Pressione

- La pressione consiste nel dover fare qualcosa per la quale non si è veramente preparati. -

Kendall

Lanciai un ultimo sguardo alla macchina, parcheggiata dietro l'edificio prestante dove risiedeva Dave. Lontana dall'entrata, abbandonai la vettura, e m'incamminai furtivo nel vicolo. Le indicazioni che mi aveva dato erano tali, e le seguivo con orgoglio. Se questo era il suo volere, tale avrebbe avuto. Io, sarei stato onorato di esser collegato a una mente così geniale e potente, ma quello che volevo io, non importava. Mi bastava avere le sue attenzioni, lui mi stava trasformando. Ogni parola, ogni istruzione che mi dava, nutrivano la mia voglia di cambiare e di essere come lui. Mi cibavo della sua presenza, tassello dopo tassello sentivo che Dave era l'artefice della nuova versione di me. Salendo i gradini del palazzo, un passo alla volta, mi muovevo scaltro nella penombra della notte. Attesi senza bussare che la porta si aprisse e rivelasse l'uomo al quale dovevo la mia vita. Dave non era un ragazzino debole come lo ero io, era un uomo. Un uomo potente, in grado di farsi rispettare. Potevo solo essergli grato per degnarmi della sua presenza. Un ardore feroce, carico di desiderio, mi rendeva prossimo a un'altra occasione di dimostrare ancora che meritavo il suo rispetto. Ero terrorizzato dalla possibilità che, deludendolo, mi avrebbe abbandonato, come avevo fatto io stesso con Thomas. Non riuscivo a tener ferme le mani, non trovavo pace, mai, se si trattava di uno dei nostri incontri. Agitavo le dita con movimenti nervosi e circolari.

- Entra. Fa in fretta. – Mi ordinò con tono rigido, nessuna possibilità di eludere la richiesta. Eseguii, avanzai, attraversando la linea di confine tra l'esterno e l'inferno. Entrai in quell'appartamento familiare, dove tutto prendeva sempre più forma. Mi accolse la solita parete grigia, spoglia e consunta. Il pavimento in legno rovinato dava alla stanza un'aria di vissuto, di una stanza che ogni giorno vedeva l'avanzamento di un grande progetto, il più grande degli ultimi vent'anni. Un odore chimico s'infiltrò fra le vie aeree, pungente, mi colpì al cervello.

- Sono pronto. – Non mi era mai svelato lo scopo di un incontro, non prima che ci trovassimo fisicamente insieme. La fame di sapere contribuiva ad alimentare l'ossessione che maturavo ogni secondo di più verso Mason e Jason, nel vedere quei crani forati al centro della testa. Ero ossessionato dall'immagine del corpo di quei due bastardi, a terra, ai miei piedi, striscianti, come due vermi, che provavano a trascinarsi lontano da me. Il sangue che gli sgorgava da ogni ferita, gli occhi terrorizzati e le preghiere di fermarmi. Mi sedetti sul divano, al centro della stanza, e lasciai che la mia mente vagasse.

- Ti...ti prego. – Chiusi gli occhi e ispirai piano, assimilando e assaporando la dolce melodia di quella voce spezzata che mi suonava in testa. I gomiti che si tagliavano ad ogni tentativo di strisciare. Le grida ad ogni sparo sulla gamba, l'urina che fluiva sul pavimento quando gli puntavo il fucile alla testa. Io, in piedi, sopra di loro, li seguivo col fucile in mano e ridevo amaramente, pronto a porre fine alle loro vite prima di ricongiungermi con mio fratello Thomas. Tutto questo, lo facevo per lui. Lo facevo per farmi perdonare. Dave sorrise compiaciuto e mi venne spontaneo imitare il suo ghigno glaciale. Eravamo lì, avvolti in un alone oscuro e arcano, inglobati in un legame peccaminoso, due amici secolari pronti a bramare vendetta, a ridere in modo perverso al pensiero del rispetto che avrei guadagnato.

- Bene, Kendall. – Fece un passo verso di me. – Ti sei divertito con l'arco eh? A trafiggere il cranio di quelle bestie? – Me lo ritrovai ad un centimetro dal viso. Mi alzai dal divano e puntai gli occhi dritti nei suoi, carichi di soddisfazione. Cazzo, cazzo se avevo goduto. Dovevo dimostrargli che stavo cambiando, che non ero più il demente che aveva raccolto mesi prima da terra. Avevo il compito di soddisfare le sue aspettative, ogni giorno. Deluderle avrebbe significato perdere l'occasione di ritrovarmi con Thomas ma, soprattutto, di deludere lui un'altra volta. La mia anima non l'avrebbe retto, dovevo rimanere concentrato, per lui. Uccidere quelle bestie mi aveva dato una scarica di adrenalina mai provata prima e, l'idea che ne avrei provata di più uccidendo delle persone, un'intera squadra, mi aveva iniettato nelle vene una sorta di droga. Ero drogato di morte.

