I wish I was born without thoughts
*Attenzione, scene violente! Se siete particolarmente sensibili non leggete*
Le labbra di Harry erano spalancate e sporche di sangue, l'urlo e le parole che doveva rivolgere a Jonas incastrate in gola. Boccheggiò dei lamenti prima di rilasciare uno strillo acuto, quasi femmineo. Non riusciva a riconoscersi, non riusciva a riconoscerlo. Quel cadavere con il cranio spaccato e gli occhi ricoperti da una patina biancastra, le iridi calde che li caraterizzavano perse per sempre. Il caldo liquido scivolava sugli zigomi di Harry, raccogliendosi sul mento e gocciolando sulla testolina del neonato.
Non esisteva momentaneamente il mondo al di fuori di sé stesso, eppure degli sprazzi di vita carezzavano il suo udito, ricordandogli che era ancora vivo. La folla attorno a loro respirava affannosamente quasi quanto lui, nessuno poteva aspettarsi un avvenimento simile. Una violenza simile. Maya cercò di prendere in braccio Loraya ma il riccio parve impazzire: l'allontanò disperato, gridando frasi sconnesse e senza senso, cercando di dare voce a ciò che sentiva dentro di sé. Quanto avrebbe voluto essere nella mente di Jonas, scuoterlo e gridargli che anche se erano prigionieri, anche se avrebbero assistito a scene raccapriccianti, valeva la pena vedere la propria ombra distesa sul terreno. Valeva la pena piangere perché il sapore dolciastro e fresco della vita era qualcosa di impagabile, la felicità di un padre che stringeva un bambino fra le braccia era insostituibile, inspiegabile.
Si voltò verso una coppia di donne e scosse furiosamente il capo quando una di queste coprì gli occhi a sua figlia, spaventata. Perché nessuno poteva capirlo, quel dono che qualcuno aveva fatto loro?
Quei pomeriggi in cui lui e il maggiore erano appollaiati come due vecchi compari, quando al mondo non vi era nessun'altro tranne loro due. La sensazione di libertà sotto i suoi piedi scorticati e l'aria gelida, invernale. Le mani scorticate e gli stivali che puntellavano contro un muro fatto di pietre, il suono di un violino, il calore del corpo di Louis. Perché arrendersi piuttosto che combattere? Ogni uomo aveva la forza e il sangue per stringere a sé la propria vita, per renderla indimenticabile.
"PERCHÉ L'HAI FATTO?!" poteva sentire la pelle rabbrividire e Loraya dimenarsi fra le sue braccia, terrorizzato. Si sentiva mutato, le membra rivoltate un paio di volte e lasciate alla rinfusa. In mezzo alle genti si sentì una voce ovattata ma chiara ordinare di portare via l'arma e il corpo di Jonas e di portarlo fuori dalla città. "Ottimizzate il tempo e buttatelo giù dalle mura" sussurrò un uomo con l'uniforme rossa e dei baffi scuri, dall'aria affascinante seppure la sua corporatura fosse molto più minuta rispetto agli altri generali o comandanti.
Per portare via Jonas dovettero strattonare via Harry e tenerlo fermo con la forza, minacciandolo di uccidere il bambino se non si fosse dato una calmata. Rowan dovette reprimere le lacrime mentre cercava di tranquillizzarlo, allungandosi verso di lui e prendendogli il viso fra le mani piccole. "Harry, guarda me" i loro occhi erano incatenati mentre la più piccola faceva dei lenti e calcolati passi indietro, trascinando consciamente con sé il riccio "Tranquillo, respira profondamente. Devi guardare me, hai capito?" Harry annuì e venne avvolto fra le braccia gelide dei suoi compagni, la speranza che Jonas non si fosse appena suicidato riposta in uno dei cassetti nel suo cuore.
Maisie tenne le braccia incrociate e un cipiglio che la faceva apparire più virile quasi per tutta la durata dell'incontro fra i comandanti. Non voleva ammetterlo ma quei cinque uomini riuniti attorno ad un tavolino la rendevano ansiosa, percepiva l'aria frizzante e carica di elettricità attorno a lei.
