Incrinature
- Il vetro conserva le impronte di chi lo tocca e tu, conserverai le mie. – Dave Sanders
Dave – 10 anni prima
La sua mano corpulenta agguantò il colletto della mia maglietta blu. Le sue dita strinsero il tessuto in un groviglio, lacerando il capo d'abbigliamento. Percepii il corpo precipitare all'indietro, non sentii più la terra sotto i piedi. Mi scaraventò contro la parete. Sentii la testa schiantarsi e la pelle infiammarsi a contatto col legno rovinato. Avvertii un rivolo umido colarmi dalla nuca e l'odore di ferro riempire la stanza.
- Lasciala stare! – Gridai singhiozzando. – T-ti prego papà! –
- Silenzio! – Rovesciò il tavolino di vetro che si frantumò in mille pezzi, lo stridore acuto delle schegge trasparenti contro il pavimento mi fece tappare le orecchie.
- Fe-rm-o Peter! Fa-fa-llo andare via. – Supplicò la mamma, accasciata a terra e sanguinante. Il volto tumefatto, un occhio nero e il labbro spaccato. Il mio sguardo si posò sulle sue braccia, le schegge di vetro le avevano trafitto la pelle.
- P-ap-pap-à – boccheggiai col labbro tremolante, rannicchiato su me stesso, con la manina stretta attorno alla ferita aperta. Non ebbi il tempo di alzare lo sguardo che sentii la sua presa ferrea attorno al polso – No! No! – Scalciai e mi divincolai. Un calcio nello stomaco. Il cuore in gola e gli occhi schizzati. Sentii la gola grattare e cominciai a tossire ripetutamente. Sputavo sangue. – Assisterai. Vedrai con i tuoi stessi occhi quanto tua madre sia una lurida puttana! – Non capivo cosa volesse dire, la vista era annebbiata. Sentivo la pelle graffiarsi mentre mi trascinava a peso morto, ogni lembo bruciava. Ero sporco di sangue, dolorante e umido di lacrime. Volevo salvare la mia mamma, ma lui era più forte di me. Lo sentii trafficare con la mano sinistra, mentre la destra possedeva ancora il mio polso.
- Eccola qui! – Sentii i polsi stringere, ma evitai di muovermi per non ricevere altre percosse. Mi trascinò verso la poltrona, quella davanti al divano dove era sdraiata mamma, inerme. Le funi di una corda si strinsero sul mio stomaco e la schiena si scontrò con lo spigolo del tavolino accanto. Mi mancava l'aria.
- Se muovi anche solo un muscolo e sento il rumore di uno spostamento, tua madre muore. – La indicò continuando a minacciarmi con lo sguardo, non emisi un fiato. Feci cenno di sì con il capo e mi limitai a chiudere gli occhi mentre si voltava.
- N-no Peter. Ti scongiu... - Il suono di uno schiaffo mi fece trasalire, cominciai a tremare e ad ogni scossa la corda si stringeva di più, premendo contro la pancia. Le lacrime scendevano copiosamente, mischiandosi con il sangue secco della ferita tamponata.