- Oh, sì. Non vedo l'ora che al loro posto ci siano quei bastardi. Voglio vedere il loro sangue schizzare verso di me, macchiarmi della loro vita, cazzo, si! – Sibilai velenosamente, con la lingua fra i denti e l'aria che scivolava su di essa. Il ghigno di Dave si fece ancora più saturo d'oscurità, la stessa che volevo avere anche io.

- Perfetto. Oggi, studieremo come isolare l'intera squadra. Come abbiamo osservato in questi mesi... – Li avevamo seguiti per mesi all'interno delle mura scolastiche, per studiare quale sarebbe potuto essere il momento più adatto per colpire. Il mercoledì. Me lo ripetevo in mente di continuo, lo vedevo lampeggiare nella mia testa come se mi chiamasse ad assolvere il mio compito.

- Ma prima, Kendall, prendi il calendario. Scegli un mercoledì, sarà il giorno della tua vendetta. – La possibilità di scegliere mi fece gonfiare il petto, rivolsi il mento verso l'alto e sorrisi. Mi avvicinai al calendario, appeso vicino la porta d'ingresso. Tirai su le varie pagine, fino ad arrivare a maggio del 2017. Mi fermai di colpo e sentii gli occhi inumidirsi. Il destino, era Thomas che mi chiamava a lui, ne ero certo. Le nostre anime dovevano riunirsi nello stesso giorno in cui eravamo già morti entrambi.

- Il 17 maggio, Dave. È la data di morte di Thomas, questo è destino. Questo...questo è fantastico. – Allargai le labbra in un sorriso smagliante, la felicità di riunirmi a mio fratello contrastò con la devozione a Dave. Lui sollevò una mano per bloccarmi e le rughe d'espressione calarono all'istante.

- Contieniti, Kendall. Disciplina, diamine. – Si prese gioco di me, emise una risata sarcastica, infilando le mani nelle tasche. -- Se una data ti sconvolge così profondamente, forse non sei pronto alla crudeltà che ci attende. – La mia euforia si spense all'istante, mi fece sentire una nullità. Aveva ragione, niente doveva distrarmi. Dovevo essere sempre, perennemente concentrato sull'obiettivo. Vacillai, per un attimo mi sentii disperso, mi mancò la terra sotto i piedi.

- Cosa...cosa? -. Boccheggiai, il fiato fece fatica a lasciare i polmoni. Mi zittii di colpo. Scossi il capo, cercando di riprendermi. - No. Hai ragione. Perdonami. Disciplina, non accadrà più. – Replicai con tono risoluto, pregando che mi perdonasse e di non aver perso la sua stima. Trattenni il respiro, mi guardò intensamente negli occhi, inspirò a pieni polmoni ed espirò con le mani sui fianchi. Dai miei occhi traspariva una determinazione mai avuta prima. D'ora in poi, niente mi avrebbe distratto. Scusa, fratellino, lo faccio per te.

- Cominciamo. – Allargò le spalle ed emise un ghigno beffardo. Senza far vedere che mi era mancata l'aria, la lasciai fuoriuscire dalla fessura delle labbra. Ero ancora in gioco, ero ancora con lui. Mi dava ancora la possibilità di morire e di rinascere, e io non potevo che essergli grato.

- Studieremo le bombe. – Sgranai gli occhi e allargai le labbra in un sorriso, piegando il capo in avanti. - Più avanti definiremo come utilizzarle, ma appiccare un incendio mi sembra il modo migliore per impedire alla squadra di uscire dalla palestra. – Il suo sguardo era serio, così lo imitai, soffocando la curiosità e aspettando le sue istruzioni.

– Mi sembra perfetto. Come? – Annuii, speranzoso di ottenere quanto prima le informazioni con le quali avrei potuto bruciar vivi quelle merde. Vedere la loro carne liquefarsi sotto la mia vigilanza.

- Ci serve qualcosa di pratico, di veloce. – Si passò la mano sul mento e sul capo rasato. - Ho pensato alle bombe a benzina. – Non sapevo cosa fossero, sapevo solo che più Dave parlava, più l'ammirazione che avevo cresceva. Più ci spingevamo oltre, più la fame di uccidere m'investiva.

- Spiegami, sono tutto orecchie. – Affermai, tornando a sedermi sul divano e guardandolo dal basso.

