Capitolo III. Affitti, Terrazzi e Castelli.

«ʸᵒᵘ'ʳᵉ ᵍᵉᵗᵗⁱⁿᵍ ᶜˡᵒˢᵉʳ ᵗᵒ ᵖᵘˢʰⁱⁿᵍ ᵐᵉ ᵒᶠᶠ ᵒᶠ ˡⁱᶠᵉ'ˢ
ˡⁱᵗᵗˡᵉ ᵉᵈᵍᵉ 'ᶜᵃᵘˢᵉ ⁱ'ᵐ ᵃ ˡᵒˢᵉʳ ᵃⁿᵈ ˢᵒᵒⁿᵉʳ ᵒʳ ˡᵃᵗᵉʳ
ʸᵒᵘ ᵏⁿᵒʷ ⁱ'ˡˡ ᵇᵉ ᵈᵉᵃᵈ ʸᵒᵘ'ʳᵉ ᵍᵉᵗᵗⁱⁿᵍ ᶜˡᵒˢᵉʳ
ʸᵒᵘ'ʳᵉ ʰᵒˡᵈⁱⁿᵍ ᵗʰᵉ ʳᵒᵖᵉ ᵃⁿᵈ ⁱ'ᵐ ᵗᵃᵏⁱⁿᵍ ᵗʰᵉ ᶠᵃˡˡ 'ᶜᵃᵘˢᵉ
ⁱ'ᵐ ᵃ ˡᵒˢᵉʳ, ⁱ'ᵐ ᵃ ˡᵒˢᵉʳ, ʸᵉᵃʰ.»
𝟹 ᴅᴏᴏʀs ᴅᴏᴡɴ - ʟᴏsᴇʀ

Capitolo III. Affitti, Terrazzi e Castelli.

Quando è il momento di raggiungere il luogo dell'appuntamento con il signor Ackerman, Jean quasi si strozza col suo panino, mentre si infila nella metropolitana e conta le fermate che lo dividono dalla sua – ed è stata una giornata lunghissima, tutto grazie a Hange Zoe e le sue domande inopportune. Ha deciso di mangiare un boccone al volo e, quando scende alla stazione, si ritrova in un quartiere della città che non ha mai visto prima.

A prima vista sembra quasi un paesino e, in effetti, si trova leggermente al di fuori del centro città. La zona è sparpagliata su delle collinette e, il verde, di certo è uno degli elementi predominanti. Ha già adocchiato un paio di parchi dove può andare a correre al ritorno dal lavoro – un'abitudine che ha sin dai tempi delle scuole medie – e una specie di centro commerciale piccolissimo, che sembra più un mercato al chiuso, visto dal di fuori. Su una delle colline più alte si erge un campanile costruito in cortina – come la maggior parte delle abitazioni che decorano il posto e, ancora più in alto, c'è un castello a prima vista antichissimo, che dà quel tocco fantasy alla graziosa città.

Stringe le spalline del suo zaino e, con un sorrisetto che cela un'emozione data dalla novità, si incammina verso l'indirizzo che il signor Ackerman gli ha scritto in un messaggio laconico su Whatsapp. Poco fa si è pure soffermato a guardare la foto profilo dell'uomo: lui e il suo compagno Erwin Smith al mare, entrambi con gli occhiali da sole.

Ricconi del piffero! ha commentato tra sé e sé, tornando poi a scorrere la playlist di Spotify.

Attraversa la strada, si ferma su uno spartitraffico, in attesa che il semaforo diventi verde e ne approfitta per rispondere finalmente al messaggio di Connie: quella disperata richiesta d'aiuto fatta con una certa melodrammaticità che, il suo amico, usa come arma quando tenta di dissuaderlo dal fare qualcosa. Ovviamente senza mai avere il successo che spera.

«Mi dispiace molto, Connie, ma dovrai vedertela da solo e, sono certo, farai un ottimo lavoro», risponde e l'altro visualizza immediatamente. Jean alza gli occhi verso la parte superiore dello schermo e, con un brivido lungo la schiena, nota che Connie sta registrando un audio.

Un. Audio.

Dio mio, come minimo gli rifilerà una cosa come quindici minuti di lamentele. Ma non ha mai nulla da fare, a lavoro?