- Sta zitta! – Un altro colpo. Silenzio. Non sentivo più le suppliche della mia mamma, temetti fosse morta e il cuore schizzò in gola, aprii lentamente gli occhi e soffocai un urlo. La figura imponente di papà mi dava le spalle, sovrastava il corpo di mamma che evitava di guardarlo negli occhi e boccheggiava. Le mani di papà si muovevano verso il basso, mi parve di sentire il rumore della cintura schioccare e aprirsi. La risata crudele di papà fece piangere mamma ancora di più. Feci attenzione a non muovermi, non sapevo cosa stesse per farle, ma non volevo che la uccidesse. Mamma smise di tremare quando sentii la cerniera dei pantaloni di papà aprirsi, lei mi guardò. Puntò i suoi occhioni azzurri lacrimanti nei miei, persi come i suoi, nella speranza di appigliarci l'uno all'altro. Mimò un – mi dispiace tesoro – con le labbra e chiuse gli occhi, abbandonandosi a ciò che sarebbe successo. Papà si girò verso di me, pensai per controllarmi, invece mi sorrise. Un sorriso spiritato e violento. Il cuore martellava, o forse si era fermato ed io non me ne ero accorto. Tornò a guardare la mamma, si calò i pantaloni e mi ritrovai davanti i suoi boxer. Non capivo niente, pensavo l'avrebbe picchiata come accadeva spesso. Mutande a terra. Papà si spostò di profilo, i miei occhi si sgranarono. Il suo membro, come quello che avevo io, ma più grande, penzolava fra le sue gambe. Per un attimo, non sentii più le corde strette attorno a me. Cercai di eclissarmi, concentrandomi sul fatto che il suo fosse dritto, non capivo come potesse essere possibile, il mio non lo era mai stato. Il rumore di uno strappo mi fece sobbalzare e tornai a guardare la mamma. I suoi pantaloni erano lacerati, le rimanevano addosso quelle mutandine rosa che teneva nei cassetti. Non volevo vedere la mamma così, quindi la guardai negli occhi, ma lei non c'era. Le pupille erano state risucchiate, guardava papà, ma il suo sguardo era vitreo e l'espressione sul viso impassibile. Le lacrime, però, continuavano a scendere e centellinavano sul divano beige, riempiendolo di piccole macchie tonde. Ero sicuro che di lì a poco le avrebbe dato dei pugni sulla pancia, così cercai di tapparmi gli occhi senza fare rumore.
- Devi guardare, Dave. – Non urlò, ma lo ordinò con un tono minaccioso. La mamma era completamente nuda ora, aveva un solco in mezzo alle gambe, coperto da una montagna di peli. Divenni paonazzo, sentii il sangue affluire verso le orecchie che divennero bollenti. Serrai gli occhi d'istinto e tentai di scivolare a terra. Lo stridio del tavolino fu l'unico rumore presente nella stanza. Oh no, adesso papà la uccide. Ma papà non disse niente, riaprii gli occhi e ciò che vidi mi fece venire voglia, per la prima volta, di morire. Il corpo di papà era sdraiato su quello di mamma, le sue gambe erano divaricate e lei era ferma. Vedevo il membro di papà fuori e poi sparire, quando spingeva verso mamma. Mi morsi il labbro e corrugai la fronte. Mi pizzicai la pelle del polso. Era solo un brutto sogno. Papà faceva dei versi strani, la sua bocca era spalancata e i suoi occhi rovesciati. Il corpo di mamma sobbalzava ad ogni spinta, ma lei non faceva gli stessi movimenti di papà. La bocca era serrata, le sopracciglia in posizione naturale e gli occhi erano chiusi. Lo stomaco cominciò a bruciare, cominciai a mangiarmi le unghie. Cercai di non guardare, fissai il camino, ma i versi di papà si facevano sempre più forti. Afferrai la pelle del mio braccio e cominciai a stringerla, affondai le unghie nei tessuti fino a farlo sanguinare. Il dolore mi diede alla testa, ma non era abbastanza. Sentivo ancora le grida di papà e vedevo ancora il suo membro comparire e sparire, grande e pulsante. Non riuscivo a capire cosa stesse facendo, sapevo solo che la mamma sembrava morta e avrei preferito sentirla gridare come papà. Mamma, mamma fa come lui sennò si arrabbia ancora di più, svegliati. Sentii come se il camino mi fosse crollato sul petto, affondai ancora di più le unghie nella pelle. Mamma, ti prego. Ormai era immobile da così tanto che pensai fosse morta davvero, non riuscii a trattenere i singhiozzi. Il petto sobbalzava e sapevo di star facendo rumore cercando di slegarmi e correre da lei, ma se ormai se ne era andata non mi importava se papà avrebbe ucciso anche me.