- Sono bombe da fare sul momento. Dovremo reperire i materiali ma, soprattutto, dovrai essere concentrato. Lì sarai euforico prima di attaccare, ma il minimo sbaglio può essere fatale e compromettere il piano che definiremo. – Puntò gli occhi cupi nei miei, attenti ad ogni sua parola. Sapevo di non dover sbagliare.

- So che ci riuscirò, con te che mi guidi, diventerò una macchina. Pronta a seguire ogni fase con concentrazione, non sto andando a divertimi, lo so. Diventerò come te. –

- Non sarai mai me. – Mi corresse con una calma inquietante, mi fece annidare la saliva sulla punta della lingua.

- No...certo che no. Scossi il capo frettolosamente, supplicando gli inferi che dimenticasse l'orrida menzogna che avevo pronunciato. –

- E cosa sarai lì a fare, Kendall? – Incrociò le braccia al petto, muovendosi a passo deciso verso di me.

- A vendicare me e Thomas, ma soprattutto, a guadagnarmi il suo perdono per non essere riuscito a capirlo, a salvarlo. Sono stato debole, un perdente e non hai idea della rabbia che provo per me stesso. – Strinsi le mani fra loro. - Ma posso controllarla, Dave, te lo giuro. Sono disposto a fare qualsiasi cosa per tornare da Thomas. – Quando Dave mi trovò, legato a quell'albero, la mia vita non aveva senso. Dopo aver perso Thomas, niente aveva più importanza. Volevo uccidermi anche io, per andare da lui, ma non avevo il coraggio di fare neanche quello. Temevo che ce l'avesse con me, per non averlo compreso prima, che se ne fosse andato perché pensava che lo avessi abbandonato. Ci avevamo provato, io e Rachel, ma era troppo tardi. Quando abbiamo iniziato a dar peso ai suoi comportamenti sfuggenti, lui si era già perso. I sensi di colpa mi mangiavano vivo, anzi, mi avevano ucciso. 

Quando Dave è venuto da me, io ero già morto. Chiunque poteva farmi qualsiasi cosa, non mi importava. Dave mi capiva, i nostri passati s'allineavano coi tormenti del presente. Anche lui aveva peccato verso un familiare, avevamo lo stesso bisogno di morire. Avevo sentito, per la prima volta dopo mesi, la presenza di qualcuno che mi capisse, che fosse come me. Neanche Rachel era come me, neanche di lei m'importava più. Mi aggrediva, voleva una reazione da me, voleva ostacolare la mia morte lenta. Lei ci era riuscita, aveva mantenuto una sorta di controllo anche dopo il suicidio di Thomas. Non capivo come potesse voler continuare a vivere mentre io non pensavo ad altro che a lasciarmi andare. Lei non era come me e Thomas, lei era la speranza. Lo era prima e lo era anche dopo, seppur in forma diversa, a lei importava solo di se stessa e di poter andare avanti. Lei non era come me e Dave, devoti alla propria espiazione di colpe. Per questo, quando lui mi aveva detto che uccidersi per tornare da Thomas era l'unica cosa che potesse dare un senso alla mia vita persa, ero stato attratto da come facesse ad avere tale coraggio. Non era solo questo, lui non aveva solo coraggio. Aveva tutto quello che io volevo essere. Potere, forza, determinazione.

- Bene. Sarà meglio. Prendo il computer, ti faccio vedere. – Sparì dietro i muri del corridoio, lo attesi come se fossi un topolino preparato alla presa del suo gatto. Non so come sapesse che la squadra di pallavolo prendesse di mira anche Thomas, ma non mi importava. Ascoltarlo narrare di come mio fratello fosse ancora più deluso da me, vedendomi strisciare ai loro piedi, mi aveva acceso un bagliore nel cuore che si era spento dal giorno della sua morte. Dave era stato come un segno divino, un segno che il destino volesse riportarmi da Thomas. Prima di tornare da lui, però, avevo un compito: diventare che avrebbe meritato e che non aveva mai avuto. Autorevole, capace di rendere giustizia, dominante su chi ci aveva fatto soffrire. Ero rimasto affascinato dalla possibilità di spingermi così oltre, dalla possibilità di essere chi non ero mai stato. Avevo avuto il desiderio di essere come Dave, anzi, di essere proprio lui.

Quel giorno, Dave tornò con il computer in salone, mi mostrò dei video su come si progettassero tali dispositivi. Ad ogni esplosione mi scoppiava il cuore, muovevo frenetiche le gambe mentre ero seduto sul divano, sbattevo i piedi sul pavimento. Mi mordevo le labbra finché delle lievi colate di sangue mi sporcavano il mento.