Scuote la testa e, sconsolato all'idea che il suo ritorno a casa sarà burrascoso, si approccia a quella che, a quanto pare, è la palazzina che ospita il suo potenziale nuovo appartamento. Ne ha la conferma quando, di fronte al portone, vede il signor Ackerman – braccia incrociate al petto e la sua solita espressione enigmatica stampata in faccia – e il signor Smith, tutto preso a controllare il cellulare, con un paio di occhiali da vista appoggiati sulla punta del naso. A Jean ricorda quegli anziani a cui sta calando la vista.

«Signor Ackerman, signor Smith.» Richiama la loro attenzione, avvicinandosi e alzando una mano per salutarli. I due posano lo sguardo verso di lui e, il signor Smith, gli rivolge un sorriso che, a confronto dell'espressione tirata del suo compagno, sembra super entusiasta.

«Ah, Kirschtein», commenta quest'ultimo, «Puntuale come un orologio. Trovato traffico?»

A Jean scappa un sorrisetto, e alza le spalle. «No, sono venuto in metropolitana.»

«Ottimo, l'ambiente ti ringrazierà per questo. Ora, se non hai nulla in contrario...», inizia il signor Smith e, indicando con un gesto lentissimo della mano il portone appena dietro di sé, dà l'impressione di non voler perdere tempo.

«No, no, non mi dispiace per niente!», esclama, entusiasta. La palazzina non gli dispiace. I mattoncini che danno sul color terra la rendono elegante e signorile, sebbene si trovi in una zona periferica e, a quanto pare, si tratta di una struttura abbastanza recente. Gli pare di aver visto dei pannelli solari sopra al tetto e, ai lati delle finestre, dei motori abbastanza piccoli, che devono far parte del sistema di condizionamento degli appartamenti. Ha già notato gli ampi balconi che affacciano su una stradina secondaria, dunque meno visibili di quanto potesse credere e, proprio al piano terra della palazzina, c'è un supermercato che gli potrebbe tornare decisamente utile. Odia spostarsi troppo per fare la spesa e, deve ammetterlo, gli mancherà il fatto che non sia Sasha, a farla per lui.

«Questo è l'atrio.» La voce del signor Ackerman lo risveglia dai suoi pensieri già proiettati ad un futuro, spera, non troppo lontano e, alzando un braccio, indica qualcosa che Jean non pensa di aver mai visto in vita sua: una fontana interna che, sul lato sinistro del perimetro, campeggia imponente, illuminata da alcuni led. La guarda con un sopracciglio alzato.

Okay, forse è un po'... troppo?

«L'architetto che ha progettato la palazzina ha commissionato la fontana ad un artista; un suo amico. Dicono che sia famoso», continua l'uomo.

«Un bel tocco di classe, non è vero, Kirschtein?», chiede il signor Smith, appoggiandogli con una certa e poderosa convinzione, un mano sulla spalla.

Jean sussulta. «Beh, non è esatt-»

«Puoi dire che fa schifo», lo incalza Levi.

«Veramente stavo per dire ch-»

«Perché fa veramente schifo», lo interrompe ancora il suo capo e, con un suono scocciato tra lingua e palato, si volta e prosegue lungo il perimetro della stanza senza dargli alcuna possibilità di ribattere, raggiungendo una porta a vetri e superandola. Jean lo segue, con il signor Smith accanto che, dal sorrisino che ha in faccia, non si capisce se si stia prendendo gioco di lui o se sia semplicemente contento di fare quel tour.

Quei due, dopotutto, sono ancora un grosso punto interrogativo.

Si ritrovano di fronte ad una rampa di scale e, sul lato sinistro, c'è l'ascensore, già al piano. Il signor Ackerman, però, non sembra per nulla propenso ad avvalersi dell'uso del comodo oggetto, creato proprio per non rimetterci i polmoni, salendo le scale a piedi.

«Signor Ackerman, a che piano si tro-»

«È il quinto e non mi piacciono gli ascensori», lo interrompe ancora e, con una certa stanchezza repressa, Jean ingoia un sospiro frustrato all'idea di doversi fare cinque piani a piedi. In un'occasione diversa, con qualcun altro, avrebbe mostrato tutto il suo disappunto. No. Non comprometterà la sua posizione lavorativa, solo per un capriccio. «Sei libero di prenderlo, se vuoi. Io e Erwin preferiamo non entrare a contatto con l'aria stantia di quelle gabbie per esseri umani pigri.»