"L'operazione Cinquanta-Centosettantuno prevede un ultimatum per i Laidìr, arrendersi pubblicamente fuori dalle mura di Bàistachport e donarci la possibilità di recarci personalmente alla capitale, dove banchetteremo con i loro animali e ci puliremo i denti con le ossa dei loro figli" Zart Edwards sorrise malignamente, scrollando le spalle e tracciando con l'indice una linea immaginaria sulla cartina stesa sulla superfice in legno, collegando Bàistachport e la capitale dei Troidars. Jon Callington si mordicchiò un unghia e bevve un lungo sorso di vino dalla borraccia che portava appesa al collo "Dubito che i generali accetteranno, specialmente Claflin e Eaton. Sai, se non te ne fossi accorto Zart, loro appena vedono un uomo con la divisa differente dalla loro fanno fuoco, dopo forse sono disposti a chiedergli da che parte stia". Frederich Lagner si sistemò il codino, le rughe sulla sua fronte ben evidenti "Allora sarebbe meglio procedere col piano. Portiamo via uomini, donne e bambini. Facciamo entrare i più forti nel nostro esercito, convinciamoli a mettersi contro i Laidìr. Infondo, cosa ha fatto il re per loro, a parte recluderli in un luogo ai confini col nemico dimenticato da Dio? -Oberonn Hayden annuì, appoggiando il commilitone con dei continui 'Sì, certo- Diamogli delle armi e delle false convinzioni".
Maisie si lisciò una ciocca di capelli e si alzò in piedi, attirando l'attenzione di tutti istantaneamente "Ovviamente sarà permessa la stessa cosa anche nei confronti delle donne, non è così?" Edwards alzò un sopracciglio e sbuffò, esprimendo chiaramente la sua disapprovazione. "Cosa vorresti insinuare, Clagane?" Maisie assottigliò lo sguardo e si mosse verso l'uomo, cercando di trasmettergli tutta la sua sicurezza divaricando le gambe e drizzando la schiena e il petto. Cercava di dimostrare tutto il potere che scorreva nelle sue vene da quando aveva emesso il primo vagito. "Intendo dire che invece di vendere le schiave al mercato come suini o carne al macello dovreste permettere anche a loro di unirsi all'addestramento, magari sottoponendole a quegli interventi o insegnando loro come usar-" Jon fece risedere Zart Edwards quando questi si alzò di scatto pronto ad aggredire la ragazza "Vieni a parlarmi di collaborazione con delle femmine, proprio tu?" l'uomo gonfiò il petto e strinse con furia un pugno, minaccioso "Ricordati chi eri, Maisie Clagane. Una ex-concubina qui in mezzo a noi non ha molto diritto di parola, non per quanto mi riguarda. Con questa tua impertinenza stai oltrepassando ogni limite, bada bene a ciò che risponderai". Cassian Wertmond scosse la testa quando Maisie si volse verso di lui: non metterti contro Edwards pareva dirle Taci e basta.
"Se dovesse farti cambiare idea le donne saranno sotto la mia supervisione. Pagherò io personalmente per ciò che faranno, per le loro azioni e per-" stavolta anche Oberonn si alzò per aiutare Callington a tenere fermo Zart, che saltava come una furia e sibilava parole incomprensibili. Lo lasciarono dopo che si calmò almeno un pochino, rimanendogli però accanto, ogni senso in allerta e le mani pronte a scattare.
"Ora mi starai a sentire, sciocca impertinente. Hai un gran coraggio ad aprire bocca in mia presenza, dimentichi che sei qui solo per merito di Jon, fosse per me saresti già sotto almeno sette metri di terra, dimenticata persino dai tuoi genitori. Non m'importa dei tuoi stupidi diritti o delle tue promesse infondate. Adesso donna, torna ad aprire la bocca per qualche lavoretto e allarga le gambe solo per farti prendere come una puttana, non azzardarti mai più a compararti a noi o a dimostrarti più virile, non avrai mai la mia stessa libertà."
Maisie tenne in alto lo sguardo, la rabbia che le faceva prudere le dita e la lingua pronta a guizzare. Parole fatte da odio puro erano incastonate nella sua gola e il suo onore ferito le gridava di non tacere, di non sottomettersi.