- Bisognerà prendere delle bottiglie di vetro, due basteranno saranno più che sufficienti. Dovremo riempirle di benzina, puoi solo immaginare il genere di fuoco che voglio farti appiccare. Sarai tu a prepararle, io nel frattempo spargerò altre fiamme per far divampare l'incendio. Io sarò la miccia, tu sarai il fuoco vero e proprio, impetuoso e pericoloso. – Mi spiegò, lo ascoltavo attento a non perdermi nessun dettaglio. La responsabilità che avevo cresceva, ma ero elettrizzato. Dave mi stava aiutando, ma la vendetta era la mia. Sarei stato io a giocare con la sorte e assicurarmi che mi portasse dove volevo io, da Thomas.

- Va bene. Spiegami. – Mantenni un'espressione coscienziosa, con le sopracciglia curve e la bocca serrata, per fargli vedere che ero affidabile. Non avrei potuto fare nulla senza di lui.

- Prenderai il lembo di un lenzuolo, da tagliare prima, e dovrai avvolgerlo sull'imboccatura della bottiglia. – L'immagine che si creò nella mia testa mi provocò un ghigno spontaneo, un ghigno perverso. Dave rimase serio, composto, ma io non riuscivo ad arrestare l'esaltazione che sentivo crescere dentro di me.

- Lo attorciglierai al collo con lo spago, stretto, mi raccomando. Ricorda di lasciar pendolare le estremità del lenzuolo, pronte ad essere incendiate. Dovrai essere veloce, rapido. Ci alleneremo quando avremo preso i materiali. - Alzavo e abbassavo la gamba con colpi secchi, lui era in piedi. I brividi risalivano dalle budella, infettandomi il corpo come fossero batteri.

- Quando sarà il momento, abbasserai un angolo del lenzuolo davanti a te, capovolgerai la bottiglia in modo che la benzina esca dal collo e goccioli sul tessuto. – I brividi avevano raggiunto lo sterno, premevano sul petto. I colpi delle gambe contro il pavimento più veloci. Le mani strette fra loro, le unghie conficcate nella carne.

- Rimetterai la bottiglia verso l'alto, la terrai con la mano destra. Dovrai far attenzione, la maggior parte del lenzuolo dovrà essere ammucchiato sotto la bottiglia. Ora, arriva il bello. – Si lasciò sfuggire una risata nera, piena di cattiveria. Ma non era cattivo, solo capace di avere giustizia. I brividi pompavano attorno al cuore.

- Con la mano sinistra prenderai il lenzuolo vicino all'angolo bagnato di benzina. Aspetterai che io abbia sparso il resto della del liquido in corridoio e accenderai l'angolo intriso di benzina. Lancerai la bottiglia e il lenzuolo infiammato. – I brividi risalirono lungo la gola. Colpi secchi, ripetuti, veloci della scarpa contro il legno. Un formicolio sulle guance si faceva sempre più invadente, più pressante. Non resistevo più. L'eccitazione mi pugnalava, s'insinuava fra le sottili crepe della pelle, pura, pronta ad avvelenare la mia psiche.

- Poi decideremo dove e quando, ma la bottiglia si romperà, la benzina del lenzuolo in fiamme a contatto con il resto del liquido sul pavimento, creeranno un fuoco vivo, che brucerà l'area circostante e intrappolerà la squadra come maiali pronti al macello. – I brividi scivolarono sulla lingua, avevo bisogno di far evadere la follia, di peccare di concentrazione. Esplosi. Una risata, liberatoria, viscerale mi sfuggì come un sibilo. In quelle risa gelide, si celava tutta la fame e la bramosia che avevo di uccidere. L'eco della mia follia era reale. Dave, sta volta, non mi rimproverò. Si lasciò andare. L'unione delle nostre risa amare e i ghigni sadici sulle labbra ghiacciarono la stanza e diedero vita a un legame sempre più reale, più spaventoso, più prossimo alla morte.

Diin.

Una notifica sul cellulare. Era di Dave. Abbassò lo sguardo sullo scherno, la luce artificiale illuminava le labbra tese. Un senso di panico mi fece sussultare, la possibilità che tutto fosse finito.

- Cosa Dave? Che succede? – L'ansia si diffuse nell'aria, mi prese a pugni lo stomaco e mi tagliò la schiena. Mantenne l'attenzione sulla notifica, scorsi le labbra curvarsi all'insù, lentamente. Alzò il capo, i nostri sguardi s'incrociarono, allacciati gli uni agli altri. La serietà con la quale mi premeva addosso mi fece pregare che parlasse. Degli animali sconosciuti mi stavano divorando l'anima. Un lampo di luce balenò nelle sue iridi spente.

- Sono arrivate le armi. –

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