«Io non avrei problemi, ma il prezzo da pagare è il bagno nel disinfettante, e non è un'esperienza che ti consiglio, Kirschtein», continua il signor Smith, in tono confidenziale e, Jean, non sa se sorridere e prendere quell'affermazione come una battuta o annuire per far vedere che ha capito e risultare un deficiente.

«Bagni pubblici e ascensori sono dei concentrati di batteri; quale pazzo vuole prendersi una malattia infettiva, oggigiorno?»

«Giusto, giusto», mormora Jean, e ha già perso tutto l'entusiasmo che lo aveva inondato all'inizio, quando ha messo piede in quell'atrio lussuoso e sofisticato, così lontano dal suo mondo. Sarà che, la palazzina che ospita l'appartamento che condivide con Sasha e Connie, non ha alcuna particolarità che lo renda minimamente artistico, anzi. E lui, di arte, alla fine ne capisce abbastanza.

Dopo una lunga salita verso il quinto piano, dove ogni tanto il signor Ackerman gli ha dato qualche informazione circa il condominio e i turni di pulizia settimanale delle scale, raggiungono finalmente il piano. C'è un lungo corridoio che lo fa sembrare quasi un albergo e, ai lati dei muri, ci sono quattro porte: due da una parte e due dall'altra. Jean segue i due fino alla seconda porta a destra e, quando il signor Ackerman prende la chiave per aprire la porta, si ritrova a trattenere il respiro.

Appena è di fronte al suo potenziale nuovo appartamento, Jean non riesce a tenere un piccolo fischio di apprezzamento. Si accorge a malapena che il signor Ackerman e il signor Smith gli hanno lasciato l'onore di entrare per primo e, guardandosi intorno, si ritrova in un piccolo salotto già ben arredato. Sulla parte destra vi è un divano a tre posti color carta da zucchero e, appena di fronte, è posizionato un tavolino di legno d'ebano, lucidissimo. Sopra c'è un piatto in ceramica, con dentro delle caramelle con la carta rossa e arancione. Sulla parete di fronte al divano, invece, è appeso un televisore abbastanza grande da poter vedere bene le partite di calcio e giocare alla play. Jean si chiede se sia in full HD ma, dopotutto, pensa anche che non siano domande da fare. Non adesso, almeno.

Gira su se stesso: nella parte sinistra, arrivando dalla porta, c'è un arco che divide il salotto dalla cucina. Entra dentro ed è molto piccola, ma essenziale. C'è un tavolo a muro con uno sgabello di legno massello e, gli elettrodomestici — specie il frigo – sembrano di nuovissima generazione. Sopra al lavandino c'è una finestrella all'inglese che dà sulla strada e da dove ora entra la luce solare del primo pomeriggio, rendendo quell'ambiente accogliente e caldo.

Esce dalla cucina e raggiunge una porta che si trova appena sul lato sinistro della parete che ospita il televisore. Dentro c'è la camera da letto. Un bel letto ad una piazza e mezzo lo invita a sedercisi sopra. Levi gli concede quel privilegio con un gesto della mano e un mezzo sorriso. Jean non perde tempo: sotto i palmi delle mani può sentire la soffice consistenza del materasso.

Non ha mai sentito niente del genere in vita sua, sotto alle sue chiappe.

«È in Memory?», chiede, e si sente una casalinga repressa, quando lo fa.

Il signor Smith, appoggiato con una spalla allo stipite della porta e le braccia incrociate, annuisce.

«L'appartamento è arredato con i migliori comfort del momento. Persino il pavimento è riscaldabile. Volendo puoi comprare un piumone elettrico», gli consiglia e Levi fa uscire uno schiocco scocciato dalla bocca.

«Cosí mi manda a fuoco casa! Non se ne parla proprio. Un normale piumone sarà più che sufficiente, vero Kirschtein?»

«Oh, certo! Che me ne faccio di un piumone riscaldabile? Non sono mica così freddoloso!», no, sono pure peggio! Pensa, e ci resta un po' male all'idea di aver appena scoperto l'esistenza di coperte termiche e di non poterne usufruire.

«Il bagno è dall'altra parte. È un po' piccolo, ma basta per una persona. Insomma, la casa è tutta qui, che ne pensi?», lo incalza il signor Ackerman, e pare avere una certa fretta di concludere l'affare.