- Pa-p-à! – Gridai. Non mi ascoltò, con la vista offuscata lo vidi smettere di spingere, le gambe di mamma chiudersi incontrollate. – Papà! T-i p-p-re-go è mo-mo-mor-r-ta, basta! – Strinse la sua mano attorno al membro gonfissimo, inarcò la testa all'indietro. I singhiozzi ormai erano così forti che non capii perché non stesse venendo a uccidere anche me, volevo solo andare dalla mamma. Non sapevo cosa fare, continuavo a muovermi per cercare di liberarmi, ma riuscivo solo a infliggermi tagli netti sui polsi e sulla pancia con la corda consumata. Papà esplose in un grido strano che mi fece saltare sul posto e piangere ancora di più. Il petto mi faceva così male che sperai di morire subito. – PA-P – continuai a gridare, non mi sentiva. Finchè dal suo membro non schizzò qualcosa di bianco addosso a mamma e un conato di vomito mi sovrastò, prendendo possesso del mio corpo, spalancai la bocca e sentii il miscuglio risalire lungo la gola. Lo sputai, schizzando gli occhi fuori dalle orbite e tossendo. Il sapore acido sulla lingua mi fece bruciare gli occhi. Il rumore del rigetto sovrastò le grida di papà, quando riuscii a smettere, mi portai una mano sulla pancia e cominciai a buttare fuori l'aria che mi era mancata fino a quel momento. Appoggiai la schiena alla gamba del tavolo, papà aveva smesso. Si era accasciato su mamma con l'espressione rilassata e appagata. Si era addormentato. Provai a chiamarlo per ore, cercando di liberarmi, urlai per ore.
- Uccidi me! Riportala indietro! – Niente, nessuno dei due tornò da me. Continuai a divincolarmi, a pregare la mamma di svegliarsi, a gridare mentre nella mente rivivevo i movimenti secchi e violenti di papà contro il corpo di mamma. Consumai la voce, consumai il cuore nel tentativo di farlo smettere di bucarmi il petto, consumai ogni granello d'energia. L'ultima cosa che percepii fu la testa cadere all'indietro e sbattere contro lo spigolo.
Presente
Imponenti alberi dominavano la foresta, passai il polpastrello sulla corteccia ruvida e bagnata, beandomi del fresco profumo pungente. Alzai lo sguardo verso l'alto, le chiome folte puntellate di bianco coprivano la volta brumosa di inizio novembre. La suola dello scarpone poggiava sul cristallino manto di neve, vidi la scia di orme alle mie spalle, le orme di un nuovo gioco. Il panorama innevato era celato dalla foschia, impediva di ammirare le montagne e le radure argentee, ma noi non eravamo lì per quello. Ci trovavamo sulle White Mountain a circa quaranta minuti da Littleton, in una zona di caccia poco frequentata a causa dei ripidi pendii e dell'alto strato di neve.
- Parlami di lui, Kendall. - Mi voltai e incontrai il suo viso cinereo. Il suo corpo era colpito da una serie di piccole scosse continue e il suo labbro superiore vibrava dominando quello inferiore.
- Lui era solare, gli volevo bene. - Nei suoi occhi, però, la vedevo. Captai la scintilla di curiosità, la fame di sapere la mia prossima mossa, la brama di conoscere come lo avrei condotto al potere e, solo dopo questo, riunire la sua anima e quella di suo fratello. Oh Kendall, sarai la mia più gradita scommessa.
- Fermati. Non voglio sapere cosa provavi tu per lui. Voglio sapere chi era prima di odiarti, cosa faceva prima che tu lo deludessi, voglio sapere perché si è ucciso. – Il suo sguardo si rabbuiò e io dovetti sopprimere il ghigno nascente. Era proprio quello che volevo, rendere la sua mente debole e plasmabile. Risucchiargli ogni briciolo di sanità mentale, spezzargli le cellule e ricomporle a mio piacimento.
-N-non so cosa facesse. Prima era un ragazzo sorridente, un po' spaventato dal mondo. –
- Ed era tuo dovere proteggerlo. – Affermai con tono duro, Kendall abbassò il capo verso il petto e infilò le mani nelle tasche del giubbotto.
- Ci pensava Rachel, in realtà, ma si, era anche mio dovere. – sussurrò flebilmente.
- Chi è Rachel? - Oh, sapevo benissimo chi era, ma questo non doveva interessarlo. Una stupida ragazzina impulsiva, ma avrei tenuto il lavoro con uno e con l'altro separati. Lei avrebbe potuto ostacolare la nostra impresa.
