Mostro
- Ognuno di noi ha un mostro rinchiuso nel cuore, ad alcuni, basta una piccola crepa per sprigionarlo e lasciargli massacrare tutto ciò che li circonda. – Dave Sanders
Dave
Mancai la mira.
Cazzo, non era mai successo.
Aumentai la forza della presa sul fucile. Divaricai le gambe e strizzai l'occhio per mettere a fuoco il tronco dell'albero. Accarezzai la canna, poi posizionai l'indice sul grilletto. Premetti. Il rombo risuonò nella foresta, la neve precipitò dagli alberi e gli uccelli fuggirono via. Il proiettile schizzò fuori provocandomi un tremolio alle mani.
Mancato, di nuovo.
- Dave, va...va tutto bene? – Scattai il capo verso Kendall.
- Cosa stai insinuando, Kendall? – Puntai il fucile nella sua direzione, mirando al centro della sua testa. Strabuzzò gli occhi e diventò paonazzo.
- N..niente. Io..io. – Avanzai a passo lento, mentre il suo corpo si pietrificava e un ghigno divertito prendeva forma sul mio volto.
- Cosa? Pensi che tu stia facendo meglio di me? –
Era vero, in realtà. Kendall aveva preso a segno ogni tiro, ma non avrei mai ammesso che, in quel momento, la nebbia mi aveva risucchiato il cervello.
- Da..Dave. – Posizionai la punta del fucile al centro del suo cranio. Assaporai l'idea di traforarglielo, sentendo una scia di sangue colarmi sulla lingua.
Non è il momento.
- Sta zitto. –
- Scu..scu... – Feci più pressione, Kendall mi guardava con gli occhi vitrei, gli stessi che ormai aveva da mesi. Mi beai di quello sguardo terrorizzato, poi, di colpo, mollai la presa.
Il segno del cerchio rimase impresso in mezzo alla fronte, lui liberò le vie respiratorie ostruite dal terrore.
- Un parassita, ecco cosa sei. – Sibilai.
Come quella stronzetta di tua sorella.
Nel mio cuore si diffuse rapida l'eccitazione di strapparle via il fratello, di frantumarle le pareti cardiache.
Le sue parole mi erano colate addosso e solidificate nelle pieghe della pelle.
Aveva osato pronunciare la parola – cambiare – rivolgendosi a me. Era questo che credeva di fare? Tentare di manipolarmi con il suo corpo?
Per cosa, poi? Salvarmi?
Mi sfuggì una risatina amara, Kendall inghiottì la bile e tornò a guardare il suo fucile.
- Continua a sparare, invece di fare osservazioni sul mio conto. – Ringhiai, sparai un colpo contro il tronco e lo presi al centro. La corteccia scricchiolò, si sgretolò, perdendosi nel terreno innevato.
- Il prossimo finirà dritto nel tuo cervello. –
***
Rachel era stata ancora più stupida di quanto credevo potesse essere. Non so cosa le avesse fatto pensare di potermi cambiare, ma ci aveva provato. Aveva osato avvicinarsi a me solo per manipolarmi, non per un desiderio irrefrenabile di farsi punire.
Non potevo essere caduto nella sua trappola, quindi, mi ero liberato di lei come ci si libera di un parassita.
Ma non vedevo l'ora di vederla morire per la strage che avrebbe condotto suo fratello.
Se lo meritava.
Nonostante l'odio nei suoi confronti, in quel momento, il mio cervello era come liquefatto. Dovevo riprendermi, smettere di pensare ai lapilli schizzare dalle nostre labbra o all'impulso di baciarla per zittirla.
Doveva stare lontano da me, per questo le avevo dato il ciondolo. Simbolo dell'oscurità più celata nel mio cuore.
Lei non aveva ancora visto niente di me.
Provare a superare il limite le sarebbe costato la vita, l'avrei bruciata viva. Le avrei strappato il cuore dal petto e l'avrei sgretolato davanti a lei, guardandola morire.
Non doveva provare mai più a sfiorarmi la mente.
Un boato attirò la mia attenzione, il legno della porta d'ingresso vibrava sotto dei colpi persistenti.
La spalancai.
- Non puoi ignorarmi. – La sua figura esile varcò la soglia prima che potessi accorgermene. Il cuore cominciò a traforarmi lo sterno, lo sentivo pulsare nella colonna vertebrale.
- Vattene via, Rachel! – Avanzai verso di lei. Lo spigolo del tavolino le si era conficcato nella carne.
Cosa vuoi da me, piccola stronza? La sua sola presenza mi destabilizzava, la sola idea che volesse manipolarmi era come lava incandescente per la polpa celebrale.
- No, Dave. Voglio parlare. – Mantenne il contatto visivo.
Cosa devo fare per terrorizzarti?
- Devi sparire! – Le gridai a un soffio dal naso, i capelli le oscillarono per la potenza delle urla. Lei serrò gli occhi e sobbalzò.
- Voglio che esci subito da casa mia! – La mia voce ferma e decisa era scomparsa, stavo perdendo il controllo.