«La casa mi interessa ma... il terrazzo?», chiede Jean, e i due lo guardano come se avesse appena chiesto loro un prestito di qualche milione.

«Beh, fa il suo dovere», continua Levi, e Jean si alza in piedi. Non gli piace l'idea di non poter sfruttare il terrazzo per poter mangiare fuori quando inviterà Sasha e Connie o, per dire, stendere i panni — cosa che non lo alletta per niente, per inciso.

«Posso vederlo?», chiede, poi aggiunge, quando i due sembrano non del tutto certi di voler perdere ancora tempo, «La prendo, se è questo il problema! Ho già deciso ma... voglio vedere il terrazzo!» Ormai è diventata una questione di principio.

Così, con un sospiro stanco, il signor Ackerman gli fa cenno di seguirlo. Jean reprime un sorriso trionfo — dato dal fatto che un po' è soddisfatto di aver costretto i due a fare, per una volta, quello che dice lui — sebbene li ripagherà con un dignitoso affitto mensile.

Erwin apre la finestra a due ante e, quando la spalanca, una leggera brezza primaverile li avvolge. Jean esce fuori, seguito dai due. C'è abbastanza spazio per tutti e, già posizionato, c'è un tavolino rotondo di plastica, con quattro sedie dello stesso materiale. Jean le guarda per un secondo, poi si sporge dal balcone e ammira il panorama: anche se sotto c'è una stradina secondaria non molto trafficata – ma comunque frequentata – quando alza lo sguardo ci sono le colline a migliorare le cose. Vede di nuovo il campanile, che col sole di maggio sembra brillare di una luce dorata.

Gli scappa un sorriso furbastro.

«Per la strada trafficata c'è uno sconto sull'affitto?»

«Non ci provare, Kirschtein. O quel prezzo, o nulla. Lo trovo quando voglio un altro acquirente, dormi sereno», ribatte il signor Ackerman e Jean ridacchia.

«D'accordo, d'accordo! Dovreste ringraziarmi che, invece di uno sconosciuto, accanto a voi verrà a vivere una persona fidata!», bofonchia. Levi e Erwin lo guardano alzando un sopracciglio, poi il signor Smith scoppia a ridere e Jean ha una specie di mezzo infarto, per quanto è potente quella risata.

«Tu pensi che noi viviamo qui? Nella tua stessa palazzina?»

«Beh, sì. Avete detto o no che questa è casa vostra?»

«Tanto per cominciare è la palazzina ad essere nostra e comunque no, non viviamo qui», lo informa Levi, con una certa irritazione nella voce — forse perché Jean ha creduto che fossero dei poveracci che vivono in un misero appartamento di quaranta metri quadri, scarsi.

«E allora dov'è, che abitate?»

Il signor Ackerman si avvicina al balcone e, alzando lentamente un braccio, indica un punto non ben definito che, non appena Jean si volta per seguire la traiettoria dal dito, lo fa sbiancare.

«Lí», risponde Levi, solo, indicando il castello che Jean ha visto poco fa, mentre raggiungeva la palazzina. Gli viene quasi un infarto al miocardio.

Maledetti ricchi di merda! Quanto cazzo sono invidioso?

«Vuoi in affitto il castello, Kirschtein?», lo canzona Erwin, e Jean reprime l'impulso di mandarlo a cagare.

«No, questo appartamento andrà benissimo... per ora», raccoglie la provocazione, poi, quando stanno per andar via e concludere la trattativa, a Jean viene in mente un fatto che gli fa gelare le vene nel sangue. «Ah, signor Ackerman?»

Levi si volta, lentamente. «Sì, Kirschtein?»

«Potrebbe non dire ad Hange dove vivo?», chiede, poco dignitosamente, più che intenzionato a spiaccicare la propria dignità sotto le scarpe pur di non avere quella donna intorno, nel suo nuovo appartamento.

Levi alza un sopracciglio, preso visibilmente alla sprovvista da quella sua strampalata richiesta, poi sbuffa divertito e, alzando una mano, pare concedergli quella possibilità di salvezza. «D'accordo, per ora non le dirò niente.»

Fine capitolo III

ᵇᵃⁿⁿᵉʳ ᵇʸ Lightning070
ᵍʳᵃᵖʰⁱᶜ ᵇʸ 

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top