsero pian piano anche le figure del vicolo e, per la prima volta, non dovetti combattere con demoni e fantasmi.
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