If we're all gonna die let's party

I giorni correvano come un treno e il sabato mattina arrivò d'improvviso, quasi come una sberla in pieno volto. Harry per tutti i giorni aveva raccolto segretamente altre notizie su Aaron e sui suoi spettacoli e più le descrizioni di quelle serate si facevano dettagliate più la sua pelle fremeva. Tuttavia l'ormai imminente esibizione del violinista non fu l'unica cosa che lo colpì con prepotenza: il venerdì sera infatti si ricordò che Louis non l'avrebbe mai accompagnato alla serata di Aaron, dunque avrebbe dovuto escogitare qualcosa.
Che stupido! pensò mentre si dirigeva verso la cucina Potevo anche pensarci prima, adesso sarà impossibile trovare un diversivo!
Contrariato ingurgitò il sonnifero che ogni santa sera prendeva per dormire meglio e non appena le palpebre si fecero più pesanti realizzò cosa aveva in mano. Come in quei film che ogni tanto la madre di Molly gli narrava avrebbe potuto stordire Louis per tutto il tempo che lui avrebbe voluto. Sorrise sornione e si gettò sotto il piumone, avvinghiandosi al liscio.
Non pensò neppure per un secondo alle conseguenze che avrebbe scatenato con quel gesto di disobbedienza, infondo perché preoccuparsene? Se Louis avesse voluto impedirgli di andare al concerto lo avrebbe rinchiuso nella loro stanza. No, Louis non era così crudele da fargli questo, anzi, Louis non era proprio crudele.

Il sabato mattina Harry ripassò minuziosamente il suo piano in ogni istante mentre gironzolava per l'appartamento aiutando il maggiore a riordinare la camera da letto e a stendere le lenzuola. Il suo sguardo furbo e carico di quella luminosa scintilla che incendiava tutto attorno a sé non sfuggì agli occhi di Louis. Non fece domande, attribuì semplicemente lo stato d'animo e la sua momentanea stranezza al inizio del fine settimana: con questo non si dispiaceva di avergli proibito di andare a vedere Aaron, anzi, più il tempo passava più si congratulava con sé stesso per la sua presa di posizione ferma e irremovibile. Internamente era certo di star facendo la cosa giusta, reprimere la voglia del riccio di scoprire il mondo. Tenerlo per ancora qualche anno al sicuro era l'unica via per preservare la sua innocenza e il suo dolce carattere. E se prima nascondergli la verità celata fra quelle strade su cui correvano carri armati era difficile adesso farlo uscire anche qualche volta -accompagnato da lui stesso- per andare a fare compere era molto rischioso. Si era allontanato parecchie volte... e se in una di queste volte magari non fosse più tornato? Se qualcuno si fosse approfittato di lui? Se vedendo il braccialettino che portava al polso un soldato lo avesse riportato all'accampamento? No. Non potevano rischiare.

Quando il liscio lo spedì a stendere alcune federe Harry vide il portafoglio del maggiore abbandonato sulla mensola accanto al frigo: di nascosto si allungò verso l'oggetto in cuoio e sentendo i passi dell'altro sempre più vicini si affrettò a nasconderlo fra il tessuto pieno di pieghe. Sorrise radiosamente a Louis, aggiungendoci consciamente anche un pizzico di gratitudine che l'altro non riuscì a distinguere. Grazie per i soldi, te li restituirò in qualche modo. Promesso.

I problemi cominciarono quando era tutto già organizzato.
E dire che Harry aveva già messo quattordici gocce di sonnifero dentro la tazza di tè di Louis e che aspettava si assopisse per correre in camera a vestirsi con un completo molto carino. Non era niente di particolare ma lui stesso si riteneva estremamente carino quando lo indossava. Non è che se la tirasse infondo: Louis aveva quasi avuto un colpo al cuore quando lo aveva visto indossarlo per appena cinque minuti.
Con il pigiama addosso e tutta l'aria di una persona che non vedeva l'ora di farsi una bella dormita il riccio porse a Louis la tazza proprio nel momento in cui qualcuno iniziò a bussare alla porta insistentemente. Sentirono entrambi il sangue nelle vene gelarsi per due motivi ben differenti e il maggiore non si spiegò il viso terrorizzato di Harry. Pareva avesse percepito la sua stessa anima sbiancare d'improvviso. Ricollegò il cervello e pensò a una cosa soltanto: nasconderlo. Dopo aver poggiato il tè fumante sul tavolo della cucina lo spintonò nella loro camera e cominciò a sussurrare frettolosamente "Ora Harry vai a dormire. Ti chiudo qui dentro ma non devi preoccuparti, va tutto bene. Rimani qui, non uscire e non spostare la libreria per nessun motivo" Harry avrebbe voluto ridergli in faccia: insomma, è davvero ridicolo cercare di rassicurare qualcuno dicendoli di non uscire per nessuna ragione dalla propria camera.

