I will never let you go

Louis tornò a casa di notte e non appena si tolse la giacca e l'appese all'attaccapanni si accorse che c'era qualcosa che non andava. Il loro appartamento infatti pareva essere inabitato: non c'erano pentole con cibo precotto sui fornelli, non c'erano piatti sul tavolo e -cosa più importante- non c'era Harry accovacciato sul divano, in attesa di un suo ritorno.

Il suo cuore tremò e inevitabilmente la voglia di gridare di rabbia si impossessò di lui: voleva urlare contro sé stesso, per essere stato così insensibile e crudele con il riccio e così stupidamente ingenuo. Ovvio che Harry se n'era andato dopo la sua scenata. Lui era stato la sua unica ragione di vita per molti anni e quando lo aveva malmenato era normale che si fosse sentito tradito. Il viso di Louis si contrasse in una smorfia quando entrò nella loro camera da letto: Possibile che non appena Harry avesse conosciuto un nuovo modo di vivere lo avesse abbandonato senza pensarci due volte? Non aveva provato neppure un po' di rimorso, forse un po' di solitudine?

La porta del bagno era scardinata e pareva fosse passato un ciclone dentro la stanzina. Louis sfiorò con le dita il lavello e vide abbandonata al suolo una fune fatta con degli asciugamani e il suo accappatoio. No, c'era qualcosa che non andava. Si sedette a terra e qualcosa gli punse la coscia, facendolo sussultare più per lo spavento che per il dolore. Una stellina dorata si era impigliata nei suoi pantaloni. Riconoscendola digrignò i denti e corse fuori dalla loro dimora. Non era passato un ciclone in quella casa, vi era entrato qualcuno di ancor peggiore. Liam Payne.

Le strade erano deserte e i suoi piedi urlavano per il dolore, per lo sforzo. Lo stomaco e gli occhi bruciavano. Sentiva la rabbia ceca scorrere nel suo sangue e affluirgli sulle guance, sulle braccia, nel petto. Si sentiva un leone, un uomo pronto a uccidere.

Il tempo sembrava rallentare e lui si sentiva rapido, scattante. In cinque minuti raggiunse l'accampamento e scanzando chiunque lo volesse fermare si precipitò verso la tenda di Liam. Michael Holbrook lo placcò d'improvviso e attorno a lui quattro soldati lo immobilizzarono.

"BASTARDO! VILE FIGLIO DI UN CANE!" urlò Louis, la saliva che nella foga gli era sfuggita dalle labbra che colava sul mento "VIENI FUORI STRONZO! COSA GLI HAI FATTO?! VOGLIO SAPERE DOV'È IL MIO HARRY!"

Sam Claflin gli fu davanti e Louis perse la ragione, ringhiando e cercando addirittura di morderlo, fendendo l'aria con i denti "È D'ACCORDO ANCHE LEI?! LEI CHE COMANDA UOMINI E UOMINI NEL NOSTRO FOTTUTO PAESE!" Liam uscì sconvolto dalla tenda e non appena fece un gesto ai suoi compagni loro atterrarono il Suile, costringendolo sul terreno ruvido e sconnesso.

"Cosa ci fai qua, Tomlinson? I Bloom ci hanno riferito che i nostri Suile sono in viaggio per raccogliere più informazioni possibili sul conto di-" Louis si dimenò al suolo grattandovi il petto e lo interruppe "Sono tornato indietro per chiedere rinforzi, la situazione è complicata e abbiamo bisogno dei nuovi soldati immediatamente. Loro, hanno qualcosa di spaventoso. -sibilò con cattiveria, tremando- Ma quando sono tornato in casa non l'ho trovato, voglio sapere dov'è, adesso!".

Sam guardò incuriosito Liam che rispose alla domanda senza scomporsi, quasi fosse stato un automa. "Sei il suo curatore ma lo hai lasciato solo per anni durante le tue missioni. Era arrivato il momento di metterlo in un posto per le persone come lui, dove se ne sarebbero presi cura fino al tuo ritorno. Sono certamente pi-" Michael ricevette diversi graffi e un altro ragazzo cadde a terra quando la gamba muscolosa di Louis lo colpì "NO! NON LÀ, NON IN QUEL POSTO!" pareva fosse sul punto di piangere, o di uccidere qualcuno. Si sentiva ferito, tradito, devastato. Se gli avessero tolto l'aria sarebbe in un certo senso stato meglio.

"Sarà difficile farlo tornare come prima, non credi?" sospirò fintamente dispiaciuto Liam prima di voltarsi e rifugiarsi nella sua tenda. Sam dopo aver lanciato un ultimo sguardo al corpo scosso da convulsioni e spasmi del Suile gli diede le spalle, andandosene.

"NO! VI ODIO! VI ODIO COSÌ TANTO, VI PREGO... IO LO RIVOGLIO INDIETRO!" i commilitoni lo lasciarono andare e Louis schizzò via, verso l'oscurità.

