Capitolo V. Ma quanti tipi di pane esistono?


«ⁱ'ᵐ ᵃ ˡᵒˢᵉʳ ⁱ'ᵐ ᵃ ˡᵒˢᵉʳ ᵃⁿᵈ ⁱ'ᵐ ⁿᵒᵗ ʷʰᵃᵗ ⁱ ᵃᵖᵖᵉᵃʳ
ᵗᵒ ᵇᵉ ᵒᶠ ᵃˡˡ ᵗʰᵉ ˡᵒᵛᵉ ⁱ ʰᵃᵛᵉ ʷᵒⁿ, ᵃⁿᵈ ʰᵃᵛᵉ ˡᵒˢᵗ
 ᵗʰᵉʳᵉ ⁱˢ ᵒⁿᵉ ˡᵒᵛᵉ ⁱ ˢʰᵒᵘˡᵈ ⁿᵉᵛᵉʳ ʰᵃᵛᵉ ᶜʳᵒˢˢᵉᵈ»
ɪ'ᴍ ᴀ ʟᴏsᴇʀ - ᴛʜᴇ ʙᴇᴀᴛʟᴇs

Capitolo V. Ma quanti tipi di pane esistono?

Presa coscienza del fatto che quel giorno, pure avesse preso una piega diversa, non sarebbe potuto scivolare in qualcosa di più assurdo, Jean si ritrova a vagare per gli scaffali del supermercato, alla ricerca degli articoli di cui ha più necessità.

Il fatto che il negozio si trovi proprio sotto al suo culo è una salvezza non da poco, e questo gli fa vivere l'esperienza dello shopping alimentare con un poco più di tranquillità – sebbene, incrociare certe facce tra i dipendenti del supermercato, gli metta un po' di soggezione.

Ha giusto finito di parlare con un tipo alto e biondo, con due spalle grosse quanto l'armadio con cui il signor Ackerman ha arredato la sua stanza, nell'appartamento che ha affittato. I muscoli delle braccia sono così tonici che la maglietta, intorno ai bicipiti, sembra in procinto di scoppiare. Avrebbe preferito non averci nulla a che fare, mentre questi sistemava delle bottiglie di vino su un grosso scaffale di legno, ma il caso ha voluto che gli abbia chiesto cosa stesse cercando, partendo poi con una serie di consigli su quale birra avrebbe dovuto prendere, piuttosto della solita che a lui piace tanto.

«Reiner, smettila di fare quello che se ne intende di alcolici e torna a sistemare. Quegli scaffali non si riempiranno da soli!» È stata la voce di una tipa bionda, con i capelli raccolti dietro la testa e un naso adunco che gli è rimasto particolarmente impresso.

Il tipo, Reiner, ha riso amaramente a quella battuta e gli ha ammollato una cassa di birra rossa in mano. Mancava solo che gli augurasse di strozzarsi, trangugiandola.

Ha poi incontrato, svariate volte nel corso della sua ricerca, il pazzo nemico dei Giganti, Eren, che gli ha lanciato immotivati sguardi di odio, acclarando la sua teoria che gli manchi qualche rotella e, in effetti, persino Armin l'ha confermata. Per inciso, quest'ultimo gli è sembrato l'unico veramente a posto, fino ad ora.

Così Jean, dopo l'incontro con l'uomo dei vini – Reiner – ha deciso che, in quel supermercato, malgrado la comodità, vuole passarci meno tempo possibile. È comodo, è a uno sputo da casa sua – potrebbe persino buttarsi dalla finestra e atterrare di fronte all'entrata, se solo fosse un pazzo suicida – ma è decisamente un mondo a parte. Non ha mai visto tante persone così assurde messe nello stesso posto.

E se è vero che anche quel locale è del signor Ackerman, non si sorprende se non vi sia una sorta di test attitudinale per lavorarci, dove il requisito primario è quello di somigliare il più possibile a quella psicopatica di Hange.

«Senti, scusa, ma c'è anche il servizio di consegna a domicilio, per caso?», chiede, fermando una tipa che, di primo impatto, sembra una persona normale. Jean la squadra per qualche secondo, ammettendo che sia piuttosto carina, con quei capelli neri che le arrivano sotto le orecchie e quegli occhi scuri contornati da lunghissime ciglia scure ma, quando nota che al collo porto una sciarpa rossa che le arriva appena sopra al mento, si rimangia quel poco di fedeltà nell'umanità che pareva aver acquisito di nuovo per un istante.

Lei alza un sopracciglio. «Sì, all'occorrenza. Ma solo nel raggio di quattro chilometri.»

«Bene, nessun problema allora. Io abito qui sopra!», dice, sorridendo, indicandosi con un baldanzosissimo pollice, non ricevendo però dalla ragazza la reazione sperata, ovvero un sorriso, anche solo di circostanza.

Non può non ammettere a se stesso di esserci rimasto piuttosto male.

«Allora è okay, si può fare.» Il gelo. Il disinteresse più totale, misto ad una sorta di apatia legata forse ad un lavoro che non le piace chiaramente svolgere o, più semplicemente, non è brava a trattare con le persone.

E Jean è talmente incapace di gestire certe cose che, invece di troncare lì quella conversazione, decide di fare una delle domande più stupide che potessero venirgli in mente.

«Sai dove posso prendere del pane, invece?»