"Ti spiegherò poi, ma tu devi stare qui. Non fare rumore... è un gioco okay? Dopo torno, ma tu devi stare zitto!" cosa? Pensava che Harry fosse un ragazzino? Forse credeva fosse un cerebroleso, peggio ancora. Non fece in tempo a protestare che Louis lo chiuse nella stanza spostando il mobile e una tristezza infinita gli perforò il cuore, bruciava sotto la pelle e se socchiudeva le palpebre poteva vedere tanti puntini bianchi schizzare per quel buio insopportabile. Cosa diavolo stava succedendo? Louis era andato nei pazzi quando qualcuno aveva cominciato a bussare alla porta. Harry si grattò il capo e sconsolato singhiozzò: ora cosa poteva fare? Non abitavano al primo piano e l'unica finestra da cui riusciva a passare era in bagno, però questa si affacciava sulla strada. Lacrime gli iniziarono a solcare le guance e senza realmente accorgersene frugò nell'armadio fino ad avere fra le mani una sacca in pelle scura dalle cucitore in filo d'oro. Vi infilò in fretta e furia il completo che aveva preparato -fortuna che il liscio non se n'era accorto, data la fretta- e dopo avervi messo anche i soldi rubati al maggiore corse in bagno.
Si sporse dalla finestra e vedendo la stradina deserta sotto di lui scavalcò la balaustra, le lunghe gambe e i piedi che penzolavano nel vuoto. E ora?
I mattoni della torre di vedetta attirarono la sua attenzione: avrebbe potuto saltare e aggrapparsi alle sporgenze della struttura che non distava neppure troppo dalla finestra. C'era però il rischio di rimanerci secchi. No, lui voleva andare a quel concerto e niente lo avrebbe fermato. Se si fosse arrampicato sulla torre poi avrebbe potuto camminare fino alla torre che si trovava nella zona della Cattedrale, scendere come se nulla fosse e arrivare a teatro. No, troppo rischioso, non solo perché aveva paura dei ponti traballanti che ricollegavano le torri, ma perché avrebbe certamente dato dell'occhio un ricciolino che camminava sopra le teste dei passanti e degli innumerevoli ufficiali dell'esercito, per non parlare del fatto che sebbene avesse fatto la strada per il teatro più volte possibile, dall'alto ancora non riusciva a orientarsi bene.

Guardò verso il basso: non era un volo pericoloso o mortale, ma se fosse atterrato malamente la sopravvivenza non era sicura. Però voleva andarci. Voleva davvero tanto.

Fece pressione con il piede sulla balaustra e come se si stesse per tuffare si alzò traballante sulle gambe, non guardare in basso come unico pensiero. Le ciglia lunghe venivano proiettate sul suo viso dalla luce artificiale del lampione e le sue dita erano gelate.
Un salto e basta, si può fare almeno un centinaio di volte in soli due minuti. Una cosa così comune e a cui non facciamo neppure caso.
Si gettò come un angelo senza ali e allungò le braccia verso un cornicione, il rimbombo del suo cuore che gli arrivava fino al cervello. Sbatté la cassa toracica contro i mattoni e il fiato gli mancò mentre sulle mani si aprivano delle ferite. Altre lacrime lasciarono i suoi occhi mentre sforzava i muscoli delle gambe e delle braccia per tirarsi in su, verso la balaustra che avrebbe condotto all'interno della torre.
Non si era mai sentito così: se la stava facendo sotto mentre guardava verso il basso e la sua anima tremava per la paura. Altro che un volo da niente si disse Qui ci muoio!