- Mia sorella. - Sputò velenosamente. La odi, Kendall? Lo osservai senza rispondere, lui capì che volevo sapere altro. – Ho smesso di parlarle, a lei e a tutto il mondo. – Recitò impassibile, come fosse una macchina.
- Non era suo compito proteggerlo, ma tuo. Eri tu l'uomo di casa. – Solo quando nominavo Thomas si scorgeva in lui un briciolo di umanità, l'unico appiglio al quale potevo afferrarmi per inclinare la sua psiche. Per il resto, questo ragazzo era una macchina che avrebbe eseguito ogni mia richiesta, ne ero certo.
- L-lo so. Forse si è – fece un lungo sospiro e fissò un punto indefinito all'orizzonte – tolto la vita perché non sono stato in grado di salvarlo. Era diventato schivo, freddo, costantemente sull'attenti. –
- Questa è la tua scusa? Così giustifichi il modo in cui ti lasci trattare? - Lo accusai, è qui che aveva inizio il gioco. I suoi occhi si vestirono di un vetro incrinato, lui si era incrinato. Avevo preso le misure e tracciato le linee di taglio ben precise. Avevo graffiato la superficie con una sottile incisione, indebolendolo.
- Arrabbiarti Kendall, cos'altro dovresti fare? Devi vendicarti. –Lo vidi illuminarsi, un ghigno particolare gli comparve sul viso, a metà fra l'amaro e lo spaesato. Fissava ancora il vuoto. – Vendicarti di chi crede di potersi prendere gioco di te, di chi ti considerava un verme. Di quegli imbecilli che probabilmente abusavano anche di Thomas e sono stati in parte causa della sua morte. È facile prendersela con i più piccoli vero? Tu sei superiore a loro, quelli come me e te sono superiori a tutti quanti. Non vuoi dargli una lezione? Una lezione vera, una che gli costi la vita. – Scattò il capo nella mia direzione – Cosa vuoi dire? Come me e te? –
- Quelli che hanno voglia di rinascere, di eccellere, di controllare. Quelli che non hanno paura. Tu hai paura, Kendall? – Lo incalzai. Osservò lo strato di neve per qualche secondo, poi tornò a guardarmi e nei suoi occhi vidi accendersi il fuoco che in lui non era mai stato presente. – No. - Quello sarebbe stato un fuoco particolare, una spirale infuocata, vogliosa di risucchiare chiunque gli avesse fatto del male.
- Io e te siamo simili Kendall. – mai pronunciata falsità più irrisoria. Feci un passo verso di lui. – Abbiamo perso entrambi qualcuno, un fratello. Ed entrambi saremmo disposti a uccidere per tornare da lui. – Un altro passo, lui continuò a guardarmi ammaliato e impaziente. - Già brami la morte, Kendall? – Scoppiai a ridergli in faccia e il suo sguardo si spostò dal mio, puntando a terra nuovamente. – T-ti prego. Voglio tornare da lui, voglio chiedergli perdono. Sono disposto a fare di tutto. – La sua supplica mi scaldò il petto, ma non era questo che doveva dire. Il vento faceva cadere lapilli di neve sulle nostre nuche, i capelli trasandati di Kendall lucevano sotto le chiome nivee– Errato, Kendall. Non devi pregare nessuno, io sarò la tua guida, io ti trasformerò in un essere spietato che punirà chi lo merita. Noi siamo superiori, io e te non preghiamo, io e te agiamo. – M'osservò ammaliato, percepii il ticchettio del vetro incrinato indebolirsi ulteriormente. Continuare a ripetergli che lui era un essere superiore era la pressione costante che dovevo esercitare dall'inizio alla fine della linea d'incisione, proseguendo con un movimento fluido e continuo.
- Io e te, non permettiamo a nessuno di ferirci, io e te puniamo chi lo merita. Non abbiamo paura di fare giustizia. – Avanzai ancora. La foschia aumentava e tutt'intorno a noi era scomparso, avvolto nella nebbia.