Lei – che da quanto può leggere sulla targhetta si chiama Mikasa e se non si ricorda male è la tipa che tiene in scacco quel pazzo di Eren – punta un pollice dietro di sé e, quando Jean segue la traiettoria del dito, trova scritto a caratteri cubitali, su un cartellone decorato da giallissimi girasoli, la scritta Panetteria.

Decisamente avrebbe potuto trovarla anche da solo...

Quando si volta per ringraziare la ragazza, questa si è già volatilizzata nel nulla e, sconfortato, Jean si approccia al bancone del pane. Ha l'impressione che sia il posto più illuminato dell'intero supermercato e, quando si avvicina, ad accoglierlo c'è un sorriso radioso a trentadue denti, che fa parte di un viso pieno zeppo di lentiggini.

Che sia l'ennesimo psicopatico del supermercato? Lo scoprirà presto.

«Ciao, posso aiutarti?», chiede il ragazzo, cambiandosi, con un gesto abituale, i guanti da lavoro per servirlo.

Jean tenta di ricambiare quel sorriso, ma è più che certo che si sia esibito in quello più falso della sua vita. Quel tipo è troppo gentile e apparentemente normale; ci deve essere la fregatura, da qualche parte.

«Ciao. Volevo un filone... tipo», dice, incerto; una mano sul mento, pensieroso. 

«Cosa preferisci? Lievitazione naturale, bianco o ai semi?»

Jean sbuffa divertito. «Mio dio, quanti tipi ne esistono? Non si può avere un filone normale?»

Il ragazzo ride con fare genuino, poi alza le spalle e pare dargli ragione. «Prima di iniziare a lavorare qui non sapevo esistessero tanti tipi di pane. Ero convinto ve ne fosse un tipo solo. Dopo un po' li assimili e impari a conoscere il tuo nemico.»

«Oh, ormai non mi sorprendo più di niente. Quale mi consigli?»

«Dipende dai gusti ma, ehi, sei la prima persona che non tira a caso pur di non sembrare ignorante in materia, quindi ti aiuto», continua il ragazzo, e gli fa l'occhiolino. Jean fa giusto in tempo a fare caso alla costellazione di lentiggini spruzzate sulle sue guance — e sul ponte del naso, che quello prende in mano un filone e glielo mostra, come se stesse per vendergli la ricetta per la vita eterna. O come se stesse pubblicizzando un materasso in TV. Trattiene una risata e la nasconde in un colpo di tosse. «Questo è il più semplice che ho. Lievitazione naturale. Accompagnato con un buon jamon serrano è il paradiso!»

«Cavolo, se me lo dici così saresti capace di farmi comprare pure un sasso spacciato per oro!», lo asseconda e quello arrossisce leggermente, forse resosi conto di aver un tantino esagerato con la pubblicità.

«Scusa, mi sono un po' lasciato andare.»

«Nah, è okay, scherzavo. Quelle pizzette, invece? Anche loro hanno delle varianti?», lo canzona, indicano sul vetro le pietanze che ha adocchiato e che gli stanno facendo venire l'acquolina in bocca.

Il moretto alza le sopracciglia, in un primo momento preso alla sprovvista da quella richiesta, forse non carpendo totalmente l'ironia, poi ride. «No, queste sono normalissime pizzette. Tieni, te ne regalo due, così la prossima volta mi dirai se sono buone!»

«Certo che in questo supermercato ci tenete proprio che i vostri clienti tornino», osserva Jean, ricordando la conversazione avuto con Armin poco prima, dove gli ha espressamente pregato di non cambiare supermercato, come se questo ne andasse della proprio salvezza. «A parte quel tipo con le rotelle fuori posto che ha minacciato lo sterminio del tonno.»

«Oh, immagino tu stia parlando di Eren», risponde quello, mentre infila il pane e le pizzette dentro un unico sacchetto di carta, che poi mette su una bilancia. «Sembra un po' strano, ma nessuno si impegna come lui, nel lavoro! Ci tiene a dimostrarsi utile.»

«Mi ha accusato di aver urtato la scaletta e di averlo fatto cadere», ribatte, come se solo questo potesse cancellare tutte le belle parole che il panettiere ha sciorinato a proposito di quel pazzo.

«Non ho detto che non abbia difetti», ride l'altro, per nulla toccato da quella critica. Stacca l'etichetta adesiva dalla bilancia e la appiccica sul sacchetto, poi glielo cede. «Ecco qua!»

«Bene, e ora vado a prendere quel fantomatico prosciutto spagnolo, ed è tutta colpa tua che mi hai fatto venire voglia di mangiarlo!», borbotta, acido come al solito, sospirando, come se quella fosse la peggiore delle condanne.

Il giovane lo asseconda, alzando un sopracciglio e annuendo con convinzione, poi gli regala un ultimo, solare sorriso. «Non era mia intenzione indurti in tentazione. Comunque per qualsiasi consulto sul pane, io sono Marco e sono a tua completa disposizione!»

«Prendete troppo a cuore i vostri clienti, in questo supermercato! Prima o poi qualcuno vi spezzerà il cuore.»

«Facciamo che non si tratti di te, ragazzo nuovo.»

«Jean.»

«Mh?»

«Il mio nome... è Jean.»

«Allora buon panino col prosciutto, Jean!»

Fine Capitolo V

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