Le mani tastarono il bordo del balconcino su cui si sarebbe arrampicato e con fatica lo scavalcò. Dio che inferno! Si lasciò scivolare a terra, il corpo ridotto a una poltiglia mentre l'adrenalina lasciava il suo corpo.

Due ragazzine lo fissarono e tutto per lui crollò di nuovo perché quelle due non avrebbero esitato neppure per un secondo a portarlo via da lì, magari a consegnarlo ai soldati e loro lo avrebbero riconsegnato a Louis. E Louis avrebbe chiesto una spiegazione e-
"Chi sei?" una biondina dai denti bianchissimi gli si avvicinò mentre gettò un'occhiataccia alla bruna. Questa scomparve alla vista del riccio -facendolo agitare visibilmente- e tornò qualche istante dopo con una borraccia d'acqua e delle bende. Chissà cos'altro avevano nel deposito!
"Dai a me Rowan" la ragazza di nome Rowan si rannicchiò accanto ad Harry e "No, sono andata io a prenderla e quindi gliela do io" borbottò, avvicinando il beccuccio del contenitore alle labbra gonfie e insanguinate del riccio. Nella foga infatti se le era morse, fino a strappare la pelle e a far sgorgare il liquido cremisi.

"No, grazie. Io dovrei proprio andare adesso" la biondina lo spintonò a terra facendogli battere il capo per terra quando provò ad alzarsi. "Ouch!" si lamentò massaggiandosi la radice dei capelli con sguardo sofferente. "Chi sei e come hai fatto a salire quassù? Sai volare per caso? Spiegacelo!" Harry ridacchiò.
"La vedi quella piccola finestra aperta?" Rowan annuì anche se la domanda non era rivolta a lei e cominciò a fasciare le mani del riccio "Secondo te io ho volato davvero per arrivare fino a qua?"
"Davvero spiritoso!" sul viso della bionda però non appariva rabbia o rancore, tutt'altro. i suoi occhi grigi risplendevano e si alzò in piedi, un chiaro invito verso il ragazzo.
Poteva andare.

"Non andartene!" Rowan lo strinse a sé: non doveva avere più di sedici anni, né lei né la sua amichetta. Aveva un viso molto carino e bambinesco, dolce "Resta con noi! Papà ci porta sempre qui con lui ma noi ci annoiamo a morte!"
Harry le guardò, un'idea già formata nella sua mente.

"E così tu sei tipo Raperonzolo" Maya aveva un sorriso che contagiava e degli occhi stupendi. Erano grigi con alcune pagliuzze tendenti al verde -comunque niente di paragonabile a quelli di Harry-. Le strade della città erano spente e il freddo invernale fece rabbrividire Harry che era uscito senza cappotto. Doveva ancora mettersi il completo e al contrario di alcuni giorni prima adesso si vergognava di vagare per il centro città in pigiama.
"Scusami?" Gli zigomi di Rowan si gonfiarono e lei scoppiò in una risata cristallina, bellissima. Le sue guance erano rosse e bollenti mentre si portava le mani davanti alla bocca, per nascondere o per soffocare la sua risata "No, non farlo. Hai una bella risata. Mi piace il tuo sorriso" Harry le scostò la mano dalle labbra e la brunetta arrossì mentre Maya alzava gli occhi al cielo. "Row, non affezionarti. Non è tuo"

Giunti davanti al teatro Verdi il proprietario uscì fuori e venne loro incontro, incredulo. Strinse Harry in una morsa calorosa e gli sorrise riconoscente "Oh ragazzo! Non ci speravo neppure più!" le fossette si formarono sulle sue guance e inaspettatamente rispose all'abbraccio. Adorava gli abbracci, erano così rassicuranti. In quel momento poco importava chi era a donarglielo, sentiva le emozioni chiare e forti trasparire da quello scontro di pelli ricoperte da tessuti. "Signore, ma sono appena le 22:00!" Il direttore scrollò le spalle "Ma non importa! Venite, entrate dentro. I bambini stanno finendo di cantare"

Harry dopo essersi cambiato nei bagni si sedette accanto a Rowan e Maya in una delle prime file del teatro quasi totalmente deserto. Vi erano solo una ventina di genitori sulla cinquantina che guardavano i loro figli. Brillavano loro gli occhi e Harry si sentì di troppo. Era una scena così dolce per lui, era qualcosa di indimenticabile. Insomma, per i bambini. Non capita tutti i giorni di cantare per i propri genitori, per regalare una piccola fiammella di speranza, di serenità. Lui i genitori non li ricordava molto. Era tutto così sfocato, così doloroso e... bruciava. Bruciava come l'inferno fra i suoi occhi. Come quando stai per metterti a piangere o quando stai già piangendo.