"Torna a fare la troia, lascia che il mondo venga salvato da qualcuno di più importante" sputò velenoso Zart Edwards, i cui grandi occhi scuri e penetranti parevano senza emozioni, gusci vuoti e immensi. Non vi si poteva toccare un fondo, erano specchi oscuri e magnetici. Frederich Lagner toccò una spalla di Edwards delicatamente, sorprendendo tutti e sé stesso per la gentilezza con cui a volte era capace di agire, nonostante spaccasse teste con frecce dai colori sbiaditi.
"Credo tu stia esagerando adesso. Siediti" Jon Callington accentuò il consiglio di Lagner avvicinandosi a Edwards, la minaccia velata intravedibile nei suoi lineamenti. L'uomo rabbioso boccheggiò, oltraggiato "Non rimarrò in una tenda con uomini disposti a farsi comandare da una ragazzina raccattata per le strade. Siamo d'accordo sulla missione e ciò per me basta, ma sia chiaro che per quanto riguarda la proposta del soldato Clagane io me ne tiro fuori, ora e sempre. Al contrario di voi io non mi faccio abbindolare da uno sguardo ammaliatore, a casa ho una moglie ubbidiente e giovane. Detto questo, chiedo il permesso di recarmi dai miei soldati e dal mio consigliere Kirian Okland". Maisie si mosse a disagio mentre l'umiliazione bruciava la sua mente, divorandosi persino quella convinzione che lei avrebbe potuto cambiare il destino di innumerevoli vite.
Cassian Wertmond scribacchiò velocemente su un blocco di fogli e sospirò, rammaricato. Jon borbottò un veloce 'permesso accordato' e Zart prima di uscire si rivolse proprio al più giovane dei comandanti, guardandolo prepotentemente negli occhi.
"Voglio che tutto ciò che ho detto venga riportato in un verbale, tengo molto al tipo di informazioni che il popolo riceve su di me. Io non ho segreti, arrivederci signori".
Louis si sistemò i lacci degli anfibi, le nuvolette di vapore che uscivano dalle sue labbra sottili. La giacca leggera gli stava larga ai fianchi e gli occhioni azzurri erano umidi, lucidi. Il freddo era insopportabile, odiava l'inverno. Sentiva perennemente quel vuoto incolmabile dentro di sé e anche quando si recava al campo le schegge di ghiaccio gli si inficcavano nell'animo, lacerandolo lentamente e sadicamente.
"Louis! Ricordi il piano vero?" Will Bloom si sistemò una ciocca di capelli dietro l'orecchio, nervoso. Dopo l'incidente della gamba non era più uscito in spedizione e quella sarebbe stata la prima volta in cui poteva testare per davvero il nuovo complesso fatto di fili colorati e metallo che gli sostituivano l'arto mancante. 'Niente di troppo doloroso' ribadiva sempre quando qualcuno gli domandava se perdere una gamba fosse stato doloroso 'A dire il vero sono svenuto e puff! Quando mi sono risvegliato la cara vecchia compagna era scomparsa e al suo posto c'era questo trabiccolo infernale'. Sì, Louis aveva imparato ogni parola del discorso a memoria. Era un esercizio che teneva occupata la mente e allo stesso tempo la teneva allenata, permettendogli anche di ricordarsi i più piccoli particolari della sua vita. Non aveva mai prestato troppa attenzione a ciò che gli accadeva intorno e ora che la sua vita appariva più un deserto di notte teneva a mente i gesti più piccoli, rimanendo per lo più taciturno ed introverso.
Reg Rancorn mugolò di dolore quando colpì il tettuccio della camionetta traballante, il rombo dei veicoli che si udiva in tutta la pianura che conduceva verso Bàistachport. Louis annuì, perso nel incombente istante in cui avrebbe rivisto tutta la sua vita scorrergli fra le dita.
"Approfitteremo dell'attacco frontale capitanato dalle truppe scelte Mhèar per entrare da cubicoli e fognature, scortati da alcuni Scheànis. Faremo penetrare parte dell'esercito all'interno della cittadella e durante l'attacco le squadre più giovani aiuteranno a far evacuare uomini, donne, vecchi e bambini. Io, Angel, Brion e Gyan invece cercheremo d'infiltrarci nell'accampamento dei Troidars e di cercare il maggior numero di informazioni." Jonathan sorrise debolmente, arruffando i capelli del liscio.