Arretrò di due passi, incrociò le braccia e riaprì gli occhi. Erano tornate le fiamme, quelle che le avevo prosciugato e che la tormentavano prima che cedesse al mio volere.
- Grida, urla quanto vuoi. Io non vado da nessuna parte. –
Perché? Perché fai questo?
Afferrai la bottiglia di vetro sul tavolo, dietro di lei, e la scaraventai al muro. Sotto la pianta del piede bruciava tutto, e i lapilli schizzavano e risalivano sul corpo.
Rachel trasalì quando lo stridore c'investì e le schegge di vetro saettarono da tutte le parti, carezzandole la pelle. I nostri volti si sfioravano, alzavo e abbassavo il petto irregolare. Le mostravo i denti e avevo le narici allargate. Vidi l'ombra del terrore affiorare nei suoi occhi, risucchiando le sue iridi.
- Tu. Non. Sei. Un. Mostro. – Scandì parola per parola, sussurrando.
Perché non se ne andava? La gola risucchiò la lingua, la sentii rovesciarsi e riempirmi le pareti umide. Non riuscivo a parlare. La gabbia toracica vibrava.
- Nei...nei tuoi occhi c'è qualcosa..Dave. – Le sue pupille vagavano e s'immergevano nelle mie.
Si, qualcosa. Il sangue e l'orrore di una bestia. Mi chinai e afferrai una delle schegge di vetro da terra. Portai la punta sulla tempia sinistra e l'affondai nelle pelle.
I suoi occhi si sgranarono e fece un movimento improvviso con le mani, che arrestò non appena vide il sangue colarmi dalla tempia e macchiarmi le labbra.
- Sono questo, Rachel, un mostro. Stai lontana da me. – Sussurrai, mentre le parole masticavano il sangue e i nervi della lingua.
Lei fece un respiro profondo e scosse il capo.
Perché pensa queste cose di me?
- Nei tuoi occhi c'è dolore, Dave. – Alzò un dito, mi sfiorò il labbro inferiore e raccolse del liquido rosso sul polpastrello.
Quel contatto mi fece tappare completamente le vene. Le labbra sfavillarono, ebbi l'impulso di attaccarla al muro e rubarle il respiro.
- ESCI. SUBITO. DA. QUI. – Le grida inferocite rimbombarono tanto forte che i frammenti di vetro tremarono sul pavimento. Se fosse rimasta, le avrei potuto fare del male.
Non come ero solito fare, ma in modo irreparabile.
Ma io non ero così. Non volevo essere come mio padre.
Il dolore fisico su una donna era per i deboli e per i codardi, come lui.
Io non sono debole.
Ma Rachel, lei stava sfidando le parti più segrete del mio subconscio. Socchiuse gli occhi, prese un respiro profondo e, tremando, si alzò in punta di piedi.
Posò le labbra sulle mie e leccò via un po' di sangue, come se volesse dirmi che potevamo dividere il dolore.
I muscoli erano paralizzati, l'osso del collo stava per spezzarsi.
Non so se furono i miei occhi sgranati, lo sguardo omicida o il sangue che sgorgava ancora dalla tempia, ma subito dopo schizzò via verso la porta, correndo come se stessi per ucciderla.
In quel momento, tutto avrei voluto tranne che ucciderla.
Farla soffrire, torturarla e punirla per aver osato sfiorarmi.
Forse possederla, oppure marchiarla.
O magari, invece, si, ucciderla, per impedirle di scalfirmi.
La sua fuga fu quasi inutile, le sue gesta e le sue parole si erano cucite nelle mie fibre corporee.
Pochi giorni dopo, mi ritrovai per le vie di Littleton a dover combattere contro un impulso mai provato prima: aiutare qualcuno.
L'urlo di un infante ferito mi aveva rapito e, senza che fossi io a controllare le mie azioni, mi ero recato nella sua direzione.
Un bambino innocente, caduto a terra con una gamba rotta. Sua madre che correva da lontano, la mia mano che s'allungava per aiutarlo.
Non ero io ad agire, qualcos'altro mi stava controllando.
Quando, d'un tratto, le grida di sua madre e i suoi occhi addolorati mi catapultarono indietro.
In quella camera da letto.
- Non sei debole. – Il ricordo mi aveva tirato un pugno dritto sul cranio, avevo iniziato a digrignare i denti e ritratto la mano. Dovevo sembrare un folle, perché il bambino cominciò a urlare e io sentivo le vene rosse pulsare fuori dagli occhi.
Cosa mi stai facendo, Rachel?
Niente.
Fu questa la risposta che mi diedi, quando divorai la mente dell'ennesima persona, un bambino, incidendo la mia immagine nella sua coscienza, a perseguitarla nei sogni.
Gli occhi di un mostro, gli occhi di una bestia.
Ognuno di noi ha un mostro rinchiuso nel cuore, ad alcuni, basta una piccola crepa per sprigionarlo e lasciargli massacrare tutto ciò che li circonda.
A me, era bastato un soffio.
Il suo.
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