Maya sospirò e incrociò le braccia al petto, lanciando occhiatacce in giro per la sala e facendo ridacchiare Rowan. I bambini erano molto bravi nel canto, avevano delle voci così chiare.
Dietro di loro alcuni strumenti particolari suonavano a ritmo incalzante: quelli che erano come Aaron -violinisti?- muovevano i loro archetti velocemente ed erano sincronizzati, bellissimi alla vista. Erano concentrati e presi dalla musica. Socchiudevano gli occhi e ondeggiavano lievemente. Altri musicisti tipo loro suonavano invece strumenti molti più grandi che producevano note basse e oscure.
Quella melodia era davvero stupenda, era mistica. Solenne, serafica.
Harry avrebbe voluto ascoltarla per tutto il giorno.
Le note scendevano verso il basso e poi con sicurezza divenivano acute, le labbra dei bambini dischiuse a creare quella sensazione di essere racchiusi in un sogno.

Aaron Tveit arrivò alle 22:20 e iniziò ad accordare il suo violino in una sala accanto al palco scenico. Il proprietario del teatro si avvicinò al trio e chiese loro i soldi per il biglietto. Loro glieli diedero velocemente e l'uomo si appropinquò verso altre persone che stavano cominciando a entrare in sala. Le famiglie applaudirono quando anche l'ultimo brano si concluse e cominciarono a chiamare i propri figli.

Aaron entrò in sala e salì sul palco quando una coppia stava trascinando via il loro bambino che faceva i capricci: egli infatti voleva rimanere a vedere lo spettacolo del violinista.
"Potete rimanere. A me fa piacere e lo sapete!" i due lo guardarono male e la donna arricciando il naso rispose "Signor Tveit, i suoi spettacolini da quattro soldi costano. Noi preferiamo tenerci stretti i nostri risparmi piuttosto che mandare nostro figlio a passare due ore con una bambinaia" l'uomo dai capelli dorati alzò un sopracciglio.

"Ma io non vi chiedo di rimanere qui come spettatori" si sporse verso il bambino e allungò una mano. Il bambino si divincolò e lo raggiunse sul palco sotto gli occhi indignati dei genitori. Harry ebbe un tuffo al cuore al vedere quel giovane uomo far felice un piccolo la cui famiglia preferiva di gran lunga la sua felicità futura a quella ordinaria. Chissà poi se un giorno l'avrebbe avuto un futuro. "Cosa vuoi ascoltare piccolo? Vuoi che ti accompagni? Guarda laggiù!" l'uomo indicò una famiglia con due gemelli, una femmina e un maschio "Ma quella non è Jaimie, Ed? Mi hai sempre detto che era bella ma non me la immaginavo così!" il bambino arrossì e si gettò sul grembo del violinista per nascondere il suo viso rosso per l'imbarazzo.
"Cosa c'è Ed? Non dovevo dirlo?" qualche risatina si spanse qua e là per la sala e il violinista si scostò da Ed "Allora, hai deciso che canzone dedicarle?"

Il bambino annuì e gli sussurrò qualcosa nell'orecchio. Aaron ridacchiò e esclamò con aria solenne come il migliore degli oratori "Adesso Edward Collins e il 'misero' sottoscritto -altre risatine generali- faremo una serenata per quella bellissima donzelletta laggiù. Amico te la sei scelta proprio bene. Se avessi avuto la metà dei miei anni, qualche neurone in più e soprattuto un paio di baffi -sono quelli che attirano una donna- ci avrei provato! Preparatevi, cominciamo con Viva la Vida!"

Quando le prime note si dispersero nell'aria Harry sospirò, riconoscendo la prima canzone che l'aveva attratto quel pomeriggio. Andava tutto benissimo e lui era felice come mai prima di allora.

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