- Io e te, siamo come dei. Abbiamo il potere di decidere le sorti di chi vogliamo. Io e te non abbiamo – giunsi a un soffio dal suo nasso, quasi si sfiorarono – niente da perdere. – Sibilai violentemente, esercitando la pressione finale, quella più diretta e potente. Il nero dei suoi occhi era stato risucchiato dalle mie parole, si era spezzato facilmente fra le mie mani e ridotto in granelli di sabbia. Dalla mia bocca fuoriuscì l'aria gelida che lo colpì sul naso arrossato, lui la inalò a pieni polmoni e chiuse gli occhi. Li tenne serrati per un tempo indefinito, ne ero certo, la sua psiche stava elaborando il colpo, non aveva nessuno, nessuno a parte me. Li spalancò. Lampi sanguinei saettarono alle mie spalle, le sue pupille tornarono, dilatate. La vedevo, la bramavo nei suoi occhi, la scritta
RIV-ALSA
brillare sullo sfondo nero. Era iniziato il processo di ricostruzione. Avevo stretto fra le dita i rimasugli della sua psiche e li stavo ricostruendo, ma si sa, una cosa rotta non torna mai sana come prima.
- Come? Come puniremo quei vermi? – La sua voce bramosa di agire mi fece gonfiare il petto e allargare le labbra in un sorriso soddisfatto.
- Beh, Kendall. Mi duole dire che non siamo i primi ad agire. Ci sono stati altri prima di noi che volevano vendetta. E l'hanno avuta. Qui vicino, per giunta. – Mi allontanai da lui e attorcigliai le mani dietro la schiena. – Prenderemo ispirazione, magari. Ma sai, noi siamo superiori anche a loro. Queste persone hanno agito soprattutto per divertimento, Kendall. Ma per noi, sarà una missione. Non c'è spazio per il divertimento, non è divertente prendere delle vite, è un dovere. - Scrutai la sua espressione, per capire se mi stesse seguendo. Mi ascoltava come fossi un dio, il suo, e lo ero. Gli mentii, in realtà fu divertente prendere possesso della sua vita.
- Puoi giurarci, cos'hanno fatto? –
- Volevano uccidere tutti quelli che si erano presi gioco di loro, li volevano fare fuori tutti. Diciassette anni fa, due ragazzi di nome Eric e Dylan, hanno progettato l'assassinio dei loro persecutori. Erano molti, non avevano un obiettivo specifico, volevano vendicarsi di tutti. Hanno definito, organizzato e preparato un attentato nella loro scuola. Il loro errore è stato peccare di distrazione. – Gl'occhi di Kendall si illuminarono, si avvicinò a me inconsapevolmente.
- Non ci sono riusciti? –
- Oh no, ci sono riusciti. Il mio parere, però, è che fossero troppo divertiti e hanno commesso degli errori. Hanno progettato degli ordigni ad orologeria che non sono esplosi, questo ha cambiato i loro piani. Non hanno radunato chi di loro interesse in un posto unico, sono dovuti andare alla loro ricerca, rischiando di perderne qualcuno. Noi non faremo questo errore, tu non farai questo errore. –
- Io? – Annuii.
- Si, tu Kendall. Questa è la tua vendetta. Questo è il tuo ricongiungimento con tuo fratello. Io ti aiuterò, ti trasformerò in un essere spietato, concentrato e fermo. Determinazione. Disciplina e Devozione. Le tre D alle quali dovrai fare riferimento durante la costruzione della tua nuova personalità. Tu sei il centro. – Si, Kendall. Il mio centro, il mio burattino, il mio servitore senza accorgertene. L'idea del nostro futuro, di come avrei plasmato la sua mente a mio piacimento e mi sarei preso gioco di lui mi rese fiero di me. Avevo il controllo, avevo il potere.
- Determinazione: avrai degli obiettivi, ci concentreremo sulle persone che consideri meritevoli di essere punite e non commetteremo l'errore di perderle di vista. Le osserveremo prima di agire. Disciplina: quello che andrai ad imparare necessita di sicurezza e determinazione, se vacillerai, dovrò punirti per farti tornare sulla retta via. Se vuoi davvero il perdono di tuo fratello, dovrai seguire ciò che ti dirò di fare. Devozione: avrò bisogno della tua fiducia, dovrai fidarti delle mie azioni e delle mie parole. Questo perché io ti capisco e so come agire in base a cosa senti. – Kendall sorrideva come un ebete e, nonostante il freddo, la sua bocca era secca e asciutta.