Jonas cadde dal letto quando un rombo improvviso squarciò il silenzio notturno, facendo vibrare i vetri di tutto l'edificio. Harry aveva lasciato che tenesse la pistola, dunque la estrasse da sotto il cuscino e tolse la sicura. La stringeva con sicurezza, determinato. "Harry, svegliati. Dobbiamo andare!" esclamò mentre un altro colpo faceva tremare il muro della finestrella. Il ragazzo spalancò gli occhi e mentre si alzava in piedi i mattoni cedettero, facendo crollare il divisorio. Jonas lo afferrò da un fianco e tenne al riparo da residui di calce e dal polverone che si era alzato. Non lo lasciò andare quando il freddo notturno li investì e quando l'allarme iniziò a suonare, assordandoli. Lo trascinò fuori dalla loro gabbia e raggiunsero le sorelle. Rowan aveva gli occhi rossi e un paio di lacrime sfuggirono al suo controllo.

Maya quella sera aveva dato ai loro genitori il bel servito, dicendo loro tutto ciò che pensava e scegliendo la sua libertà. Si era messa in spalla una borsa a tracolla e dopo aver preso la giacca era uscita, ancora una volta dalla finestra. Rowan inizialmente era rimasta pietrificata: la sorella le aveva detto del suo piano per salvare sia Harry che se stessa, ma la bruna internamente non sentiva la necessità di allontanarsi. Si trovava bene in casa sua, ignorava i suoi genitori e li sopportava. Ma quando li vide digrignare i denti e avvicinarsi alla finestra per chiuderla scattò in avanti, lanciandosi dietro la sorella.

Aveva bisogno di lei, aveva bisogno di seguirla.

"E' un piacere rivederti Harry!" Maya gli si avvicinò e gli diede una pacca su una spalla. Guardò scettica Jonas e poi si mise a correre verso i boschi di pini, urlando un 'muovetevi andiamo'.

I cinque ragazzi che erano con loro la seguirono, Rowan subito dietro di loro.
Jonas lasciò la presa su Harry e dopo essersi lanciati un'occhiata le loro gambe iniziarono a muoversi velocemente, le urla dei soldati con in braccio i fucili carichi in lontananza.

"Devi correre da solo Harry" soffiò Jonas, respirando l'aria gelida e la terra fresca sotto i suoi piedi "Siamo nati liberi. Pensa a volar via da qua" gli lasciò fra le mani la pistola e aumentò la velocità. Harry si perse nei sassolini che gli pungevano le piante dei piedi, il pigiama fine che lo faceva sentire quasi nudo. Mai sentita sensazione così reale, concreta. Lui stava scappando, stava andando via. Non importava per quanto, si sentiva così leggero e sicuro. I suoi piedi non sbagliarono, i suoi occhi guizzavano per seguire i suoi compagni.

"HAZ!" cadde tutto, come nel più triste degli incubi. Il più agghiacciante. "HAZ VIENI QUA! TORNA A CASA, NON ANDARTENE, LÀ FUORI E' ORRIBILE!" Quelle parole facevano male, gridavano qualcosa che non era il sentimento che Harry provava verso Louis. Era una gabbia, le gabbie non erano libertà. Libertà era forse amore? La mente non ragionava, le gambe scattavano e correvano sempre più lontano.
Harry non si accorse di essersi voltato e di aver sparato due volte in direzione di Louis.

Vide un proiettile sfiorargli la coscia e col cuore che si faceva sempre più pesante volò attraverso la foresta, verso nord-est. Non capiva il motivo del suo gesto e non voleva sapere se questo avesse provocato una ferita al corpo del liscio. Era confuso, intimorito, sentiva la sua mente ripetere 'Non torno a casa, casa non è libertà'.

Forse la sua nuova vita gli sarebbe piaciuta, forse avrebbe provato nuove sensazioni. Era arrivato il momento di rinascere, di vedere il mondo per la prima volta.

Dei rovi gli graffiarono i piedi e le braccia, poteva giurare che in quel momento Aaron Tveit stesse suonando il violino a uno spettacolo. Harry sorrise mentre sentiva il vento, il gelo dell'acqua di una fonte e le note di una melodia sconosciuta abbracciargli e fare per la prima volta l'amore con il suo spirito. No, il mondo non era orribile.

Quel proiettile aveva colpito il cuore di Louis profondamente, lasciandolo morente. No, il suo Harry non l'aveva appena fatto. Non poteva essere andato via. No, non il suo piccolo, non la sua ragione di vita. Sentì il freddo terreno a contatto con la sua guancia e lì rimase, incredulo. Come era stato possibile? Cosa aveva sbagliato? Perché? No, no, no.
Senza esitazione Louis gridò con tutto sé stesso, scoppiando in lacrime e non vergognandosene. Sospirò, mugolando e riprendendo a singhiozzare come un bambino. Dannazione, non poteva essersene andato per davvero. D'improvviso rise, incredulo. Il suo Harry non gli aveva sparato, non se l'era svignata chissà dove. No, il riccio era vicino a lui, gli stava sfiorando con le sue delicate dita il cuore. Con solo il suo sorriso Louis aveva potuto scorgere la sua anima pura, desiderandola.

"Louis Tomlinson." Sam Claflin lo stava guardando dall'alto, maestoso, imponente. Il ragazzo si sentì minuscolo, ma non gli importò. A dire il vero niente aveva più un senso. "Non hai perso il tuo incarico da soldato, adesso alzati e comportati da tale."
Gambe deboli, confusione. Mi hanno sparato. Mi ha sparato. Io non posso farlo. Non riusciva a parlare, ci provò seriamente, ma appena schiuse le labbra le parole morirono, accompagnando il suo cuore.
"Vorrei tanto non esserlo più." Pianse.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top