Carter Wayne si stiracchiò la schiena, facendosi scrocchiare le ossa e ridacchiando alle occhiatacce che i commilitoni gli riservarono. Erano un po' fatti così, potevano essere assassini spietati ma per quanto riguardavano le ossa scricchiolanti e le vene sporgenti essi si disgustavano, chiaramente irritati. Era una cosa fastidiosa a parere di Will Bloom, che si tappava le orecchie ogni qual volta qualcuno cominciasse e far schioccare le ossa delle dita.
"Ragazzi, che c'è? Avete paura?" i due superiori volsero lo sguardo verso Louis, nervosi. L'uomo soppesò il volto del giovane Wayne, tastandone internamente la morbidezza della pelle e facendo scivolare il fantasma delle sue dita fra i suoi ricci neri come la pece. Solo sedici anni per un metro e cinquantasette, non certo una grande montagna. "Conoscevo un ragazzo che mi fece questa domanda anni fa, sai? Indovina che fine ha fatto... Lascia che ti dica una cosa: se non hai fifa, non sei umano." Gyan Lucas chinò lo sguardo e lasciò che i suoi pensieri raggiungessero per l'ultima volta l'erba primaverile, le foglie gialle che cadevano dall'albero che aveva in giardino, la neve sulla sua lingua e l'acqua fresco che gli scorreva fra le caviglie. Voleva andare a casa, da sua madre e dai suoi fratelli. Si stavano dirigendo verso l'inferno.
Ed avevano paura, indubbiamente.
Fu quando molte ore dopo fecero disporre il popolo di Bàistachport attorno alla piazza, lasciandone libero il centro, che le vicende presero una piega disumana. L'uomo che aveva parlato alla folla precedentemente si recò sotto la statua di Bellamy Cortece e annunciò che avrebbero partecipato a un gioco, assicurandoli che ognuno di loro vi avrebbe preso parte.
Harry cercava di non pensare, rilasciando ogni tanto qualche sospiro rumoroso al quale si voltavano quasi tutti i cittadini vicino a lui. Aveva attirato l'attenzione con la sua 'scenata' e molte persone credevano che si sarebbe suicidato anche lui. Come se avesse potuto materializzare un'arma dal nulla così, su due piedi. Alec e Rowan confabulavano fra di loro e Maya rimaneva silenziosa, lo sguardo rivolto verso terra.
Luke, Adrien e un altro paio di giovani vennero respinti verso il muro quando due soldati presero dalla folla un piccolo bambino dai capelli biondi. "Mio figlio! -gridò una donna invisibile- Cosa volete fargli? NO!" Loraya mugolò e il riccio lo strinse, i muscoli delle gambe che dolevano e il collo intorpidito. Il comandante si stanziava prepotentemente in mezzo a quel cerchio di genti, potente e imponente al confronto con quella piccola creaturina tremante e dalle manine paffutelle che gli veniva condotta dinanzi.
Strinse prepotentemente la preso sul bambino, indicando un viottolo stretto e oscuro, distante una trentina di metri da loro. "La vedi quella stradina, ometto? Adesso voglio che tu corra il più veloce possibile verso quella, non guardarti indietro. Quando ti prenderò le persone attorno a noi scapperanno e giocheremo ad acchiappino, ti piace come gioco, sì?" il bambino annuì, confuso. Come faceva a sapere quell'uomo che avrebbe vinto? si chiese, forse non sapeva che lui correva come un razzo!
Senza lasciare neppure il tempo a uno dei comandanti dei Troidars di dargli il via cominciò a correre, arcuando la schiena e muovendo rapidamente le braccia. Le guance paffutelle erano rosse per lo sforzo e il silenzio che regnava nella città di Bàistachport venne infranto dallo sparo emesso dal braccio di Kirian Okland. Le urla che seguirono tale atto impuro furono strazianti, specialmente quando i soldati puntarono le armi contro le genti che cercarono invano di disperdersi per la cittadina infernale.
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