- Determinazione. Disciplina. Devozione. Determinazione. Disciplina. Devozione. – Ripeté come fosse la mia marionetta.
- Esatto. Devi essere pronto, sarà un processo di preparazione lungo. –
- Lo sono. – Affermò sicuro di se, lo sguardo duro. Il processo di ricostruzione era ancora in corso, ma già ben avviato. –
- Bene. – Feci un cenno di assenso. – Per prima cosa, dobbiamo conoscere i loro movimenti per non commettere gli stessi sbagli. Noi siamo superiori, non possiamo permetterci di sbagliare. – Kendall trepidava, pendeva dalle mie labbra. Era lì, inerme e attento ad ogni parola pronunciata da me. Il vetro conserva le impronte di chi lo tocca e tu, conserverai le mie.
- Si sono esercitati con delle armi, filmati, ridendo, mentre lo facevano. Hanno preso nota di ogni loro movimento. Noi, tu, non riderai, non peccheremo di distrazione. Se sarà necessario, consumeremo ogni briciolo di energia finché non raggiungeremo gli obiettivi previsti. –
- Si. – Sorrisi.
- Sono arrivati intorno alle 11:00 davanti la loro scuola e hanno posizionato degli ordigni esplosivi nella mensa. Mossa geniale, se solo durante la preparazione avessero riso di meno e concentrati di più. E, soprattutto, se non fossero stati avidi di morte. Loro volevano il caos, noi vogliamo giustizia. Gli ordigni non sono esplosi, eccetto uno. Fuori dalla scuola, per allontanare la sicurezza. M ossa intelligente, ma non ne avrebbero avuto bisogno se fossero stati più furbi. Invece, hanno iniziato a sparare all'ingresso e poi in mensa. E dopo ancora in biblioteca, si sono dovuti spostare. Noi riusciremo a intrappolare chi dobbiamo, per non perdere nessuno. Dopo aver ucciso le loro vittime, si sono suicidate accanto a loro. –
- A-anche noi dovremo... - Inghiottì la bile – ucciderci, Kendall? – Sorrisi beffardo – Hai paura? – Scosse il capo freneticamente. – Bene. A tempo debito Kendall, a tempo debito.
- Cosa faremo noi? –
- La prima parte del piano sarà definire i soggetti, osservare le loro mosse e studiarli. Nel mentre alleneremo il tuo cervello e il tuo corpo a determinati strumenti e situazioni. Chi sono, Kendall, gli esseri meritevoli di essere puniti? – Nei suoi occhi tornarono le fiamme, i pugni si strinsero e la bile in gola era scomparsa, al suo posto vi era una palla di fuoco pronta ad esplodere.
- La squadra di pallavolo maschile. In particolare, Mason e Joseph. Oh sì, quegli stronzetti. Si prendevano gioco anche di Thomas, per mesi gli ho permesso di sputarmi addosso e deridermi. Ma ora, ora so di essere superiore a loro. So di, so di – cominciò a muoversi freneticamente, quasi gli colava la saliva della bocca a causa dei denti serrati – so di doverli uccidere. – Il petto cominciò a battere all'impazzata, il vetro era ricostruito, i fili erano stati mossi. Ora, dovevo portare avanti lo spettacolo, il mio spettacolo. Lui era mio, la sua mente era mia.
- Allora li osserveremo e monitoreremo i loro movimenti. Dovrai far girare il tuo mondo intorno a loro, pensare a loro mentre dormi, mangi, cammini. Pensare a come ti vendicherai, a cosa gli farai. Li seguirai senza farti vedere. Tu sarai loro, dovrai incarnare la loro anima viscida per capire la soddisfazione nel porle fine. – Gli occhi spiritati e il sorriso demoniaco, mi ricordarono per un momento un volto che ormai seppellivo nel passato. Ignorai quel ricordo, non gli avrei permesso di rovinare quel momento. L'attimo in cui avevo posseduto un'altra mente e mi ero reso fiero di me ancora, fiero del mio potere.
- Ora, Kendall. Mostrami una foto di Thomas. – Non esitò ad ubbidire. Tirò fuori il cellulare dalla tasca con difficoltà, a causa delle mani tremanti per il gelo. La pelle secca gli aveva inflitto dei taglietti sulle nocche, stava soffrendo, ma era così assorto e perso nelle mie parole che non avvertiva il bruciore e il dolore. Era così appagante. Fece scorrere col dito delle foto e ne aprì una dove era raffigurato un ragazzino di circa quindic'anni. Si trovava vicino scuola, guardava il cancello con lo sguardo verso il cielo terso. Le braccia stese lungo i fianchi, attirò la mia attenzione una X tatuata sul braccio destro. L'avevo già visto, quel tatuaggio. Ignorai la familiarità con quel simbolo e mi concentrai sul suo volto innocente. Non mi capacitai di come un ragazzino così apparentemente puro potesse essere caduto nella trappola della debolezza e aver posto fine alla sua vita piuttosto che ritrovare la volontà di reagire. La debolezza era sinonimo di punizione, sarebbe stato anche lui una delle mie persone preferite da punire e assolvere. L'idea che potesse essermi sfuggita una vittima mi fece chiudere i vasi sanguigni, sentii la vena del collo martellare e scontrarsi con l'epidermide come fosse lo zoccolo di un cavallo indemoniato.
- Va via ora. Aspettami in macchina. - Sentii l'aria recidersi nei polmoni, le vie aeree bloccarsi.
- Cosa? -
- Devozione. Kendall, via. - Ordinai serrando la mascella e incenerendolo con lo sguardo. Se ne andò senza proferire parola. Strinsi le mani attorno alla gola e i polpastrelli toccarono le vene sporgenti. Tentai di strapparmi la pelle. Qualcuno mi era sfuggito, non avevo esercitato la mia onnipotenza su qualcuno che la meritava. I muscoli irrigiditi mi bloccarono i movimenti. Ero lì, davanti quel camino mattonato. Lui era lì, stava per avvicinarsi a me. Individuai un ramo spezzato a terra di traverso. Dovevo raggiungerlo.
- Controllo. Potere. Controllo. Potere. – Sussurrai meccanicamente.
Staccai con fatica una mano dal collo ed emisi un grido profondo, le cortecce degli alberi quasi si scorticarono.
- Controllo. Potere. Controllo. Potere. -
Allungai il corpo verso il ramo, con le gambe divaricate e ferme. Qualcuno mi stava possedendo e voleva impedirmi di riprendere il controllo. Sentivo una carico lancinante sulla schiena, qualcuno cercava di tirarmi la pelle e bloccarmi i movimenti.
- Controllo. Potere. Controllo. Potere. -
Continuai a ripetere ossessivamente. Il mio corpo si restrinse, gli arti si accorciarono, gli alberi divennero più alti, la neve più vicina.
- Controllo. Potere. Controllo. Potere. -
Riuscii ad afferrare il ramo e cominciai a tracciare linee verticali e orizzontali nella neve.
- Controllo. Potere. Controllo. Potere. -
Gli occhi spalancati, vene rosse sporgenti. Il gelo sfrecciare dritto nelle pupille.
- Controllo. Potere. -
Affondai il ramo nella neve. La presa sul bastone era salda, le spine penetrarono nella carne, torturandomi la pelle.
- Controllo. Potere. -
Collegai le linee fra loro, macchiando la neve candida di un simbolo oscuro. Un simbolo maligno, del quale neanche io sapevo la vera funzione. Grugnii e tossii, la gola bruciava e sentivo le orbite fuoriuscite rientrare lentamente nelle cavità oculari. Il petto si abbassò e lo sterno smise di tremare. Osservai il pentagramma intrecciato inciso nel manto innevato, la foschia lo nascondeva, ma i miei occhi, lo avrebbero visto per l'eternità.
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